Sorin, l'eterno argentino sempre in movimento

Li chiamano “eroi dei Due Mondi” e non è difficile capire perché. I calciatori che hanno ripercorso metaforicamente… le orme di Garibaldi in carriera e sono riusciti a vincere sia la Champions League che la Copa Libertadores sono davvero pochi e nella lista non c’è neanche un europeo. Ognuno ha la sua storia in questo elenco di girovaghi e vincenti.

C’è chi ha cominciato dal Sudamerica, per poi trionfare in Europa come Tevez e Neymar e chi invece prima si impone nel Vecchio Continente e poi, a fine carriera, torna a casa per assaporare una vittoria casalinga, come Ronaldinho o Rafinha. Per la maggior parte si parla di stelle, di grandi protagonisti del calcio mondiale. E poi…c’è Juan Pablo Sorin.

Se ci fosse una sorta di Premio Garibaldi ad honorem, l’argentino se lo meriterebbe tutto. Se non altro perché è l’unico che sia stato in grado di fare la doppietta addirittura nello stesso anno. Nella stagione 1995/96 è nella rosa della Juventus che si aggiudica la Champions League nella finalissima di Roma contro l’Ajax. Ma neanche un mese dopo Sorin è di nuovo in patria, a difendere i colori del River Plate nel doppio match contro l’America de Cali, deciso da una doppietta di “Valdanito” Crespo nella finale di ritorno, sempre ottima opzione di marcatore per le scommesse calcio 

Il tutto ad appena vent’anni. Ce ne sarebbe abbastanza per prevedere una carriera leggendaria, ma paradossalmente queste saranno tra le poche soddisfazioni di una storia certamente particolare.

Un anno da ricordare

Che comincia un anno prima di quel clamoroso 1996. Al Mondiale Under-20 che si disputa in Qatar si mettono in luce diversi giocatori. La Spagna schiera un certo Raul, assieme a Joseba Exteberria, che si aggiudica la scarpa d’oro del torneo con 7 reti, e al “Piccolo Buddha” De la Peña. Il Portogallo risponde con Nuno Gomes, l’Australia con il colosso Viduka e il Brasile con Caio, che arriverà in Italia con Inter e Napoli ma sarà un flop clamoroso.

La competizione però la vince l’Argentina e il capitano dell’Albiceleste è proprio Sorin. A consigliarlo alla Juventus è un vecchio amico, “Cabezon” Sivori. E quando il Pallone d’Oro 1961 fa il nome del terzino, la dirigenza bianconera si attiva e lo porta a Torino, pagando un miliardo e mezzo di lire all’Argentinos Juniors, il club che ha lanciato anche Dio Diego.

I buoni auspici però durano poco, nel vero senso della parola. Sorin fatica parecchio a mettersi in luce nella squadra piena di stelle (nella rosa e… sulla celebre seconda maglia tendente al blue) agli ordini di Marcello Lippi. Per l’argentino solo quattro partite in bianconero, abbastanza per fregiarsi del titolo di campione d’Europa, ma non per decidere di continuare nel Vecchio Continente.

Meglio tornare in patria, al River, dove c’è l’ex Inter Ramon Diaz. Con “El Pelado” in panchina, i Millonarios volano e finalmente Sorin può sentirsi davvero protagonista. Oltre alla Libertadores arrivano anche la Supercoppa Sudamericana, tre tornei di Apertura e uno di Clausura. Gli sfugge solo la Coppa Intercontinentale, che però è un bel dejà-vu: a Tokyo, nel match deciso dal gol di Alex Del Piero, il terzino di spinta incontra proprio quelli che fino a qualche mese prima erano i suoi compagni.

Poi, nel 1999, arriva un’altra scelta di vita: cercare di vincere in Brasile. Non proprio il posto più accogliente del mondo per un argentino, ma Sorin ha la pelle dura e riesce ad imporsi. Con la maglia del Cruzeiro vince una coppa del Brasile e per due anni consecutivi viene inserito nella migliore squadra del Sudamerica. 

Nella Lazio del Mancio

È tempo di riprovarci in Europa, ma anche stavolta non andrà benissimo. Sulla strada di Sorin c’è di nuovo l’Italia, con la maglia della Lazio nella stagione 2002/03. Ma il destino ha deciso che le avventure tricolori dell'esterno non debbano mai andare in maniera… normale. La società biancoceleste ha problemi finanziari e non riesce a pagare la prima rata del trasferimento, che si trasforma in prestito.

Anche in campo le cose non vanno meglio, visto che il calciatore non riesce a trovare spazio con Mancini ed il protagonista in negativo in una clamorosa sconfitta casalinga contro il Chievo. Gioca e bene contro la Stella Rossa in un complicato secondo turno per le quote Europa League

Alla fine, dopo sei mesi, Sorin torna in Brasile. Per lui però non sono finiti i trasferimenti. Il Cruzeiro lo presta prima al Barcellona e poi al Paris Saint-Germain, ma nessuno (anche causa infortuni) decide di puntare sull’argentino in maniera definitiva prima del Villareal. Lo compra poi l’Amburgo nel 2006, ma anche in Bundesliga lo si vede in campo di rado. Il ritorno nel 2008 al Cruzeiro è solo l’anteprima del ritiro, arrivato nel 2009.

Titolare nell'Albiceleste

Insomma, una storia strana quella di Sorin, soprattutto se si guarda l’altro lato della medaglia: la nazionale. Escluso il 1998, il terzino è sempre molto considerato da parte dei tecnici dell’Albiceleste, al punto che il suo esordio arriva nel febbraio 1995 a neanche 19 anni. Anzi, dal 1999 al 2006 Sorin è l’esterno titolare dell’Argentina, disputando due mondiali. Nel 2006 Pekerman gli affida addirittura la fascia da capitano, indossata in tutte e quattro le partite disputate in quel torneo.

Il match in cui l’Albiceleste viene eliminata dalla Germania padrona di casa ai calci di rigore è anche l’ultimo in nazionale per il terzino: per lui ben 75 presenze e 11 reti, segnale che in patria (e più in generale in Sudamerica) è sempre stato molto considerato. A differenza di quanto accaduto in Europa, conquistata da comprimario quando era giovanissimo e poi sempre accarezzata ma mai davvero amata.

*L'immagine di apertura è di Javier Barbancho (AP Photo).

December 12, 2020
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Quando l’arbitro è tifoso

Dalla direzione della finale di Champions League alle polemiche tutte italiane sulla sua fede calcistica. È la parabola di Daniele Orsato, arbitro internazionale originario di Schio, nel Vicentino, finito nel mirino dopo aver manifestato pubblicamente, nel corso di una trasmissione in una tv locale, la sua fede calcistica per il Vicenza. «La seguo esasperatamente», ha detto riferendosi alla squadra biancorossa che attualmente milita in serie B. Apriti cielo! Il «crucifice» mediatico è partito subito, si è gonfiato sui social finendo per riempire anche pagine di giornali e siti web.

Il Collina Laziale

Ma quella sul tifo calcistico dei fischietti è una polemica che periodicamente riaffiora nel dibattito “da bar” italiano. Polemica retroattiva nel caso di Pierluigi Collina. Il pluripremiato arbitro bolognese, oggi presidente della Commissione Arbitri della Fifa, ha passato una vita a calcare campi da calcio italiani e internazionali senza mai far filtrare quale fosse la sua squadra del cuore. Soltanto dopo aver appeso il fischietto al chiodo, Collina si è esposto tra Gazzetta e SKY: «Ho tifato per la Lazio».

L’ex arbitro ha dunque aggiunto che quando era piccolo seguiva il Bologna e la Fortitudo nel basket, ma poi si è avvicinato ai biancocelesti per la sua passione per le aquile e per Pino Wilson, capitano laziale negli anni 70. «Eppure la Lazio non ha vinto nelle prime dieci volte che l'ho diretta...», ha aggiunto Collina. Il quale però arbitrava quella discussa gara Perugia-Juventus del 14 maggio 2000, facendola disputare sotto un inopinato diluvio malgrado le perplessità dei calciatori bianconeri. Il risultato finale premiò gli umbri, ma soprattutto condannò la Juventus a perdere lo scudetto a vantaggio proprio della Lazio.

