«Mancava una partita di febbraio, l'ultimo match rimasto in cui ero sicuro ci saremmo coperti di gloria. In trasferta a Cowdenbeath. Nelle circa trenta partite giocate fino a quel momento, il Cowdenbeath era riuscito a collezionare sette punti. Aveva incassato settantanove gol. Andai a casa in aereo. Non fraintendetemi. Kirkcaldy non è certo una cittadina ricca. Ma Cowdenbeath, che si trova qualche chilometro più su, la fa sembrare una cittadina turistica tipo Cheltenham.

Mio padre, con sprezzo del pericolo, condusse l'auto con a bordo me e i suoi amici Ron, Jim e Roger lungo le vie che avrebbero fatto inorridire un abitante di Danzica dopo i bombardamenti. Il Central Park sembrava abbandonato da un decennio». Correva la stagione 1992-93 quando Nick Hornby curava la raccolta di racconti a tema calcistico "Il mio anno preferito".

In quello a firma Harry Ritchie, intitolato "Take my whole life too" e dedicato alla promozione dalla Second alla Premier Division del Raith Rovers di Kilkcardy, l'autore si sofferma  sul fascino assolutamente decadente di e del Cowdenbeath. Rispetto a 27 anni fa, nulla è cambiato: la cittadina da 11mila e 600 abitanti alle porte di Dunfermline, nel Fife scozzese, continua a sprofondare nella sua piana violentata, nel tempo, dagli incalcolabili tunnel minerari in cui - fino alla metà del XX secolo - si cercava senza sosta il carbone.

Varcata la soglia di Cowdenbeath si ha subito la sensazione postapocalittica dell'abbandono. Non solo lungo le strade, ma anche arrivati al vetusto Central Park: una serie di prefabbricati, un ovale verde e una pista in calcestruzzo detta detta "Cowdenbeath Racewall per via delle gare di stock-car, organizzate nei weekend. E l'odore di pneumatici pervade sistematicamente i match calcistici casalinghi del "Blue Brazil".

I Blue Brazilians!

Brazil? Che diavolo c'entra il Brasile in uno scenario simili. Ancora oggi ce lo si chiede: perché la squadra calcistica espressione di uno dei posti più tetri di tutto il Regno Unito, custodisce il soprannome più leggendario, esotico e misterioso, peraltro conosciuto in tutto il mondo? Come spesso accade in questi casi, le versioni si sprecano. Quella più fantasiosa, tramandata dai nonni ai nipotini, corrisponde a quella più in voga.

Si narra che, nella prima metà secolo scorso, un gruppetto di minatori sostenitori del "Cowden" sia intento a scavare senza sosta in un tunnel minerario alla ricerca - quotidiana - del solito carbone. Le punte dei picconi quasi si smussano da quanto scavano e, a un certo punto della giornata, esausti per i risultati inconcludenti, decidono di riemergere in superficie. Una volta risaliti, però, si ritrovano proiettati come in una realtà parallela: il cielo non è plumbeo come quello di Scozia, ma azzurro limpido e assolato, tanto da riscaldare le loro ossa ormai sbriciolata dall'umidità del Fife.

La gente era allegra e sorridente e, all'orizzonte, su di un monte, si scorgeva la statua del Cristo redentore. Le donne non erano smorte e sdentate come quelle del pub, bensì di un invidiabile e fascinoso colorito, in un corpo aggraziato e semisvestito. Insomma, quei minatori scozzesi avevano scavato così tanto da essere passati per il centro della Terra sino a sbucare a Rio de Janeiro!

E aggraziati erano anche tre ragazzi che palleggiavano in maniera fenomenale: i "miners" li avvicinarono e chiesero loro di seguirli dentro il tunnel, per approdare in Scozia e disputare una partita con il loro Cowdenbeath avrebbe dovuto affrontare contro il "grande e fortissimo Dunfermline".

Ma come fare per permettere a tre stranieri dell'altro capo del mondo di giocare nel campionato scozzese? Venne quindi l'idea di riferire all'arbitro che la carnagione scura di quei tre ragazzi sconosciuti, altro non fosse che la fuliggine del carbone rimasta impressa nella pelle dato che "quei bravi e volenterosi giovani minatori non avevano fatto in tempo a darsi una lavata dopo il turno e prima di scendere sul campo del Central Park". L'arbitro acconsentì al loro tesseramento-lampo e il Cowdenbeath vinse addirittura 11-1.

Il pubblico in festa, per quella vittoria tutta gol, palleggi e giochi di prestigio, iniziò ad acclamare a gran voce i "Blue brazilians" e la squadra divenne ben presto "The Blue Brazil". Al triplice fischio, i tre giocolieri rientrarono nel tunnel per tornare alla loro vita scanzonata di Rio, di cui la cupa comunità di Cowdenbeath aveva avuto un piacevole assaggio, quel giorno.

Le altre versioni? La più - storicamente - accreditata risale alla dismissione delle miniere che, dagli anni Cinquanta in avanti, provocò un improvviso crollo finanziario. Tra la gente c'era un detto che andava per la maggiore: "Saremo pure messi male economicamente, ma la nostra squadra gioca meglio del Brasile".

In realtà, la cromia delle maglie risalirebbe ai tempi della fondazione del club (1881), avvenuta per mano dei fratelli John e James Pollock la cui mamma, proveniente dall'Ayrshire, gestiva una piccola ditta di mobili e, di ritorno da un viaggio di affari a Glasgow, portò a casa un completo da calcio color blu come i Glasgow Rangers, fondati nel 1872.

Per tutti però, anche oggi in cui il Cowdenbeath si barcamena nell'attuale Second Division (nel frattempo trasformatasi nella quarta serie scozzese) a grande distanza dal Cove Rangers capolista ed opzione sempre valida per le scommesse, le anime di quei tre ragazzi brasiliani stanno ancora palleggiando, dribblando e segnando sul rettangolo del vetusto Central Park...  

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.