Portieri Nazionale italiana

Italiani: popolo di santi, navigatori e…portieri. Quando si parla di estremi difensori, la scuola tricolore è particolarmente apprezzata in tutto il mondo. Dai tempi in cui gli azzurri vincevano i loro primi titoli mondiali, fino agli europei giocati nell'estate 2021, la nazionale italiana ha sempre (o quasi) avuto tra i pali portieri di livello internazionale, di quelli capaci di mettere in soggezione persino gli attaccanti più forti e più esperti.

Dai primi a Dinomito

Zenga, Pagliuca e Peruzzi

L'era Buffon

Donnarumma ed i rigori

I portieri alle spalle di Gigio

E se è vero che nella storia del calcio europeo solamente un portiere, Lev Jašin, è riuscito a conquistare il pallone d'oro, bisogna anche considerare che ben due estremi difensori tricolori ci sono andati molto vicini.

Dunque, scorrendo i portieri più importanti della storia della nazionale italiana, si incontrano volti che definire celebri e quasi poco…

888Sport

Dai primi a Dinomito

Ad aprire la carrellata c’è Mario De Simoni, forse non troppo famoso, ma certamente il capostipite: è lui che il 15 maggio 1910 all'Arena di Milano gioca tra i pali della neonata nazionale italiana nel primo match della storia azzurra, quello contro la Francia. Inoltre, De Simoni sarà il portiere titolare di tutte le prime sei sfide affrontate dall’Italia. Ma, reso il doveroso omaggio al primo vero portiere della nazionale, non si può che passare a una leggenda del calcio italiano e non solo.

Tra il 1924 e il 1934 la porta dell'Italia è in ottime mani, perché tra i pali c'è Giampiero Combi. Torinese, classe 1902, Combi cresce nelle giovanili della Juventus e si lega per tutta la carriera ai bianconeri, portando in bacheca cinque titoli italiani. Ma le sue imprese più importanti sono certamente quelle con la maglia azzurra. Nel 1928 è lui il portiere della squadra che ottiene la medaglia di bronzo alle olimpiadi di Amsterdam. E poi, ovviamente, sono le sue mani a sollevare la Coppa Rimet il 10 giugno 1934, quando l'Italia si laurea per la prima volta campione del mondo vincendo la finale mondiale contro la Cecoslovacchia. Quel mondiale, tra parentesi, vede sfidarsi Combi e i due colleghi con lui ritenuti i migliori nel ruolo in quegli anni: lo spagnolo Ricardo Zamora e il cecoslovacco Frantisek Planicka.

Nel 1938, sempre con Vittorio Pozzo in panchina, l'Italia si ripete. Stavolta importa non c'è Combi e neanche Ceresoli, che sarebbe il portiere titolare. A difendere i pali degli azzurri c'è invece il veronese Aldo Olivieri, per tutti il Gatto Magico, portiere tanto spettacolare quanto efficace. È lui il secondo estremo difensore tricolore a laurearsi campione del mondo. Dopo la seconda guerra mondiale e per tutti gli anni Cinquanta, la nazionale italiana vive un momento di profonda involuzione, arrivando a non qualificarsi per i mondiali del 1958. Tra i pali si alternano diversi portieri, ma nessuno lascia un impatto troppo importante nella storia azzurra. 

Bisogna quindi aspettare il decennio successivo per vedere nascere la stella di Enrico Albertosi. Il toscano ha una carriera lunghissima, iniziata ad appena diciott'anni nello Spezia e terminata ad alti livelli a quarantuno con la maglia del Milan. Nel mezzo, un'avventura con la nazionale che lo porta a essere convocato per ben quattro campionati del mondo, il primo nel 1962 e l'ultimo nel 1974. Albertosi si prende la porta azzurra definitivamente nel 1965, mentre è ancora un calciatore della Fiorentina. Nella fase finale degli europei del 1968 un infortunio lo costringe a lasciare il posto a Dino Zoff, ma “Ricky” ottiene comunque la sua medaglia da campione d’Europa. Nel 1970, complice il clamoroso scudetto vinto con il Cagliari, Albertosi si riprende il suo posto tra i pali, sfiorando il titolo iridato, perso solo in finale contro il Brasile di Pelé. 

Dopo il mondiale 1970, il titolare della nazionale diventa Dino Zoff.

Dinomito esordisce relativamente tardi in azzurro, considerando che la sua prima convocazione risale proprio al 1968, quando il friulano ha già 26 anni. L'infortunio di Albertosi prima della fase finale degli Europei gli permette di giocare le partite decisive e di essere il portiere titolare della squadra che si aggiudica il titolo continentale nella finale contro la Jugoslavia.

Nel 1973, Zoff stabilisce un primato di imbattibilità in nazionale di 1142 minuti, battuto solamente nel 2021 da Donnarumma. Nello stesso anno, dopo le ottime prestazioni in Italia e in Europa con la Juventus, arriva addirittura secondo al Pallone d’Oro, dietro solamente a Johann Cruijff.

Zoff contro Pelè!

Dopo i mondiali del 1974 diventa capitano e in tale vece disputa anche quelli del 1978, in cui, causa alcune reti subite dalla distanza, qualcuno lo dà per finito. Grandissimo errore, perché Zoff si rifà quattro anni dopo, a quarant'anni, sollevando da protagonista la terza coppa del mondo della storia azzurra.

Zenga, Pagliuca e Peruzzi

Terminata la lunga parentesi di Dinomito, i pali della nazionale se li prendono diversi portieri. Quello più celebre dell'otto è certamente Walter Zenga, per tutti l'Uomo Ragno, titolare sia agli europei del 1988 che ai mondiali casalinghi del 1990. Purtroppo per lui, però, Zenga resta nella leggenda per l'uscita in semifinale contro l'Argentina che permette a Caniggia di segnare e pareggiare una partita che poi gli azzurri perderanno ai calci di rigore.

L'uscita a vuoto di Zenga!

Dopo Zenga, il portiere titolare della nazionale diventa Gianluca Pagliuca, che si gioca la finale dei mondiali 1994 nonostante un'espulsione nella fase a gironi avesse costretto Sacchi a schierare Marchegiani nelle partite precedenti.

Pagliuca gioca anche i mondiali del 98, perché Peruzzi, che aveva preso il suo posto a Euro 96, si infortuna. Per inciso, per il portiere viterbese quella è l'unica competizione internazionale giocata da titolare nella sua carriera in nazionale.  

I riflettori a Euro 2000 invece toccano a Francesco Toldo, che si ritrova catapultato tra i pali per l'infortunio di Buffon. L'estremo difensore, all'epoca alla Fiorentina, non fa certamente rimpiangere Super Gigi, visto che trascina, a sorprese anche per scommesse italiano, letteralmente gli azzurri alla finale, poi persa contro la Francia, soprattutto con la sua leggendaria prestazione contro l'Olanda, in cui affronta tra partita e lotteria dei rigori ben sei penalty, subendo solo una rete.

L'era Buffon

Dopo la sfortuna, però, è il momento di Gianluigi Buffon, che per un ventennio buono è non solo il titolare indiscusso della nazionale italiana, ma anche uno tra i portieri più forti del mondo. Il palmares del toscano parla da sé, tra titoli vinti con la Juventus, una Coppa UEFA sollevata con la maglia del Parma e soprattutto il mondiale del 2006 vinto da protagonista.

Quell'anno il Pallone d'Oro finisce a Fabio Cannavaro, ma se la giuria di France Football avesse deciso di premiare il portiere nessuno avrebbe avuto nulla da ridire, viste le parate pazzesche durante il torneo.

Basterebbe pensare che gli unici calciatori in grado di segnare all'estremo difensore azzurro in quel mondiale sono Zidane sul calcio di rigore e…Zaccardo con un'autorete che passa alla storia. Buffon, che in carriera ha giocato cinque mondiali (1998, 2002, 2006, 2010, 2014) è anche il primatista di presenze con la maglia della nazionale, ben 176, nonché il calciatore azzurro con più presenze da capitano (80).

Il volo di Buffon a Berlino!

La sua carriera, lunghissima e pluridecorata, chiude…la porta a un paio di generazioni di portieri italiani, che cercano di imporsi, ma quando si tratta di giocare in nazionale si trovano sempre davanti Super Gigi.

Donnarumma ed i rigori

Finché non arriva un altro Gianluigi, che di cognome fa Donnarumma. Il ragazzo prodigio cresciuto nelle giovanili del Milan esordisce in nazionale nel 2016 ad appena 17 anni, proprio come aveva fatto due decenni prima Buffon, a cui viene spesso paragonato e di cui prende il posto all’esordio. Dopo la delusione per la mancata qualificazione a Russia 2018, il nuovo CT Roberto Mancini promuove Donnarumma titolare e il portiere diventa uno dei punti fermi della nuova e giovane nazionale azzurra.

Donnarumma imbattibile ai rigori!

Le sue prestazioni a Euro 2020, in particolare quelle ai calci di rigore contro la Spagna in semifinale e contro l'Inghilterra in finale, sono fondamentali per il secondo titolo continentale degli azzurri e gli valgono da favorito per le scommesse calcio il premio Jašin, il corrispettivo del Pallone d'Oro per i portieri.

I portieri alle spalle di Gigio

Considerando che Donnarumma è un classe 1999, il "rischio" è che anche lui, come Buffon, apre una parentesi molto lunga tra i pali della nazionale. E nonostante dispiaccia per i tanti giovani di valore che arriveranno, quando davanti si ha uno così, è davvero difficile togliere il posto.

Non che qualcuno non ci stia provando, perchè nel giro della nazionale ci sono comunque altri estremi difensori che vogliono…fare le scarpe a Super Gigio. Quello con le credenziali migliori è certamente Alex Meret, che si è finalmente preso il Napoli e che ha dimostrato che tutto quello che si diceva di lui già dai tempi delle giovanili era vero.