Tradizione negativa

Se le prime dieci partite della Lazio dirette da Collina sono state dieci sconfitte, per i biancocelesti non è tanto migliore la statistica relativa ai derby capitolini arbitrati da Paolo Tagliavento. Tre vittorie romaniste su quattro, condite da contestazioni da parte dei laziali per alcuni episodi ritenuti sfavorevoli. Dall’insofferenza laziale, cucinata e corroborata dalle radio locali, nacque la diceria che Tagliavento fosse tifoso romanista. L’arbitro, oggi vice-presidente della Ternana, taglia corto: «È una leggenda».

L’ex giacchetta nera attribuisce ai numeri dei derby romani l’ostilità dei laziali. «Io ho avuto la fortuna e il piacere di arbitrare 4 derby di Roma, che ritengo la sfida più bella del campionato italiano, e in questi 4 derby la Roma ha vinto tre volte - dice a Radio Cusano Campus -. Quindi per una questione di statistica sono diventato quello che fa vincere i derby alla Roma».

Vetriolo laziale anche contro un altro arbitro, il triestino Piero Giacomelli, al Var durante un contestatissimo Lazio-Torino del dicembre 2017. Alcune immagini postate dal fischietto giuliano sui social in cui inneggia alla Roma e soprattutto a Francesco Totti sarebbero state la prova, secondo alcuni laziali, della sua malafede verso le maglie biancocelesti.

Il caso De Santis

Al contrario, qualcuno provò a spiegare presunti arbitraggi in favore della Juventus di Daniele De Santis con la sua passione per i bianconeri. Sempre nel 2000, arbitro di uno Juventus-Parma alla penultima giornata, annullò la rete del pareggio a Cannavaro, allora ai ducali, che avrebbe consentito alla Lazio di raggiungere in classifica la Vecchia Signora a una giornata dal termine. Poi com’è finita quella stagione l’abbiamo affrontato sopra.

Anni dopo è lo stesso De Santis che, intervenendo a Radio Incontro Olympia, mette fine alle chiacchiere sulla sua fede calcistica. «Non sono mai stato tifoso della Juve. In quella gara feci più danni che favori». L’arbitro di Tivoli ammette comunque che annullare il gol del pari a Cannavaro che fermò le scommesse calcio live  fu un suo errore. Come lo è stato quello di considerarlo tifoso juventino. Altro che, De Santis sarebbe tifoso proprio dei rivali dell’Inter...

Le rivelazioni di un ex arbitro

Ma è legittimo per un arbitro avere una squadra preferita? «Prima di essere arbitri siamo uomini», così un ex arbitro professionista contattato da 888sport commenta la rediviva polemica. «Ogni arbitro ha avuto un passato da tifoso, come tutti i bambini», aggiunge. L’ex arbitro conosce Orsato, con cui ha anche arbitrato alcune gare. «È un professionista talmente ligio al dovere - dice - per cui queste polemiche lasciano il tempo che trovano».

Esternare la propria fede quando si è in attività potrebbe però essere motivo di imbarazzo. «Non è opportuno», dice, «ma solo perché in Italia vige il politicamente corretto, dunque non si può affermare il proprio pensiero altrimenti si innesca la dietrologia».

Del resto, osserva, «noi arbitri non siamo condizionati dalla fede calcistica, perché quando entriamo in campo dobbiamo fare il tifo soltanto per noi stessi». Un’eccezione alla regola giunge dall’Inghilterra, dove l’arbitro Mike Dean si è fatto immortalare esultante dopo un gol della sua squadra, il Tottenham, proprio mentre il direttore dell’incontro era lui. Una fede un po’ troppo esuberante.

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci; l'immagine di apertura è di Rui Vieira (AP Photo).

December 12, 2020
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Le regole del ranking UEFA

Da quando esistono le coppe europee, una domanda causa un dibattito senza fine nei tifosi tricolori: si tifano le italiane in Europa? C’è chi sostiene di no, spiegando che la rivalità travalica anche i confini nazionali e che quindi una sconfitta di una squadra avversaria nelle coppe è comunque una cosa positiva. E poi c’è l’altra campana, quelli che sostengono che il successo di un’italiana in Europa è fondamentale per lo sviluppo e per la reputazione del nostro calcio, al grido di “pensiamo al ranking”.

Ma che cos’è questo ranking? Anzi, cosa sono, visto che ce n’è più di uno? Il ranking è un sistema per classificare le squadre a seconda delle loro prestazioni. Quello più celebre è certamente il ranking UEFA, che si divide in ranking per club e per paese.

Il ranking UEFA per club

Quello per club è necessario per stabilire le teste di serie nei sorteggi delle coppe europee e valuta i risultati ottenuti dalla squadra in questione nelle ultime cinque stagioni in Europa. Si ottengono punti per vittorie e pareggi, oltre che per il raggiungimento della fase a gironi, di quella ad eliminazione diretta e dei turni conclusivi.

L’esempio migliore sarebbe il percorso netto del Bayern Monaco nella edizione di Champions 2020, se non fosse che la peculiarità della stagione, con i quarti ridotti a una sola partita causa, potrebbe creare confusione.

Dunque, meglio analizzare la Champions League del Liverpool campione nella stagione 2018/19. Per i Reds 17 punti dai risultati (8 vittorie, che valgono 2 punti, e un pareggio), 4 per aver raggiunto la fase a gironi, 5 per essere arrivati a quella a eliminazione diretta, più altri 3 per aver disputato quarti, semifinale e finale. Totale, 29 punti. E strano a dirsi, ma in quella stagione ha fatto meglio il Barcellona, che si è fermato in semifinale, ma avendo perso meno partite ne ha racimolati 30.  Per l’Europa League il sistema di punteggio è simile, ma con valori leggermente inferiori.

Vietato saltare una stagione europea

Anno dopo anno, il coefficiente stagionale subentra al posto del più vecchio cronologicamente, il che spiega l’importanza di una partecipazione costante alle coppe. Bastano due o tre stagioni in cui non si ottengono punti per crollare inesorabilmente nel ranking, ritrovandosi fuori dalle teste di serie delle competizioni internazionali.

L’esempio migliore è quello dell’Inter, che nelle ultime tre stagioni ha raggiunto "solo" la finale di Europa League, senza mai passare il girone di Champions e paga ancora gli anni precedenti in cui ha ottenuto solo 4 punti in due stagioni.

Allo stesso modo squadre che riescono a fare abbastanza bene anno dopo anno come lo Shakhtar che si ritrova molto, molto vicino a società più blasonate come il Chelsea o il Borussia Dortmund. E non è un caso che per qualche anno in vetta ci sia sempre stato il Real Madrid, oggi quarto, capace di aggiudicarsi tre Champions League consecutive guadagnando 33, 33 e 32 punti. Ora però i Blancos sono inesorabilmente in calo, considerando che quei risultati sono destinati a sparire e che nelle due ultime edizioni di Champions sono arrivati “appena” 19 e 17 punti ed il Bayern, favorita per le quote Champions League è in testa per distacco sul Barcellona!

Il ranking per campionati

Dai singoli ranking di squadra si stilano i coefficienti per campionato nazionale. Ed è qui che è importante che le squadre tricolori facciano bene, perché il successo di una significa vantaggi per tutte. Anche in questo caso il calcolo è quinquennale e quello stagionale si effettua sommando i risultati di tutti i club di una determinata nazione nelle coppe e dividendo per il numero di squadre. Logico quindi che una eliminazione precoce di una rappresentante sia in grado di far crollare il coefficiente nazionale.

A cosa serve il ranking per campionati? A stabilire quante squadra ha una determinata federazione nelle coppe. Il sistema attuale prevede che le prime quattro federazioni in classifica abbiano quattro squadre in Champions League e tre in Europa League. Con l’arrivo dell’Europa Conference League però le attribuzioni dei posti nelle singole competizioni cambieranno, garantendo alle nazioni con un coefficiente più basso più posti nell’ultima arrivata tra le coppe.

