USA, il duello Trump-Biden: le simpatie sportive dei due candidati

Due candidati con un passato nello sport americano. Da una parte il Repubblicano Donald Trump, Presidente americano uscente, dall’altra il Democratico Joe Biden. Il primo ha un passato come prima base nel Baseball nella New York Military Academy, dove ha anche giocato a Basket, Football, Calcio, Bowling con qualche sporadica apparizione nel wrestling. 

Crescendo è diventato anche un praticante di Golf, sport del quale è grande appassionato. Dall’altra parte invece Joe Biden è stato un ottimo ricevitore ai tempi dell’High School, diventando uno dei giocatori di Football più seguiti a livello di High School. Biden poi ha giocato anche con la maglia dell’Università del Delaware, prima di dedicarsi poi agli studi di legge. 

Le passioni di Trump

Il Tycoon ha sempre seguito con interesse gli sport USA, con una grande passione per il Baseball. La franchigia maggiormente seguita da Donald Trump è di stanza a New York, e parliamo ovviamente degli Yankees. Uno dei marchi storici dello sport americano, capace di vincere per ben 27 volte le World Series (mai però sotto la Presidenza Trump, visto che gli Yankees non vincono dal 2009).

Non solo gli Yankees, Donald Trump segue con grande interesse anche i New York Mets, altra squadra di Baseball della Grande Mela. Nel 2011 si era addirittura parlato di un possibile acquisto della franchigia da parte di Donald Trump, viste le grosse difficoltà che vivevano i Mets in quel periodo. Per quanto riguarda la NBA, Trump ha spesso assistito alle partite dei Philadelphia 76ers.

La squadra della Pennsylvania è stata una delle più forti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, periodo in cui Trump ha seguito con costanza i Sixers. Come riportano vari siti americani, non ci sono prove evidenti del legame tra Trump e la squadra di Philadelphia, ma c’è anche un rapporto piuttosto recente con Allen Iverson che conferma questa passione del Tycoon per i Sixers.

Per quanto riguarda il Football Americano, Donald Trump ha cercato di acquistare una franchigia NFL alla quale è particolarmente legato. Si tratta dei Buffalo Bills, squadra che lo stesso Trump voleva acquistare nel 2014, in un periodo nel quale la compagine rischiava di cambiare città. La volontà del Tycoon era quella di riattivare la fan-base di Buffalo, mantenendo i Bills nella città dello stato di New York.

Trump prima di un incontro NCAA

Donald Trump è già stato il proprietario di una squadra di Football, anche se non della NFL. Si tratta dei New Jersey Generals, fondati nel 1982 dall’allora fondatore della USFL David Dixon. Trump divenne il primo proprietario, dopo aver pagato una quota iniziale con l’obiettivo di entrare direttamente in NFL. Non si concluse invece l'affare nel 1984 con i Colts, allora protagonisti in quel di Baltimore.

Lo sport per Biden

Meno affari economici per Joe Biden nel mondo dello sport, ma una grande passione emersa più volte. Nato a Scranton, in Pennsylvania, il candidato Democratico è molto legato alle squadre dello stato del nord-est degli Stati Uniti. Ad esempio nel 2017 è stato visto assistere a una partita della D-League, lega di sviluppo della NBA, dei Delaware 87ers, squadra “satellite” dei Philadelphia 76ers.

La grande passione di Joe Biden è però il Football Americano e in NFL, il Democratico tifa i Philadelphia Eagles. Gli Eagles sono una delle squadre storiche del mondo del Football, fondata nel 1931, da sempre nella NFL. Nonostante la storia, gli Eagles hanno sempre faticato e la vittoria del Superbowl stentava ad arrivare. Fino al 4 febbraio 2018, quando la squadra di Philadelphia è riuscita a battere, da sfavorita per le scommesse online i New England Patriots 41-33 allo U.S. Bank Stadium di Minneapolis.

In tribuna era presente anche il candidato Democratico Joe Biden, ripreso più volte anche nel postpartita a festeggiare nel campo insieme alla squadra allenata da Doug Peterson

*Le immagini dell'articolo sono di Matt Rourke (AP Photo).

November 3, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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D’Aversa e i suoi fratelli: allenatori e calciatori che hanno rinunciato ai troppi milioni 

Da ieri l’ex allenatore del Parma Roberto D’Aversa si è guadagnato l’ingresso di diritto nel club dei professionisti del calcio che hanno rinunciato a cifre economiche indefinibili, per non fare un passo indietro nella propria carriera.

D’Aversa, che da nemmeno 3 mesi era stato sollevato dall’incarico di allenatore del club emiliano per fare spazio al gioco e l’approccio più propositivi di Liverani, era stato contattato dagli egiziani del Pyramids per il ruolo di allenatore. L’offerta ammontava a 3 milioni di euro a stagione per un accordo triennale: 9 milioni di euro in tutto, una cifra che avrebbe fatto vacillare chiunque, non D’Aversa che ha deciso di attendere una chiamata in una delle Top 5 leghe europee. 

Ma chi sono i fratelli di D’Aversa? Allenatori e giocatori che non hanno fatto dei soldi una priorità nella modulazione delle proprie scelte professionali.

I soldi non sono tutto

Con un percorso più o meno simile è iniziata la leggenda di Arsene Wenger all’Arsenal. L’allenatore francese era emigrato in Giappone dopo essersi fatto notare sulla panchina del Monaco, in patria. Il Nagoya Grampus Eight lo aveva ingaggiato e per diversi mesi (18) fu amore vero: squadra presa al terzultimo posto e portata al secondo, nel mentre la vittoria della Coppa dell’Imperatore, una sorta di FA Cup nipponica. Ma i soldi non sono nel calcio quando c’è di mezzo l’ambizione deve aver pensato “Le Professeur” quando ha ricevuto la chiamata dell’Arsenal. Il resto della storia la conosciamo tutti. 

Abbiamo già nominato più volte la parola ambizione, termine che fa rima col giocatore più vincente del mondo del calcio: Dani Alves. Nel 2016 il terzino brasiliano ricevette un’offerta imbarazzante da un club cinese. Il brasiliano non ha voluto fare il nome della squadra ma ha spiegato che il club gli propose un contratto di 3 anni a 30 milioni di euro. Il più vincente sarebbe potuto diventare anche uno dei più pagati, tanto per chiudere il cerchio. Alves però non accettò decidendo di giocarsi ancora qualche chance nel calcio europeo, come fece poi in effetti con Juventus e Paris. 