Meret in Champions contro il Liverpool

Per lui finora sono arrivate una manciata di presenze, ma Mancini sa che in caso di problemi per Donnarumma ha un dodicesimo più che affidabile, che può essere anche un numero 1.

Dietro Meret scalpitano altri portieri che si stanno mettendo in luce in Serie A, come Ivan Provedel, Wladimiro Falcone e Marco Carnesecchi. Il biancoceleste è il più esperto dei tre, ma ha ricevuto la convocazione di Mancini per le partite contro Inghilterra e Malta, prima di dover rinunciare per problemi fisici.

Prima chiamata invece per l’estremo difensore del Lecce (ma di proprietà della Sampdoria) dopo la buona stagione nella massima serie con la maglia giallorossa.

Al posto di Provedel poi convocazione per il portiere della Cremonese (anche lui in prestito, stavolta dall’Atalanta), che comincia a essere troppo…vecchio per l’Under-21 e vuole prendersi la maglia numero 1 anche tra i grandi…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 18 marzo 2022.
 

March 22, 2023
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Play Off Mondiali | Spareggi Mondiali | Play Off Mondiali 2022

Vincere la Coppa del Mondo di calcio è certamente un'impresa molto complicata, al punto che solamente otto nazionali (Uruguay, Italia, Germania, Brasile, Inghilterra, Argentina, Francia e Spagna) ci sono riuscite nella storia quasi centenaria del trofeo. Ma per moltissime altre nazioni è difficile anche riuscire a qualificarsi ai mondiali.

Il meccanismo per gli spareggi 2022

Il caso Henry

L'Uruguay in Giordania

Argentina - Australia per il Mondiale americano

Storicamente, i posti in palio non sono mai stati moltissimi e solo con le ultime aperture, che hanno portato le partecipanti a 32 e che le porteranno a 48, alcune zone del mondo hanno cominciato ad avere un buon numero di rappresentanti. Ogni confederazione organizza le sue qualificazioni, ma non è detto che alla fine dei gironi si sappia alla perfezione chi parteciperà ai mondiali successivi. In alcuni casi infatti è previsto che ci siano degli spareggi, a volte tra squadre della stessa confederazione, ma anche intercontinentali.

Il meccanismo per gli spareggi 2022

La situazione per Qatar 2022 da questo punto di vista è parecchio ingarbugliata. La UEFA e la CAF sono le uniche due confederazioni in cui le squadre che si affronteranno negli spareggi arrivano dallo stesso continente. Nel caso della UEFA ci sono tre piccole Final Four in cui 12 squadre (compresa l'Italia) si giocano i tre posti rimanenti, visto che gli altri 10 sono andati alle nazionali che hanno vinto il proprio girone.

A prendere parte ai play-off sono le 10 seconde dei gironi e due vincitrici dei gironi di Nations League che non si sono già qualificate. Per quanto riguarda l'Africa, 10 gironi da quattro squadre decreteranno altrettante selezioni che si giocheranno i cinque posti a disposizione in sfide andata e ritorno.

Discorso diverso per le altre quattro confederazioni. In Sudamerica passano le prime quattro del girone, mentre la quinta dovrà giocarsi il play-off intercontinentale contro una squadra asiatica.

Per decidere chi affronterà la quinta sudamericana bisognerà poi attendere che le terze classificate dei due gironi che stabiliscono le quattro asiatiche al mondiale si affrontino tra di loro. In America del Nord è invece previsto un girone finale a otto squadre, con le prime tre che si qualificano e la quarta che va ad affrontare la vincente delle qualificazioni dell'Oceania per l'ultimo posto a disposizione.

Il caso Henry

Le formule per le qualificazioni cambiano di edizione in edizione, ma c'è quasi sempre la necessità dello spareggio. In Europa ormai è un'istituzione, come dimostrano le qualificazioni a Russia 2018. Una situazione che ricordiamo bene, visto che la sconfitta con la Svezia a sorpresa per le scommesse Italia nel novembre 2017 è costata agli azzurri la partecipazione alla Coppa del Mondo.

Gli spareggi hanno anche permesso alla Croazia (che ha battuto la Grecia) di staccare il biglietto per il torneo e di cominciare la sua cavalcata terminata solamente con la sconfitta in finale. Nel 2014 la Francia ha rischiato seriamente l'esclusione dal mondiale brasiliano.

Nello spareggio contro l'Ucraina i transalpini hanno perso l’andata per 2-0, salvo poi vincere 3-0 al ritorno in casa e assicurarsi un posto. Anche nel 2010 la Francia se l'è vista brutta e c'è voluto un doppio spareggio con l'Irlanda, con polemiche infinite per un fallo di mano di Henry nell’azione del gol decisivo, per qualificarsi per il Sudafrica.

Il caso Henry!

Nel 2002 passa per gli spareggi anche la Germania, che batte l'Ucraina e che in Giappone e Corea del Sud arriverà addirittura seconda. E per staccare il biglietto per Francia 1998 all’Italia tocca avere la meglio sulla Russia.

L'Uruguay in Giordania

Se gli spareggi europei sono solitamente abbastanza equilibrati, non si può dire lo spesso quando si affrontano squadre di due confederazioni diverse. Nel corso dei decenni è anche avvenuto che squadre del Vecchio Continente affrontassero selezioni provenienti da zone in cui il calcio non si era del tutto sviluppato.

E anche ora che la UEFA non partecipa ai play-off interzona, restano comunque casi di match assolutamente squilibrati, come quelli tra Uruguay e Giordania e Messico e Nuova Zelanda per la qualificazione ai mondiali del 2014. In quel caso i sudamericani hanno vinto 0-5, risultato "altro" per il calcio scommesse, in Giordania e pareggiato comodamente in casa, mentre i messicani hanno fatto cinque gol ai neozelandesi all’Azteca e quattro a domicilio. Non che all'Uruguay sia andata sempre bene.

Cavani contro la Giordania!

L'ultima assenza della Celeste ai mondiali (in attesa di sapere come finiranno le qualificazioni per quelli 2022) è datata 2006 e deriva dallo spareggio intercontinentale perso ai calci di rigore contro l'Australia, che all'epoca faceva ancora parte della confederazione dell’Oceania, prima di passare a quella asiatica.

Argentina - Australia per il Mondiale americano

Nel 1994 persino a una big del calcio sudamericano come l'Argentina, vice campione in carica, tocca qualificarsi attraverso il play-off intercontinentale. Di fronte l’Albiceleste si trova la solita Australia, che rende la vita assai complicata agli uomini di Basile, costretti a rischiare parecchio nel ritorno in casa, dopo aver pareggiato per 1-1 in Oceania. 

Argentina - Australia

Negli anni Settanta, poi, lo spareggio intercontinentale vedeva di fronte una squadra europea e una sudamericana. E le qualificazioni ai mondiali in Germania Ovest del 1974 raccontano una delle storie più celebri di quei tempi. Il play-off si gioca tra l’Unione Sovietica e il Cile, giusto qualche settimana dopo il golpe di Pinochet nel paese sudamericano.

L'andata a Mosca si disputa regolarmente e termina 0-0. I sovietici però si rifiutano di giocare il ritorno all’Estadio Nacional de Chile di Santiago, perchè l'impianto veniva utilizzato come campo di tortura per gli oppositori politici. Ne nasce una controversia internazionale, con i sovietici che chiedono di disputare la partita di ritorno in campo neutro. La FIFA però si oppone, perché l'andata si è giocata regolarmente sul terreno di gioco di una delle due squadre.

La nazionale dell’URSS non si presenta dunque in campo e il match termina dopo pochi secondi, giusto il tempo per i cileni di segnare una rete simbolica contro un avversario inesistente e di gioire per la qualificazione ottenuta a tavolino.

Un altro caso particolarmente rilevante è quello dello spareggio per un posto al mondiale del 1958. In teoria dovrebbero giocare una squadra africana e una asiatica, ma la rappresentate della CAF, il Sudan, si rifiuta di giocare contro Israele.

Che però non riceve la qualificazione diretta, ma è costretto ad affrontare una delle seconde dei gironi europei (tra cui c’è anche l’Italia, eliminata dall’Irlanda del Nord) in un match di andata e ritorno. All’inizio viene sorteggiato il Belgio, ma anche i Diavoli Rossi si rifiutano di giocare. E alla fine tocca al Galles, che invece non solo gioca ma vince anche (2-0 all’andata e anche al ritorno), guadagnandosi la sua prima qualificazione. E rappresentando l’unico caso in cui allo spareggio è passata una squadra…che neanche doveva esserci!
 

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

March 18, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Milano Sanremo 2022 | Classica di Primavera | il percorso della Milano Sanremo

Tra le cose che segnano inequivocabilmente l’arrivo della primavera ci sono il ritorno degli uccelli migratori, l’allungamento delle giornate e…la Milano-Sanremo. La classica del ciclismo italiano si svolge infatti da ormai oltre ottant’anni nella settimana della festa del papà ed è per questo conosciuta proprio come Classica di Primavera.

Il percorso della corsa

L'albo d'oro della Classica di Primavera

La Milano-Sanremo negli anni Ottanta

Nibali ed i successi italiani

Tutti i record della Milano Sanremo

L’edizione 2022, poi, coinciderà proprio con la data scelta nel 1937 come giorno di disputa della gara, prima che si passasse a correre il sabato o la domenica più vicino. 

Il percorso della corsa

La corsa in linea più celebre e più lunga d’Italia ha una storia lunga e importante, cominciata nel 1907 e passata quasi indenne attraverso due conflitti mondiali.