L’Italia è attualmente terza, avendo superato la Germania nonostante la vittoria del Bayern in Champions, beneficiando del superamento del ranking 2015/16, stagione in cui le nostre squadre non avevano certo brillato in Europa.

Le coppe europee 2020

Per quello che riguarda la stagione europea 2020, l’Italia ha portato a casa 14,928 punti grazie a Juventus, attuale terza assoluta nel ranking, Napoli, Atalanta, Inter, Roma, Lazio e Torino. Pesa l’eliminazione dei granata agli spareggi di Europa League, ma le buone prestazioni della Dea e della squadra di Conte in EL hanno riequilibrato seppur parzialmente il coefficiente.

Nulla a che vedere però con i tedeschi, che tra Bayern campione d’Europa, Lipsia semifinalista in Champions e Bayer Leverkusen ai quarti di Europa League hanno ottenuto 18,928 punti. Bene anche l’Inghilterra, che anche senza avere una finalista in nessuna competizione porta a casa 18,571 punti grazie al fatto che tutte e sette le squadre di Sua Maestà si sono qualificate per le fasi ad eliminazione diretta dei tornei a cui hanno preso parte.

Ranking FIFA

C’è poi da aggiungere una necessaria parentesi legata alle nazionali. Il ranking FIFA serve a stabilire in maniera pressoché oggettiva i valori delle varie selezioni. Il calcolo è abbastanza cervellotico e ogni match ha un suo valore, determinato dalla competizione in cui si svolge, dal risultato ottenuto, da quello atteso secondo i punteggi precedenti al match e così via. Al primo posto c’è attualmente il Belgio, che con una serie di ottimi risultati ha superato la Francia, campione del mondo nonostante non abbia ancora vinto un trofeo internazionale.

Ma per quanto possa sembrare poco logico, anche il ranking FIFA ha la sua importanza: stabilisce le teste di serie nella composizione delle qualificazioni ai mondiali. Ecco perché le buone prestazioni dell’Italia di Mancini, decimi in graduatoria, sono state così importanti, avendo dato agli azzurri la possibilità di essere sorteggiati nel gruppo C, tutto sommato abbordabile in vista di Qatar 2022.

Il che spiega perché anche le amichevoli non sono da sottovalutare. Conteranno poco, ma fanno sempre brodo. E anche in quel caso…pensiamo al ranking!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Joan Monfort (AP Photo).

December 12, 2020
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Spazio ai baby fenomeni: il percorso di Russell e Schumy jr!

Il penultimo appuntamento di un sonnacchioso e poco appassionante mondiale 2020 ancora una volta stradominato da Hamilton ci ha regalato una gioia; il britannico, costretto allo stop, cede il suo sedile al giovane e sconosciuto Russell. Tutti si aspettano un noioso tardo pomeriggio passato a digerire sul divano, ma già dalla partenza si è capito che non sarà un GP come gli altri.

Alla  prima curva del GP del Bahrain Leclerc, la nuova speranza Ferrari, manda fuori pista Verstappen, altro enfant prodige dei circuiti, e in testa alla gara balza lui... George Russell. In questo preciso momento gli appisolati appassionati di F1 hanno iniziato ad inquadra meglio la TV, non pensare al derby di Nord Londra e sgranare gli occhi. 

Solo un errore ai box della Mercedes ha tolto al giovane pilota britannico quella che sarebbe stata una clamorosa vittoria. Dopo quasi un decennio di totale, autoritario dominio di Lewis Hamilton un fulmine potente e roboante si è abbattuto sul circus della F1, e come dicono gli AC/DC i muri hanno iniziato a vibrare e la Terra a tremare!

A fine gara il mitico team principal della Mercedes Toto Wolff, navigatissimo lupo di mare nelle acque della F1, ha sentenziato: è nata una stella. E se lo dice Toto bisogna scommetterci sopra forte e chiaro per i prossimi anni.
 

Schumy jr

L'exploit di George Russell è stato una bomba, un fulmine a ciel sereno. In realtà nel mondo F1 tutti stavano contando i giorni all'ingresso trionfale di Schumy Junior. Doveva essere lui la nuova stella, The Next Big Thing del Circus, il prescelto che dovrà far dimenticare il dolore per la triste vicenda del padre. Jean Todt, grande amico del papà, e la Ferrari gli stavano spianando la strada.

Tutti capiscono benissimo l'impatto emotivo e commerciale che avrà per tutto il movimento ovviamente, ma la verità è che il ragazzo sembra davvero avere le stimmate del campione, come il papà.

Non poteva essere altrimenti per uno che nei paddock ci è praticamente nato. Mick sta ricalcando in maniera impressionante le orme e la carriera del grande Michael. Tutti e due hanno iniziato la carriera da piccolissimi nei kart, Mick Jr per non subire troppe pressioni corre addirittura sotto lo pseudonimo di "Mick Betsch", usando il cognome da nubile di sua madre.

Da adolescente entra in orbita Ferrari col Team Prema scalando tutte le serie dalla Formula 4, dove ottiene un 10° posto e un 3° posto. Dimostra di non essere solo un figlio di papà laureandosi campione sia in Formula 3 che in Formula 2. Nel 2019 entra ufficialmente in Ferrari Driver Academy diventando collaudatore, è ormai pronto a fare il salto.


Per quali Team correranno nel 2021

Nel 2021 Schumy jr avrà 22 anni. La cosa che fa gongolare tutto il mondo delle corse è che farà il suo debutto ufficiale in Formula 1 nel 2021 alla guida della Haas alla stessa identica età che aveva il padre quando il 25 agosto 1991 al volante della Jordan si sedette per esordire in Formula 1. Michael Schumacher Junior, quindi, affiancherà il russo Nikita Mazepin nella scuderia motorizzata Ferrari.

George Russell invece non ha ancora un sedile. Il suo exploit non era atteso così presto. Flavio Briatore ha addirittura ipotizzato che la stessa Mercedes abbia boicottato la sua vittoria perché non... pianificata! Nel 2021 sono confermati Hamilton e Bottas, in teoria quindi per George ci dovrebbe essere solo il sedile di scorta.

Il futuro è di George Russell!

Ma lui ha dimostrato di meritarselo e adesso si pone un problema serio per la Mercedes. E infatti si sta già parlando di un forte interesse della Red Bull per lui: le scommesse F1 sono già aperte!

Come si diventa campioni in F1

Sia Russell che Schumi Junior hanno fatto il classico percorso che porta alla agognata meta di ottenere una monoposto in F1. Una salita molto impervia, perché si entra a far parte di una microscopica elitè. Solo 20 persone ogni anno in tutto il mondo arrivano a sedersi su quei seggiolini. Una competizione pazzesca e senza scrupoli che nemmeno per diventare... astronauti!

Si parte dal tanto talento e dalla gavetta nelle serie minori, ma fin qui è relativamente facile. Servono soldi, tanti soldi. Le famiglie devono investire cifre enormi e chi non li ha deve avere la fortuna di trovare qualcuno che glieli presti. Schumacher padre fu aiutato da un facoltoso imprenditore tedesco, Raikkonen da uno zio, a Lance Stroll il padre gli ha praticamente comprato il sedile della Williams.

 

Anche la geografia serve. La McLaren pesca molto in Finlandia, la BMW ama i piloti tedeschi, Honda e Toyota preferivano sempre i giapponesi. Le nazioni dei piloti sono sempre le stesse perché conta moltissimo il background dove si nasce. 

Come lavorano le Accademie

Come in altri sport per la Formula 1 esistono "le Università" dove si studia come diventare campioni. Quasi tutti i Team oggi hanno la propria Accademia che fa crescere i propri futuri talenti.

Negli anni 60-70 quando la F1 era più artigianale, grandi scout giravano il mondo alla ricerca dei migliori talenti. Giancarlo Minardi e Peter Sauber erano i maestri in questo. Negli anni 70-80 si è passato ad assorbire i piccoli team e farli diventare Team satelliti delle grandi scuderie. Fino agli anni '90 dove i grandi Team hanno deciso di creare dei programmi di reclutamento gestiti direttamente da loro. Ha iniziato la McLaren creandosi in casa talenti come Button, Coulthard e lo stesso Hamilton.