Ma cosa sono 30 milioni se confrontati ai 48 per 4 anni di contratto offerti al croato, all’epoca attaccante della Fiorentina, Nikola Kalinic. Tra il 2016 e il 2017 Kalinic divenne un pallino di Fabio Cannavaro, allenatore del Tianjin Quanjian. Il club cinese era disposto a fare follie per l’attaccante, e la cifra proposta lo dimostra, questa volta non si sarebbe trattato di pura metafora da giornalismo di calciomercato. Kalinic rifiutò, forse, ma proprio forse, sbagliando visto il crollo successivo di prestazioni e prestigio di uno che quell’anno raffigurava tra i migliori centravanti d’Europa.  

Che giro di punte

Deve esserci una sorta di maledizione che parte ogni volta che un calciatore rifiuta l’offerta del già citato Tianjin Quanjian. Identica cosa successe a Carlos Bacca che è stato vicino al Tianjin. Cannavaro, evidentemente alla disperata ricerca di un attaccante, aveva messo sul piatto 12 milioni di Europa stagione per il colombiano e 30 per il club. Bacca rifiutò per portare il Milan in Europa e diventare Top attaccante della Serie A. Anche qui sappiamo come è andata a finire.  

Negli ultimi anni è sempre la Cina il soggetto e il Paese al centro di questo genere di trattative e guarda caso, ad avanzare le proposte ci sono sempre in mezzo tecnici italiani che al contrario di altri non hanno rifiutato l’elevato range di contratto, per certi versi proibitivo per i club europei. È il caso di Marcello Lippi e il Guangzhou.

Il club della Super League cinese mise sul piatto 18 milioni di euro netti a stagione al turco Arda Turan che rifiutò con garbo, all’epoca giocava, e neanche male, in un grande Barcellona: lo ricordiamo nell'assalto finale del clamoroso 6-1 per le scommesse sportive online rifilato al Paris!

Una menzione d’onore va però a uno dei primi giocatori che ci ha fatto conoscere che l’amore vince sempre, anche davanti ai miliardi. Il suo nome è Cristiano Lucarelli e la sua anima gemella si chiama Livorno. Per restare nel club toscano che è praticamente casa sua e portare la squadra in Serie A, Lucarelli rifiutò l’offerta dello Zenit da 3 milioni di euro a stagione (sarebbe un top ingaggio anche ora, figuriamoci nel 2006); l’anno dopo andò allo Shakhtar Donetsk, anche in quel caso un’offerta irrinunciabile. Ecco, magari una volta si può rifiutare, due anche no. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

November 3, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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I 5 calciatori più giovani a segnare in finale

Esaminiamo un particolare elenco di quelli che consideriamo i migliori giovani calciatori che sono riusciti a segnare in una finale di un torneo importante. Cinque atleti che sono storia del calcio o lo saranno a breve!

Kylian Mbappe
Pelé
Patrick Kluivert
Pietro Anastasi
Marco Asensio

Come è facile osservare negli ultimi mesi, giocatori come Ansu Fati,  Vinicius o Halaand stanno battendo record di precocità quando si tratta di segnare gol importanti per le loro squadre.

Ecco perché oggi abbiamo spostato l'attenzione su quali giovani calciatori sono riusciti a segnare gol importanti nelle finali e tra i più eccezionali abbiamo creato la nostra TOP-5 dei migliori giovani calciatori con un gol storico al loro attivo. Procediamo ad elencare la classifica dei calciatori più giovani a segnare gol importanti.


Kylian Mbappe

L'attaccante del Paris è naturalmente questa graduatoria di giovani meravigliosi! Mbappe, a soli 19 anni (19 anni e 226 giorni), ha segnato il quarto ed ultimo gol per la Francia contro la Croazia, nella finale del Mondiale in Russia che si è disputato allo Stadio Luzhniki, il 15 luglio 2018, la seconda Coppa del Mondo per la squadra francese, dopo il successo nell'edizione tranalpina!

Il gol di Mbappé gli è valso il record di marcatore europeo più giovane a segnare in una finale di Coppa del Mondo.

Inoltre, Mbappe è uno dei calciatori più giovani a segnare in una Coppa del Mondo. È curioso che quando la Francia ha celebrato la sua prima Coppa del Mondo nella storia nel 1998, Mbappé non fosse ancora nato.

Pelé

Pelé insieme a Diego è il miglior calciatore di tutti i tempi. Il mito di Edson Arantes do Nascimento, Pelé, iniziò a prendere forma durante i Mondiali in Svezia del 1958. Pelé segnò 6 gol durante i Mondiali in Svezia. Il suo primo gol è arrivato nei quarti di finale contro il Galles e ha stabilito il record di marcatore più giovane nella storia della Coppa del Mondo (17 anni e 249 giorni).

Seguirono una tripletta contro la Francia e, per finire, altri due gol nella finale contro la Svezia. Il Brasile ha vinto la prima delle sue 5 Coppe del Mondo (3 ai tempi di Pelé). In quella finale contro la Svezia, in cui il Brasile vinse 5-2 contro la squadra di casa, Pelé batté anche il record di marcatore più giovane della storia in una finale di Coppa del Mondo.

Patrick Kluivert

Patrick Kluivert con la sua rete nella finale di Champions League 1995 che ha visto affrontarsi Ajax e Milan, è diventato il più giovane marcatore in una finale di Champions League (18 anni e 327 giorni). Grazie al gol di Kluivert, lo storico club olandese è riuscito a porre fine ad una

astinenza che duravai 22 anni: la zampata a5' dal termine davanti a Seba Rossi ha raggelato quelle che allora erano le scommesse online, portando la “Coppa dalle grandi orecchie” ad Amsterdam.

Il futuro papà di Justin ha firmato per lo stesso Milan 2 anni dopo quella finale; il passaggio in rossonero non è stato decisamente brillante, e la tappa più memorabile del centravanti olandese si è svolta subito dopo, a Barcellona, dove Kluivert ha trascorso 6 stagioni e ha condiviso lo spogliatoio con numerosi connazionali come i fratelli De Boer e l'allenatore Louis Van Gaal.

 


Pietro Anastasi

Il nostro Pietro Anastasi detiene il record di marcatore più giovane in una finale di un Europeo. Italia e Jugoslavia si sono affrontate nella finale dell'Eurocup del 1968. Dopo aver pareggiato 1-1, due giorni dopo si è nuovamente ripetuta la finale e in quell'occasione l'Italia è riuscita a sconfiggere la Jugoslavia per 2-0. Anastasi ha segnato il secondo gol per gli "azzurri" al 31' e il punteggio non è più cambiato. La sua età: 20 anni e 64 giorni.

Quella Eurocup passerà alla storia con il lancio di una monetina per determinare il vincitore della semifinale tra Italia e URSS, terminata 0-0 dopo i tempi regolamentari e supplementari. A quel tempo non erano ancora stati ancora introdotti i calci di rigore per decretare il vincitore degli incontri ad eliminazione diretta finiti in parità.


