I giovani portieri e la Champions League. Il 2001 Anatoliy Trubin elimina l'Inter!

Esordire in Champions League contro il Barcellona ad appena 18 anni e ritrovarsi dopo tre minuti sul dischetto un certo Leo Messi, subendo così il primo gol della propria carriera nella massima competizione europea. Quella del Camp Nou poteva essere una serata terrificante per Ruslan Neshcheret, portiere della Dinamo Kiev. Il giovanissimo estremo difensore è finito in porta per carenza di altre opzione da parte di Mircea Lucescu, ma non ha per nulla demeritato.

Anzi, se gli ucraini sono tornati a casa perdendo solo 2-1 il merito è in gran parte suo. E se Messi ci ha provato eccome ad aumentare il proprio bottino personale, Neshcheret non si è certamente fatto spaventare, salvando un calcio di punizione della Pulce che sembrava destinato ad insaccarsi.

Oltre ad… una serie di altre conclusioni del Barcellona, che per raddoppiare ha dovuto tirar fuori dal cilindro un colpo di testa di Piquè su cui il diciottenne non è davvero potuto arrivare. E alla fine i dati parlano di una prestazione maiuscola, con 12 parate e soli due gol al passivo, quando gli expected goal blaugrana… erano oltre sei.

Sensazionale per attenzione e sicurezza la prestazione dell'ucraino Anatoliy Trubin contro l'Inter!

Il mito Casillas

È nata una stella? È abbastanza presto per dirlo, ma di certo l’esordio di Neshcheret ha ricordato quelli di alcuni grandissimi del ruolo. Come Iker Casillas, primatista per numero di partite, che il 15 settembre 1999 fa la sua prima presenza in Champions League a 18 anni e 118 giorni, addirittura più giovane dell’ucraino, che è nato a gennaio del 2002.

John Toshack lo spedisce in campo dall'inizio nonostante in rosa ci sia un certo Bodo Illgner come titolare e un secondo affidabile come Albano Bizzarri. Ma il giovanissimo spagnolo si fa valere, anche se la prima partita non è poi così memorabile. Il match tra il Real Madrid e l’Olympiakos finisce 3-3, con Casillas che prende due gol dal brasiliano Giovanni e uno da Zlatko Zahovic.

Abbastanza per togliergli il posto, ma sia il tecnico gallese che Vicente del Bosque, che sostituisce Toshack dopo undici giornate, sono cocciuti. Tempo neanche un anno, il 24 maggio 2000 Iker Casillas diventa il portiere più giovane a giocare e a vincere la finalissima, nel 3-0 dei Blancos al Valencia di Cuper.

Il record di Mile Svilar

Per molti anni l’esordio di Casillas è stato da record, prima che nel 2017 arrivasse Mile Svilar. Il debutto del belga di origini serbe però è da ricordare in tutti i sensi. L’estremo difensore scende in campo a 18 anni e 52 giorni con la maglia del Benfica contro il Manchester United e fa…davvero la storia. Il match finisce 1-0 per i Red Devils, che violano l’Estadio Da Luz proprio grazie a Svilar.

Il portiere delle Aquile non solo non trattiene un calcio di punizione di Rashford, ma riesce anche a spedirselo da solo in porta. Attualmente, il portiere più giovane della storia della Champions League (e va ricordato che si parla di presenze a partire dalla fase a gironi) è un altro belga, Maarten Vandevoordt, sceso in campo nella edizione 2019/2020 con la maglia del Genk a 17 anni e 287 giorni.

Per lui esordio complicato contro il Napoli, che al San Paolo non ha pietà del giovanissimo portiere: finisce 4-0 con tripletta di Milik e rete di Mertens. Ma a discolpa del belga, va sottolineato che due delle reti partenopee arrivano da calcio di rigore.

Il non... esordio!

Storie altalenanti dunque per i giovanissimi portieri che esordiscono in Champions League. Ma Neshcheret, oltre a Casillas, può buttare ancora un occhio alla Spagna per altri modelli certamente fortunati. Tra i più “verdi” ad essere gettati nella mischia nella massima competizione europea spuntano infatti anche Reina e De Gea. L’attuale portiere della Lazio viene lanciato nel 2001 dal Barcellona contro il Fenerbahce a 19 anni e 61 giorni, in un match che i blaugrana vincono per 1-0.

La carriera dello spagnolo poi racconta di parecchie soddisfazioni sia con i club (Liverpool, Bayern e Napoli) che, soprattutto, con la nazionale spagnola (un mondiale e due europei, anche se non certo da protagonista). Anche De Gea arriva presto sotto i riflettori: l’Atletico Madrid lo spedisce in campo a 18 anni e 327 giorni in un match contro il Porto. Finirà 2-0 per gli avversari, ma la storia professionale del basco è comunque talmente buona che è complicato dire che l’esordio non gli abbia portato fortuna.

Fuori dai più giovani, ma non certo per colpa loro, due fenomeni del ruolo. Gigi Buffon fa due turni preliminari, poi esordisce nella fase a girone nel settembre 1997, quando ha già 19 anni e quasi otto mesi, essendo nato nel gennaio 1978. Per lui la prima tra i grandissimi arriva in un pareggio contro lo Sparta Praga.

Il Parma non andrà avanti nella competizione, facendo presagire quella che sarà una vera e propria maledizione per SuperGigi nei confronti della Champions: per lui, che ha vinto praticamente tutto, zero affermazioni continentali. E neanche la gioia di essere… il più vecchio calciatore della storia della competizione, considerando che ha ancora davanti Marco Ballotta.

Clamoroso anche il caso di Gigione Donnarumma che, al 30 giugno 2021, non avrà ancora esordito in Champions!

Donnarumma contro Babacar

Parlando di precocità, va anche peggio a Manuel Neuer, che fa il suo debutto (in una sconfitta dello Shalke contro il Valencia) nel settembre 2007, quando ha già più di vent’anni. Non che sia stato un problema per il Panzer, che da quel momento di strada ne ha fatta eccome e ora, assieme al Mondiale 2014, ha in bacheca anche due Champions League con tanto di doppio triplete ed è ancora favorito per le scommesse sportive online per l'edizione corrente!

Un qualcosa a cui forse il giovanissimo Neshcheret non potrà aspirare. Ma come dimostrano certe storie, nella vita mai dire mai…

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Joan Monfort e Luca Bruno.

December 10, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Oggi si chiama Zona Caicedo, ma qual è la storia della Zona Cesarini?

Per la terza volta in una settimana il “panterone” della Lazio Felipe Caicedo è andato in gol per la sua squadra nel finale di partita o addirittura nei minuti di recupero, praticamente qualche istante prima del triplice fischio, risultando decisivo per la conquista di punti preziosi per i biancocelesti. 

Simone Inzaghi

Una situazione alla quale Caicedo ci aveva già abituato, tanto da spingere in molti, in particolare i social media manager di Lazio e Lega Serie A a ribattezzare la celebre Zona Cesarini nella nuova Zona Caicedo. Ma a proposito, come nasce la leggenda della Zona Cesarini?