La Red Bull ha copiato questa impostazione e l'ha, addirittura, perfezionata con i suoi grandi capitali e le sue capacità imprenditoriali poi sfruttate anche nel calcio. Hanno messo in piedi la loro scuderia B che era la Toro Rosso dove far esordire i nuovi talenti come Seba Vettel.

La Ferrari solo dal 2009 ha impostato il suo programma giovanile, la Ferrari Driver Academy capitanata da Luca Baldisserri, che ha sfornato campioni come Perez, Jules Bianchi fino ad arrivare a Charles Leclerc e al nostro Schumy Jr, che speriamo possa ricalcare le gesta del grandissimo padre.

*Il testo dell'articolo è di Jacopo Manni; le immagini, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Jens Meyer e Luca Bruno.

December 12, 2020
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Quel dribbling ubriacante con la numero 8, elogio al Profeta Hernanes 

Sulla mistica dei brasiliani nel calcio si potrebbero scrivere dei volumi di un’enciclopedia che lo spazio dell’anti-biblioteca di Umberto Eco non basterebbe nemmeno per conservarli tutti. 
Facile perdersi nei nomi altisonanti: Socrates, Pelè, Zico, Garrincha, Ronaldinho, Kaka o Adriano “l’Imperatore” per restare più attuali.

Nomi affascinanti ma che nel tempo hanno oscurato storie e personaggi verdeoro meno mainstream ma non per questo meno affascinanti. È attraente e allo stesso tempo cupo, indagare sui percorsi fatti da alcuni brasiliani nel passaggio dal Brasile al continente europeo e approfondirne la curva di involuzione alla quale pare siano per forza tutti condannati. Ci è cascato pure il meno brasiliano di tutti fuori dal campo, ovvero Kaka. 

Un acquisto di spessore

Un altro volto noto al nostro campionato è stato l’ex Lazio, Inter e Juventus Hernanes, a Roma e dintorni meglio se chiamato “Er Profeta”. Tra quelli meno rumorosi Hernanes è forse il talento migliore che abbiamo smarrito per strada, così lentamente che abbiamo anche faticato ad accorgercene. Hernanes nel 2010 diventa uno di quei soliti colpi alla Lotito e compagnia cantante, quelli che dopo un paio di partite si intuisce già che il presidente e il suo staff hanno di nuovo fatto un colpo pazzesco.

È un centrocampista dal passo compassato, cosa che suona quasi da ossimoro all’altrettanto dinamismo di cui Hernanes è dotato, e manco a dirlo, date le sue origini, i piedi sono vellutati. Quello che in pochi ricordano è che il nuovo numero 8 della Lazio all’epoca portava con sé un carico di aspettative pazzesche: nella pagine sportive del quotidiano britannico Times nel 2009 era stato eletto il miglior under-23 al mondo

Provate a immaginare uno così che ad ogni intervista cita un passo della Bibbia (da lì il soprannome Profeta) che arriva in una piazza bollente come Roma. Eppure, Hernanes regge la pressione e incanta. Nel giro di un paio di anni diventa leader tecnico e carismatico della Lazio, squadra con la quale raggiungerà l’apice della carriera, vincerà una Coppa Italia, si meriterà le convocazioni della Seleção e l’interesse, tramutato poi in acquisto, dell’Inter di Thohir che scelse lui come primo colpo della nuova gestione per provare a scalfire il predominio della Juventus.

L’addio è straziante. Un video di lazionews.eu immortala Hernanes in macchina che esce dal centro sportivo di Formello e alcuni tifosi che in lacrime gli chiedono di cambiare idea (“A profè non te ne annà” è storia iconica). Il brasiliano attiva i neuroni a specchio e risponde con altrettanto pianto che si tramuta nel dono dei suoi scarpini al tifoso che quasi prova a trattenerlo allungando un braccio. 


A quel punto la parabola di Hernanes, per restare in tema ecclesiastico, sembra chiara: a 29 anni appena compiuti ha la maturità per diventare uno dei giocatori più forti al mondo. 
Ecco, è proprio qui che subentra quella mistica brasiliana che prima o poi risucchierà un calciatore verdeoro venuto in Europa a fare fortune. 

Il periodo all’Inter è davvero il più buio della sua carriera. Un anno in cui (giustamente) si ricorda poco se non proprio il gol contro la sua ex squadra. La stagione è quella 2014-2015, ma forse per il Profeta c’è la luce in fondo al tunnel ed è proprio la chiamata della Juventus. 
Nel club italiano più forte di quel momento ci sono tutte le premesse per essere integrato nei meccanismi di gioco e far bene. Purtroppo, però, la parabola continua ad essere discendente. 

Alla Juventus forse farà anche peggio che con i neroazzurri anche se questa storia ha ancora qualcosa da insegnarci. L’ultimo Hernanes visto in Italia ha fatto sbiadire il ricordo memorabile dei tempi della Lazio e di un talento formidabile. Un talento scatenato solo al 50% delle sue possibilità e che non è potuto diventare quello che doveva. L’ultimo atto va in scena il 23 febbraio 2016 in una notte magica di Champions League e non poteva essere altrimenti. 

Il secondo tempo con il Bayern

La Juventus è in svantaggio in casa contro il Bayern dopo i primi 45 minuti ma non è l’unica notizia che crea sconforto, infatti al rientro in campo Marchisio non risulta tra gli 11 per un infortunio, al suo posto Allegri fa una scelta che risulta in quel momento controintuitiva: entra al posto del Principino il Profeta. Succede l’improbabile. I tedeschi raddoppiano, la Juve va all'attacco e riesce incredibilmente a recuperare nel giro di 10 minuti per le scommesse live, ma la vera notizia è che in quei secondi 45 minuti Hernanes risulta il migliore in campo sconvolgendo tutti.

Hernanes contro il Bayern!

Recuperi a centrocampo, dribbling da brasiliano che non ti aspetti, passaggi chiave: Hernanes è tornato profeta, è per distacco il migliore, impossibile da fermare e vederlo saltare l’uomo con una facilità disarmante fa brillare gli occhi dei 40 mila allo Stadium e del pubblico a casa. È attorniato da un’aurea di magia. Purtroppo per lui quella partita sarà l’ultimo atto di brillantezza italo-europea. A Torino resterà un altro anno per poi rimpatriare in Brasile (passando prima per la Cina), dove ritroverà sorriso e gol. 

"Sapevo che il mio momento sarebbe arrivato, anche se è arrivato quando non me lo sarei aspettato". Profetico e biblico anche nelle parole rilasciate dopo quel lampo di luce nella nottata di Champions League, una competizione che accende le stelle, e probabilmente, quella di Hernanes brillava quando noi eravamo distratti ad ammirare la luna. 

Oggi Hernanes si diletta con il suo brand di vini Ca’ del Profeta (passione quella dei vini scoppiata proprio a Torino), ha un ottimo ricordo dell’Italia e della Cina e resterà sempre uno dei più grandi rimpianti della Serie A. Il suo dribbling ubriacante quando indossava la maglia numero 8 resterà una delle cose più belle viste nell’ultimo decennio in Italia, parola di chi di numeri 8 se ne intende. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer; l'immagine è di Massimo Pinca (AP Photo).

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Stipendio Mbappè | Costo trasferimento Mbappè | Il calciatore più caro

Ventidue anni ancora da compiere e un valore di mercato stimato da Transfermarkt di 180 milioni di euro, 52 in più dei secondi della lista, Sterling e il suo compagno di club Neymar, che detiene ancora il record di calciatore più costoso del mondo con i 222 milioni pagati per lui dal Paris Saint-Germain.