Marco Asensio

Marco Asensio è il più giovane marcatore spagnolo in una finale di Champions League, avendo segnato nella finale del 2016/2017 che si è svolta a Cardiff e che è stata la dodicesima “Orejona” per il Real Madrid. Il gol di Marco Asensio è arrivato al 90' su cross da sinistra, portando il risultato ad un eccessivo 4-1 del Real Madrid sulla Juventus.

Con questo gol, Marco Asensio ha battuto il record di marcatore spagnolo più giovane in una finale dell'UCL, record detenuto dall’ex Real Madrid Raúl González conn 22 anni e 332 giorni (il giorno in cui il Real ha sconfitto il Valencia 3-0 e ha vinto l'ottava Coppa dei Campioni). L'età di Asensio in quel momento apice della sua carriera? 21 anni e 133 giorni.
 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Kirsty Wigglesworth (AP Photo).

November 2, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Il Bayern 2020 è la squadra più forte di sempre? 

C’è un Bayern Monaco pre-Flick e un Bayern Monaco post-Flick. L’arrivo sulla panchina dei bavaresi del tecnico tedesco ha rivoluzionato la squadra, portandola sul tetto del calcio europeo. Ad inizio 2019/2020 Lewandowski e compagni avevano fatto fatica, con Kovac in panchina sono arrivate 10 vittorie, 3 pareggi e 3 sconfitte in 16 gare ufficiali. Dal 3 novembre 2019, giorno in cui è arrivato Hans-Dieter Flick sulla panchina del Bayern, i bavaresi hanno chiuso la stagione più complicata della storia del calciocon 33 vittorie, 1 pareggio e due sconfitte.

Un’incredibile percentuale di vittorie del 92%, che sale ancor di più se si analizzano le partite giocate nel solo anno solare: infatti nel 2020, comprese anche le prime gare della stagione successiva, il Bayern ha ottenuto 33 vittorie, un pareggio e una sola sconfitta contro l’Hoffenheim nella seconda giornata di Bundesliga. Il 94% di vittorie per una squadra che avanza prepotentemente la sua candidatura a miglior squadra di sempre. 

I singoli

Se non bastano i numeri a rendere l'idea della portata dell'impresa, ma sono anche le prestazioni individuali e la qualità di tutti i reparti a disposizione di Flick. A cominciare dal fulcro del gioco bavarese, quel Robert Lewandowski che avrebbe meritato il Pallone d’Oro 2020. Il polacco dall’arrivo di Flick ha realizzato 45 gol in sole 39 partite disputate, e ad inizio 2020/2021 sta andando addirittura oltre i numeri incredibili della stagione precedente: dopo un inizio da record in Germania viene già messo in discussione il record di 40 gol in campionato realizzato da Gerd Muller nel 1971/72.

Alla straordinaria vena realizzativa del polacco va aggiunta la qualità di cui dispone il Bayern da centrocampo in avanti. La solidità che ha dato Kimmich giocando da secondo mediano a protezione della difesa nel 4-2-3-1 di Flick, la definitiva esplosione di Gnabry e la regia offensiva architettata da Thomas Muller, assist-man numero uno di questo Bayern.

 

La retroguardia ha mostrato qualche lacuna, soprattutto soffrendo le ripartenze avversarie, ma il ritorno ad altissimi livelli di Neuer, nuovamente nell’élite dei portieri mondiali, e l’esplosione di Alphonso Davies sulla fascia sinistra hanno dato solidità al reparto. 

Le altre grandi

La domanda però è una: questo Bayern è la squadra più forte di sempre? Per nomi probabilmente no. Analizzando le rose spiccano due squadre su tutte. La prima è il Barcellona del 2009 di Pep Guardiola, l’altra è il Manchester United del 1999 guidato da Sir Alex Ferguson.

Partiamo dai catalani, che al primo anno di Pep in panchina potevano contare su fuoriclasse già affermati come Puyol, Dani Alves, Xavi, Henry ed Eto’o. Guardiola riuscì a far esplodere il talento di Piqué, Busquets, Iniesta e soprattutto Leo Messi, al suo primo Pallone d’Oro al termine di quella stagione.

Lo United di Sir Alex aveva campioni in ogni reparto, dai fratelli Neville e Jaap Stam in difesa, la coppia di centrocampisti Keane-Scholes, la qualità di Beckham e Giggs sulle fasce e Teddy Sheringham davanti. Due squadre che per rose erano forse più forti di questo Bayern, ma i numeri danno ragione ai bavaresi di Hans-Dieter Flick.

Nessuno infatti è mai riuscito a registrare dati simili, mai una squadra ha chiuso una stagione vincendo oltre il 90% delle partite: ed anche quando va in svantaggio, come in Supercoppa contro il Siviglia, il Bayern è sempre l'opzione migliore per le scommesse live!

Il precedente record apparteneva sembra al Bayern, che nel 2013 vinse il Triplete ottenendo l’85% delle vittorie in stagione chiudendo con sole 3 sconfitte su 54 gare disputate. Il Barcellona di Pep Guardiola nel 2009 chiuse la stagione con 42 vittorie, 13 pareggi e 7 sconfitte (68% di vittorie). Per quanto riguarda i blaugrana, i numeri migliori sono stati registrati nell’ultimo Triplete, quello realizzato nel 2015. Con Luis Enrique in panchina il Barça vinse l’83% delle partite (50 vittorie, 4 pareggi e sei sconfitte).

Lo United di Ferguson nel 1999 perse pochissime partite (solamente 5 in 63 gare ufficiali), ma ha ottenuto 36 vittorie e ben 22 pareggi. Visti i nomi e la qualità della rosa, probabilmente questo Bayern Monaco non è la squadra più forte di sempre. I numeri però dicono che quella di Flick è la squadra più dominante di sempre, una squadra praticamente imbattibile che non ha rivali in Germania e in Europa ed è la nostra favorita per un clamoroso bis in Champions!

*L'immagine di apertura è di Laszlo Balogh (AP Photo). Prima pubblicazione 2 novembre 2020.

February 12, 2021
Ermanno Pansa
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Gli Insigne, "gli Hazard" italiani!

Quando nel match tra Benevento e Napoli del 25 ottobre 2020 ha fatto gol Insigne, i più attenti si saranno chiesti… sì, ma quale? Ottima domanda, perché sia Roberto che Lorenzo erano in campo e alla fine, per non fare torto a nessuno, hanno segnato entrambi.

Gli Insigne dunque si iscrivono in un club particolarmente ristretto, quello dei fratelli che sono andati in gol nella stessa partita, ma con maglie diverse. Già, perché altrimenti… sarebbe troppo semplice. Di coppie di fratelli che hanno giocato assieme ce ne sono tantissime, quindi è già accaduto che lo stesso cognome sia finito sul tabellino più volte, ma con una iniziale diversa. Ma che accada da entrambi i lati del match è una rarità.