L’edizione 2022 sarà infatti la numero 112, perché da quando è stata fondata la Milano-Sanremo non si è svolta in sole tre occasioni: nel 1916, nel 1944 e nel 1945. Ma persino negli altri anni di guerra, i ciclisti sono scesi sulle strade che collegano il capoluogo lombardo con la cittadina ligure. Il percorso, a differenza delle altre classiche, è rimasto quasi del tutto invariato dai primi anni del secolo scorso a oggi.

Matthew Goss vince in volata!

Nei circa 300 chilometri da percorrere, l’insidia maggiore dal punto di vista della pendenza è il Passo del Turchino, che però è abbastanza lontano (si scavalla prima di metà gara) dal traguardo di Sanremo per risultare decisivo come accadeva nei primi decenni di storia della corsa.

Dunque, le azioni che possono cambiare la gara e decidere le relative scommesse sportive sono più probabili sulla Cipressa o sul Poggio, a pochi chilometri dall’arrivo su via Roma, ma di recente è molto più frequente vedere l’arrivo in volata di un gruppo compatto.
 

L'albo d'oro della Classica di Primavera

L’albo d’oro della Milano-Sanremo racconta di vere e proprie fasi nella storia della Classica di Primavera. I primi anni hanno visto affermarsi francesi e belgi, con la prima vittoria tricolore datata 1909 grazie a Luigi Ganna. Poi, il periodo delle due guerre e gli anni successivi hanno visto una striscia quasi continua di vittorie di ciclisti italiani.

Tutti i grandi campioni degli anni Venti, Trenta e Quaranta hanno lasciato il loro segno sulla competizione, a partire da Costante Girardengo, vero dominatore per quasi un decennio, passando al Alfredo Binda e Learco Guerra, per terminare con la leggendaria coppia composta da Gino Bartali e Fausto Coppi. Basterebbe pensare che dal 1914 al 1953, le edizioni che non hanno visto trionfare un italiano sono solamente due, quella del 1935 (con il belga Demuysere) e quella del 1951 (vinta dal francese Bobet).
 
Terminata l’era d’oro del ciclismo italiano, però, per gli azzurri è diventato sempre più complicato affermarsi nella classica che apre la stagione delle grandi corse. Per vedere il primo italiano vincere dopo Loretto Petrucci nel 1953, bisognerà attendere il 1970 con Michele Dancelli, ma è un fuoco di paglia, così come il trionfo di Felice Gimondi.

Gli anni che vanno dal 1954 al 1980 sono quelli del dominio dei belgi (con Merckx, ma anche De Vlaeminck, Van Looy e molti altri) e per un breve periodo dei francesi (Privat, Poulidor e Groussard), con qualche inserimento spagnolo, tedesco, olandese, più la prima vittoria britannica, quella di Simpson nel 1964.
 

La Milano-Sanremo negli anni Ottanta

A ridare un po’ di sprint al ciclismo italiano nella Milano-Sanremo ci pensano gli anni Ottanta, in cui si impongono Pierino Gavazzi (1980), Giuseppe Saronni (1983, dopo tre tentativi consecutivi terminati al secondo posto tra 1978 e 1980) e Francesco Moser. Le altre vittorie sono perlopiù francesi, con il bis di Fignon a fine decennio.

Gli anni Novanta sono invece un testa a testa tra Italia e Germania. Gli azzurri calano cinque vittorie con Gianni Bugno (1990), Claudio Chiappucci (1991), Maurizio Fondriest (1993), Giorgio Furlan (1994) e Gabriele Colombo (1996), mentre i teutonici calano il loro asso nazionale nella Classic di Primavera, quell’Erik Zabel capace di imporsi ben quattro volte tra 1997 e 2001, arrivando anche secondo nel 1999 e nel 2004.
 
A un quinquennio di successi (Mario Cipollini nel 2002, Paolo Bettini nel 2003, Alessandro Petacchi nel 2005 e Filippo Pozzato nel 2006) hanno fatto seguito anche anni complicati per i ciclisti italiani, segnati dalle tre vittorie dello spagnolo Oscar Freire, da quelle di tedeschi come Ciolek e Degenkolb, degli australiani Goss e Gerrans, dei francesi Demare e Alaphilppe e dei soliti belgi, che con Van Aert e Stuyven hanno vinto le ultime due edizioni.

Simon Gerrans vince!

Nibali ed i successi italiani

L’ultimo trionfo italiano è dunque datato 2018, con Vincenzo Nibali. Dall’albo d’oro più recente, si evince poi un dato perlomeno particolare: strano a dirsi, ma il signore del ciclismo su strada degli anni dieci, lo slovacco Peter Sagan, non è mai riuscito a sfilare sul traguardo di via Roma con le braccia alzate.

Il tre volte campione del mondo è arrivato soltanto due volte secondo da favorito per le scommesse ciclismo, nel 2013 dietro a Ciolek e nel 2017 dietro al polacco Kwiatkowski.
 

Vincenzo Nibali nel 2018

Tutti i record della Milano Sanremo

Il plurivincitore per eccellenza è dunque il belga Eddy Merckx, che ha portato a casa sette successi (1966, 1967, 1969, 1971, 1972, 1975 e 1976), seguito da Costante Girardengo, che non solo ha vinto sei volte (1918, 1921, 1923, 1925, 1926 e 1928), ma tra 1917 e 1926 è arrivato per ben dieci volte consecutive sul podio. A quattro trionfi ci sono Gino Bartali (1939, 1940, 1947 e 1950) ed Erik Zabel( 1997, 1998, 2000 e 2001), a tre spuntano Fausto Coppi (1946, 1948 e 1949), Roger De Vlaeminck (1973, 1978 e 1979) e Óscar Freire (2004, 2007 e 2010).

Sette, infine, quelli capaci di imporsi in due edizioni: Gaetano Belloni, Alfredo Binda, Giuseppe Olmo, Loretto Petrucci, Miguel Poblet, Laurent Fignon e Sean Kelly. Per quanto riguarda le vittorie per nazione, l’Italia prende quasi la metà degli allori (51), seguita dal Belgio (22) e dalla Francia (14). Giù dal podio Germania (7), Spagna (5), Paesi Bassi (3), Australia, Irlanda, Regno Unito, Svizzera (tutte a 2), Norvegia e Polonia (con una sola vittoria).

E nel 2022, come andrà? Visto l’inizio di stagione, facile prevedere che la Classica di Primavera quest’anno possa essere una sfida a due, con lo sloveno Tadej Pogačar in forma smagliante, ma insediato dal belga Wout Van Aert, già vincitore nel 2020 e secondo nel 2021, e più adatto alle corse in linea del due volte vincitore del Tour.

Ma di certo, comunque vada, la primavera del ciclismo mondiale parte dal centro di Milano e finisce nel cuore di Sanremo…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

March 18, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Stipendio Sagan | Sagan stipendio | Stipendio Peter Sagan

Il fascino del ciclismo si avverte soprattutto durante i grandi giri, ma anche le corse in linea rappresentano la storia, anzi, la leggenda di questa disciplina.

Hulk Sagat

Il primo titolo Mondiale nel 2015

Sagat tra classiche e grandi giri

Il contratto di Sagan con la Team TotalEnergies

Le sponsorizzazioni di Peter Sagan

E tra i migliori degli ultimi decenni, ma forse anche di sempre, quando si parla di gare da un solo giorno, ci è entrato di prepotenza uno slovacco classe 1990.

Hulk Sagat

Peter Sagan, che in molti chiamano Tourminator o persino Hulk, è stato ed è tuttora uno dei grandi protagonisti del ciclismo mondiale, nonché uno di quelli che nella sua generazione ha il palmares più importante. In tredici anni di carriera da professionista, Sagan ha portato a casa per tre volte il titolo di campione del mondo, una volta quello Europeo, un’edizione della E3 Harelbeke, ben tre della Gand-Wevelgem, una del Giro delle Fiandre e una della Parigi-Roubaix.

Nei grandi giri non ha mai lottato per la vittoria, ma non vuol dire che lo slovacco non sia stato protagonista, considerando che ha vinto dodici tappe e sette volte la classifica a punti al Tour de France, quattro tappe alla Vuelta a España e due al Giro d’Italia, con tanto di maglia ciclamino in un’occasione. E, tanto per non farsi mancare nulla, anche una classifica finale dell'UCI World Tour.

Insomma, nelle corse in linea sempre meglio tenere d’occhio Sagan, considerando che allo slovacco non manca davvero nulla per essere pericoloso in ogni tipologia di percorso. Forte sul passo, potente in volata e soprattutto con la capacità di partire a pochi chilometri dal traguardo per azioni in solitaria, il tre volte campione del mondo ha dominato a lungo la scena delle classiche.

Il primo titolo Mondiale nel 2015

Il suo primato principale però è quello di aver vinto, primo nella storia di questo meraviglioso sport, tre titoli mondiali consecutivi, tra 2015 e 2017. Il primo trionfo, quello di Richmond negli Stati Uniti arriva da grande favorito per le scommesse ciclismo e nonostante la presenza di soli due compagni di nazionale. Il tracciato molto pianeggiante permette a Sagan prima di controllare gli avversari e poi di lanciare il suo classico attacco proprio allo striscione dei tre chilometri.

Con la medaglia del primo titolo iridato!

L’anno successivo lo slovacco si tiene stretta la maglia arcobaleno a Doha, in Qatar, andando a vincere la corsa iniziata nel deserto con una volata di forza pura. Anche il tris, quello di Bergen in Norvegia, che gli permette di raggiungere Alfredo Binda, Rik Van Steenbergen, Eddy Merckx e Óscar Freire nell’Olimpo dei tre volte vincitori (ma di superarli in con il tris consecutivi), arriva in volata, ma stavolta dopo aver dovuto rispondere all’attacco di Alaphilippe.

Sono questi gli anni migliori di Sagan, che fino al primo mondiale (quello del 2015) era spesso preso in giro per la sua capacità di… piazzarsi piuttosto che di vincere. Basterebbe pensare che fino a quel momento era arrivato una volta secondo e due quarto alla Milano-Sanremo, una volta secondo, una quarto e una quinto al Giro delle Fiandre e una volta sesto alla Parigi-Roubaix.