Cosa vuole dire “Zona Cesarini”

Chiariamo subito alcuni aspetti che gli appassionati di etimologia apprezzeranno.
La Zona Cesarini oggi definisce gli ultimi minuti di match di un evento sportivo, in particolare viene usata nel mondo del calcio proprio perché si rifà al giocatore della Juventus, Renato Cesarini.
Quella di sostituire un termine con un altro che ha una relazione di vicinanza (appunto zona recupero che diventa magicamente Zona Cesarini) è una metonimia
Ma cosa ha fatto Renato Cesarini per permettere ai cronisti dell’epoca di coniare questa nuova figura retorica?

Ovviamente segnare a ridosso del fischio finale di diverse partite, ma scendiamo nel dettaglio della storia.
Cesarini era una mezzala della Juventus e della Nazionale. È proprio con la maglia azzurra che segnò al ’90 di una tesissima Italia – Ungheria valida per la Coppa Internazionale, il 13 dicembre del 1931. Cesarini segnò la rete del 3 a 2 finale. Una settimana dopo il giornalista Eugenio Danese parlò di “caso Cesarini” per raccontare il goal vittoria siglato all’89 di Ambrosiana Inter – Roma (finita 2 a 1). 

Gli altri calciatori da “ultimi minuti” in Serie A 

Di marcatori che hanno costruito gran parte della loro carriera o perlomeno narrazione grazie ai gol nei minuti di recupero, spesso e volentieri subentrando dalla panchina, la Serie A ne ha avuti diversi. 

Si passa dallo spilungone argentino Julio Ricardo Cruz. El Jardinero, come è stato soprannominato da giovane calciatore, ha fatto le fortune italiane di Bologna, Inter e Lazio, ma ha anche vestito la maglia del River Plate in patria. Cruz ha rappresentato sempre un'ottima opzione come marcatore nelle scommesse calcio quando affrontava la Juventus nel Derby d'Italia...

È stato soprannominato “il giardiniere” a causa del suo lavoro quando era ragazzino, prima di diventare un professionista, anche se alcune fonti citano la sua passione con un macchinario che tagliava l’erba. Infatti, sembrerebbe che in Argentina a tagliare l’erba del campo fosse proprio Cruz prima delle partite. 

Un altro giocatore che ci rievoca gol nello scadere si tratta di un altro sudamericano, questa volta brasiliano. Parliamo di Josè Altafini, in Italia con le maglie più blasonate: Milan, Juventus e Napoli. 
Molto della sua fama da uomo dell’ultimo spezzone di partita è stato dettato dal tipo digestione che avevano gli allenatori nei suoi confronti. Nel finale di carriera Altafini si è rivelato molto strategico come giocatore da inserire a partita in corso. 

In Brasile veniva chiamato anche “Mazzola”, per la sua spiccata somiglianza con Valentino. 
Al di là delle origini tutte italiane della Zona Cesarini, sembra che quella del gol all’ultimo respiro sia tutta una questione di sangue e mentalità sudamericana. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer; l'immagine è di David Vincent (AP Photo).

 
November 10, 2020
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Diretta Amazon Prime | telecronache Champions Sandro Piccinini| 16 mercoledì

Sono sempre più lontani i tempi in cui un tifoso, per essere aggiornato sul risultato della propria squadra, doveva poggiare l’orecchio su una rudimentale radiolina. Il progresso tecnologico avanza a passi da gigante, come gigante dell’e-commerce è Amazon, pronto a rivoluzionare il mondo dei diritti tv legati al calcio.

Premier League, Champions League, presto anche la Serie A: il colosso di Jeff Bezos è pronto a costruire un pacchetto di eventi, capace di assicurare cifre a diversi zeri di incasso.

Lo sbarco in Inghilterra...

Il primo passo dell’azienda di Seattle nell’intrattenimento calcistico europeo è stato mosso nel giugno scorso, preceduto da una sorta di prova generale a dicembre 2019. Quasi un anno fa ha stretto un accordo con la Premier League per mandare in diretta streaming su Amazon Prime Video un turno infrasettimanale della massima serie inglese e poi anche le dieci partite del Boxing Day (il turno del 26 dicembre).

I primi incontri trasmessi sono stati, il 3 dicembre scorso, Crystal Palace-Bournmouth e Burnley-Manchester City. Primi big match il giorno successivo: Manchester United-Tottenham e il derby Liverpool-Everton. Le partite, disponibili senza costi aggiuntivi per gli abbonati Prime, sono state un test superato con successo. E così, sei mesi dopo, è arrivato l’accordo con cui il gigante dell’e-commerce che si è assicurato la diretta di quattro gare ogni turno di Premier per il resto della stagione 2019-20, ripartita il 17 giugno.

Una telecamera riprende la Premier

Con una differenza rispetto alle gare trasmesse a dicembre: non è stato più necessario essere abbonati all’offerta Prime per vedere le partite. Una scelta, questa, che ha innescato un effetto a catena: Sky Sports ha annunciato che 25 delle sue 64 partite sarebbero state mandate in chiaro sul suo canale Pick, mentre la Bbc (che non trasmetteva partite di calcio in diretta in Inghilterra dal 1988) ha ottenuto i diritti per quattro match.

... e quello in Italia

Dalla Premier alla Champions per Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo, il passo è stato breve. Manca solo l’ufficialità, infatti, all’accordo che consentirà ad Amazon di trasmettere le partite di Champions League in Italia dal 2021 al 2024. Sarà la prima volta che nel Belpaese sarà possibile assistere a una partita dal portale di Prime Video.

Amazon dovrà dividersi la torta con Mediaset e Sky: sullo streaming dell’azienda americana si potrà assistere alle 16 migliori partite di ogni mercoledì sera, oltre alla Supercoppa europea. Mediaset avrebbe invece acquistato il pacchetto per i 16 migliori incontri del martedì, oltre alla finale, mentre Sky dovrebbe essersi aggiudicata tutte le altre 104 partite.

La notizia è stata rilanciata dal portale Calcio e Finanza, secondo cui il pacchetto sarebbe stato acquistato da Bezos per una cifra vicina agli 80 milioni di euro a stagione. Le partite saranno disponibili in streaming per i soli abbonati al servizio Prime, che attualmente costa 36 euro l’anno ma che, a questo punto, non è da escludere possa aumentare.

A quando la Serie A?

L’arrivo di Amazon nel calcio italiano potrebbe non fermarsi alle partite di Champions. Stando a quanto riferisce la Gazzetta dello Sport, alla prossima asta per la trasmissione delle partite della Serie A 2021-2024 potrebbe prendere parte anche Amazon.

L’ipotesi certo non stupirebbe, sia per le potenzialità economiche dell’azienda di Seattle sia perché recentemente è stato lo stesso amministratore delegato della Serie A, Luigi De Siervo, a citare il gigante dell’e-commerce tra i concorrenti ad aggiudicarsi i diritti del massimo campionato italiano. «Stiamo attirando l’interesse di grandi piattaforme internazionali, come Amazon e Netflix, speriamo che il calcio torni al centro del confronto fra tecnologie e piattaforme».