Prima degli Insigne in Serie A era successo solamente ai fratelli Nyers, ma si parla di secondo dopoguerra. Istvan e Ferenc vanno entrambi a segno nel match tra Inter e Lazio del dicembre 1949. La sfida in famiglia la vince Istvan, considerando che i nerazzurri portano a casa il match per 2-1. E curiosamente, in campo ci sono altri due fratelli, ma stavolta dalla stessa parte della barricata: Sentimenti III e IV, ovvero Vittorio e Lucidio, entrambi con la maglia della Lazio.

Meno complicata la storia più recente, quella dei gemelli Ricci, che si tolgono la soddisfazione di andare entrambi in gol in Serie B. Protagonista di nuovo il Benevento, in cui gioca Federico, che accorcia le distanze contro lo Spezia di Matteo dopo la rete di suo fratello. Alla fine però si impongono i liguri.

Fratelli celebri

I grandi specialisti però sono i fratelli Ayew, in grado di segnare da avversari per ben due volte e in due nazioni diverse. Il primo caso è in Francia, quando Jordan gioca al Lorient e Andrè al Marsiglia di Bielsa. Finisce 5-3 per i bretoni con doppietta dell’attaccante, che si prende anche una bella rivincita nei confronti della sua ex squadra. E a poco serve la rete di suo fratello per evitare il tracollo dell’OM.

Tempo una stagione ed entrambi i figli di Abedi Pelè si spostano in Inghilterra. Andrè si accasa allo Swansea, mentre Jordan opta per l’Aston Villa. E quando le due squadre si affrontano, sono di nuovo scintille. Stavolta però vince Andrè, che segna la rete decisiva per i Villans dopo che suo fratello aveva aperto la partita per i gallesi.

Molto più semplice, dunque, che si segni assieme piuttosto che contro. Gli esempi sono tantissimi, tra club e nazionale. Anche in questo caso spuntano gli Ayew, che con il Ghana finiscono sul tabellino in coppia per ben due volte.

È accaduto, naturalmente, anche ai Laudrup, agli Hazard e ai gemelli de Boer. A proposito di gemelli, impossibile dimenticare il derby tra Palermo e Catania nel 2004: i rosanero vincono 5-0 e i gemelli Filippini scelgono il giorno giusto per realizzare per la prima volta una rete nella stessa partita. Antonio apre le marcature al settimo minuto, Emanuele firma il 4-0, per una gioia amplificata dalla vittoria nel match più sentito dalla tifoseria!

E poi c’è chi con suo fratello ci ha anche vinto i mondiali. È il caso dei Charlton, che in carriera sono sempre stati costretti a giocare contro (Manchester United per Bobby e Leeds per Jack), ma che si sono ritrovati assieme nel momento più importante della storia del calcio inglese, quando i Tre Leoni battono la Germania Ovest nel 1966.

Dodici anni prima, però, era toccato propri a due tedeschi essere i primi fratelli iridati. Il capitano della Mannschaft che solleva la coppa a Berna è Fritz Walter, che accanto ha suo fratello Ottmar, autore di quattro reti durante il mondiale del 1954. I due, al contrario dei Charlton, sono inseparabili e in carriera vestono praticamente sempre la maglia del Kaiserslautern.

Agli Europei è invece il turno dei Koeman, Ronald ed Erwin, entrambi in campo nella finalissima vinta contro l’URSS dell’edizione 1988. Va diversamente invece ai Laudrup, perché quando la Danimarca vince clamorosamente per le scommesse sportive Euro 1992 dopo essere stata ripescata, in campo c’è solo Brian. Entrambi i fratelli, come ci racconta lo straordinario contenuto video su Netflix, avevano avuto discussioni con il CT Møller Nielsen, ma solo il più giovane decide di seppellire l’ascia di guerra e di volare in Svezia.

Papà e figlio

Ma se tra fratelli è possibile giocare, segnare e vincere assieme, è un po’ più complicato farlo tra padre e figlio. Eppure nulla è impossibile se ci si chiama Rivaldo. Il Pallone d’Oro 1999 ha coronato il suo sogno di giocare assieme al suo erede, Rivaldinho. I due hanno vestito la maglia del Mogi Mirim, club che è stato di proprietà del campione brasiliano, e sono riusciti ad andare a segno nella vittoria contro il Macaè nel luglio 2015.

Un’impresa che permette a Rivaldo di avere…qualcosa di più di cui vantarsi rispetto ad altri colleghi come Henrik Larsson (che gioca assieme a suo figlio Jordan nell’Högaborg), Eidur Gudjohnsen (che debutta in nazionale islandese… sostituendo papà Arnor) e Walter Pandiani (che fa coppia in campo con suo figlio Nico nel Miramar). Ma se non contano i gol, vince certamente il signor Aleksej Eremenko, che prima nel 2002 gioca assieme ad Aleksej junior e poi nel 2003 anche con Roman.

E peccato che Sergei sia nato nel 1999, altrimenti Eremenko senior…era a rischio tripletta!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Hassan Ammar (AP Photo).

November 2, 2020
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Alvaro Morata ed i gol in... fuorigioco!

Il fuorigioco, come si suol dire, non è un’opinione ma un dato di fatto. Le variazioni alla regola sono state tantissime, ma un concetto resta comune: di un centimetro o di un metro, chi è in offside deve essere punito. Non c’è un criterio di soggettività e soprattutto, con l’avvento della VAR, non c’è più margine di errore sulla posizione.

Si può discutere sull’interferenza o no di un calciatore all’interno dell’azione incriminata, ma non sul fatto che sia in fuorigioco o no. Sugli schermi vengono tracciate linee, rivisti fotogrammi e il responso è definitivo, nonostante certe lentezze nella ricerca della prospettiva migliore.

Un bel cambiamento rispetto ai tempi in cui i guardalinee dovevano verificare in diretta se ci fosse “luce” tra attaccante o difensore e soprattutto non si poteva tornare indietro sulle decisioni, non essendoci l'ausilio del video. I vecchi gol in fuorigioco, per quanto contestati, rimanevano validi. Quelli di oggi vengono annullati (il che naturalmente non cancella comunque le polemiche).

Al... Var Morata

Il caso di scuola del 2020 è naturalmente quello di Alvaro Morata, che nella partita della Juventus contro il Barcellona, dopo simili delusioni contro Crotone e Verona, ha segnato tre volte. O almeno avrebbe, se non fosse che tutte e tre le reti sono state annullate per fuorigioco, con l’ultima in cui, tanto per non farsi mancare nulla, c’era anche un fallo di mano susseguente all’offside. 

