Una splendida giornata comincia sempre con un’alba timida. Il celebre brano di Vasco Rossi potrebbe essere il motto di una ridda di calciatori. Si tratta di portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti che hanno vissuto la Serie A da protagonisti, ma solo dopo aver saggiato la prima stagione con una nuova maglia al di sotto delle aspettative.

Il tedesco dal volo ritardato

Corre l’anno 1982 quando il Blasco lancia “Una splendida giornata”. È l’anno dei Mondiali di Spagna, della mitica finale del Santiago Bernabéu che l’Italia vince 3 a 1 contro la Germania dell’Ovest. Ma proprio mentre i teutonici vedono sfumare nel cielo di Madrid il terzo titolo mondiale, in patria sboccia una nuova generazione di talenti. Tra questi, un ricciuto centravanti reduce da una stagione sfavillante con la maglia del Monaco 1860.

Il suo nome è Rudolf Voeller, capocannoniere della seconda divisione con 37 reti in 37 presenze. Numeri che gli valgono il passaggio al Werder Brema. Nella prima stagione in divisa biancoverde, Voeller si fa crescere i baffi e continua a bucare le porte avversarie diventando il miglior marcatore di un torneo che la sua squadra non vince solo per la peggior differenza reti rispetto all’Amburgo.

Continua a fare gol a raffica e diventa punto fermo anche della Nazionale. Il giugno 1987 è per lui l’occasione di affermarsi all’estero. Il tedesco di Hanau, città natale in cui gli hanno persino dedicato un francobollo, sbarca alla Roma. Il presidente Dino Viola lo annuncia con l’enfasi che il campione merita. Su di lui gravitano aspettative enormi da parte della tifoseria, ma l’inizio è balbettante.

Anche a causa dei postumi di un infortunio al ginocchio, Voeller non riesce ad esprimere le sue doti da bomber: il primo anno segna appena 5 gol in 28 presenze tra campionato e coppe. A Trigoria c’è chi vorrebbe rispedire il tedesco in patria. L’acquisto in prestito dal Milan del centravanti Daniele Massaro è un modo per cautelarsi in vista della cessione di un deludente e deluso Voeller. A bloccare tutto è Viola, che vuole concedergli un’altra possibilità. Fiducia ripagata: negli anni successivi Voeller diventa un idolo spiccando il volo nel cuore della tifoseria.

Dalle rive del fiume Meno ai Balcani, la “maledizione” del primo anno sembra essere un ricorso storico per gli attaccanti della Roma. Nell’estate 2006 arriva dal Lecce il montenegrino Mirko Vucinic, pagato 20 milioni di euro: anche per lui, però, il primo anno è difficile per via di un problema al menisco. Ma dall’anno successivo diventa una certezza della bella Roma di Spalletti.

 

Nessun impedimento fisico per Edin Dzeko, che il primo anno in maglia giallorossa fa storcere il naso ai tifosi divenendo oggetto di crudeli battute. Al bosniaco serve un po’ di rodaggio prima di far conoscere le sue qualità: nel 2016-17 realizza 39 gol tra campionato e coppe e ancora oggi è il goleador dell’undici di Paulo Fonseca.

Lo spagnolo che stava per smettere

Non ha la vena realizzativa del numero 9 dei dirimpettai romanisti, ma ha tecnica sopraffina e comunque una discreta famigliarità con il gol Luis Alberto. Eppure l’attuale numero 10 laziale all’inizio appare impalpabile. A fine della prima stagione (2016-17) sono 10 presenze e appena un gol: un magro bottino che getta lo spagnolo nella desolazione, tanto che - per sua stessa ammissione - medita di ritirarsi dal calcio professionistico anzitempo.

Il tecnico Simone Inzaghi decide però di dargli il tempo di riscattarsi, è un ex calciatore e sa come motivare chi vive una fase discendente. Luis Alberto risponde presente alle sollecitazioni del mister: negli anni arriva la prima presenza in Nazionale spagnola, ottime prestazioni, trofei vinti tra cui una Supercoppa Italiana, nel dicembre 2019, andando a segno nel 3 a 1 contro la Juventus.

La sua metamorfosi ricorda quella di un altro laziale, Cesar. Il fluidificante arriva a Formello nel 2001 dal Sao Caetano con ottime credenziali, avendo appena collezionato due presenze in Nazionale brasiliana. L’inizio è difficile, arriva in una Lazio incapace di trovare un’identità di gioco, dove un ciclo sembra essere tramontato.

Dopo Zoff e Zaccheroni, l’arrivo di Roberto Mancini sulla panchina delle Aquile lo rinvigorisce: il brasiliano è lanciato come esterno di attacco e si conquista l’affetto dei laziali, testimoniato dal vezzeggiativo «Cesaretto» che gli viene attribuito. Della Lazio è capitano quando, nel gennaio 2006, viene ceduto all’Inter dove intanto siede il suo ex tecnico Mancini. Una cessione mai digerita dai tifosi biancocelesti.

La favola del brutto anatroccolo

Sono invece i tifosi interisti a non aver mai digerito il mancato impiego di Oliver Bierhoff. Il lungo centravanti tedesco viene acquistato dal presidente Ernesto Pellegrini nel 1991 dagli austriaci del Salisburgo. In maglia nerazzurra non troverebbe spazio, così viene ceduto in prestito all’Ascoli del presidente Costantino Rozzi.

Nelle Marche sembra un flop. È possente ma sgraziato, colpisce male di testa e calcia solo di piatto destro. La porta avversaria sembra un miraggio: nella prima stagione segna la miseria di 2 gol. L’Ascoli retrocede in serie B e i tifosi addossano gran parte delle colpe a questo bomber evanescente venuto da lontano. Ma in cadetteria la musica cambia: Bierhoff sembra ispirato dalle note del suo connazionale Wagner, è un “carrarmato” che conquista la piazza a suon di gol.

 

Nel 1995 passa da un bianconero all’altro: nell’Udinese si consacra pure in serie A conquistando la maglia titolare nella Nazionale tedesca e il golden gol nella finale di Euro ‘96 contro la Repubblica Ceca. Nel 1998 arriva la prestigiosa chiamata del Milan: qui il primo anno è subito foriero di soddisfazioni, con lo scudetto conquistato dopo un’insperata rimonta sulla Lazio.

Chissà che la favola del “brutto anatroccolo”, come veniva chiamato Bierhoff ai tempi dell’Ascoli, non venga ricalcata da un altro attaccante, quell’Hirving Lozano che il primo anno al Napoli è stato in ombra e che oggi, con i partenopei quotati come vincenti @12 per le scommesse Europa League sembra un altro: 4 gol nelle prime 3 presenze stagionali, lo stesso bottino che ha collezionato in tutto il suo primo anno. Anche per lui è stata timida l’alba di una giornata che si sta facendo splendida.
 

*il testo dell'articolo è di Federico Cenci; la foto di Gregorio Borgia (AP Photo).

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