De Siervo ha dunque aggiunto: «Con la creazione di una rete unica, il calcio può divenire elemento attrattivo. Un prodotto, come avviene all’estero, con cui le telefoniche possano arricchire i contenuti».

Il gigante dell’e-commerce e la Vecchia Signora

Un primo assaggio di Serie A è a tinte bianconere. È di pochi giorni fa l’accordo che fa approdare Juventus TV su Amazon Prime Video. L’abbonamento costa 3,99 euro al mese. Come annunciato dalla società torinese sul proprio sito, «si tratta di un altro primato in bianconero: il nostro è infatti il primo, e finora unico, canale ufficiale di un club calcistico in Europa ad essere disponibile tramite l’app Prime Video».

I tifosi della Juve, sempre favorita per le scommesse online per il decimo scudetto consecutivo possono abbonarsi nel modo classico, tramite l’App o il sito ufficiale della Juventus, oppure attraverso i Prime Video Channels.
 

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci; le immagini, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Patrick Semansky e Rui Vieira. Prima pubblicazione, 10 novembre 2020.

 
August 5, 2021
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La Best 11 dell'Empoli del Presidente Corsi!

Trent’anni sono un’infinità, ma quando si parla di calcio possono anche essere un attimo. E chissà quale delle due impressioni hanno a Empoli quando pensano alla squadra cittadina. Nell’estate del 1991 diventava presidente l’allora trentenne Fabrizio Corsi, prendendo le redini di un club che appena cinque anni prima, nel 1986, aveva esordito in Serie A, rimanendoci per due stagioni.

Poi erano arrivate due retrocessioni consecutive e all’epoca del cambio di proprietà l’Empoli era nell'allora C1. Ma nessuno aveva fatto i conti con la capacità di programmazione della società, che sebbene ora si trovi in B è comunque una protagonista del calcio italiano, un'università del calcio come già definita sulle pagine di questo blog.

Nel corso dei decenni, sono passati al Castellani diversi calciatori che sono poi riusciti a imporsi a livello tricolore ed internazionale. E una top 11 dell’era Corsi, schierata con un bel 4-2-3-1, non è solo particolarmente competitiva, ma è anche… complicata da buttare giù con scelte davvero complesse, perché lasciare fuori certi nomi è parecchio difficile…

La difesa

Fino alla clamorosa esplosione di Vicario, venduto al Tottenham per una cifra record, in porta il posto era di una vera e propria istituzione del club: Daniele Balli.

Vicario

Uno che in carriera ha abbracciato la causa del club toscano per ben tre volte.

La prima quando da quattordicenne entra a far parte delle giovanili. Poi nel 1991, appena iniziata l’era Corsi, torna da una serie di prestiti e ottiene tre promozioni in tre anni da protagonista, lasciando però prima di conoscere la Serie A.

Ma poi nel 2003 torna di nuovo e, nonostante una carta di identità importante (36 anni) è di nuovo imprescindibile in alcune delle annate migliori della storia del club.

Per le due maglie da esterni bassi, per esempio, c'è grandissimissima competizione. E la scelta per questa top 11 si scontra per forza di cose con una domanda: “terzini”…o, appunto, esterni di difesa? Perché a guardare la storia passata, difficile non schierare a destra Alessandro Birindelli, cresciuto nel club e anche lui protagonista delle tre promozioni consecutive. Dopo cinque anni in prima squadra, l’esterno destro va alla Juventus con cui in undici anni vince tre scudetti e gioca anche una finale di Champions League.

A fargli compagnia dall’altro lato del campo Max Tonetto, che è il titolare dell’Empoli di fine millennio e che poi giocherà con Lecce, Samp e Roma. Ma se si pensa alla storia più recente, complicato anche escludere la coppia dell’era Sarri. Mario Rui e Hysaj sono due dei segreti di quell’Empoli, ma anche del Napoli che con il tecnico toscano ha sognato lo scudetto.

Più semplice ragionare sui difensori centrali. I due nomi che non possono mancare hanno entrambi con l’Empoli una storia lunga, cominciata sui campi delle giovanili. Uno dei due è naturalmente Daniele Rugani, che ha fatto tutta la trafila fino a che non se lo è portato via la Juventus, rimanendo però in prestito giusto in tempo per scoprire la A con il club che lo ha fatto crescere. Per lui in bianconero incetta di trofei, oggi gioca la Champions con il Rennes.

Uno che invece ha sorpreso molti è Andrea Raggi. Anche lui prodotto del settore, è uno dei titolarissimi delle stagioni dal 2004 al 2008. Poi, dopo alcune esperienze in Italia, nel 2012 accetta l’offerta del Monaco. E in Francia diventa idolo, arrivando addirittura a vestire la fascia da capitano e a vincere la Ligue 1 nella stagione 2016/17, quando i monegaschi guidati da un meraviglioso Mbappè strappano il campionato al PSG degli sceicchi.

In mezzo al campo

In un 4-2-3-1 che si rispetti ci vogliono un centrocampista di rottura e uno capace di tirare le fila del gioco. Per fortuna, l’Empoli di Corsi ce li ha entrambi. L’uomo di equilibrio non può che essere Davide Moro, icona vera e propria del club. Cresciuto nel vivaio, è stato tra i titolari della squadra che con Gigi Cagni ha raggiunto la Coppa UEFA nella stagione 2006/07 ed è rimasto un punto fermo dei toscani (tranne in una stagione al prestito al Livorno) dal 2004 al 2015.

 

Accanto a lui ci va il compagno di reparto Sergio Almiron, che in quelle annate incredibili è uno dei calciatori con il miglior rendimento della Serie A. Dopo il campionato concluso al settimo posto lo acquista addirittura la Juventus. In bianconero fallisce, ma resta comunque uno dei simboli di quello che è considerato l’Empoli più forte di sempre.

Che qualità davanti!

E poi l’attacco. Perché il 4-2-3-1? Beh, perché il potenziale offensivo di una top 11 dell’Empoli dell’era Corsi è talmente ampio che bisogna gettare in campo più attaccanti possibili e magari adattarli anche. Ecco perché in campo ci sono tre… trequartisti per modo di dire...

Tommaso Rocchi gioca all’Empoli dal 2001 al 2004, prima di prendersi di forza un posto nella storia della Lazio, diventando il sesto realizzatore di sempre ed un punto di riferimento a Formello. A proposito di bomber, impossibile escludere Antonio Di Natale, che con l’Udinese vince due volte il titolo di capocannoniere della Serie A. Ed è proprio dall’Empoli che i friulani lo acquistano nel 2004, dopo che i suoi gol sono valsi ai toscani una promozione e una salvezza.

L’unico trequartista…vero forse è Ciccio Tavano, che però sa segnare eccome, considerando che in carriera è stato capocannoniere della B, della C1 e della C2, anche se paradossalmente… mai con l’Empoli, nonostante nove stagioni al Castellani.

Tavano in azione con la maglia dell'Empoli!

In area di rigore ci va chiaramente Vincenzo Montella. L’Aeroplanino di Pomigliano d’Arco comincia il suo volo proprio al Castellani, prima di diventare uno degli attaccanti italiani più prolifici a cavallo tra i due millenni.