Righello alla mano, come avrebbero fatto negli anni Ottanta Viola e Boniperti, tutto giusto. Lo spagnolo è sempre qualche centimetro avanti al suo marcatore, anche se il secondo gol annullato qualche dubbio all’inizio lo crea. Il centravanti bianconero è infatti evidentemente indietro con il corpo rispetto all’avversario, ma gli sfugge in fuorigioco… un tallone. Quanto basta, perché la regola parla di parti del corpo con cui è possibile segnare, quindi anche l’estremità posteriore del piede può finire in offside. 

I "primati" del Sassuolo

Un record, quello del centravanti della Juventus, che sembra imbattibile e forse lo è, ma in Champions League. Già all’inizio della stagione 2020/2021, la Serie A aveva infatti offerto una tripletta… annullata. Ciccio Caputo, attaccante del Sassuolo si vede annullare ben tre marcature alla seconda giornata contro lo Spezia. E anche in questo caso, il motivo è sempre lo stesso: posizione irregolare. Evidentemente però la squadra neroverde, che in ogni caso sul neutro di Cesena vince comunque 1-4, ha uno strano…abbonamento, perché nella stagione precedente è stata protagonista di un’altra storia molto simile.

Contro il Napoli, prima dello spettacolare 0-2 clamoroso per le scommesse online datato 1 novembre 2020, infatti i gol annullati per offside alla squadra di De Zerbi, formano addirittura un bel poker e costano la sconfitta (2-0) agli emiliani. Prima Djuricic, poi il solito Caputo, che evidentemente ha un conto in sospeso con la categoria dei guardalinee, e poi Berardi (per due volte) si vedono strozzata in gola la gioia della marcatura. Una tristezza per chi ama le emozioni che il calcio sa donare, certo, ma le regole sono regole.

E ci si chiede, assieme a questa evoluzione, cosa ne sarebbe stato di bomber del passato che vivevano in pratica sul filo del fuorigioco. Pippo Inzaghi, hanno chiosato in molti, avrebbe segnato la metà dei gol. Così come Montella, Trezeguet e chissà quanti altri, che avevano fatto della capacità di prendere in controtempo la difesa avversaria un proprio punto di forza.

Vero, ma quante reti questi cecchini dell’area di rigore si sono visti annullare per un fuorigioco che, rivisto al VAR, sarebbe risultato inesistente? E soprattutto, come sarebbe cambiata la storia del pallone se alcuni gol annullati fossero stati convalidati, o viceversa? Anche senza scomodare Turone e il celebre gol di quasi quarant’anni fa che ha deciso un campionato, si può pensare al match che ha creato la leggenda di Mourinho.

In Manchester United-Porto del 2004, i Red Devils stanno vincendo 1-0 (e passerebbero il turno), quando Scholes raddoppia, ma il guardalinee non è d’accordo. Peccato che si sbagli, al replay l’inglese è nettamente in gioco. E alla fine il Porto si qualifica (e vincerà la Champions) pareggiando all’ultimo minuto. Con la VAR, sarebbe stata un’altra storia. E le regole sarebbero state rispettate, con buona pace di qualsiasi polemica. 

Insomma, le cose che la tecnologia nel calcio sembra aver risolto arrivano tutte da valutazioni incontestabili. La Goal Line Technology ha finalmente risolto l’annoso problema dei gol fantasma, mentre la VAR ha eliminato la possibilità di segnare in fuorigioco o a seguito di un offside. Ma persino questo non va bene a tutti.

Sulla scia del match tra Juventus e Barcellona, è nata una polemica sui centimetri e sulla possibilità di una certa tolleranza da parte di chi deve valutare davanti allo schermo. E ci si è messo anche il presidente della UEFA Ceferin, esprimendo dubbi sul fatto che un fuorigioco di un centimetro debba effettivamente essere sanzionato. Un centimetro però nel calcio può cambiare molte cose. Un pallone entrato o non entrato di un centimetro rappresenta la differenza tra una vittoria o una sconfitta.

E anche un centimetro dentro o fuori area significa rigore o calcio di punizione. Dunque, la divisione è fatta: rigidità contro permissività. Ma se le regole sono regole…

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

November 1, 2020
Ermanno Pansa
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NFL, Prater e gli altri: i field goal più lunghi della storia

A tre punti dall’overtime, a qualche centimetro dalla storia. I Carolina Panthers sono andati vicinissimo al portare la sfida contro i Saints di domenica 25 ottobre 2020 al supplementare. Chi poteva scrivere la storia è Joey Slye, kicker al secondo anno dei Panthers. Carolina era sotto 27-24 con due minuti da giocare, quarto e dieci nel territorio dei Saints.

Justin Tucker da 66 yard

Il record l'ha superato Justin Tucker dei Baltimore Ravens nell'ultima domenica di settembre 2021: 66 yard contro i Lions!

Il coach dei Panthers Matt Rhule decide di mandare in campo il suo kicker per tentare un field goal dalle 65 yard. Il calcio di Slye è quasi perfetto, dritto al centro dei pali ma rimane corto per centimetri e i Saints portano a casa il loro successo. Slye ha insidiato il record detenuto da Matt Prater, attuale kicker dei Detroit Lions, realizzato nel 2013 quando vestiva la maglia dei Denver Broncos. 

Il record

Week 14, i Denver Broncos di Peyton Manning hanno un record di 10 vittorie e due sconfitte, il loro obiettivo è quello di certificare il pass per la postseason e guadagnare il turno di riposo alla prima settimana di playoff. Per evitare “the Wild Card Game” servono almeno due vittorie nelle ultime quattro settimane. L’otto dicembre i Broncos hanno un’occasione ghiotta in casa contro i Tennessee Titans, che arrivano a Denver con un record di 5 vittorie e 7 sconfitte.

Guidati da Ryan Fitzpatrick, i Titans vanno alla disperata ricerca di una vittoria per mantenere vive le residue speranze di playoff. Denver soffre nel primo tempo e si ritrova sotto 21-17 poco prima dell’intervallo. Nell’ultima azione del primo tempo, Matt Prater mette a segno il field goal del -1 da 64 yard, accorciando il risultato sul 21-20. Nella ripresa Denver dilaga, vincendo 31-7 il secondo tempo e chiudendo con il risultato di 51-28 ottenendo così l’undicesima vittoria stagionale.

I Broncos di Manning e Prater vinsero poi la AFC, arrivando così al Superbowl dove però furono sconfitti dai Seattle Seahawks di Russell Wilson. 