Sagat tra classiche e grandi giri

La Milano-Sanremo resta una delle delle classiche monumento che gli è sempre sfuggita, considerando che anche negli anni successivi è arrivato di nuovo una volta secondo e ben tre volte consecutive quarto. È andata meglio nelle altre (Fiandre vinto nel 2016, Rubaix nel 2018), ma anche nelle altre classiche del pavé, in cui si è sempre dimostrato uno dei migliori.

Per non parlare dei campionati nazionali slovacchi, praticamente monopolizzati dalla famiglia Sagan: dal 2011 se li è aggiudicati sette volte Peter e le restanti quattro suo fratello Juraj, due delle quali proprio davanti al tre volte campione del mondo.

Più complicato il rapporto con i grandi giri, se non altro perché per caratteristiche per Sagan è quasi impossibile lottare per la vittoria finale. In compenso, dal 2012 in poi, lo slovacco si è presentato eccome al via del Tour de France, arrivando per ben sette volte tra 2012 e 2019 in maglia verde, ovvero quella che spetta al corridore che ha fatto più punti.

Un tifoso incoraggia Sagat!

L'unica edizione in cui non ci è riuscito in quel periodo è quella del 2017, in cui è stato addirittura squalificato perché ritenuto responsabile dell'incidente che ha spedito uno dei suoi grandi rivali, Cavendish, sulle transenne durante una volata. Dopo le tante vittorie al Tour, lo slovacco ha tentato anche di fare sua la maglia ciclamino al Giro d’Italia, riuscendoci nella sua seconda partecipazione, quella del 2021.

Il contratto di Sagan con la Team TotalEnergies

Non stupisce dunque, viste le vittorie e la fama internazionale, che Sagan sia uno dei ciclisti più pagati al mondo. Lo slovacco per il 2022, in cui correrà con la maglia del Team TotalEnergies, percepirà 5,5 milioni di euro, una cifra superiore ai 5 milioni che gli versava la Bora-Hansgrohe, che negli ultimi anni lo hanno reso il più pagato del Tour UCI, oltre l'opzione migliore per le scommesse live nelle volate!

Cosa che non avverrà per la stagione in corso, visto che la UAE Emirates ha rinnovato il contratto del due volte vincitore del Tour de France Tadej Pogačar a 6 milioni a stagione. Ma non di solo stipendio vivono i ciclisti e per quanto riguarda l'appeal nei confronti degli sponsor, è decisamente il caso di dire che Sagan…stacca tutti gli avversari.

Un arrivo in volata!

Lo slovacco, dato il suo carattere particolarmente esuberante e una certa tendenza a diventare uno showman quando si trova davanti una telecamera, è certamente il ciclista più ricercato dalle aziende quando si tratta di sponsorizzare un proprio prodotto. 

Le sponsorizzazioni di Peter Sagan

A partire da quelli tecnici, perché non è un caso che il partner per le biciclette della sua nuova squadra sia la Specialized, che da anni fornisce le sue creature allo slovacco. Anche gli sponsor dei suoi team lo hanno spesso utilizzato come figura principale degli spot ed ecco perché negli ultimi anni Sagan si è spesso trovato in cucina (prodotte dalla Bora) o sotto la doccia, ottenendo persino un soffione personalizzato venduto dalla Hansgrohe.

E poi, visto che si parla di un personaggio davvero virale, anche i social fanno la loro parte. Uno dei classici video in cui Sagan…fa Sagan, può arrivare a valere fino a 330mila dollari, ma è oro colato per le aziende, considerando che tra i quasi 2 milioni di follower su Instagram e tutti i quotidiani sportivi, che fanno a gara per mostrare le imprese del campione slovacco, chissà quante persone potranno vedere la clip in questione.

Infine, ci sono anche possibilità per il futuro: vista la naturalezza con cui si pone davanti alla telecamera, Sagan ha spesso spiegato che potrebbe intraprendere la carriera di attore. Considerando che parla parecchie lingue e che la presenza scenica non gli manca, sarebbe capace di diventare…campione del mondo anche sul piccolo e sul grande schermo!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

March 18, 2022
Body

Francesco vive di sport, di storia e di storie di sport. Dai Giochi Olimpici antichi a quelli moderni, dalle corse dei carri a Bisanzio all'Olanda di Cruijff, se c'è competizione o si tiene un punteggio, lui si appassiona sempre e spesso e volentieri ne scrive.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

GP del Bahrain | Gran Premio Bahrain | Formula 1 Bahrein

Macchine in griglia, si accendono i semafori e poi via, si parte. La stagione 2022 del campionato mondiale di Formula 1, quella delle novità regolamentari che potrebbero sconvolgere le gerarchie che sembrano ormai consolidate, accende i motori a marzo con il Gran Premio del Bahrein.

Sul circuito di Sakhir, nella ormai consueta cornice notturna, le vetture testeranno in una gara ufficiale tutti gli sviluppi studiati nelle gallerie del vento e nelle officine e provati solamente durante i test di inizio stagione.

Nel 2004 prima volta in Medio Oriente

Le curiosità del GP del Bahrein

Le caratteristiche del circuito del Bahrain

Hamilton recordman anche in Bahrein

Sarà la quarta volta che il mondiale parte dal Bahrein, dopo che già nel 2006, nel 2010 e nel 2021 le prime scintille si erano viste proprio sui 5412 metri del Bahrain International Circuit, inaugurato nel 2004 con quella che è stata la prima gara di Formula 1 mai organizzata in Medio Oriente.

Nel 2004 prima volta in Medio Oriente

Una pista, quella di Sakhir, che prevede diverse configurazioni, utilizzate nel corso delle 17 edizioni del Gran Premio che si sono tenute dal 2004. Il “Grand Prix Circuit”, una leggera variazione del circuito originale, è il tracciato su cui si è corso quasi sempre, fatta eccezione per il 2010.

In quell’occasione, per celebrare i 50 anni della Formula 1, si è gareggiato sulla versione denominata “Endurance Circuit”, lunga oltre 6km. Esistono poi altre versioni, come il cosiddetto “Outer Circuit”, visto durante il mondiale 2020, ma non…nel GP del Bahrein.

Nell’annata più complicata dello sport mondiale, si è infatti corso due volte a Sakhir, con la seconda gara denominata semplicemente “GP di Sakhir”, che si è disputata sulla versione ridotta della pista, quella da 3,5km che è possibile completare in meno di un minuto.

La famosa Vip Tower in Bahrein!

 

Le curiosità del GP del Bahrein

E a proposito di tempi, il Bahrain International Circuit ha dei recordman almeno particolari per quanto riguarda i giri più veloci sulle diverse configurazioni.

Il più rapido sul “Grand Prix Circuit”è tuttora Pedro De La Rosa, che nel 2005 ha stabilito il primato alla guida della McLaren. Il record sull’“Endurance Circuit” appartiene invece a Fernando Alonso, che lo ha stabilito nell’edizione 2010 su Ferrari. Quello dell’ “Outer Circuit”, infine, è di George Russell, che nel 2020 nel GP di Sakhir sostituiva Lewis Hamilton alla guida della Mercedes.

Del resto, la storia del GP del Bahrein è piena di curiosità. Oltre a essere il primo Gran Premio mai disputato in Medio Oriente, è anche il secondo ad essersi tenuto in notturna, dopo quello di Singapore. Nel 2014, per celebrare il decimo anniversario della prima edizione, si è gareggiato sotto i riflettori e da quel momento non si è più tornati indietro.

L’edizione 2021 ha segnato anche un’altra pietra miliare: è stata la prima volta che il Gran Premio inaugurale si è svolto in notturna con la vittoria del favorito per le quote Formula 1, visto che nelle due precedenti stagioni in cui il Mondiale è cominciato a Sakhir si correva ancora di giorno. In realtà anche la stagione 2011 sarebbe dovuta iniziare in Bahrein, ma in quell’anno il GP del paese del Golfo Persico non si è tenuto.

Hamilton nel 2021!

La gara, prevista per il 13 marzo 2011, è stata prima spostata a giugno e poi cancellata dal calendario a causa di una serie di proteste scoppiate a febbraio in Bahrein che rendevano a rischio la situazione del Circus nel caso si fosse disputato il Gran Premio.

Nonostante i tentativi della dirigenza della Formula 1 di far comunque tenere il GP a fine stagione, quando la situazione interna si era ormai placata, i team non hanno trovato l’unanimità al riguardo e quindi l’edizione 2011 è saltata.

Le caratteristiche del circuito del Bahrain

Le caratteristiche speciali del GP del Bahrein però non finiscono qui. Una delle più celebri riguarda la pista, che trovandosi…in mezzo al deserto può causare problemi di surriscaldamento alle vetture. Il tutto ovviamente a causa del caldo e soprattutto della sabbia che, soffiata dal vento, si deposita sull’asfalto e finisce all’interno delle macchine.

Un qualcosa che ha caratterizzato la prima edizione e a cui si è trovata una soluzione perlomeno fantasiosa. L’area circostante il circuito viene infatti trattata periodicamente con uno spray adesivo, che diminuisce la mobilità della sabbia ed evita che se ne accumuli troppa nei dintorni della pista. Inoltre, come avviene negli altri Gran Premi che si disputano nella regione, sul podio per festeggiare non si utilizza lo champagne, ma un’acqua di rose non alcolica.

La particolarità sta nel fatto che, a differenza di quanto avviene per esempio in Qatar o in Arabia Saudita, il consumo di bevande alcoliche in Bahrein è permesso. 