Duello in panca

In panchina? Complicata anche questa scelta, perché l’Empoli ha lanciato nel calcio che conta parecchi grandi tecnici. La scelta però dovrebbe ridursi a due, Maurizio Sarri e Luciano Spalletti (uno che volendo poteva finire anche in campo tra i centrocampisti di fosforo). E accanto a loro in panchina ci vanno per forza di cose altri grandi nomi.

Due tra i quattro terzini già nominati, ma anche, senza citare  il campione del mondo Luca Toni (una stagione da giovanissimo in Toscana), Massimo Maccarone (che finisce addirittura in nazionale nel 2002), Lorenzo Tonelli, Giovanni Di Lorenzo (ora titolarissimo al Napoli), Mark Bresciano, il regista Mirko Valdifiori o Piotr Zielinski, “squalificato” dall’undici titolare semplicemente perché mai di proprietà del club ma passato solo in prestito, così come Saponara, Bennacer, Krunic, Ciccio Caputo, Marchionni, Spinazzola, Abate, Brighi e tanti altri.

Insomma, negli ultimi trent’anni a Empoli di ottimi calciatori ne sono passati eccome. A dimostrazione che quando un club sa programmare, il successo non è mai aleatorio, come non è un caso che l'Empoli sia la favorita per le scommesse italiane per il ritorno in A!

*Le immagini all'interno dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

June 26, 2023
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Nicolas e Joao, campioni giovanissimi!

Si fa presto a dire “fenomeno”. Così come accade spesso, soprattutto nel calcio di oggi, di pagare cifre spropositate per ragazzi che a volte non sono neanche maggiorenni. Il Real Madrid ha speso oltre cento milioni di euro per tre talenti brasiliani (Vinicius, Rodrygo e Reinier), uno dei quali è stato già costretto a fare le valigie direzione Dortmund perché non c’erano slot per gli extracomunitari disponibili.

E a proposito di Borussia Dortmund, i tedeschi hanno speso quasi 30 milioni per l’inglese Jude Bellingham, che a 17 anni è costato molto di più di tanti colleghi più blasonati. Nessuno però batte João Félix, che poco prima di compiere vent’anni ha visto l’Atletico Madrid sborsare i 120 milioni della sua clausola rescissoria per strapparlo al Benfica.

Si fa anche presto però a dire che cose del genere prima non succedevano. E invece basterebbe guardare al 1999, proprio l’anno di nascita del portoghese, quando il Real Madrid paga 35 milioni di euro, all’epoca una cifra assai importante, all’Arsenal per acquistare Nicolas Anelka. Ed è impossibile non notare più di qualche similitudine tra i due casi. Così come parecchie differenze. Di uguale c’è… la destinazione, perché entrambi sono finiti a Madrid. E anche una storia abbastanza travagliata per quello che riguarda gli anni precedenti all’acquisto.

Tutto nasce da una valutazione sbagliata

Anelka nasce nelle giovanili del Paris Saint-Germain, ma l’occhio attento di Arsene Wenger ne coglie il talento. Quello che non fanno i parigini, che lo lasciano andare per appena 500mila sterline. L’alsaziano decide di dare una possibilità a quel centravanti che sembra trasformare ogni pallone in oro ed i Gunners passano alla cassa, nel vero senso del termine.

João Félix invece è addirittura protagonista di un tradimento: la squadra che lo cresce è il Porto, al punto che il classe 1999 passa ben sette anni nelle giovanili dei Dragoes. Che però non ci credono molto, al punto che lo lasciano andare ritenendo la sua costituzione troppo leggera per il calcio moderno. Un errore che fa la fortuna del Benfica.

Joao Felix con la maglia dell'Atletico!

Di simile ci sono anche le aspettative, che finiscono sulle spalle di due ragazzi appena ventenni. Anelka arriva al Real Madrid di Del Bosque, che punta di nuovo alla Champions League dopo quella vinta due anni prima da Heynckes. Paradossalmente, è proprio in Europa che il francese darà il suo meglio a Madrid, segnando gol decisivi per la conquista della nona Champions, tra cui una rete in finale contro il Valencia.

Di mezzo però ci sono parecchie bizze comportamentali, che a Madrid non apprezzano, al punto che viene multato dopo aver saltato gli allenamenti perché i compagni non festeggiavano i suoi gol. Anche João Félix ha addosso un peso non indifferente, quello di dover sostituire Antoine Griezmann.

I soldi ricevuti dall’Atletico per il Piccolo Diavolo finiscono…direttamente al Benfica, così come la maglia numero 7 e il posto da titolare accanto a Diego Costa nello scacchiere tattico di Simeone vanno subito al portoghese. Per entrambi, però, una prima stagione a Madrid in cui si poteva fare meglio. Anelka mette a referto 7 reti in 31 partite, João Félix ne gioca 36 e va a segno 9 volte.

Nicolas giramondo

A questo punto, le strade dei due divergono. Anelka lascia il Real, tornando al Paris Saint-Germain per 20 milioni di euro, dando il via al suo personalissimo giro del mondo che lo porterà di nuovo in Inghilterra (Liverpool e Manchester City, ma anche Bolton, Chelsea e West Bromwich), in Turchia (Fenerbahce), in Cina (Shanghai Shenhua), Italia (Juventus), Brasile (Atletico Mineiro) e India (Mumbai City), il tutto rigorosamente lasciando ovunque polemiche e casi da gestire. João Félix invece è rimasto all’Atletico, pronto a mettersi alla prova.

 

E la grande differenza tra i due forse è proprio qui, nella testa. Il portoghese sembra essere molto più in grado di gestirsi rispetto al transalpino, nonostante uno stipendio che definire da favola è poco. Per lui 13 milioni di euro lordi (quindi circa 7 netti), un’enormità rispetto a quello di Anelka al Real. Il francese guadagnava circa 10 miliardi di lire lordi, vale a dire 2,7 milioni di euro netti, che comunque per l’epoca erano corrispettivi importanti.

Ma ad aver cambiato Anelka è stata la fama ad una giovanissima età. L’ex centravanti ha spiegato più volte di essere sempre stato un ragazzo timido, ma che una volta che si è fatto la fama di bad boy non si è mai curato di smentire le storie che circolavano su di lui. Anzi, si è pian piano trasformato in quello che i giornali descrivevano. Un contrasto evidente con Joao Felix, che invece si vede poco in giro e preferisce (come molti della sua generazione) giocare ai videogiochi.

Felix pupillo di CR7

Un’altra grande differenza l’hanno però fatta i compagni, nel club e in nazionale. Anelka a Madrid si è trovato malissimo, anche perché aveva preso il posto di Raul facendo infuriare il clan degli spagnoli. E proprio una discussione con il tecnico e con i compagni lo ha portato a vedersi sospendere lo stipendio per 45 giorni, finendo nel contempo anche fuori rosa. Joao Felix sembra invece essersi integrato bene sia all’Atletico che nel Portogallo, dove studia da Cristiano Ronaldo, che pare avere una predilezione per il suo giovane connazionale.

