Esiste un mestiere che l'appassionato di calcio invidia perfino più di quello di allenatore: il direttore sportivo. Scegliere giocatori, (tentare di) comprarli, cederli, costruire squadre: il sogno di ogni innamorato del pallone. E' il lavoro di questi dirigenti che con il passare degli anni hanno acquisito sempre più importanza e potere.

Adesso sono figure irrinunciabili per il calcio: si sta adeguando anche la Premier, che ne faceva a meno perché era l'allenatore a occuparsi in prima persona del mercato. L'Italia invece ne sforna tanti all'anno, quelli che superano l'esame apposito alla fine del corso organizzato dalla Figc ed entrano nel relativo albo. Magari poi faticano a trovare lavoro, ma questa è un'altra storia.

Di sicuro la figura con il tempo è cambiata: una volta il direttore sportivo era un vecchio volpone cresciuto con il sogno - e l'ansia - di diventare Luciano Moggi, per decenni riferimento della categoria prima che Calciopoli lo travolgesse. Adesso invece il ds è un piccolo manager che, oltre al calcio in ogni dettaglio, conosce le lingue e il diritto commerciale, le esigenze del bilancio e quelle dei calciatori.

Il ruolo odierno - Già, perché una volta il ds si occupava solo di mercato. Ora è un dirigente a tutto tondo, di solito chiamato a fare da raccordo tra società e squadra. I suoi poteri sono aumentati a dismisura, tanto che spesso tocca agli allenatori porre loro dei limiti: si è visto con l'episodio avvenuto nell'intervallo di Sassuolo-Roma, con il tecnico giallorosso Fonseca che ha “invitato” a uscire dallo spogliatoio il ds Petrachi, furioso per il pessimo primo tempo dei suoi.

D'altronde il direttore sportivo è sempre più coinvolto nella gestione della squadra, giorno per giorno: un lavoro che va in parallelo con quello più specifico di cercare giocatori funzionali alla rosa che verrà. Per questo dirige riunioni con il capo scout, che dipende direttamente da lui e a sua volta è chiamato a organizzare il lavoro degli osservatori. Il feeling tra direttore sportivo e capo scout dev'essere totale: il secondo propone profili che poi il ds deve valutare, decidendo – ascoltato anche il parere dell'allenatore - se iniziare una trattativa o no.

L'iter - Il percorso che porta all'acquisto di un giocatore di solito funziona così: l'allenatore comunica al ds le proprie esigenze, indicando un calciatore specifico per un certo ruolo o le caratteristiche che deve – dovrebbe – avere. Il ds gira le indicazioni al capo scout che sguinzaglia gli osservatori in giro per il mondo: ricevute le relazioni da loro sui vari calciatori visionati, il capo scout propone al ds tre profili per ogni ruolo, in pratica un piano A (per qualità, adattabilità alla squadra e soprattutto prezzo), un piano B e un piano C.

Da questo punto in poi parte il lavoro del ds, di concerto con l'amministratore delegato e/o il presidente, per indirizzarsi sul calciatore prescelto. Se fallisce l'assalto al "piano A" si va al "piano B" e così via.

I riconoscimenti - Il premio (Globe Soccer Awards) come miglior direttore sportivo d'Europa del 2019 è stato vinto da Andrea Berta, ds dell'Atletico Madrid. Un riconoscimento che nasce dal colpo Joao Felix, giovane portoghese considerato un fenomeno da (quasi) tutti gli addetti ai lavori. È anche vero che quando hai 120 milioni da spendere su un giocatore, non è così difficile centrare l'obiettivo.

Non a caso, tra i candidati al premio (con Overmars dell'Ajax e Abidal del Barcellona) c'era Igli Tare della Lazio, che invece ha fatto spendere al suo club “solo” 87,1 milioni per costruire l'intera formazione titolare dei biancocelesti, capaci di lottare per lo scudetto con la ricchissima Juve (basti pensare che Cristiano Ronaldo è stato pagato 100 milioni).

Insomma la Lazio è costata come all'Inter il solo Lukaku. Da qui gli elogi a Tare, che per scoprire e comprare i giocatori da Lazio si affida alla rete di rapporti in giro per l'Europa: il fatto di parlare sei lingue sicuramente lo favorisce. In Italia, come miglior ds, gli è stato preferito Giovanni Sartori, autore di quel capolavoro atalantino che ha travolto anche le scommesse sportive online: grazie al mercato, più che al settore giovanile, i bergamaschi l'anno scorso sono arrivati in finale di Coppa Italia e si sono qualificati per la Champions League.

Entrambi, Tare e Sartori, sono ex calciatori professionisti, come Petrachi e tanti altri che poi hanno intrapreso la carriera di direttore sportivo. Molti invece non hanno un passato in Serie A ma sono sono diventati abili ds, come Fabio Paratici.

Al di là dei premi, il più bravo di tutti per anni è stato considerato proprio lui, il 47enne Paratici, l'uomo che con Beppe Marotta (fino al divorzio del settembre 2018) ha costruito la serie incredibile di scudetti bianconeri, portando nel club torinese fuoriclasse assoluti come Pirlo, Tevez, Pogba, Dybala e così via. Fino a Cristiano Ronaldo. Il “fiuto” di Paratici per il talento da Juve – meglio se a parametro zero - è proverbiale nel mondo del calcio. Di sicuro poter contare sulle risorse economiche della società bianconera aiuta, ma è anche vero che non è facile ogni anno costruire una formazione super competitiva e Paratici finora ci è sempre riuscito.

Non si può dire lo stesso per Ausilio, o per Monchi (a Roma ha fallito dopo aver vinto tanto nel Siviglia), o per Giuntoli, tanto per indicare direttori sportivi molto stimati. Come l'esperto Pier Paolo Marino, ora all'Udinese. Tra i più bravi di sempre c'è Ariedo Braida, l'uomo che consigliò al Grande Milan di Berlusconi di acquistare un certo Shevchenko: la sua relazione super positiva sull'ucraino, visionato in un Barcellona-Dinamo Kiev al Camp Nou, è ancora gelosamente custodita nel museo di Casa Milan come prezioso cimelio, nonché testimonianza di competenza.

Molti ds, poi, meritano un elogio particolare per la capacità di gestire le paturnie di presidenti vulcanici: è il caso, per esempio, di Tare con Lotito, di Giuntoli con De Laurentiis, di Osti con Ferrero, di Marroccu (e prima di lui Capozucca) con Preziosi. D'altronde nel repertorio del direttore sportivo, tra le doti principali, ci dev'essere la pazienza. Ma tanta.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Manu Fernandez (AP Photo).

Giulio è nato giornalista sportivo, anche se di professione lo fa “solo” da 30 anni. Dal 1997 è l'esperto di calciomercato del quotidiano La Repubblica.

Dal '90 segue (senza annoiarsi mai) le vicende della Lazio: collabora anche con Radiosei e dirige il sito Sololalazio.it. Calcio e giornalismo sono le sue grandi passioni. L'unico rimpianto che lo tormenta è aver smesso di dare spettacolo sui campi di calcetto.