Il precedente primato

Prima del 2013, il record era di 63 yard, e ben 6 kicker sono riusciti a segnare da questa distanza. Il primo fu Tom Dempsey, nel lontano 1970. Veterano con undici stagioni in NFL, il kicker dei Saints fu il protagonista della sorprendente vittoria di New Orleans in casa contro i Lions. Detroit arrivò in Louisiana con un record di 5 vittorie e 2 sconfitte, mentre i Saints avevano ottenuto una vittoria, 5 sconfitte e un pareggio nelle prime sette partite.

Dempsey realizzò tre field goal nei primi tre quarti, ma il più importante arrivò nell’ultima azione della partita. Con i Lions avanti 17-16, New Orleans fu costretta a tentare un clamoroso calcio anche per le scommesse online dalle 63 yard per vincere la partita e Dempsey regalò il successo ai Saints. Il kicker è venuto a mancare ad aprile 2020 all’età di 73 anni. 

Chi l'ha eguagliato

Il primo ad eguagliare Dempsey fu Jason Elam, quasi trent’anni dopo. Partita della settimana a Denver tra i Broncos (6-0) e i Jacksonville Jaguars (5-1). Dopo tre touchdown realizzati nel secondo quarto, Denver è avanti 24-10 prima dell’ultima giocata del primo tempo. Elam mette a segno un field goal da 63 yard per mettere 17 punti di distacco tra le due squadre, in una partita vinta da Denver 37-24. I Broncos vinceranno poi il 33esimo Superbowl a fine stagione battendo gli Atlanta Falcons.

Nella prima partita della stagione 2011, il kicker degli Oakland Raiders Sebastian Janikowski realizza un field goal da 63 yard contro i Broncos a Denver. Il field goal sarà decisivo nel successo per 23-20 di Oakland, con i Raiders che finiranno la stagione con otto vittorie e otto sconfitte mancando di un soffio i playoff.

Opening night della stagione successiva, nel 2012, e nuovo field goal a segno da 63 yard. Questa volta a realizzarlo è David Akers, kicker dei San Francisco 49ers contro i Packers. Al Lambeau Field di Green Bay San Francisco vince 30-22, in un match che poi si ripeterà anche nei playoff ma questa volta in California. Saranno nuovamente i Niners a vincere, guidati da Colin Kaepernick, in una postseason che li ha visti arrivare fino al Superbowl, dove sono stati sconfitti per 34-31 dai Baltimore Ravens.

Nel 2018 anche Graham Gano ha realizzato un field goal da 63 yard, nella quinta settimana nel match tra Panthers e Giants a Carolina. Dopo un touchdown di Eli Manning, Newton e compagni sono sotto 31-30 con un minuto e 5 secondi da giocare. L’attacco dei Panthers riesce a guadagnare le yard sufficienti per permettere a Gano di tentare il field goal della vittoria da 63 yard. Calcio in mezzo ai pali e successo 33-31 per Carolina, che però finirà la stagione con 7 vittorie e 9 sconfitte mancando così i playoff.

L’ultimo kicker a segnare un field goal da 63 yard è stato Brett Maher nella scorsa stagione. Sunday Night Football all’AT&T Stadium di Dallas, dove i Cowboys ospitano i Philadelphia Eagles. Nella sfida tra due squadre della NFC East, Dallas parte fortissimo e prima dell’intervallo è avanti 24-7. Prescott e compagni vogliono segnare altri punti, e nell’ultima azione del primo tempo Brett Maher tenta il calcio dalle 63 yard.

“The kick is good”, Cowboys avanti 27-7 all’intervallo e partita che si chiuderà sul 37-10 per Dallas. A fine stagione però saranno gli Eagles a vincere la NFC East e ad andare ai playoff, mentre i Cowboys non parteciperanno alla postseason chiudendo la stagione con otto vittorie e otto sconfitte. 
 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Butch Dill (AP Photo).

September 28, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Antiche passioni e giovani sfide - Si accende il derby della Lanterna

Da una parte la squadra più antica d’Italia, dall’altra la più giovane. Il derby oppone due mondi differenti, generati dal ventre della stessa madre: un porto scorbutico - in apparenza inaccogliente - che nasconde una passione calcistica secolare.

E’ qui - sotto la Lanterna - che i portuali inglesi educarono al football i camalli, è qui che il football è diventato calcio, tra una nave da scaricare e un’altra da caricare, intenti a rincorrere una palla sulla banchina del porto. Nel 1898 per la prima volta viene assegnato lo scudetto: si gioca a Torino, in un solo giorno: e come ti sbagli? Lo vincono loro, quelli “con quella faccia un po’ così… quell’espressione un po’ così”.

Genova per noi ha il sorriso sornione di Vujadin Boskov e i riccioli di Luca Vialli, il volto umile di Osvaldo Bagnoli e la furbizia latina di Pato Aguilera, la signorilità di Paolo Mantovani e l’esuberanza di Aldo Spinelli, il talento di Roberto Mancini e il cinismo di Diego Milito.

E ogni volta ci chiediamo
Se quel posto dove andiamo
Non c'inghiotte, e non torniamo più
”.

La passione per il calcio inghiotte tutti, da Nervi a Sampierdarena, infilandosi tra i carruggi, scendendo fino a Boccadasse, specchiandosi nel mare che si muove anche di notte, non sta fermo mai.

Genova ha i giorni tutti uguali, ma quel 3 novembre 1946 fu un po’ diverso dagli altri: il nuovo derby si presenta in punta di piedi - quasi inaspettato - dopo una guerra che non aveva annichilito le velleità degli sportivi; le casacche rossoblù sono impolverate, la nobile decaduta - avversa al nuovo sodalizio - vanta i favori del pronostico per quelle che 50 anni dopo diveranno le scommesse online.

 

Dall’altra parte c’è la Sampdoria, nata nell’agosto precedente dalla fusione tra i bianco-blu dell’Andrea Doria e i rossoneri della Sampierdarenese; per non far torto a nessuno, sulla nuova maglia sono presenti tutti i colori sociali delle due società: blucerchiati, con lo scudo in mezzo al petto raffigurante la croce di San Giorgio, vessillo della Repubblica marinara genovese. La casacca diverrà una delle più belle al mondo, inimitabile, sempre uguale a sé stessa: del resto, un capolavoro simile, come puoi cambiarlo?

L’altra maglia non è da meno, la scelta cromatica è una dedica alla patria del football, i colori sono la rappresentazione della Union Jack: la casacca è composta dal rosso granata e dal blu scuro - disposti a quarti - col rosso a destra e il blu a sinistra e il bianco relegato ai soli risvolti.

Il legame con l’Inghilterra era già stato sancito nei primi mesi di vita, quando la sezione calcio del Genoa Cricket and Football Club si staccò cromaticamente dalla sezione cricket che aveva rigorosamente optato per una maglia bianca: inizialmente, al candore della casacca vennero aggiunte delle righe verticali azzurre in onore dello Sheffield Wednesday, primo club della storia del calcio.