Del resto, lo juventino è sempre stato l’idolo del Colchonero e se il classe 1999 riuscirà a prendere anche solo una minima parte dell’etica del lavoro del cinque volte Pallone d’Oro, quello dell’Atletico sarà stato un investimento importante, ma giustificato. Non si può certamente dire lo stesso dei soldi spesi dal Real Madrid, che sarà anche rientrato di parte della cifra spesa, ma che aveva puntato sul giocatore sbagliato.

Ma in fondo questo lo sa anche Anelka. Che, tanto per mettere in chiaro le cose, ha intitolato il docu-film a lui dedicato “L’incompreso”, come a dire che in fondo…non è stata colpa sua.

Portogallo e Francia assolute protagoniste anche per le scommesse online nel gruppo 3 di League A di Nations: chi arriverà alla fase finale?

Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo sono di J.F. Diorio e Manu Fernandez.

November 8, 2020
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Balotelli in Turchia!

Il calciomercato estivo 2020 non è stato anomalo solo per le date in cui si è sviluppato, da agosto fino al 5 ottobre.

Il primo ingaggio con l'Inter

Lo stipendio record di Super Mario a Liverpool

I contratti in Francia

Il "vitalizio" Puma da 50 milioni

Nei mesi di trattative che hanno portato sino in autunno, lo è stato anche perché, per la prima volta nella sua carriera, Mario Balotelli non ha trovato squadra, restando così svincolato dopo la disastrosa esperienza al Brescia, squadra della sua città. "Nemo propheta in patria" si dice. E neanche Super Mario è riuscito a sfuggire ai saggi.

Ma quella con le Rondinelle è stato un segmento così negativo per l'attaccante protagonista di Euro 2012, che nemmeno il procuratore tanto temuto Mino Raiola è riuscito a garantirgli un contratto, una continuità professionale. Sembrava fatta col Genoa del direttore sportivo Daniele Faggiano, ma poi - a quanto pare - sarebbe stato proprio il presidente dei rossoblù Enrico Preziosi a porre il veto sul giocatore.

Troppo rischioso per lo spogliatoio, per l'ambiente, meglio evitare incendi di sorta, ha pensato l'imprenditore dei giocattoli. E così Balotelli si è ritrovato a contare i soldi derivanti le ospitate al Grande Fratello Vip (dove suo fratello Enoch Barwuah è tra i concorrenti), non proprio edificanti tra sparate discutibili e atteggiamenti non esattamente lucidi.

Per il momento, evidentemente, a lui va bene così. E, a livello economico, certamente Balotelli ha guadagnato bene nell'arco della sua carriera da calciatore, specie quando era uno degli attaccanti più ambiti al mondo. Anche se questa è un'immagine che appare sempre più lontana.

Dal milione e mezzo con l'Inter...

Partiamo dall'inizio, ovvero da quando l'Inter lo notò al Lumezzane, si da quando, quel 2 aprile 2006, subentrò al 63' allo stadio Euganeo di Padova a Luca Paghera, poi bomber tra le formazioni dilettantistiche bresciane. Padova-Lumezzane finì 0-1 con gol di Emanuele Morini (scuola Roma ed ex Bolton), ma mister Valter Salvioni aveva già capito da tempo di avere tra le mani un prodigio, che sarebbe partito a momenti in direzione grande calcio.

Tra il 2008 e il 2010, da quando ovvero militò in pianta stabile nella prima squadra dell'Inter di José Mourinho, Balotelli cominciò a guadagnare un milione e mezzo di euro a stagione. Non male per un ragazzo che, all'epoca, avrebbe dovuto ancora soffiare sulle 20 candeline.

I rapporti coi tifosi nerazzurri si incrinarono dopo una sostituzione in Champions di "Mou" nella famosa partita casalinga contro il Barcellona nella semifinale di andata, in cui Mario, uscendo dal campo, lanciò a terra la maglia. "Io sono Balotelli e faccio quello che ho voglia" era il concetto che Super Mario veicolava continuamente ad ogni suo gesto.

Era certo di scatenare il mercato delle big e, poche settimane dopo, alla porta di Raiola bussò il Manchester City, che lo portò alla corte di Roberto Mancini per circa 30 milioni di euro e uno stipendio schizzato a 4 milioni a stagione.

Balo con la maglia del City

Due stagioni e mezza che costituiscono l'apice della sua carriera: dalla maglietta "Why always me" esibita dopo la doppietta nello storico derby vinto per 6-1 contro lo United (23 ottobre 2011), l'assist vincente del 3-2 a Sergio Agüero nella vittoria "drama" contro il QPR (quella del ritorno al titolo dei Citizens) e i gol alla Germania a Euro 2012 in maglia Azzurra.

...Ai 6 con la maglia del Liverpool

Nel gennaio 2013 torna in Italia, a Milano, ma sull'altra sponda del Naviglio: Galliani lo porta in rossonero per 20 milioni di euro e un ingaggio addirittura migliorato rispetto a quello che percepiva a Etihad: Balotelli al Milan venne messo sotto contratto per 4,5 milioni all'anno. L'acquisto sembra funzionare perché Super Mario trascina Massimiliano Allegri alla conquista del terzo posto Champions, indispensabile per le economie del Diavolo.

 

La stagione successiva, tuttavia, tornano le bizze caratteriali e, nonostante i 14 gol in Serie A, il 2013-2014 viene considerata un'annata negativa per Balotelli, ceduto in estate con diritto di riscatto al Liverpool per 20 milioni di euro, la stessa cifra di acquisto per Galliani.

Un'opzione che, però, i Reds non eserciteranno, spazientiti per i 6 milioni spesi per l'ingaggio (e con un prospetto di ben 5 stagioni) e una stagione totalmente fallimentare dell'attaccante italiano - preso per sostituire un certo Luis Suarez - alla corte di Brendan Rodgers, che proprio non lo sopporta. 

La Francia, il Brescia e la maxi offerta del Mengao

Nell'estate 2015 torna quindi clamorosamente al Milan, in una stagione fortemente caratterizzata di problemi di pubalgia. Arrivano quindi le stagioni in Francia, in cui sembra trovare "pace": coi rivieraschi percepisce 5 milioni a stagione, 3 durante il prestito all'Olympique Marsiglia.

Super Mario con la maglia del Marsiglia!

Si arriva a Brescia: Cellino lo porta al "Rigamonti" con un ingaggio da 1,5 milioni con la possibilità di arrivare a 4,5 al raggiungimento (non avvenuto) di certi obiettivi, rinunciando peraltro a un contratto faraonico coi brasiliani del Flamengo: il club rubronegro, infatti, in quella stagione protagonista di una clamorosa dupla per le scommesse sportive online Brasileirao e Libertadores gli aveva proposto la bellezza 10 milioni alla firma e poi 300mila euro al mese fino a dicembre 2020.

Vediamo cosa farà in Turchia!

Il "vitalizio" Puma da 50 milioni

Non solo, esiste anche un'altra, importantissima, voce nei guadagni di calciatori così in vista come Balotelli, ovvero quella relativa allo "sponsor tecnico": nei giorni immediatamente precedenti a Natale 2013, sotto lo slogan "Why always Puma", 'Bad Mario' firma un contratto di esclusiva col marchio tedesco che gli garantirà una somma complessiva di 50 milioni di euro nei successivi 10 anni. Un accordo (un vero e proprio vitalizio), quindi, ancora in essere.