Mbappè l'erede di Messi e CR7

Il primo contratto di Mbappè

Il trasferimento record di Mbappe al PSG

I contratti di sponsorizzazioni di Mbappé

Ma chissà quanti ne dovrà sborsare chi vorrà portare via dalla Ville Lumiere Kylian Mbappè. Il transalpino, del Parco dei Principi, è…il re. E non solo di quello, come conferma un palmares troppo assurdo per appartenere a un ragazzo di poco più di vent’anni. Quattro campionati francesi, uno dei quali strappato con il Monaco proprio al PSG, due coppe di Francia, due coppe di Lega, due Supercoppe francesi. 

 
All'anno €34,343,300 £29,400,337
Al mese €2,861,941 £2,450,027
Per ciascuna settimana €660,448 £565,391
Al giorno €94,091 £80,548
All'ora €3,920 £3,355
Al minuto €65 £55
Dal momento in cui hai iniziato a leggere questo contenuto, Kylian Mbappe ha incassato
 

 

Con la nazionale… appena un europeo under-19 e soprattutto un mondiale da protagonista. Poi, tanto per non farsi mancare nulla, anche qualche trofeo personale: il Golden Boy 2017, il trofeo Kopa del 2018, il quarto posto al Pallone d’Oro dello stesso anno e due titoli di capocannoniere della Ligue 1.

L'erede di CR7 e Messi

Se il mondo del calcio cerca un erede di Messi e Cristiano Ronaldo, con tutta probabilità deve guardare a Bondy, dove nel dicembre 1998 è nato Mbappè. Che il ragazzino cresciuto nelle banlieu attorno alla capitale sia un predestinato, lo si capisce da subito. Suo padre è anche il suo allenatore nell’AS Bondy, prima che il giovanissimo Kylian entri a far parte della prestigiosa accademia di Clarefontaine, in cui sbocciano i migliori talenti transalpini.

Mbappè con Messi!

Del suo talento se ne accorgono un po’ tutti. Il Chelsea lo convoca a Londra per un provino, le big del Vecchio Continente fanno a gara per tesserarlo: Real Madrid, Manchester City, Liverpool, Bayern Monaco, tutti lo cercano e tutti lo vogliono, ma alla fine Mbappè opta per il Monaco, convinto dalla bontà delle strutture per le giovanili e dal blasone di un club che ha saputo scoprire e valorizzare autentici fenomeni.

Il fenomeno vero, però, è proprio il ragazzino classe 1998, che comincia a farsi notare ad appena 16 anni. Deve ancora compierne 17 quando fa il suo debutto in Ligue 1, nel dicembre 2015 e non è neanche maggiorenne quando segna il suo primo gol, contro il Troyes, prendendosi anche la soddisfazione di scalzare Thierry Henry dal trono dei marcatori più giovani del club del Principato.

Il primo contratto di Mbappè

Poco sorprendentemente, arriva il primo contratto da professionista, firmato nel marzo 2016. L’accordo prevede la permanenza di Mbappè a Montecarlo fino al 2019 e uno stipendio da poco meno di un milione di euro. In capo a un anno, però, tutto cambia. La stagione 2016/17 è quella della consacrazione di Mbappè, che si prende i riflettori sia in patria che all’estero. Il Monaco riesce in una vera e propria impresa, quella di strappare il campionato al PSG degli sceicchi. Ci mette lo zampino proprio l’attaccante, con 15 reti che risulteranno fondamentali.

Il Giovane Re agli esordi con il Monaco!

E anche la clamorosa cavalcata dei monegaschi in Champions League con l'eliminazione a sorpresa del City agli ottavi per le scommesse calcio, che si interrompe in semifinale contro la Juventus, è griffata Mbappè: 6 gol in 9 partite. Abbastanza per il Monaco per decidere di provare a blindarlo: offerta di prolungamento fino al 2021, a 8 milioni e mezzo di euro a stagione. Ma non basterà.

Il trasferimento al Paris da 145 milioni

Non basta perché nell’estate 2017 il PSG decide di fare le cose in grande. Prima prende Neymar, poi, a poche ore dal termine del mercato, mette a segno un colpo altrettanto clamoroso: Mappe torna nella “sua” Parigi formalmente in prestito con diritto di riscatto, per pagarlo nella stagione successiva e non sforare il Financial Fair Play.

Le cifre non sono pari a quelle di O Ney, ma sono altrettanto esorbitanti: 145 milioni, più 35 in bonus vari. Abbastanza per diventare il secondo calciatore più costoso di tutti i tempi. E lo stipendio? Beh, non può che riflettere questo status. Mbappè non guadagna i 36 milioni di euro all’anno di Neymar, ma arriva tranquillamente a 20 milioni fino al giugno 2022. In pratica, un aumento del 1400% rispetto ai tempi in cui giocava al Louis II.

Conti alla mano, però, finora il suo è stato un acquisto… molto più conveniente rispetto a quello del fantasista cresciuto nel Santos: ha giocato più partite e ha segnato, oltre 100, più gol. E anche in nazionale gli è andata decisamente meglio del compagno di reparto. Il Mondiale 2018, vinto da titolare inamovibile e segnando quattro gol, uno dei quali in finale, lo ha reso una stella planetaria, che ha improvvisamente offuscato quella del verdeoro.

Le sponsorizzazioni

Uno status che si è riflettuto poi… anche nei contratti pubblicitari. Perché Nike ha interrotto la partnership con O Ney? Per i molti casi che lo circondano, ovvio, ma perché in fondo l’azienda del baffo… ha Mbappè. Il francese è uno degli atleti di punta della multinazionale americana, al punto da essere il principale testimonial della collaborazione “Jordan X PSG”, che vede i parigini vestire maglie prodotte dalla Nike, ma griffate con il logo della collezione creata da MJ.

Dal punto di vista personale, l’accordo di Mbappè con la Nike è stato rinnovato nel 2019 e scadrà nel 2029. Per il numero 7 del PSG la sponsorizzazione vale quasi 16 milioni di euro all’anno, una cifra che potrebbe anche aumentare quando, una volta salutati CR7 e Messi, il francese diventerà quasi certamente il calciatore in attività più celebre al mondo.

Mbappè uomo immagine!

Forbes spiega inoltre che l’attaccante è il primo global ambassador di Hublot, azienda produttrice di orologi di lusso, e che la collaborazione con EA Sports lo ha portato ad essere il calciatore più giovane di sempre ad apparire da solo sulla copertina del celebre videogioco FIFA, in questo caso nell’edizione 2021.

Insomma, le azioni di Kylian Mbappè aumentano vertiginosamente, sia in campo che fuori. Al momento, è “solo” il calciatore con il valore di mercato più alto del mondo. Ma l’impressione è che non ci vorrà molto tempo prima che diventi anche il più costoso…e chissà, anche il meglio pagato…

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono di Francois Mori e Lionel Cironneau. Prima pubblicazione 10 dicembre 2020.

October 2, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Analisi dei costi dei giocatori juventini: Pogba il più pagato

Vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta. Una frase che ogni juventino trova scritta a lettere cubitali nel proprio cuore. E da quel punto di vista, il motto di Giampiero Boniperti ha trovato piena applicazione nella Torino bianconera. 36 Scudetti, più due revocati in seguito a Calciopoli, 14 Coppe Italia e 9 Supercoppe nazionali. E poi ancora due Champions League, una Coppa delle Coppe, una Coppa UEFA e due Supercoppe Europee.

"Solo" questo? Decisamente no. Due Coppe Intercontinentali, una Coppa Intertoto e, già che ci siamo, anche l’unico campionato di B disputato. Se vincere è l’unica cosa che conta, la Signora ha ampiamente compiuto la sua missione. Ma nel calcio moderno, vincere non è più tutto. In era di Fair Play Finanziario, è necessario che la bacheca sia piena e che le casse del club non siano vuote. Anche in questo, la Juventus è maestra, nonostante quando si tratta di mercato e di contratti da quelle parti non si badi a spese.

I contratti di Szczesny e Perin

Leonardo Bonucci il più pagato in difesa

A Pogba l'ingaggio più alto della rosa

Gli stipendi degli attaccanti bianconeri

Quanto guadagna Mister Allegri

Il bonus di benvenuto di 888sport!