Allo stadio Luigi Ferraris, in quel grigio pomeriggio di novembre del 1946, arriva un risultato del tutto inaspettato: Sampdoria-Genoa 3-0. L’exploit dei dei doriani porta la firma di Baldini, Frugali e Fiorini; Giuseppe Baldini è il primo goleador del derby “moderno” della Lanterna, ha già segnato al Genoa con la maglia dell’Andrea Doria, segnerà ancora - con la maglia del Genoa - alla Sampdoria: è l’unico giocatore nella storia del calcio italiano ad aver segnato nello stesso derby con tre maglie diverse.

La squadra rossoblù si specchia nel passato, quella blucerchiata si proietta verso il futuro; nel derby di ritorno la Sampdoria vince ancora, ed è cosa assai rara; in futuro accadrà soltanto altre quattro volte in casa doriana, e tre in casa rossoblù.

E’ l’alternanza di risultati a farla da padrone, un’altalena di emozioni che coinvolge l’intera città. Il derby di Genova è la partita che indirizza una stagione, più che a Milano, Roma o Torino, una sfida che spesso mette in palio la categoria; nel 1951 e nel 1960 i successi della Sampdoria sono mortiferi per i dirimpettai che scendono in Serie B. A volte non basta vincere i due derby per raggiungere la salvezza, a volte non basta vincere lo scudetto per essere i padroni della città.

Gli anni settanta sono caratterizzati dai gol di Roberto Pruzzo che fa impazzire la Gradinata Nord, dall’altra parte timbra sempre Roselli. Le due squadre prendono spesso l’ascensore: salgono e scendono, ma il derby resta derby.

La stracittadina nei '90

All’inizio degli anni ’90 il derby vive il momento più alto; da una parte ci sono Vialli e Mancini, e una Sampdoria destinata a stupire il mondo, dall’altra c’è il Genoa con Aguilera e Skuhravý. Anche Marassi si è rifatto il trucco grazie ai contributi per i Mondiali di calcio: il Ferraris assume le sembianze di uno stadio inglese, è un'arena meravigliosa all’interno della quale le due squadre riescono a ottenere i migliori risultati del dopo guerra.

“Il mio cane gioca meglio di Perdomo”. E in effetti Boskov non ha tutti i torti: la Samp vince entrambi i derby del campionato 1989/90. L’anno dopo arriva anche lo scudetto, ma i padroni di Genova hanno la maglia rossoblù: segna Eranio, pareggia Vialli, ma a un quarto d’ora dal termine Branco incastra la palla all’incrocio dei pali.

La grande stagione delle due squadre genovesi sembra l’alba di un nuovo giorno, ma il derby - a poco a poco - torna essere un evento saltuario. L’altalena ricomincia, le sfide in Serie A sono meno frequenti, e quando il derby riapre il sipario sul palcoscenico principale, si tinge di blucerchiato grazie a un gol di Maggio.

La gioia doriana dura poco, nella stagione seguente arriva il Principe Milito a ristabilire le gerarchie cittadine. Il campo non sempre regala partite memorabili, mentre le due Gradinate sono sempre all’altezza della situazione. La Sampdoria arranca, e il Genoa le dà il colpo di grazia: siamo nel maggio del 2011, un gol di Boselli condanna i blucherchiati alla retrocessione.

Il tempo di risalire, ed è di nuovo festa Samp, con un gol dell’esordiente Icardi che chiude una partita solo in parte riaperta da Ciro Immobile. Il trionfo del Grifone arriva nel 2013: l’allievo supera il maestro, quando l’esordiente Liverani batte, da sfavorito per le quote calcio serie A il suo ex tecnico Delio Rossi.

L’exploit si ripete nel 2016, per un tripudio rossoblù: ma per i successivi quattro anni e due mesi la Samp la farà quasi da padrone: cinque vittorie e due pareggi. Fino all’ultima sfida nell'estate 2020, fino al gol di Lerager che - in piena estate - condanna i doriani alla sconfitta.

Genova per noi, è un tripudio indefinito, un mare di passione e un derby all’infinito.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Tano Pecoraro (AP Photo).
 

November 1, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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L’affare Batistuta tra Roma e Fiorentina

Corre l’anno giubilare 2000. È fine maggio. La Lazio è appena diventata campione d’Italia. La capitale è spaccata: da un lato i tifosi biancocelesti, ebbri di gioia; dall’altra quelli giallorossi, esasperati per aver visto trionfare i cugini dopo anni di promesse di gloria disattese. In questo chiaroscuro di emozioni irrompe il presidente Franco Sensi. Un martedì mattina i giornali aprono con una notizia bomba: «Batistuta è della Roma. Affare da 110 miliardi».

Altro che Bartelt e Fabio Junior, l’estroso patron romanista ha deciso di fare sul serio acquistando quel centravanti che davvero sposta gli equilibri di una squadra. Folta chioma e insaziabile voracità di gol, il “Re Leone” è colui che guiderà la Lupa alla conquista dell’agognato tricolore.

La concorrenza

Ma per far sbarcare Batistuta a Trigoria Sensi sostiene un titanico esborso. Sono anni che il nome del centravanti della Fiorentina viene accostato ai club italiani e non solo con maggiori potenzialità economiche. Lo cercano Real Madrid, Manchester United e Milan, come lui stesso ammetterà dopo il ritiro. Ci provano anche Massimo Moratti e Sergio Cragnotti, con il direttore sportivo della Lazio Nello Governato che tenta una asfissiante corte nei confronti di Cecchi Gori. Nulla di fatto.

Per far muovere Batistuta dalla “sua” Firenze, dove è più di un semplice idolo, serve una quantità di denaro immensa. Le richieste della Fiorentina fanno paura persino a società solitamente rapide a metter mano al libretto degli assegni. Stavolta il colpo lo fa un outsider degli affari top qual è Franco Sensi. Sia chiaro, in anni di presidenza non ha certo lesinato, ma mai aveva messo sul piatto una cifra così alta per un solo giocatore battendo l’agguerrita concorrenza.

 

Le cifre dell’affare

Poche ore prima dell’annuncio ufficiale, è lo stesso Cragnotti a concedere l’onore delle armi al collega romanista. «Lo lascio a Sensi», dice il presidente della Lazio. Batistuta passa dalla Fiorentina alla Roma per la cifra monstre di 70 miliardi delle vecchie lire, l’acquisto più costoso della storia del club capitolino, da poco quotato a Piazza Affari. Ma i soldi pagati a Cecchi Gori non bastano. Sensi deve compiere un ulteriore sacrificio per convincere il calciatore ad accettare la Roma rifiutando le sirene di squadre apparentemente più competitive.