Balo con la felpa Puma!

Nonostante gli scarpini chiodati hanno lasciato spazio alle pantofole.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.Prima pubblicazione 7 novembre 2020.

October 21, 2021
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Lo Zar infinito del calcio italiano: Pietro Vierchowod  

Per fortuna del calcio italiano, Ivan Lukjanovič Verchovod, soldato dell’Armata Rossa e padre di Pietro, decise di non tornare in patria ma restare in Italia dopo essere stato prigioniero (a Bolzano, Pisa e Modena) durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Fiero esponente della scuola italiana di difensori, tanto da essere uno degli ultimi che possono vantare di aver ricoperto il ruolo dello stopper, Pietro Vierchowod si è portato dietro durante tutta la sua carriera una peculiarità: ha vinto praticamente ovunque, e parliamo comunque di un calciatore che ha vestito addirittura 10 maglie diverse in 25 anni di carriera. A corredare tutto le 562 presenze in Serie A.

Vierchowod ha cominciato a farsi notare al Como in Serie C, campionato che vince con i lariani e successo che bissa successivamente con la serie cadetta, arrivando così nel palcoscenico della massima serie italiana. Dopo la Serie D con la Romanese, è praticamente così che inizia la serie di successi della glorioso carriera dello Zar di Calcinate. 

La base per arrivare alla Roma in prestito dalla Sampdoria e vincere lo scudetto nella stagione 1982 – 1983, ma non prima di vincere il Mondiale nella spedizione in Spagna nel 1982 (anche se non giocò mai a causa di un infortunio). 

Dopo i colori giallorossi, bandiera per 12 anni della Sampdoria, ovviamente quella squadra blucerchiata che portò a casa 4 Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e il magico scudetto con Vialli e Mancini. Ultimo dei trofei vinti? La Champions League con la Juventus nel ’96, un dettaglio non da poco. quasi un talismano dato che risulta ancora l’ultima messa in bacheca dai bianconeri. 

Il successo in Champions a Roma!

Non nascerà un altro Pietro Vierchowod. “Gli occhi di Pietro” potrebbe essere il titolo di un romanzo, o perché no proprio un almanacco del calcio dagli anni ’80 fino ai 2000. L’era in cui il difensore, con rigore e disciplina (tramandate dal padre), oltre a sano agonismo, ha rincorso i migliori giocatori di quel periodo storico di pallone. 
Ha marcato Van Basten e Ronaldo. Bettega e Boninsegna, ma anche Vieri, Inzaghi e Batistuta. 

Lo Zar e Pagliuca

Sempre con una costante, la capacità di intimidire tutti per stile e prepotenza fisica, ma propri tutti, compresi i compagni di squadra, tanto da anelare diverse litigate “pubbliche” con i compagni. 

Il testimone migliore di queste digressioni d Vierchowod? Beh, sicuramente Gianluca Pagliuca, portierone con il quale non sbocciò mai un rapporto di simpatia. Diversi gli episodi, come ad esempio l’uscita non perfetta in una partita contro il Foggia, replicata da un’uscita altrettanto imperfetta di Vierchowod alla stampa: “Il Pagliuca dell’anno scorso avrebbe parato quel gol”.

Un astio che pone le radici prima, in un Sampdoria – Lazio quando un’altra uscita indecisa di Pagliuca provoca la reazione del difensore che lo riprende in area ad alti decibel, con lo stesso Pagliuca che poi rincorse il collega agitando il pugno alzato. L’apice forse in Ungheria, in Coppa Campioni contro l’Honved (squadra che poi Pietro allenerà): dopo un regalo del portiere all’attaccante avversario, le tv ripresero la discussione animata dei due a fine partita, terminata a sorpresa per le scommesse calcio 2-1 per i padroni di casa.

L’era doriana con Bersellini in panchina ha impegnato il tecnico non solo sul campo o durante le partite. Bersellini ha dovuto fare i conti con le risse e i rapporti oltre i limiti del litigioso di Pietro prima con lo scozzese Souness e poi con Alessandro Renica, con il quale lo Zar arrivò letteralmente alle mani. Episodio che incrinò alcune logiche di spogliatoio e convinse Renica a cambiare aria, lontano da Genova.    

Pietro Vierchowod ha vestito la maglia numero 8 in Nazionale, quando la numerazione andava per ruoli ed in ordine alfabetico. Nelle sue contraddizioni e qualità, Vierchowod resterà un giocatore inimitabile, unico, non replicabile nel calcio contemporaneo. Un pezzo di storia del calcio, parola di chi di numeri 8 se ne intende.  


*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer; l'immagine di Massimo Sambucetti (AP Photo).

November 6, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Marco "Ball"inelli!

Al Beli nessuno ha mai regalato nulla. E' il fuoco che lo ha spinto. Andrea Bargnani lo racconta sempre. Da ragazzini erano grandi duelli tra loro. Bargnani ne metteva 25? Il Beli 35.
Bargnani ne sparava 35, il Beli rispondeva con 45. Come fosse il Cavaliere Nero del compianto Maestro Gigi Proietti.

Quel fuoco solo i veri campioni lo conoscono e lo riconoscono. E così fa un certo signor Manu Ginobili alla Virtus Bologna. che se lo coccola e lo cresce quel ragazzino arrivato appena quindicenne a giocare coi campioni. Si ritroveranno anni dopo agli Spurs per vincere insieme l'ultimo anello dei texani. Primo italiano a vincere il titolo NBA.

Marco Belinelli tante volte è stato il primo... e l'unico. Contro tutti i pronostici NBA è stato lui il primo italiano a trionfare negli USA, il primo tra i nostri a vincere la gara da 3 punti all'NBA All Star Game e... il primo a mostrare gli attributi in diretta nazionale in una gara dei Playoff quando giocava con i Bulls. Proprio quegli attributi, mostrati in trance agonistica a tutto il mondo, lo hanno portato dritto dritto alla corte di Re Popovich a San Antonio a vincere l'agognato tesssoro: l'Anello dei Campioni.

Sempre lui, sempre per primo, e finora unico purtroppo. Il Beli è un ragazzo serio, mai sopra le righe. Non se la tira mai, è il classico bravo ragazzo. 
Forse, in un ambiente iper competitivo come la NBA, dove tutti fanno a gara a mettersi in mostra, lui ha faticato più del dovuto a farsi una reputazione. Se andiamo a guardare i suoi guadagni lo capiamo ancora meglio. 

I guadagni in NBA

Il Beli in 13 anni di NBA ha guadagnato in totale 49 milioni di dollari... "poverino" direte voi mortali. Ma se paragoniamo i suoi guadagni ad esempio con Danilo Gallinari capiamo che probabilmente il suo valore non è mai stato riconosciuto fino in fondo.
Il Gallo quasi lo triplica coni suoi stratosferici 137 milioni guadagnati in 12 anni di carriera, ma lo passa anche Andrea Bargnani con 73 milioni nei suoi altalenanti e non altisonanti 10 anni di NBA. E' difficile paragonare i nostri paisà in NBA, Gallinari ha cifre e un hype nettamente superiore, ma in termini di peso, esperienza e capacità di vincere le partite Marco Belinelli è un vero figlio di Marte: un campione vero. 