Hamilton recordman anche in Bahrein

Passando alle statistiche, quello del Bahrein è un circuito che ha visto vincere sette piloti, cinque scuderie e tre motori diversi. Il recordman di vittorie, e non potrebbe essere altrimenti, è Lewis Hamilton, che si è imposto cinque volte, tutte con la Mercedes, le ultime tre delle quali consecutivamente tra 2019 e 2021.

Hamilton festeggia!

Segue con 4 trionfi (2 in Ferrari e altrettanti in Red Bull) Sebastian Vettel, mentre a quota 3 c’è Fernando Alonso (2 vittorie in Renault e 1 in Ferrari).

Due primi posti anche per Felipe Massa con la Ferrari, mentre a quota uno ci sono Michael Schumacher, che ha vinto la prima edizione nel 2004 con la Rossa, Jenson Button su Brawn e Nico Rosberg, con la Mercedes che lo ha portato al titolo mondiale nel 2016. Il record di pole position ce l’hanno in coabitazione Vettel e Hamilton (3), mentre il re dei giri veloci è Rosberg (3). Dal 2004 andati a podio nel GP del Bahrein 17 piloti, con Hamilton che guida con 10 presenze, seguito da Raikkonen (8) e Vettel (5).

Per quanto riguarda i costruttori, invece, c’è un certo equilibrio, confermato anche da tutte le statistiche. La classifica delle vittorie la guidano Mercedes e Ferrari con 6, seguite da Renault e Red Bull con 2 e dalla Brawn con 1. Nelle pole position le Stelle d’Argento battono le Rosse per 6-5, mentre nei giri veloci torna una perfetta parità sul 5-5.

Nei podi ancora leggera prevalenza Mercedes (15-14), ma la differenza più marcata si nota nel conteggio dei punti: la Mercedes guida con 343, la Ferrari insegue con 268 ed è anche braccata dalla Red Bull con 232. In attesa di vedere come andranno i primi giri ufficiali con i nuovi regolamenti, però, una cosa è certa. La Ferrari sa come si vince a Sakhir…

Segui anche le due ruote con le scommesse Moto GP!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

March 18, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Jos Verstappen | Max Verstappen papà | papà Verstappen

Fino a qualche anno fa, prima dell’approdo di Max in Formula 1, se riguardo al Circus qualcuno avesse fatto il nome di Verstappen, tutti quanti avrebbero pensato immediatamente al signor Johannes Franciscus, per tutti semplicemente Jos.

La carriera di Jos Verstappen

Nel 1997 nasce Max

Il ritiro dalla piste di Jos Verstappen

Verstappen senior manager di Max

Verstappen senior ora è spesso derubricato semplicemente a “papà di Max” ed è quasi logico che sia così, visto l’impatto che suo figlio ha avuto sulla Formula 1 degli ultimi anni. Ma anche lui, a modo suo, è entrato nella storia dei motori, con una carriera che è durata una decina di anni, quelli segnati dal regno di Michael Schumacher, di cui l’olandese è sempre stato un grande amico.

La carriera di Jos Verstappen

La carriera di Jos Verstappen, classe 1972, comincia (proprio come quella del Kaiser) in tenerissima età, con un kart costruito per lui da suo padre. Il talento è evidentemente di famiglia, perchè Verstappen comincia a vincere titoli giovanili e nel 1991 passa alla Formula Opel, laureandosi campione e passando poi alla Formula 3 tedesca, di cui vince il titolo nel 1993.

Il pilota olandese interessa a molti, ma a muoversi prima di tutti è Flavio Briatore, che batte sul tempo la McLaren e gli offre un posto in Benetton. L’accordo prevede il ruolo di collaudatore della vettura e almeno sei gare da pilota ufficiale per il 1995, ma il destino ha piani molto diversi per Jos, perché l’esordio con la scuderia anglo-italiana arriva già al primo GP del mondiale 1994.

Jos Vertappen con un membro del Team!

Nei test di inizio stagione il finlandese J.J. Letho, seconda guida di Michael Schumacher, ha un incidente che lo costringe a saltare le prime due gare e Verstappen lo sostituisce, non riuscendo però a terminare nessuna delle due corse. Al suo ritorno, Letho non convince e Briatore decide di affidare la vettura di nuovo a Verstappen a partire dal GP di Francia. Dopo un altro ritiro arriva la prima gara completata, quella a Silverstone. Poi, in Germania, l’incidente che rischia seriamente di segnare non solo la carriera ma anche la vita di Jos.

Durante il rifornimento a Hockenheim, della benzina fuoriesce e la Benetton di Verstappen prende fuoco, costringendolo a uscire dall’abitacolo in fretta e furia. Nonostante le immagini siano impressionanti anche a distanza di decenni, l’olandese se la cava con alcune ustioni sul viso e può tornare in pista già in Ungheria, dove ottiene il suo primo podio, un terzo posto poi replicato anche a Spa nella gara successiva. Negli ultimi due GP della stagione lascia il posto a Johnny Herbert, che gli soffia il sedile da vice-Schumi per l’anno successivo.

Nel 1997 nasce Max

Per Verstappen senior comincia dunque un lungo peregrinare alla guida di vetture di scuderie minori. La stagione 1995 la passa alla Simtek, come parte dell’accordo tra la scuderia e la Benetton per la fornitura anche del cambio della macchina di Schumacher ed Herbert. Il suo mondiale però dura appena cinque gare, perché la Simtek, a causa di problemi economici, abbandona il campionato dopo neanche un terzo del calendario completato.

L’anno successivo Verstappen trova un altro sedile, quello della Footwork, con cui riesce a partecipare a tutte le gare, cogliendo anche un buon sesto posto (e quindi un punto iridato) in Argentina, ma mostrando anche alcune caratteristiche…familiari, ovvero la tendenza a trovarsi troppo spesso in mezzo agli incidenti di gara, arrivando quasi sempre al ritiro, anche secondo le quote F1

Quando nel 1997 la Footwork non gli rinnova il contratto, ci pensa la Tyrrell a offrirgli una vettura, ma anche la storica scuderia inglese è in grossa sofferenza finanziaria e dopo una stagione senza neanche un punto, Verstappen si ritrova senza contratto, perchè la BAR, che ha rilevato la licenza della Tyrrell, gli preferisce Rosset.

Una delusione, mitigata però da una notizia non certo di poco conto: il 30 settembre 1997 nasce il piccolo Max Emilian Verstappen… Nel 1998 Jos non ha un sedile e riesce a gareggiare soltanto sostituendo Magnussen alla Stewart. Nel 1999 arriva invece un accordo da collaudatore con la Honda, che oltre a costruire i motori vuole mettere su una scuderia vera e propria a partire dal 2000.

Jos Vertappen

Il ritiro dalla piste di Jos Verstappen

L’eventualità non va però in porto e per tornare nel Circus Verstappen senior accetta l’offerta della Arrows, con cui tra 2000 e 2001 ottiene qualche piazzamento a punti, non riuscendo però a far valere il suo contratto triennale anche per la stagione 2002.

Dopo un anno di stop, arriva dunque l’ultima stagione in Formula 1, quella 2003, alla guida della Minardi, chiusa mestamente con 0 punti mondiali e senza riuscire a convincere un’altra scuderia a dargli una possibilità.

Negli anni successivi si dedica a serie inferiori ma anche alla 24 ore di Le Mans, a cui partecipa nel 2008 e nel 2009 piazzandosi rispettivamente decimo e tredicesimo. 

Verstappen senior manager di Max

La vita privata di Jos Verstappen è particolarmente movimentata, quasi quanto la sua carriera in Formula 1, ed è costellata di matrimoni, figli e procedimenti giudiziari. L’olandese ha infatti cinque figli da tre mogli diverse: l’ex pilota belga Sophie Kumpen, madre di Max e Victoria, Kelly van der Waal, con cui ha avuto Blue Jaye, e infine Sandy Sijtsma, che nel 2019 e nel 2020 ha partorito Jason Jaxx e Mila Faye. Anche i problemi con la giustizia di Verstappen senior hanno avuto spesso come protagoniste le sue compagne di vita.

Nel 1998 Jos e suo padre patteggiano una condanna per aggressione nei confronti di un uomo avvenuta in un kartodromo. Nel 2008 Verstappen viene accusato di non aver rispettato l’ordine restrittivo nei confronti di Sophie Kumpen e di averla minacciata, mentre nel 2012 è stato addirittura arrestato per tentato omicidio nei confronti di Kelly van der Waal, che ha provato a investire. La sua futura moglie ha però ritirato le accuse dopo due settimane.

La macchina di Vertappen

Insomma, se qualcuno si chiedesse da dove Max abbia preso una certa aggressività (che però mostra solo in pista), non c’è da guardare molto lontano dalla famiglia. Normale, considerando che Jos è stato suo manager e lo ha accompagnato in ogni momento della sua carriera, a partire dai kart.

All’epoca, ha spiegato Verstappen senior, lo si poteva vedere aggrappato ai muretti e alle reti per spiegare al piccolo Max come affrontare una curva o come tentare un sorpasso. E anche ora che sicuramente suo figlio può fare tranquillamente tutto da solo, papà Jos non si perde una gara del campione del mondo 2021. Del resto, avere un erede così, è di certo molto più soddisfacente di qualsiasi vittoria in un Gran Premio!

Segui anche il mondo delle due ruote con le quote Moto GP

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

March 18, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Team Principal Red Bull | Horner Team Principal | Red Bull Team Principal

Nella Formula 1 le variabili che rendono un team imbattibile o da dimenticare sono molte. La macchina, disegnata dai progettisti e assemblata e curata dai meccanici. Il motore, anch’esso dotato di un gruppo di lavoro a parte. Poi, neanche a dirlo, ci sono i piloti, che quelle vetture devono guidarle al meglio delle loro capacità.