Basterebbe pensare che l’acquisto più costoso della storia della Serie A è ovviamente targato Juventus ed è l’arrivo di Cristiano Ronaldo dal Real Madrid per 110 milioni di euro.

Il secondo posto? Bianconero anche quello, visti i 96 miliardi della clausola rescissoria per liberare Higuain dal contratto con il Napoli. E il terzo, neanche a dirlo, è della Signora, con gli 85 milioni versati all’Ajax per De Ligt nel 2019. Quindi, quando c’è da sborsare denaro, non è un problema, l’importante è che i risultati arrivino.

E non sorprende dunque che il monte ingaggi della Juventus sia tra quelli più alti della Serie A, anche se è diminuito rispetto alle passate stagioni passata visto l’addio di Cristiano Ronaldo.
 

I contratti di Szczesny e Perin

Si comincia dalla porta, dove il titolare, il polacco Szczesny, guadagna 6,5 milioni di euro netti all’anno fino al 2024. Considerando che i colleghi delle big europee hanno stipendi molto più alti, un vero e proprio affare per la Signora. Che in panchina ha un dodicesimo di tutto rispetto come Mattia Perin: l’estremo difensore di Latina guadagna 2,3 milioni di euro fino al 2025. 

E il terzo portiere? Carlo Pinsoglio è vincente (visto che almeno una partita all’anno… la fa sempre),  leader dello spogliatoio (e non è poco) porta a casa uno stipendio da 300mila euro all’anno, oltre i premi. 

Leonardo Bonucci il più pagato in difesa

Dopo la pesante cessione di Matthijs De Ligt (l’olandese aveva un ingaggio da top player con 8 milioni di euro netti, in parte favorito dal Decreto Crescita nell'estate del 2019) al Bayern, in difesa domina, in campo come negli stipendi, Leonardo Bonucci, che per tornare alla Juventus dopo la parentesi al Milan ha accettato di "ridursi" lo stipendio, accordandosi per 6,5 milioni di euro netti a stagione fino al 2024.

Bonucci rincorre Lewa in amichevole

Ad affiancarsi a lui il nuovo arrivo Bremer, che ha firmato un contratto fino al 2027 da 6 milioni a stagione. Poi nella lista ci sono i due brasiliani, Alex Sandro e Danilo, che guadagnano rispettivamente 6 e 4 milioni netti rispettivamente fino al 2023 e al 2024. Non male anche lo stipendio di Rugani, 3,5 milioni a stagione fino al 2024, mentre il rinnovo di De Sciglio ha portato il terzino a scendere a 2 milioni di euro a stagione fino al 2025.

A Pogba l'ingaggio più alto della rosa

A guidare il centrocampo c’è…un grande ritorno. La Juventus ha riportato a Vinovo Paul Pogba, che dopo sei stagioni ai ferri corti con il Manchester United è di nuovo in maglia bianconera. Per lui è arrivato un contratto abbastanza pesante, da 10,5 milioni di euro a stagione fino al 2027.

Poi c’è…un esubero come Adrien Rabiot che, essendo arrivato a parametro zero, ha potuto approfittarne per spillare un ingaggio più alto dei compagni di reparto, 7 milioni di euro netti all’anno fino al 2023. A 5 milioni di euro ci sono Arthur (scadenza 2025) e Juan Cuadrado (scadenza 2023), vero jolly di tutti i tecnici che si sono succeduti sulla panchina bianconera. Una duttilità, la sua, ben retribuita.

E poi arrivano… i due di sostanza. Denis Zakaria e Weston McKennie non avranno nomi altisonanti come i colleghi, ma di certo sono utilissimi alla squadra e all’allenatore. Ecco perché entrambi portano a casa una cifra rispettabilissima, 3 milioni per lo svizzero e 2,5 milioni di euro netti per lo statunitense.

Sempre a 3 milioni, inoltre, c’è il campione d’Europa Manuel Locatelli, mentre a 2,5 milioni più bonus c’è un altro dei nuovi arrivi, il mancino serbo Filip Kostic, sotto contratto fino al 2024, straordinariamente decisivo per le scommesse calcio nell'Europa League cinta dall'Eintracht a maggio 2022!

Gli stipendi degli attaccanti bianconeri

L’attacco della Juventus è guidato, sia sul terreno di gioco che nelle cifre, da Dusan Vlahovic. Il serbo, arrivato nel gennaio 2022, ha firmato un contratto fino al 2026 che gli garantisce 7 milioni di euro a stagione.

Poco più indietro una delle nuove stelle bianconere, ovvero Angel Di Maria. Per il Fideo contratto annuale da 6 milioni di euro. Lo sfortunato Federico Chiesa è invece fermo a 5 milioni fino al 2025.

Per l'ultimo arrivato Milik 3 milioni di euro fino a giugno 2023, in attesa dell'eventuale acquisto a titolo definitivo.

Più indietro Moise Kean, che ha ricominciato la sua carriera in bianconero dopo il trasferimento all’Everton con 2,5 milioni a stagione fino al 2023.

Di Maria in amichevole contro il Real!

Stipendio da 1,3 milioni di euro fino al 2026 invece per il brasiliano Kaio Jorge, che dovrebbe rappresentare il futuro del club bianconero.

Quanto guadagna Mister Allegri

E il tecnico, quanto guadagna? Max Allegri è tornato alla guida dei bianconeri nell’estate 2021, accettando uno stipendio da 7 milioni di euro all’anno fino al 2026. Ma c’è da giurare che se l’allenatore toscano, dopo le difficoltà della prima stagione di ritorno, dovesse riportare il club ai livelli della sua prima esperienza a Torino, la cifra si alzerebbe ulteriormente.

Del resto, vincere è l’unica cosa che conta. E che fa contare anche parecchi soldi in più!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Andrew Medichini (AP Photo). Prima pubblicazione 10 dicembre 2020.

August 29, 2022
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

Il nuovo format dell'Europa League

All’interno delle riforma che dovrebbe rendere più avvincenti le coppe europee, c’è spazio anche per nuove regole destinate all’Europa League.

Europa League con 32 partecipanti

Quando ha vinto la retrocessa dalla Champions

La finale 2013 tra Chelsea e Benfica

Settembre 2021, quindi, non è stato solo il momento del ritorno della terza coppa: quella che una volta era la romantica Coppa delle Coppe, vinta per l’ultima volta dalla Lazio di Bobo Vieri nel 1999, viene, finalmente, rimpiazzata da un nuovo torneo continentale, la Conference Europa League!

EL: 32 partecipanti 

L’Europa League 2021/2022 vedrà ai nastri di partenza 32 squadre e non 48: il numero quindi sarà lo stesso delle società che prenderanno parte alla Champions ed i gironi passeranno dai 12 dell’edizione che si concluderà a Danzica nel 2021 a 8.

Per ciascun raggruppamento passeranno le due migliori classificate. Le prime direttamente agli ottavi di finale, cosiddetto Round of 16; le seconde, e questa è la novità più rilevante del nuovo format, se la vedranno, in gara di andata e ritorno, nel Preliminary knockout round contro le 8 terze provenienti dai gruppi Champions.

Patric in gol in Europa!

La ratio di questa novità è probabilmente quella di rendere più tortuoso il percorso verso la finale di Siviglia 2022 delle compagini che “retrocedono” a dicembre dall’ex Coppa Campioni e dare, evidentemente una nuova, propria, dignità all’Europa League nel momento della nascita della Conference!

Le edizioni vinte da chi inizia in Champions

Tante, infatti, sono le edizioni conquistate da squadre che hanno iniziato la stagione europea partendo dalla Champions. Andiamo con ordine. Le ultime a vincere, partendo con l’iscrizione all'altro, più blasonato, torneo continentale, sono state Siviglia ed Atletico Madrid.

L'esultanza di Osimhen a Leicester!