 

L'ultima stagione è stato il 185° giocatore più pagato in assoluto, 85° guardia più pagata e il 6° più pagato dagli Spurs. Cifre che forse gli dovrebbero stare strette, ma il Beli sembra essere un tipo di giocatore più concentrato sul gioco e sul vincere titoli che sui contratti. Vincere sembra la sua unica ossessione in realtà.

Un dato molto interessante per capire meglio, e che tutti i giocatori da Playstation conoscono benissimo è il rating su NBA 2K. Belinelli negli ultimi anni viaggia tra il 71 e il 76. A quelle cifre è in compagnia di giocatori come Kyle Kuzma, Danny Green, Igoudala, Wesley Matthews e altri che guadagnano cifre stratosferiche se paragonate a quelle del Beli.

Last chance

Il contratto di Belinelli è finito con la bolla di Orlando di quest'anno. Dallo scorso Agosto Marco è diventato ufficialmente un free agent a caccia di contratto. A 34 anni molti hanno iniziato a pensare che fosse il momento di tornare a casa, magari in quella stellare Milano di coach Ettore Messina per provare a dare l'assalto all'Eurolega insieme all'amico Gigi Datome

Beli con la canotta degli Spurs!

Belinelli però ancora una volta ha deciso di fare le cose a modo suo, ha scelto la via più difficile. Come sempre, come i clamorosi 25 punti per le scommesse basket contro Miami nel 2018 alla prima partita di Philadelphia ai play off. Si vuole rimettere in gioco e provare a vincere ancora in America, vuole provare a strappare l'ultimo contratto in NBA, magari proprio ad una papabile contender per il titolo.
Alla pensione dorata in Europa ci penserà dopo.

Quanto pesa il Beli

Come dicevamo Marco Belinelli è forse rimasto ancora uguale a quel ragazzo umile da San Giovanni in Persiceto che giocava al campetto col fratello. 
Non ha mai scelto di perseguire i facili guadagni. Ha preferito in tutta la sua carriera le strade ardue, i contratti magari più leggeri, ma puntando forte e chiaro verso le situazioni vincenti.
Questa sua scelta ha pagato, e molto, per la sua reputazione e la sua immagine. E' un campione, puzza di Vincente. E i grandi brand se lo contendono.

La lista degli sponsor che lo scelgono per questa sua solidità è lunga e di grande livello.
Si passa dai brand di moda come Nike e Intimissimi, a brand del lusso come Gerald Charles orologi e Lamborghini fino alla Sprite. Anche Ubi Banca e addirittura il Tartufo bianco d'Alba lo hanno scelto come testimonial.

Il Beli però come sempre rimane un ragazzo d'oro e presta la sua immagine anche a campagne sociali di tutto rispetto come #Distanti ma Uniti, Maturiamo, Iomiproteggosempre. 

*Il testo dell'articolo è di Jacopo Manni; le immagini, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Eric Gay e Darren Abate.

November 6, 2020
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L'evoluzione della disposizione della barriera nel calcio

"Guardami! Guardami! Vai ancora... Ancora un po'... Due passi a sinistra e fermo li!" Scene tipiche da costruzione di una barriera, nel calcio.

Distanza in barriera

Il caso Ilunga  e le nuove regole

Il coccodrillo in barriera

Brozovic in barriera

Uno di quegli atti durante una partita che, per davvero, sono uguali a se stessi dalla Serie A alla Terza categoria. "Immagini che si possono sentire", in cui il portiere - più o meno ansiogeno a seconda delle circostanze - perde le corde vocali dando indicazioni al "primo" uomo di una schiera di altri compagni di squadre che dovrà garantirgli la giusta copertura, una sorta di scudo, in caso di calcio di punizione avversario. 

Gli urlacci e la tensione in campo

La barriera non trasmette pathos allo spettatore ma, assolutamente, è uno dei momenti più stressanti per chi vi è coinvolto. Istanti che sembrano non finire mai col timore, per chi è "telecomandato" dall'estremo difensore, di non esaudire con esattezza le indicazioni urlate da un uomo disperato a 15-20 metri di distanza.

Il bonus di benvenuto di 888sport!

Ed è così che, quando si sente l'eco del "Fermo!" o "Non muoverti!", si sa di aver fatto giusto.

Diversamente, in genere si viene apostrofati da espressioni scurrili dettate dal momento. E lì sono guai, perché significa non averci capito niente. Ma, si diceva, capita a tutti: dalle arene di Champions League ai campetti fangosi di provincia.

Distanza in barriera

Un calcio di punizione viene assegnato dopo che l'arbitro ha fischiato un'infrazione da un qualsiasi giocatore della squadra che ha subito il fallo. I calci di punizione fanno riferimento alla regola 13 del regolamento del gioco del calcio.

 

A quale distanza, a questo punto, la barriera deve posizionarsi dalla battuta del piazzato? Tutti i calciatori avversari devono stare almeno a 9,15 metri dal pallone.

La barriera del Real in Champions!

Non ci si può staccare, per "attaccare" prima della battuta dell'avversario, pena l'interruzione del gioco e, a discrezione dell'arbitro (che ragionerà, in questo caso, sull'atteggiamento più o meno recidivo del giocatore in barriera), il cartellino giallo.

Il caso Ilunga  e le nuove regole

A questo proposito, non si può non fare cenno a ciò che accadde al Mondiale di Germania 1974 in cui Joseph Mwepu Ilunga, difensore dello Zaire - prima nazionale africana a una competizione iridata - scattò dalla barriera e calciò con tutta forza la punizione che, invece, avrebbe dovuto battere il brasiliano Rivelino.

Scatenando l'ilarità generale, perché tutti attribuirono alla selezione di Kinshasa una scarsa conoscenza delle più basilari regole del pallone.

Dani Alves tenta di superare la barriera

 

Ilunga fu ovviamente ammonito, ma dietro il suo gesto non c'era nulla di spiritoso. Anzi. Si venne poi a sapere che il dittatore zairese minacciò di morte i giocatori se avessero perso con più di tre reti di scarto, e il giocatore sperò in questo modo - e ottenne - di salvare la propria vita e quella dei compagni.

Il Brasile, in quel momento della partita, stava conducendo proprio per 3 a 0. Barriera compatta, fitta, barriera sfilacciata, barriera che cambia, anche a seconda delle epoche calcistiche.

 

Dal 2019, infatti, c'è una regola in più, infatti, da rispettare. Su calcio punizione dal limite, i giocatori della squadra che batte non potranno più entrare direttamente in barriera al fine di esercitare azioni di disturbo. 

La "mossa del coccodrillo" (o della lucertola)

Certo, se si tratta invece della squadra che difende, i più attenti avranno certamente notato un trend sviluppatosi nell'ultimo anno e mezzo: se il portiere lo richiede, un compagno di squadra di movimento dovrà fare la "mossa del coccodrillo" o "mossa della lucertola".