E infine, a tenere tutto insieme e con la mano salda sul timone a definire la strategia, c’è il team principal. Molti nella storia del Circus hanno segnato un’era (Jean Todt alla Ferrari, Flavio Briatore alla Benetton, Ron Dennis alla McLaren), ma nessuno simboleggia la “sua” scuderia come Christian Horner, numero uno della Red Bull.

I motori e la famiglia Horner

Il Team Principal più giovane

I successi in Red Bull

Christian Horner e il Coventry

Se non fosse altro perché da quando nel 2005 gli austriaci hanno deciso di investire nella Formula 1, al muretto dei tori rossi c’è sempre stato l’inglese classe 1973, per il quale la stagione 2022 sarà la numero 18 nel mondiale. Ma chi è Christian Horner?

I motori e la famiglia Horner

Un ex pilota, nato in una famiglia che ha sempre avuto a che fare con le automobili. Suo nonno gestiva gli acquisti della Standard Motor Company a Coventry e poi, assieme a suo padre, ha creato un’azienda che fornisce componenti alle aziende automobilistiche nelle Midlands. Logico dunque che il giovane Christian sia affascinato dal mondo dei motori. La sua carriera comincia con i kart e nel 1992 prende parte al campionato di Formula Renault, ottenendo la sua prima vittoria e il miglior piazzamento in classifica per un esordiente.

Negli anni seguenti gareggia in altre categorie, fino all’approdo in Formula 3000 nel 1997, con il team Arden, fondato da lui stesso. Dopo due stagioni, però, Horner si rende conto che le sue capacità come pilota non permettono al team di svilupparsi abbastanza e quindi ad appena 25 anni l’inglese lascia il volante per dedicarsi esclusivamente al lavoro da team principal.  Sotto la sua guida l’Arden vince per tre volte il campionato costruttori della Formula 3000, portando a casa anche due titoli piloti con lo svedese Björn Wirdheim e con Vitantonio Liuzzi. 

Horner si interessa alla Formula 1, ma anche la Formula 1 è interessata a lui. Nel 2004 cerca di acquistare la Jordan, ma l’affare non va in porto per divergenze economiche con il proprietario, il leggendario Eddie.

Il Team Principal più giovane

In compenso però la Red Bull acquista la Jaguar e il cofondatore dell’azienda austriaca Dietrich Mateschitz decide che Horner è l’uomo giusto a cui affidare la neonata scuderia. A 31 anni compiuti da poco, l’inglese si trova quindi a diventare il team principal più giovane del Circus.

Una delle prime Red Bull in pista!

E il fatto che, dopo 17 stagioni, sia al momento ancora uno dei più giovani ma quello con l’esperienza maggiore, la dice assai lunga sulla bontà del suo lavoro. Le prime stagioni sono complicate, ma comunque la Red Bull riesce a fare molto meglio di quanto avesse fatto la Jordan negli anni precedenti. La prima pietra verso la gloria è l’arrivo di Adrian Newey, storico progettista della Williams e della McLaren, che dalla stagione 2007 comincia a disegnare le vetture della scuderia austriaca.

Nel frattempo, seguendo i consigli di Helmut Marko, la Red Bull mette sotto contratto alcuni giovani piloti, come un certo Sebastian Vettel, che fino al 2008 corre con la…scuderia B, la Toro Rosso. Strano ma vero, è proprio la ex Minardi del tedesco a far segnare, a sorpresa per le scommesse F1 la prima vittoria in un GP per una vettura targata Red Bull a Monza nel 2008, ma con il trasferimento di Vettel in prima squadra si sta per aprire un ciclo.

I successi in Red Bull

Nel 2009 la Red Bull e Horner ottengono la loro prima vittoria in Formula 1 quando in Cina si impone proprio Vettel. Alla fine della stagione i Gran Premi vinti saranno 6 (4 con il tedesco e 2 con Webber), non abbastanza per impensierire Button e la Brawn. Ma dalla stagione 2010 a quella 2013 la scuderia austriaca vive la sua età dell’oro: quattro titoli consecutivi per Vettel e altrettanti campionati costruttori per la Red Bull.

E se 2010 e 2012 sono complicati, con la Ferrari di Alonso sempre a competere per il mondiale piloti, 2011 e 2013 sono veri e propri trionfi, con 12 e 13 vittorie nel corso della stagione e addirittura il filotto del tedesco con nove vittorie consecutive nel finale della stagione 2013. Poi però inizia l’era della Mercedes e nel 2015 Vettel lascia la Red Bull. Nessun problema, perché Horner nel 2016 dà fiducia a un giovanissimo pilota olandese, Max Verstappen.

Il figlio di Jos è un talento puro e si vede subito, dato che vince la sua prima gara in Red Bull, il GP di Spagna. La poca affidabilità della vettura però impedisce alla Red Bull di lottare per il titolo piloti, almeno fino al 2021 quando all’ultimo GP Verstappen batte Hamilton, conquistando il suo primo titolo, che per la Red Bull e per Horner è il quinto. 

I festeggiamenti per il titolo 2021!

 

Christian Horner e il Coventry

Oltre alle soddisfazioni in pista, Horner ha anche ricevuto il titolo di Ufficiale dell’Impero Britannico (OBE) nel 2013 per i suoi servigi agli sport motoristici. Tra le altre passioni dell’inglese c’è ovviamente il calcio. Essendo nativo di Leamington Spa, cittadina termale a poche miglia da Coventry, è un grande tifoso degli Sky Blues, al punto da averci scherzato su prima di un GP.

Nel 2019, sulla griglia del Gran Premio di Spagna a Barcellona, quando gli hanno chiesto cosa avesse fatto di particolare in città, Horner ha spiegato di aver provato a convincere Neymar, presente all’evento, a firmare per la sua squadra del cuore. 

Horner con il suo gioiello, Max!

E, dulcis in fundo, Horner è anche l’uomo della Formula 1 con la moglie…più famosa del Circus. Il team principal della Red Bull è infatti sposato dal 2015 con Geri Halliwell, l’ex Ginger Spice. I due si sono fidanzati nel 2014 e sono convolati a nozze un anno dopo, diventando genitori di Montague nel 2017.

La cantante è ormai presenza fissa nel paddock e quando la coppia non è impegnata a girare per il mondo per gli impegni del campionato mondiale, si gode le case in campagna nell’Oxfordshire e nell’Hertfordshire, tra pony, trattori e la vita all’aria aperta.

Perché quando si vive a 300 all’ora come i piloti su due ruote protagonisti delle scommesse Moto GP , ci sta che almeno in famiglia i ritmi…siano un po’ più lenti!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

March 18, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Team Principal Ferrari | Team Principal Binotto | Ferrari Team Principal

Quando a inizio 2019 la Ferrari ha dovuto sostituire Maurizio Arrivabene come team principal, a Maranello di dubbi ne hanno avuti pochi. La scelta infatti è immediatamente ricaduta su Mattia Binotto, che fino a quel momento era il direttore tecnico delle Rosse.

Binotto rappresenta la continuità di una direzione sportiva che affonda le radici negli anni Novanta e nei primi anni Duemila, il periodo di maggior splendore della Ferrari degli ultimi decenni. Dopo l’addio di Jean Todt, il ruolo di team principal è sempre stato ricoperto da figure interne, che hanno fatto una lunga trafila e che hanno vissuto Maranello a titolo forse diverso, ma per parecchio tempo.

La carriera di Binotto in Ferrari

Nel 2019 Mattia Binotto diventa Team Principal

2020 e 2021 stagioni negative

Binotto e la Ferrari 2022

Stefano Domenicali, Marco Mattiacci e Maurizio Arrivabene sono stati a lungo colonne della Ferrari e l’ultimo della lista, Binotto, non fa certo eccezione.

La carriera di Binotto in Ferrari

Mattia Binotto nasce a Losanna, in Svizzera, da genitori originari di Reggio Emilia. Passa la giovinezza nel paese elvetico e laurea in ingegneria meccanica nel 1994 al Politecnico di Losanna. Ma il futuro lo porterà assai più vicino a casa. Per lui c’è un master in ingegneria degli autoveicoli all’Università di Modena e di Reggio Emilia, il cui dipartimento di ingegneria sia chiama, guarda caso, “Enzo Ferrari”.

Il talento c’è, perché tempo un anno e nel 1995 Binotto entra a far parte del team Ferrari, come motorista dell’area test. Il passaggio alla squadra corse è datato 1997. Binotto dunque vive in pieno la stagione di Michael Schumacher, dagli anni delle lotte perse contro Jacques Villeneuve e Mika Hakkinen, fino alle stagioni dei trionfi e della supremazia tecnica assoluta delle Rosse, che oltre ai cinque titoli consecutivi del Kaiser vincono anche per sei volte il campionato costruttori tra 1999 e 2004.

La Ferrari vince il GP di Francia nel 2014!

Proprio in quell’anno, Binotto diventa ingegnere dei motori da gara, per poi fare un ulteriore passo in avanti nel 2007, divenendo capo ingegnere per corse e montaggio. Dal 2009 si occupa anche dello sviluppo del KERS e infine nel 2014 direttore dell’intero reparto legato alla Power Unit. Una scelta, quella di Binotto, legata a doppio filo all’apprezzamento del suo lavoro da parte dell’allora presidente, il compianto Sergio Marchionne.

Nel 2019 Mattia Binotto diventa Team Principal

Proprio negli ultimi anni dell’era Marchionne, Binotto fa un ulteriore passo avanti, diventando direttore tecnico dell’intera scuderia al posto di James Allison. E quando Arrivabene lascia al termine della stagione 2018, la continuità aziendale lo porta sulla poltrona che era stata di Jean Todt e degli altri con cui aveva lavorato a contatto negli ultimi vent’anni. Il 7 gennaio 2019, il suo nome viene comunicato alla stampa mondiale: Mattia Binotto è il nuovo team principal della Ferrari.

All’inizio mantiene anche il ruolo di direttore tecnico, per poi lasciarlo a campionato mondiale in corso.

