Il fascino dei campionati nazionali è spesso quello che ogni partita fa storia a sé e che persino i testacoda possono, a volte, regalare sorprese. Guardando al lato economico del pallone, però, è ovvio che dal punto di vista dell’appeal mediatico i tornei regalano anche partite che sono parecchio meno “vendibili”. Anche senza fare nomi, logico che uno scontro di vertice sia più interessante per chi acquista spazi pubblicitari rispetto alla sfida tra due squadre di bassa classifica.

I grandi club a favore della Superlega

Superlega, due divisioni A e B

Il potenziale valore dei diritti TV

Il ragionamento dei broadcaster, anche guardando alla Champions League e all’interesse (sportivo ed economico) che il massimo continentale genera, è riassunto in una domanda abbastanza retorica: “ma non si potrebbe giocare sempre la Champions?”. Ovviamente no, a meno di non organizzare una lega sulla falsariga di quelle nordamericane (NBA, NFL, NHL, MLB e MLS). In pratica, proprio il progetto della Superlega che rende poco tranquilli i sogni della UEFA e delle federazioni nazionali.

I grandi club a favore

Chi invece sogna in grande sono i grandi club, quelli che da un’idea del genere avrebbero solo da guadagnare. Il concetto è abbastanza semplice e per nulla rivoluzionario, almeno per chi è abituato agli sport americani. Un torneo in cui settimana dopo settimana si incontrano le squadre più forti del continente. Un vero e proprio sogno per chi vende i diritti televisivi e anche, in fondo, per chi ama il calcio. Ma ovviamente c’è un lato negativo della medaglia, che non può sfuggire.

Una Superlega Europea, a seconda delle partite previste, soppianterebbe per forza di cose qualche torneo già esistente. Se relativamente breve e gestibile durante la settimana, prenderebbe il posto o farebbe comunque concorrenza alla Champions League, un po’ come è accaduto nel basket europeo con la scissione tra Champions League ed Euro League.

Se invece il progetto prevedesse molte più partite e un format simile a un campionato, sarebbero i tornei nazionali a perdere le loro protagoniste. In entrambi i casi, comprensibile dunque che ci siano parecchie rimostranze.

A e B

Rimostranze che arrivano anche da chi non entrerebbe a far parte del progetto. Ecco perché, tra le tante proposte, c’è quella di un campionato di élite diviso in due serie. Non un torneo chiuso, sul modello di quelli americani, ma fluido, con la possibilità di salire tra le big e di scendere nella serie inferiore, a seconda dei risultati. Anche qui, però, i problemi non mancherebbero. L’apertura sarebbe solo tra chi è iscritto (e quindi senza retrocessioni dalla seconda serie), oppure ci sarebbe anche la possibilità per chi è fuori di soppiantare qualche altra partecipante?

E nel secondo caso, chi lo spiega alle federazioni nazionali che i loro tornei delle varie nazioni diventerebbero, di fatto, delle… qualificazioni alla Superlega? Senza considerare poi che la stessa ammissione creerebbe problemi di rappresentanza. Chi decide chi fa parte della Superlega e chi no? Quante squadre per nazione possono prendere parte al torneo per le scommesse Serie A? Tutte domande a cui è complicato trovare una risposta, soprattutto se la UEFA e le singole federazioni continueranno a fare muro.

Ma sa la situazione è di difficile definizione, perché i grandi club spingono affinché questi progetti vadano avanti? Motivi ovviamente economici, perché una Superlega europea, dal punto di vista mediatico, sarebbe in grado di eclissare qualsiasi altra competizione calcistica e potrebbe avere un valore di rivendita dei diritti audiovisivi pari a quelli delle leghe nordamericane.

Il potenziale valore dei diritti TV

Considerando che nel 2016 la NBA ha venduto i suoi diritti (e solo per gli Stati Uniti…) per nove anni alla stratosferica cifra di 24 miliardi di dollari, è facile capire che i ricavi della Superlega potrebbero superare agevolmente i 2,4 miliardi di euro all’anno che la Champions League, con il Bayern sempre favorita per le scommesse, ricava ogni anno dalla cessione dei diritti in tutto il mondo. Dunque, ogni squadra partecipante guadagnerebbe di più rispetto a quanto si ottiene arrivando ai gironi di Champions League.

Senza poi considerare che, se per la NBA i contratti televisivi valgono “appena” il 33% degli incassi, merchandising (soprattutto se “centralizzato” come quello nordamericano) e biglietti garantirebbero ai club altre importantissime entrate.

Video condiviso dalla pagina ufficiale dell'ECA di YouTube

Cifre in grado di far girare la testa a tutti, persino alle squadre della Premier League, che già di loro sono quelle che incassano di più. Il campionato inglese per il triennio 2019-22 vale circa 10 miliardi di euro, che vanno divisi tra i 5,5 ottenuti dal mercato domestico e gli altri 4,5 che arrivano dall’estero. Il che dà bene l’idea di quanto la Superlega, offrendo solamente partite tra squadre dal blasone altissimo, potrebbe rendere.

E non va dimenticato che, diminuendo i club partecipanti (in Premier League ci sono 20 squadre, ma quante inglesi finirebbero nella Superlega?), ognuna guadagnerebbe una fetta maggiore di incassi.

Lo stesso ragionamento che fanno anche le altre big, che per giunta giocano in tornei meno redditizi. Dunque, ecco perché i grandi club sognano, neanche troppo velatamente, di creare questa nuova e ricchissima competizione. Allo stesso tempo, però, le rimostranze sono tante. E in ogni caso l’ECA, l’associazione europea dei club presieduta da Andrea Agnelli, ha un accordo per la Champions League almeno fino al 2024 e sta lavorando per una rivoluzione della formula per gli anni a venire.

Perché quello della Superlega è un sogno che certamente può portare tantissimi soldi, ma che rischia anche di rimanere per sempre una chimera. E quindi, forse, meglio un uovo oggi…che una gallina domani!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Alessandra Tarantino (AP Photo). Prima pubblicazione 3 gennaio 2021.

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