E così all’argentino viene garantito un ingaggio lordo da 14,8 miliardi di lire a stagione per tre anni: oltre 44 miliardi complessivi. Il totale della spesa sostenuta dalla Roma si aggira dunque attorno a 110 miliardi. Al cambio di 1.936,27 lire per 1 euro, la cifra equivale a più di 56 milioni di euro. Nelle casse della Fiorentina, sempre secondo lo stesso cambio, i milioni che oggi andrebbero sono 36,15. Però, forse, è più opportuno considerare queste cifre... al 2020!

Le cifre aggiornate ad oggi

Un simile confronto, appunto, possiede più di qualche lacuna. L’operazione andrebbe aggiornata considerando non i valori nominali ma i valori reali dell’esborso di Sensi. Ebbene, se attualizziamo i costi al 2020, tenendo conto dell’effetto dell’inflazione, il prezzo totale dell’affare Batistuta che ha immediatamente catapultato la Roma da un sesto posto a favorita per le scommesse serie A sarebbe di più di 74 milioni di euro, dei quali 47 milioni andrebbero nelle casse della Fiorentina: la fonte è l’infodata del Sole24Ore.

Cifre ancora più alte secondo Playratings. Nel 2017, in occasione del passaggio di Neymar dal Barcellona al Paris Saint Germain per la cifra record di 222 milioni di euro, l’agenzia specializzata nell’analisi finanziaria ed economica sul valore dei calciatori ha stilato un grafico interessante. Da esso si evince la cifra aggiornata degli affari più costosi della storia considerando non solo l’inflazione, ma anche età del calciatore, durata del contratto, potenzialità economica dei club protagonisti degli affari.

Batistuta, va quindi ricordato, quando passa alla Roma ha compiuto già 31 anni (è nato l’1 febbraio 1969), ha collezionato 269 partite e 168 gol con la maglia viola in Serie A con una parentesi in serie B. Alla luce di questi dati, Playratings ritiene che l’affare Batistuta costerebbe in totale 281 milioni di euro.

Più del “Re Leone” a Sensi, costerebbero solo Ronaldo “il fenomeno” a Moratti (433 milioni), Maradona a Ferlaino (345 milioni), Platini agli Agnelli e Vieri a Cragnotti (334 milioni), nonché Van Basten a Berlusconi (328 milioni, a fronte di un pagamento effettivo di un miliardo e 750 milioni che, nel 1987, il Milan versò nelle casse dell’Ajax).

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci; l'immagine di Domenico Stinellis (AP Photo).

November 1, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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A Bologna la leggenda ha un nome e un numero: Bulgarelli 8

Giacomo Bulgarelli è calciatore di un’altra epoca e di un altro calcio ma non solo per una questione anagrafica. Bulgarelli reincarna a tutti gli effetti il prototipo del “calciatore di una volta”, senza buonismi o retorica di sottofondo. 

Sono diverse le tesi che ci aiutano oggi a incorniciare il personaggio Bulgarelli in questa maniera, vediamole insieme. 

Il talento di Bulgarelli è stato scoperto praticamente per strada

Niente Wyscout o Mediacoach. Nessuna tecnologia di questo genere o playlist con best skills che si voglia. 

Bulgarelli nasce a Portonovo di Medicina il 24 ottobre del 1940, praticamente alle porte di Bologna, città che raggiungerà poco dopo, perché tutta la famiglia decide di “emigrare” per seguire da vicino le sorelle che intanto hanno trovato lavoro nel capoluogo emiliano.  
Inizia la nuova vita in zona Mazzini e la scelta del quartiere si rivelerà proprio una sliding doors della carriera di Bulgarelli. 

Dalle finestre dei palazzi di una via in zona Mazzini appunto, lo nota il responsabile del settore giovanile del Bologna Stefano Miche (ungherese tra le cose) che a sua volta lo segnala al capo allenatore delle giovanili del club rossoblù Giulio Lelovich (si chiamerebbe “Guyla” ma fu ribattezzato Giulio in Italia). 

Nel 1953 arriva il provino giocato (si narra) usando solo il suo piede preferito, il destro. Al di là della leggenda agli osservatori colpisce il suo modo di giocare a testa alta, atteggiamento non sempre usuale per un giovanissimo aspirante calciatore. 
L’esordio in prima squadra arriverà nella primavera del 1959, a 19 anni, con Federico Allasio in panchina (l’allenatore che precedette il glorioso ciclo di Fulvio Bernardini per intenderci). 

Bulgarelli appartiene alla classe delle bandiere del calcio italiano 

Dal giorno del debutto, il 19 aprile del 1959 nella vittoria per 1 a 0 contro il Vicenza, fino al giorno dell’addio al calcio, il 4 maggio del 1975, Giacomo Bulgarelli veste una sola maglia se escludiamo ovviamente quella della Nazionale: la casacca rossoblù del Bologna.
Ah, bisogna anche escludere il momento visionario in cui accettò di giocare 2 gare nel campionato americano (NASL) con la maglia degli Hartford Bicentennials. 

Col Bologna 8 reti in 33 presenze (una allo spareggio) nella stagione 1963-1964, quella dello scudetto vinto contro l’Inter nella sfida di Roma appunto di spareggio. 

Ricapitolando, sedici anni sempre con la stessa maglia, probabilmente dopo i Totti e Del Piero è roba che non rivedremo più: non esiste neanche quota per le scommesse per un altro campione di questo livello sempre nella stessa squadra!

La sua maglia iconica

In un’epoca in cui i calciatori non avevano il proprio nome stampato sulle maglie, e a dirla tutta nemmeno questa titolarità del numero sulle spalle, Giacomo Bulgarelli è ricordato come il numero 8 di Bologna e del Bologna.
Non che non abbia indossato altri numeri in carriera, come il 10 e il 4, proprio a causa della volatilità di questi elementi all’epoca, ma Bulgarelli è universalmente riconosciuto con il nostro amato number 8. 

E “Giacomo Bulgarelli Number 8” è proprio il nome del premio che l’associazione che porta il suo nome, insieme a l’Associazione Italiana Calciatori, organizzano e consegnano alla mezzala migliore di ogni anno solare in tutto il mondo. 

Una simbologia identitaria quella del numero che oggi è alle stregue del marketing o dei cambi di squadra sicuramente più agevolati e frequenti rispetto a prima. 
Il Bologna decise di non ritirare la maglia numero 8, come era stato chiesto da più parti, ma di ricordare Bulgarelli con una borsa di studio annuale a un calciatore del settore giovanile "che si distinguerà per sportività, correttezza e lealtà". 

Giacomo Bulgarelli entra di diritto nella lista dei numeri 8 più iconici, universali e forti della storia del calcio, parola di chi di numeri 8 se ne intende. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

October 30, 2020
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