Nel 2019 a Maranello la rivoluzione è pressoché completa, perchè l’arrivo di Binotto alla direzione sportiva coincide anche con quello di Charles Leclerc, in sostituzione di Kimi Raikkonen. La SF90 mantiene le buone prestazioni delle vetture degli anni precedenti, quelli in cui Binotto era direttore tecnico, senza però mai arrivare a mettere in dubbio lo strapotere Mercedes.

Charles Leclerc in pista!

La stagione però è abbastanza positiva, visto che la Ferrari riesce a portare a casa 18 podi complessivi, con tre vittorie tutte consecutive da outsiders per le scommesse F1 tra Spa (Leclerc), Monza (Leclerc) e Singapore (Vettel). Il primo anno da team principal di Binotto si conclude con i due piloti al quarto e al quinto posto della classifica mondiale (dietro ad Hamilton, Bottas e Verstappen), ma con la scuderia seconda in graduatoria nel mondiale costruttori, con parecchio ritardo dalla Mercedes, ma con quasi cento punti di vantaggio sulla Red Bull.

2020 e 2021 stagioni negative

La stagione 2020 inizia con un tantissimo ritardo per le note problematiche sanitarie mondiali, ma anche con un problema tecnico non da poco per la Ferrari. A una manciata di settimane dalla partenza del Mondiale, la FIA spiega che il motore della Rossa, basato su quello molto performante del 2019, sfrutta delle aree grigie del regolamento che proprio a inizio 2020 sono state chiarite.

Tutte le squadre devono correre ai ripari, ma chi paga di più è proprio la Ferrari, le cui prestazioni rispetto alla stagione precedente crollano. Gli unici due podi stagionali sono il secondo posto di Leclerc nel GP d’Austria alla ripartenza del mondiale e il terzo posto di Vettel, che lascia Maranello a fine stagione, in Turchia. La classifica costruttori vede la Ferrari addirittura sesta, dietro alle solite Mercedes e Red Bull, ma anche alla McLaren, alla Racing Point e alla Renault.

Il 2021, a causa degli eventi planetari, diventa una stagione di transito. Le novità regolamentari del 2022 dovevano infatti essere messe in atto l’anno prima, ma il caos del mondiale precedente, tra gare annullate e un finale troppo a ridosso della nuova stagione, costringono a posticipare il tutto.

E la Ferrari di Binotto, che sperava di recuperare terreno progettando una vettura totalmente nuova, si ritrova a lavorare su una macchina che eredita le problematiche della SF1000. Gli sviluppi della SF21 permettono qualche miglioramento, con due pole consecutive per Leclerc, un podio per il monegasco e ben tre per il nuovo arrivato Carlos Sainz jr, risultati che permettono alla Ferrari di riprendersi il terzo posto nel campionato costruttori. 

Visto il calo dei risultati nelle ultime due stagioni, non sono mancate le critiche al team principal, reo secondo alcuni addetti ai lavori di aver sbagliato alcune scelte strategiche nelle poche occasioni in cui la vettura sembrava poter portare a risultati importanti.

Binotto e la Ferrari 2022

Non sono più scommesse, Binotto dal canto suo deve puntare sul lavoro della squadra, che ormai sviluppa la vettura 2022 da quasi due anni. Una Ferrari competitiva nella prima stagione con le nuove regole, che rischiano di ribaltare totalmente lo status quo attuale, sarebbe manna dal cielo non solo per i tifosi e per i piloti, ma anche e soprattutto per la direzione sportiva, che altrimenti rischia di subire cambiamenti radicali se la situazione non dovesse migliorare.

Carlos Sainz con la macchina 2022!

Questo Binotto lo sa bene. Ma a tirarlo su potrebbe esserci la storia del suo grande amore calcistico, l’Inter. Da tifoso nerazzurro, il team principal Ferrari ha vissuto gli anni del Triplete, ma anche quelli del dominio bianconero, prima di tornare a gioire dopo un decennio con lo scudetto dell’Inter di Conte. E se dovesse davvero prendere spunto dalla parabola della sua squadra del cuore, chissà che le Rosse, dopo anni complicati, non tornino a essere vincenti…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

March 18, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Stipendio Morata | stipendio Alvaro Morata | Contratto Morata Juve

Alla soglia dei trent’anni (che compirà a ottobre 2022), è ancora difficile stabilire davvero che calciatore sia Alvaro Morata. La sua è una carriera da talento inespresso? Oppure lo spagnolo ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità ma comunque ha una fama che è superiore al suo reale valore?

Davvero complicato a dirsi, perché a guardare le squadre con cui ha giocato, impossibile non pensare che sia un attaccante da top team: Real Madrid, Juventus, Chelsea e Atletico Madrid, tutti club che sono stati protagonisti delle ultime annate del calcio mondiale. Anzi, qualcuno se lo è anche ripreso più volte, segnale che nelle sue qualità c’è parecchia fiducia.

Il primo trasferimento di Morata

Il diritto di recompra del Real

Alvaro Morata al Chelsea

Lo stipendio record di Morata all'Atletico

Il ritorno di Morata alla Juve

L’impressione però è che nessuna delle società che ha puntato su di lui abbia avuto abbastanza garanzie tecniche e caratteriali da affidargli in pieno il reparto. Eppure anche i numeri parlano di trasferimenti multimilionari.

Secondo i dati di Transfermarkt, Alvaro Morata in carriera ha movimentato quasi 200 milioni di euro con i suoi spostamenti. Per la precisione 189 milioni, che sono stati versati tra un club e un altro con formule a volte abbastanza particolari. 

Il primo trasferimento di Morata

Il primo trasferimento è quello alla Juventus nel 2014. I bianconeri si innamorano di quel ragazzo dallo scatto bruciante, ma che al Real Madrid, dove guadagna 1 milione di euro a stagione, è un po’ chiuso. I Blancos dal canto loro vorrebbero vederlo sbocciare, ma allo stesso tempo non se la sentono di lasciarlo andare definitivamente.

Dunque, arriva la “recompra”. La Juventus lo acquista per 20 milioni di euro, ma il Real Madrid si riserva la possibilità di riacquistarlo, a una cifra superiore, entro due anni.

Il contratto che il centravanti firma con i bianconeri è da 2,5 milioni di euro fino al 2019 e le sue prestazioni convincono la Signora, considerando che l’iberico è uno dei protagonisti, con una straordinaria sequenza di gol europei per le quote Champions, della squadra che sotto la guida di Allegri arriva a giocarsi la finale contro il Barcellona.

Morata in gol anche contro il Barcellona!

Ma quell’accordo Morata non lo potrà mai portare a termine, perché al termine della stagione 2015/16 il Real bussa alla Continassa.

Il diritto di recompra del Real

Recompra attivata, dunque Morata torna al Real Madrid, per 30 milioni di euro e con un ingaggio da 6 milioni a stagione. In teoria, segnale che la Casa Blanca crede fermamente in lui. In pratica però ci sono…un paio di problemini chiamati Cristiano Ronaldo e Benzema, senza considerare il fatto che la trequarti e l’attacco dei Blancos sono strapieni di altre alternative. Nonostante questo, i numeri sono di nuovo a suo favore.

Con un minutaggio inferiore ai 2000 minuti, Morata porta a casa ben 20 gol stagionali, vincendo la Liga e la Champions League, entrando all’ultimo minuto nella finalissima (ironia della sorte), contro la Juventus. Non abbastanza per prendersi il posto da titolare, ma di certo per farsi notare dalle altre big. Ed ecco che sulle sue tracce arriva il Chelsea.

Alvaro Morata al Chelsea

I Blues, guidati da Antonio Conte, arrivano a Madrid con due offerte davvero irrinunciabili. Il cartellino di Morata viene valutato ben 66 milioni di euro e anche l’ingaggio è assolutamente da top player: lo spagnolo a Stamford Bridge guadagna 9 milioni di euro a stagione.

L’avventura in Premier League si rivela però assai deludente. Nella prima stagione arrivano pochi gol e tante critiche, che lo stesso calciatore rivelerà lo hanno costretto a cercare aiuto nella psicoterapia. Con l’addio di Conte e l’arrivo di Sarri va anche peggio, al punto che nel mercato di gennaio del 2019 c’è l’ennesimo trasferimento a suon di milioni, quello all’Atletico Madrid.

Lo stipendio record di Morata all'Atletico

I Colchoneros hanno bisogno di qualcuno che dia il cambio a un Diego Costa in evidente calo e Simeone opta proprio per Morata. La formula del trasferimento dello spagnolo è abbastanza particolare: l’Atletico Madrid lo prende in prestito per 18 mesi per 18 milioni di euro, una cifra spropositata per un trasferimento temporaneo, il cui obiettivo è trasformare il diritto di riscatto in…obbligo mascherato.

Morata contro il Liverpool!

Anche lo stipendio del centravanti è di quelli importanti, 10,5 milioni di euro a stagione. Le prestazioni con la maglia della squadra spagnola sono buone, soprattutto quelle nella seconda stagione, quando complice l’addio di Griezmann l’ex Chelsea diventa il principale terminale offensivo del gioco del Cholo.

Di platino il suo gol ai supplementare che, ad Anfield, elimina il Liverpool tra le favorite per le quote vincenti Champions.

E quindi non sorprende poi troppo che al termine del prestito, nel giugno 2020, l’Atletico decida di esercitare il suo diritto di riscatto, versando ai Blues circa 35 milioni di euro, che portano il totale del trasferimento a 53 milioni. Ma non finisce neanche qui…

Il ritorno di Morata alla Juve

A poco più di un mese dal riscatto da parte dell’Atletico, su Morata piomba di nuovo la Juventus. I bianconeri non hanno mai dimenticato le buone prestazioni nei due anni a Torino e per rafforzare l’attacco di Pirlo scelgono proprio lo spagnolo, dopo che l’affare Suarez salta. E visto che il Pistolero va esattamente all’Atletico, c’è la volontà di tutte e tre le parti in causa di far funzionare l’affare.