In cosa consiste? In teoria, per fornire una spiegazione chiara, basterebbe fornire un nome. Anzi, un nome e un cognome: Lionel Messi.

La barriera della squadra Campione del Mondo

 

E' proprio la Pulce argentina, infatti, che si è inventata una particolare tecnica per sorprendere la barriera dal basso, anziché dall'alto con la classica traiettoria a giro.

In pratica Messi, fintando la parabola, sfrutta quel secondo sfuggevole in cui la barriera si alza in salto per contrastare la parabola aerea, per ingannarla dal basso, con un rasoterra che coglie impreparato anche la barriera.

 

Ovviamente, la leggenda argentina del Barcellona ha creato proseliti, in questo senso: per contrastare questa eventualità, un giocatore avversario andrà letteralmente a coricarsi alle spalle della barriera, posizionandosi proprio alla moda del coccodrillo (o di una lucertola), creando una sorta di cerniera di chiusura.

Da "Epic" Brozovic a Douglas Costa

Il primo a inventarsi questa mossa in barriera? Marcelo Brozovic durante un Barcellona-Inter di Champions nell'ottobre 2018. In realtà la punizione non la batté Messi (indisponibile e divertito in tribuna dall'accaduto), bensì Luis Suarez.

Una fragorosa risata la strappò, invece, più di recente, Douglas Costa in un Arminia Bielefeld-Bayern Monaco di Bundesliga, in cui l'ex Juve, deputato a "spalmarsi" a terra, non sapeva quale posa assumere a terra per evitare di essere colpito in faccia o nelle parti basse, decidendo all'ultimo istante di voltarsi e dare le spalle alla barriera.

Storie di calcio moderno con i bavaresi sempre favoriti per le scommesse calcio, che cambia, anche in uno dei momenti più classici di una partita...

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 4 novembre 2020.

 
March 29, 2023
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Il calcio hitech manda in pensione i DS

“Io vivo dentro il mio istinto, non vedo il pallone come un oggetto sferoidale, per me la palla è qualcosa, vivo il mio calcio, un calcio che non può essere freddamente rimportato alla statistica che descrive un giocatore”. Walter Sabatini si congedò così dalla Roma, in polemica con l’allora presidente James Pallotta.

Fra le ragioni dell’addio, dopo cinque anni fra alti e bassi, anche l’intenzione della proprietà americana di implementare la ricerca dei calciatori funzionali al progetto sportivo affidandosi alle nuove tecnologie, in particolare il machine learning.  Troppo per il diesse perugino che s’infuriò, pare, quando il software “consigliò” di sostituire Strootman con Magnanelli, il quale vantava in assoluto un maggior numero di passaggi riusciti. Ma a dispetto dei dirigenti della vecchia scuola l’innovazione sta conquistando spazi sempre più ampi nel calciomercato. 

Il "Modello"

Una delle realtà modello, sotto questo aspetto, è la danese Midtjylland, avversaria dell’Atalanta nel girone D della Champions League. Il club di Herning ha vinto dal 2015 tre degli ultimi sei campionati nazionali e nel 2020 ha finalmente superato il preliminare Champions, arrivando a disputare la fase a gironi della competizione. La sua fortuna? Un uso massivo dei big data per il mercato e per la stessa preparazione delle partite, misticamente chiamato “Il modello”. Gli impieghi sono molteplici.

E se sul fronte scouting non è ancora riuscito a scovare il nuovo Messi, da un punto di vista della gestione della partita ha portato più di un risultato. Prova ne è il fatto che Jurgen Klopp – un altro che ha spesso applicato il metodo scientifico agli allenamenti – nel 2018 abbia fatto carte false per assicurarsi la consulenza di Thomas Grønnemark, preparatore specializzato nelle rimesse laterali che lavora, non a caso, anche per il Midtjylland.

E così l’efficacia dei Reds di questa particolare situazione di gioco è passata 45,4% al 68,4%. Il Liverpool – che era fra le peggiori squadre di Premier sotto questo aspetto – è diventata la seconda in Europa, dietro proprio il Midtjylland: nel primo dei due scontri diretti, a sorpresa per le scommesse, i danesi sono riusciti a mantenere la porta inviolata per i primi 55' di gioco! 

Il mercato sul videogame

Nel campo dell’innovazione un ruolo di primo piano lo sta giocando Football Manager (Fm). Il videogame di Sport Interactive è un classico del calcio manageriale che negli anni si è evoluto a tal punto da diventare, grazie a una fitta rete di scouting, una vera e propria fonte cui attingere nella ricerca di giocatori. Il caso più noto è quello di Roberto Firmino, uno dei gioielli del Liverpool.

Le prestazioni sul videogioco dell’allora attaccante della Figueirense (seconda divisione brasiliana) attirarono l’attenzione degli osservatori dell’Hoffenheim, che se lo aggiudicarono per 4 milioni di euro. Dopo cinque stagioni e 49 gol in 153 partite in Bundesliga per Firmino arrivò l’occasione di sbarcare in Premier League. Il Liverpool vinse la concorrenza presentando ai dirigenti tedeschi un’offerta da 42 milioni più bonus.

Il resto è storia recente. Ad Anfield sinora il brasiliano ha disputato 252 gare e realizzato 79 reti, vincendo, da assoluto protagonista la prima Premier dei Reds, Champions, Supercoppa europea e Mondiale per club.

Più di recente il presidente il presidente del Tolosa (seconda divisione francese) ha annunciato di voler utilizzare proprio Fm per il mercato. “Non usiamo ancora Football Manager ma lo faremo – ha detto a “20Minutes”- Non sarà una base di reclutamento essenziale, ma aiuterà. Prendiamo Tottenham e Liverpool, finaliste della scorsa Champions League: queste sono costruite in base ai dati. Il Lipsia, semifinalista nell’ultima Champions, sta lavorando molto sui dati”. 

La "Bibbia"

Chi già gode di una riconosciuta autorevolezza è Transfermarkt. Il portale tedesco – ormai consultabile in diverse lingue – è diventato a tutti gli effetti una bibbia nel campo della valutazione dei calciatori in ottica mercato. Il costo dei calciatori non è aggiornato quotidianamente ma solo quando le campagne di trasferimenti entrano nel vivo o a seguito di un particolare evento.

“Ci affidiamo a molte variabili – ha spiegato il responsabile di Transfermarkt Spagna, Tobias Blaseio al “El Mundo”- quella più immediata è, ovviamente, il prezzo del suo ultimo trasferimento, ma poi bisogna analizzare età, ruolo, situazione del e nel club, il suo rendimento, l'integrità fisica, quanto interesse genera nel mercato, il prestigio internazionale, l'ingaggio e il suo potenziale di marketing. (…) ad esempio se un calciatore è seguito da squadre inglesi, il valore aumenta, per effetto del denaro che arriva dalle televisioni. Osserviamo tutte queste dinamiche e cerchiamo di adattare i valori di mercato”.  

*Il testo dell'articolo è stato curato con la collaborazione di Luca La Mantia; l'immagine è di Buda Mendes (AP Photo).

November 4, 2020
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