Quando il Siviglia supera 3-1 a Basilea il Liverpool allenato da pochi mesi da Klopp, i ragazzi di Emery vincono la terza EL consecutiva, questa volta partendo dalla Champions ed in particolare dal gruppo D con Juventus, Manchester City e  Borussia Monchengladbach. Proprio contro i tedeschi, gli andalusi esordiscono con un perentorio 3-0. Le successive quattro partite sono coincidono con quattro sconfitte e solo nella sesta ed ultima gara del girone, il gol di Fernando Llorente alla Juve evita l’ultimo posto e manda Banega e compagni al torneo che in tanti hanno definito... Siviglia League!

 

Il Cholo, nella finale 2018 a Lione, ha disintegrato il disegno tattico del coraggioso Garcia con un perentorio 3-0. La Champions dell’Atletico, però, era iniziata con uno 0-0 all’Olimpico di Roma. Sotto un diluvio di metà settembre, gli appassionati del calcio internazionale scoprono le clamorose doti tra i pali del miglior portiere del mondo: Alisson Becker, poi protagonista in tutta l’edizione sino alle semifinali, ferma i tentativi a ripetizione di Griezmann e Saul!

Con una squadra costruita per competere sino in fondo nella Coppa dalle grandi orecchie, il cammino in Europa League sembra più un percorso organizzato con simpatiche trasferte che una campagna continentale: tra Copenaghen, Lokomotiv, Sporting ed Arsenal, il Cholo perde solo un incontro a Lisbona, prima della finale.

L’atto conclusivo nello stadio del Lione costruito per gli Europei del 2016, manda in scena, forse, la finale più squilibrata per le scommesse calcio degli ultimi anni: il divertente Marsiglia di Garcia nulla può davanti alla straripante condizione fisica di AG7 che, non a caso, neanche due mesi dopo si laureerà campione del mondo con la sua Francia.

Le due finaliste

Nella storia della competizione, ci sono state anche due finali con entrambe le squadre provenienti dalla Champions. L'ultima nel 2013 tra Chelsea e Benfica.

Nel 2009 ad Istanbul, invece, il Donetsk supera il Werder Brema ai supplementari, segnando il punto più alto della storia calcistica degli ambiziosi ucraini.

Il gol decisivo nella finale vinta dal Donetsk!

I tedeschi erano stati eliminati nel girone da Panathinaikos ed Inter, mentre i ragazzi di Lucescu con Luiz Adriano al centro dell’attacco, nonostante un discreto bottino di 9 punti, erano usciti a vantaggio di Sporting e Barcellona. Proprio contro Messi, lo Shakhtar perderà, poi, la Supercoppa Europea 2009 nell'extratime.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 10 dicembre 2020.

October 21, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Storia dell'italiano che riunì il Paese

L’hombre del partido é uscito dal campo. Ha regalato agli italiani l’estate più bella, dopo anni di piombo, austerity e lotte di classe. Ne aveva, di classe, Paolo Rossi, ma il suo maggior pregio era quello di trovarsi al posto giusto nel momento giusto: quel posto era la Spagna, e quel momento era l’estate del 1982.

Quattro anni prima era stato aggregato alla Nazionale quasi all’ultimo istante con Antonio Cabrini, per la coppa del Mondo in Argentina. L’idea del ct Enzo Bearzot non era quella di schierarlo come titolare, ma lui si prese il posto allargando i suoi gomiti appuntiti; era l’Italia delle contrapposizioni, con Torino epicentro della lotta; padroni e operai, Juve e Toro, Bettega o Graziani?

L'amichevole con la Primavera della Juve

Ma torniamo a quel 1982. E torniamo a Vigo, dove l’Italia è in ritiro: Paolo Rossi non segna neanche con le mani, è reduce da due anni di squalifica e poche partite nelle gambe. Non funziona nulla, niente va come dovrebbe andare. L’Italia pareggia con il Perù, con la Polonia e con il Camerun: Rossi non segna mai. Ma neanche si avvicina lontanamente a un’azione da gol. Ma Rossi è l’attaccante che Bearzot ha scelto, che ha protetto, che ha convocato quando tutti chiedevano altro. Lo ha osservato attentamente durante una partita della Primavera della Juventus, che la giovane squadra bianconera gioca su un campo adiacente a dove si allena la Nazionale Maggiore.

Rossi ha la ruggine nelle ossa e i fianchi da matrona. Il ct si avvicina al centravanti, e con lui scambia poche parole: “Io ti aspetto”. L’esilio di Paolo Rossi era iniziato il 23 marzo del 1980, tirato dentro al Calcio scommesse semplicemente per essere un grande nome, il pesce grande dentro a una rete di piccoli pesci. Rossi non combina partite, ma basta un incontro di tre minuti in un hotel alla periferia di Avellino per far scattare la gogna mediatica.

La Juventus lo aveva acquistato poco più che adolescente, il fiuto di Italo Allodi aveva individuato un’ala molto promettente alla Cattolica Virtus di Prato. Il cartellino costa sedici milioni, non pochi per un ragazzino che gioca sull’esterno e che non ha un fisico particolarmente prestante. Il talento c’è, ma le ginocchia non sempre lo sostengono: due interventi al menisco nel giro due stagioni, minacciano la sua carriera, rendendola in ogni modo complicata.

La Juventus lo cede in prestito a Como, il ragazzino fatica a emergere. Il trasferimento dell’anno successivo a Vicenza è decisivo: Paolo Rossi trova GB Fabbri che aveva chiesto al suo presidente Giussy Farina un centravanti, e si ritrova un’ala. Ma Pablito si adatta, segna e sogna. Trascina il Lanerossi Vicenza nei quartieri alti della classifica, è un attaccante moderno, rapido, efficace: all’interno dell’area di rigore sa fare gol in qualsiasi modo, tanto da guadagnarsi la convocazione per i Mondiali del 1978.

Mister 5 miliardi

In Argentina Rossi fa coppia con Bettega, ed è una delle Nazionali più belle della storia che chiude al quarto posto in un mondiale sudamericano pieno di insidie. Quando torna, il Vicenza - che lo ha acquistato in comproprietà, riscatta l’altra metà del cartellino per una cifra fuori portata: due miliardi e seicento dodici milioni di lire. Rossi diventa Mister 5 miliardi, la Juventus è beffata, ma il Vicenza retrocede, e Rossi è costretto a fare le valigie.

Va a Perugia, la squadra di Castagner ha chiuso il campionato precedente al secondo posto, senza mai perdere. E’ la stagione 1979-80, quella dei taxi sulla pista dello stadio Olimpico, dei tribunali, della procura federale. Il fatto non sussiste, tutti assolti. Ma intanto è arrivata la squalifica di tre anni, poi ridotta a 24 mesi nella sentenza di appello.

E qui torniamo in Spagna, incastrati nelle alture di Vigo dove l’Italia disputa il girone di qualificazione. Tre pareggi, mille polemiche, il silenzio stampa. E Rossi che non segna mai. Neanche con le mani. Arriva l’Argentina, e Rossi è ancora lì. Anche perché il ct Bearzot ha lasciato a casa il capocannoniere del campionato pur di recuperare il suo centravanti eletto, lasciandogli tutto il tempo necessario per riavviare il motore. E il motore si accende quasi di colpo, in un torrido pomeriggio di luglio.

La tripletta al Brasile

C’è il Brasile, e nel ritiro azzurro le valigie sono già pronte; ai sudamericani basta un pareggio per accedere alla semifinale, l’Italia deve solo vincere. Il Sarria di Barcellona è un’arena ricolma di samba e di colori. La torcida brasiliana fa festa, ma non ha fatto i conti con Pablito.

“Attaccali alle spalle, vai dalla parte di Junior”. Enzo Bearzot dice poche parole al suo centravanti, ma sono quelle decisive. Cross di Cabrini, testa di Rossi. Gol! Uno a zero. Zico e Socrates scambiano la palla con una leggerezza irreale, la giocata è sublime, ed è uno a uno. Ma Pablito é ancora lì. Cerezo sbaglia la misura di un passaggio verso Junior, e il nostro eroe è ancora lì: destro dal limite in diagonale, ed é due a uno. L’Italia ci crede, ma non può essere vero. E quando il sogno sta per concretizzarsi, svanisce in un istante: tiro di Falcao, deviazione di Bergomi, e palla in rete. Due a due. E’ finita.