Con quale formula? Neanche a dirlo, prestito molto oneroso e diritto di riscatto che in pratica diventa obbligo mascherato. Stavolta la cessione temporanea di Morata per una stagione costa addirittura 10 milioni di euro, con diritto di riscatto fissato a 45 milioni, per un totale di 55. La seconda possibilità, quella per cui ha optato la Juventus, è il rinnovo per un’altra stagione del prestito e un diritto di riscatto successivo che scende a 35.

In entrambi i casi, l’Atletico vuole…ripagarsi il centravanti, anche se la Juventus sta cercando di convincere il club a fargli uno sconto a giugno 2022. 

Morata con la maglia delle Furie Rosse!

Lo sconto in compenso lo ha fatto certamente Morata, considerando che pur di tornare a Torino ha deciso di tagliarsi sensibilmente lo stipendio. Lo spagnolo, che a Madrid guadagnava oltre 10 milioni, ha firmato un contratto fino al 2023 con una parte fissa di stipendio da 5 milioni, che con i bonus dovrebbe arrivare a 7,5 milioni.

Considerando che con l’arrivo di Vlahovic l’iberico si è scoperto…un nuovo Mandzukic, con Allegri che lo conosce bene e lo sta trasformando in esterno d’attacco con compiti tattici, i bianconeri sembrano disposti a riscattarlo, sempre auspicando che i Colchoneros diminuiscano un po’ le loro pretese. E se dovesse arrivare il trasferimento definitivo, il totale speso per lui supererebbe ampiamente i 200 milioni di euro. Se non sono cifre da campione, poco ci manca…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

March 16, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il monte ingaggi del West Ham United

Si può essere un club iconico del proprio paese senza aver mai vinto un campionato? Difficile, ma non impossibile, soprattutto se si parla del West Ham. I londinesi in bacheca hanno ben poco, tre FA Cup, una Coppa delle Coppe, un Intertoto, una Charity Shield e due titoli di campione…della seconda serie.

Eppure, quando si parla di calcio di oltremanica, gli Hammers fanno capolino con una certa frequenza. Merito di una serie di campioni che hanno vestito la maglia del club, tra cui Bobby Moore, capitano della nazionale che nel 1966 ha vinto la Coppa del Mondo, Geoffrey Hurst, che in quella finalissima ha segnato addirittura una tripletta, o di giovani che dopo l’esperienza a Londra Est hanno fatto carriere importanti come Rio Ferdinand, Joe Cole o Paul Ince. 

L'era David Moyes come Manager del West Ham

La squadra del West Ham United

I calciatori offensivi degli Hammers

Gli stipendi del West Ham United

Per non parlare dell’ex stadio del West Ham, il leggendario Boleyn Ground, e della sua tifoseria, che è stata a lungo protagonista sugli spalti e fuori dagli stadi.

Il bonus di benvenuto di 888sport!

L'era David Moyes come Manager del West Ham

Per quanto con l’arrivo dei…nuovi ricchi sia ancora più impossibile per il West Ham sognare la vittoria in Premier League, al London Stadium nelle ultime stagioni si sono comunque viste squadre in grado di infastidire non poco le big e di portare i tifosi degli Hammers a vivere quelle nottate europee che qualche decennio fa erano decisamente più frequenti.

Buona parte del merito è di David Moyes, che dopo i flop con Manchester United, Real Sociedad e Sunderland sembra aver ritrovato a Londra, almeno nella campagna europea 2023, il tocco magico che aveva ai tempi dell’Everton. Il tecnico alterna un classico 4-2-3-1 a soluzioni più difensive come il 3-4-2-1 a seconda di chi deve affrontare. 

David Moyes con Mou e le bolle del West Ham!

E il fatto che ultimamente abbia saputo battere, da sfavoriti per scommesse calcio, il Manchester United e che abbia fermato l’Arsenal la dice lunga sulla bontà tattica degli Hammers che possono essere un incubo per chiunque.

La squadra del West Ham United

In porta c’è un’alternanza tra il senatore Lukasz Fabianski e il più giovane Alphonse Areola. Il polacco, 38 anni, è stato l’estremo difensore di campionato, mentre per tutte le altre competizioni (Europa League e coppe nazionali) il prescelto è stato il trentenne transalpino, che è ormai da due anni al West Ham e dopo due stagioni in prestito è stato riscattato nel mercato del West Ham e rappresenterà il futuro a lungo termine della porta.

Un salvataggio di Fabianski!

In difesa ci sono stati parecchi cambiamenti nel corso degli ultimi mesi. Il pacchetto dei centrali è guidato da Thilo Kehrer, indipendentemente dallo schieramento. Il centrale tedesco è arrivato dal PSG e ha subito trovato la sua dimensione a Londra. Il suo compagno di reparto non è fisso, ma dipende dalle scelte del tecnico.

Tra i calciatori a disposizione ci sono l’azzurro Angelo Ogbonna, il francese Kurt Zouma e il marocchino Nayef Aguerd, a cui si aggiunge anche l’ormai trentatreenne Craig Dawson. Sulla fascia destra il titolare è il ceco Vladimir Coufal, con a sostituirlo il prodotto delle giovanili Ben Johnson.

A sinistra invece è spesso staffetta tra un altro senatore come l’inglese Aaron Cresswell ed Emerson Palmieri, acquistato dal Chelsea in questa stagione.

Per i due centrali di centrocampo, non ci sono alternative. E non perché Moyes non ne abbia, ma perché il tecnico scozzese non rinuncia praticamente mai ai suoi due fedelissimi, Declan Rice e Tomas Soucek. L’inglese, che ha giocato da titolare anche la finale di Euro 2020 con la squadra di Southgate, è stato accolto giovanissimo dal West Ham dopo essere stato rilasciato dal Chelsea e attualmente è il calciatore più celebre e apprezzato dalla squadra.

Emerson con la maglia del West Ham

I calciatori offensivi degli Hammers

A proposito della trequarti, in avanti c’è tanta qualità nella rosa di Moyes, con calciatori che possono giocare in tutti e quattro i ruoli del 4-2-3-1. Il fulcro è il brasiliano Paquetà, arrivato in questa stagione dal Lione. L’ex milanista è diventato il punto di riferimento centrale della squadra londinese.

Il che ha costretto a spostarsi altrove lo spagnolo Pablo Fornals, che per sua fortuna occupa con la stessa destrezza la trequarti centrale e quella sinistra, ma anche a spedire in panchina l’argentino Manuel Lanzini, ormai in rosa da quasi otto anni, che sembra essersi ripreso benissimo dopo un gravissimo infortunio che lo ha tenuto fermo oltre un anno.

L’altro vero titolare fisso è l’inglese Jarrod Bowen, signore e padrone della fascia destra degli Hammers, che con l’algerino Saïd Benrahma fa parte di quelli che, in un ruolo o nell’altro, un posto lo trovano sempre.

Strano a dirsi, ma al centro dell’attacco, nonostante la spesa del club per portarlo al London Stadium, non c’è Gianluca Scamacca.

Il centravanti azzurro sperava di superare la maledizione degli attaccanti degli Hammers (è il cinquantunesimo dal 2010), ma anche di replicare il successo di Paolo Di Canio, vera e propria leggenda da quelle parti.

Ma dopo un buon inizio, il centravanti ex Sassuolo ha perso il posto, lasciandolo al giamaicano Michail Antonio, che da esterno sinistro (anche di difesa!) ai tempi del Nottingham Forest si è trasformato in puntero implacabile.

Al centro dell’attacco, vista la spesa del club per portarlo al London Stadium, non può che esserci Gianluca Scamacca. Il centravanti azzurro spera di superare la maledizione degli attaccanti degli Hammers (è il cinquantunesimo dal 2010), ma anche di replicare il successo di Paolo Di Canio, vera e proprio leggenda da quelle parti.

Antonio del West Ham!

Gli stipendi del West Ham United

Per quanto riguarda gli stipendi, che Kurt Zouma sia il più pagato della rosa lo si è scoperto…quasi per caso. Il francese è stato multato per 250mila sterline, due settimane di stipendio, dopo il caos seguito al video social in cui maltrattava il suo gatto.

Dunque, facendosi dei calcoli, i compagni hanno capito che il transalpino guadagna 6,5 milioni di sterline all’anno. Accanto a lui alle stesse cifre ci sono Paquetà e Areola, mentre seguono a cifre più basse, nuovi arrivi come Emerson e Kehrer ma anche protagonisti consolidati come Bowen, Fornals e Lanzini, i cui stipendi si aggirano sui 4 milioni di sterline. Stesse cifre per Scamacca, che con il suo contratto fino al 2027 di fatto ha quadruplicato l’ingaggio annuale che percepiva al Sassuolo dopo l’ultimo rinnovo.

Quattro milioni a stagione è più o meno è anche quanto guadagna Rice, la stella della squadra, che nel 2017 ha fatto un vero e proprio atto d’amore nei confronti del club: ha firmato un contratto da sette anni, scadenza 2024, con addirittura un’opzione per il club di allungarlo fino al 2025.

Certo, magari ci sarà modo di ritoccare anche gli emolumenti, perché va bene la fedeltà, ma quando si ha sotto contratto un calciatore dal valore di 80 milioni di euro, sempre meglio evitare di farlo sentire trascurato…

Rice!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 16 marzo 2022

 
June 4, 2023
Body

Francesco vive di sport, di storia e di storie di sport. Dai Giochi Olimpici antichi a quelli moderni, dalle corse dei carri a Bisanzio all'Olanda di Cruijff, se c'è competizione o si tiene un punteggio, lui si appassiona sempre e spesso e volentieri ne scrive.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off