 

Abbiamo sognato, è stato bello. Ma Pablito non ci sta. Ha atteso questo momento per tre anni, ed è lì, aspettando il treno dei desideri che all’incontrario va. Azzurro! E’ il colore della vittoria. Azzurro! E’ l’urlo che accomuna 56 milioni di italiani che sono lì, davanti al televisore alle 18.29 del 5 luglio 1982 quando il portiere brasiliano Waldir Perez, é battuto per la terza volta.

Angolo di Conti, respinta di Oscar, tiro sbilenco di Tardelli dal limite. E lui è lì, perché ha un appuntamento con la storia. Tre a due, per quella che per le scommesse calcio sarebbe stata una quota singola sopra 10. L’Italia fa festa, si abbraccia, si sorprende di trovare nelle piazze e nelle strade di quell’insolita estate quell’unità nazionale che che il tempo aveva dissolto.

Rossi scrive la storia in bella calligrafia: doppietta contro la Polonia e gol del vantaggio nella finale contro la Germania. La storia diventa leggenda un istante dopo che l’arbitro brasiliano Coehlo alza al cielo di Madrid il Tango che Cabrini ha maltrattato in occasione del rigore.

Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Mano sul cuore: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”. Con le lacrime agli occhi, e la malinconia nell’anima. Adios Pablito, hombre del partido.

*L'immagine dell'articolo è distribuita da AP Photo.

December 10, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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L'Atletico sa spendere bene!

Essere il terzo incomodo, di solito, non è mai una cosa positiva. Ma dipende, perché ci sono situazioni in cui diventa un titolo di merito. Basterebbe pensare alla Liga, dove da ormai parecchi anni c’è una situazione che rischia di diventare assai monotona: Real Madrid, Barcellona, Barcellona, Real Madrid.

Dal titolo del Valencia nella stagione 2004/05, solo una volta qualcuno è riuscito a mettere i bastoni tra le ruote alle due grandi di Spagna: l’Atletico Madrid di Diego Simeone, che nella stagione 2013/14 ha vinto il titolo nazionale e, se Sergio Ramos non ci avesse messo la testa a pochi secondi dalla fine del recupero, avrebbe anche strappato la Decima dalle grinfie degli odiati concittadini. Ora il Cholo ci riprova, anche approfittando di una partenza falsa del Barcellona e di alcuni problemi a carburare del Real campione in carica.

Invece l’Atletico, secondo in classifica ma con due partite in meno rispetto alla Real Sociedad, dopo un paio di stagioni complicate sembra, almeno in patria, aver ritrovato lo smalto e il modus operandi dei tempi migliori: vittorie magari di misura (gli 1-0 contro Barcellona e Valencia lo testimoniano), porta quasi sempre inviolata (Oblak da quando è al Wanda in media lascia a secco gli attaccanti avversari una partita su due) e tanto lavoro, perché da quelle parti non ci sono tutti i mezzi economici che hanno a disposizione le grandi avversarie. Non bisogna però fare l’errore di considerare l’Atletico un club povero, anzi. I soldi ci sono, ma vengono spesi oculatamente.

La politica di cessioni dell'Atletico

E vengono incassati, perché negli ultimi tredici anni i Colchoneros hanno ricevuto 400 milioni di euro soltanto da ragazzi delle giovanili. Sempre però sostituendo grandi calciatori con nuove pedine all’altezza. Basta pensare a Joao Felix, acquistato per 120 milioni pochi giorni dopo che il Barcellona aveva pagato la stessa cifra per attivare la clausola rescissoria e portare al Camp Nou Antoine Griezmann.

O, per rimanere alla stagione in corso, il cambio in avanti che ha coinvolto anche la Juventus: fuori Morata in prestito oneroso (10 milioni) più diritto di riscatto per i bianconeri, dentro Luis Suarez a parametro zero. Certo, il Pistolero non è più giovanissimo, ma Simeone, anche considerando la scorsa stagione dello spagnolo, ha preferito fare all in sull’uruguaiano e lasciare andare l’ex Chelsea e Real Madrid.

E un po’ tutte le operazioni del mercato estivo sono state sulla stessa falsariga, sostituendo chi andava via con qualcuno dalle caratteristiche necessarie al gioco del Cholo; il successo in Liga non sarebbe più una sorpresa per le scommesse calcio

Un'immagine di Atletico - Barcellona!

Dunque, via Thomas Partey, con l’Arsenal che ha pagato la clausola da cinquanta milioni del centrocampista ghanese e dentro Torreira, che all’Emirates era di troppo e che attualmente al Wanda Metropolitano è in prestito con diritto di riscatto a favore degli spagnoli. Con i soldi incassati da Thomas, l’Atletico ha in pratica completato il suo calciomercato in entrata: per 15 milioni è arrivato Kondogbia dal Monaco, a rinforzare un centrocampo assolutamente di livello per quello che riguarda i nomi, ma che era povero di alternative, numericamente parlando.

E poi altri milioni sono stati versati al Dalian per riportare a “casa” il belga Carrasco, che nel 2018 era… fuggito in Cina facendosi attrarre dai milioni del calcio del Dragone e garantendo all’Atletico anche 30 milioni di euro. Considerando che era stato acquistato dal Monaco per 15 milioni e che è tornato più o meno a quella cifra, i Colchoneros ci hanno fatto anche una non disprezzabile plusvalenza.

A chiudere le operazioni principali l’acquisto per 3,5 milioni del portiere Grbic, la cessione per 9 milioni al Monaco (società da sempre amica) del terzino sinistro Caio Henrique, quella in prestito con diritto di riscatto di Santiago Arias al Bayer Leverkusen e quella di Kalinic al Verona per poco meno di due milioni. Dunque, bilancio estivo in lievissimo passivo, ma solo perché si considerano spesi a inizio stagione i 35 milioni con cui è stato riscattato Morata dal Chelsea nella scorsa primavera.

Gli ingaggi calmierati

Spendere sì, ma spendere bene, anche quando si parla di ingaggi. La… fortuna dell’Atletico, da questo punto di vista, è che Simeone nel corso degli anni non ha mai utilizzato una rosa troppo ampia. Il Cholo ha bisogno dei suoi fedelissimi e di buone alternative, ma non si è mai fatto problemi a lanciare ragazzi della cantera quando ce n’è stato bisogno. Di conseguenza, meno contratti pesanti e più margine per pagare bene le stelle.

Certo, la sospensione ha avuto un certo impatto sul monte ingaggi, che è sceso del 27% rispetto alla stagione 2019/2020: i Colchoneros spendevano 348 milioni di euro lordi per gli stipendi dei calciatori, mentre l’ultima comunicazione della Liga, attentissima ai conti dei club membri, parla di 252 milioni messi a bilancio per questa stagione.

Gli ingaggi più pesanti sono certamente quello di Oblak, che lo scorso anno ha rinnovato a oltre 10 milioni a stagione, di Koke, che con il suo accordo guadagna 13,6 milioni e di Diego Costa, che si aggira anche lui su quelle cifre. Più contenute quelle che riguardano Luis Suarez e Joao Felix. Il Pistolero guadagnerà 7,5 milioni per due anni, mentre il portoghese, in attesa del primo rinnovo, è fermo a 4 milioni a stagione.

 

Non si può però dimenticare che sul monte ingaggi pesa eccome il contratto di Diego Pablo Simeone, che è l’allenatore più pagato al mondo. Per il Cholo nel 2019 è arrivato un rinnovo faraonico, grazie al quale riceve 40 milioni di euro lordi a stagione. 

In pratica, il tecnico argentino guadagna meno soltanto rispetto a Leo Messi e, considerando che non è affatto detto che il suo connazionale rimanga al Barcellona, rischia di diventare il tesserato con lo stipendio più alto di tutta la Liga. Ma se la stagione finisse con l’Atletico in cima alla classifica, si confermerebbe quello che sembra il vero e proprio motto dei biancorossi: spendere sì, ma spendere bene…

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*Le immagini dell'articolo sono di Bernat Armangue (AP Photo).

December 8, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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