Halloween, la festa dello sport negli USA: tutti gli eventi di fine ottobre

La festa di Halloween è uno dei grandi classici che gli Stati Uniti hanno esportato ormai in tutto il mondo. Il 31 ottobre è una festa mondiale, che riguarda anche il mondo dello sport come spesso succede negli USA. Halloween non è come il “Thanksgiving Day”, festa che di solito appartiene alla NFL.

Il 31 ottobre in campo ci sono quasi tutti i principali sport americani, dalle prime fasi della stagione di NHL ed NBA fino alle World Series. Le tante novità del 2020, con un calendario totalmente rivoluzionato, hanno modificato le date degli sport americani e quest’anno ci sarà solamente la NFL in campo a ridosso di Halloween. 

LE FASI INIZIALI

Il mese di ottobre coincide con il via della stagione della NHL e della NBA. L’hockey di solito inizia nei primi giorni di ottobre, e durante Halloween è uno degli sport maggiormente seguiti. Così come per la NHL, anche la NBA dà il via alla sua Regular Season nel mese di ottobre, anche se qualche giorno dopo rispetto alla stagione dell’hockey.

Di solito la serata di Halloween arriva tra la prima e la seconda settimana della stagione NBA, con tanti giocatori che spesso di presentano con i loro travestimenti direttamente al palazzetto. Grande curiosità tra gli appassionati anche per i vari costumi con cui si presentano al match anche i tifosi presenti nell’arena. 

MID-SEASON 

Per la NFL invece il periodo di Halloween è uno dei più caldi della stagione, sia in campo che fuori. A cavallo tra la settima e l’ottava settimana di gioco, molte sfide che si giocano vicino ad Halloween possono già rappresentare un momento decisivo per la stagione di molte squadre. Chi punta ai playoff e chi invece decide di rinunciare alle speranze di post-season, puntando così ad avere la miglior scelta possibile al Draft successivo. Tante gare importanti, tante sfide di division come succederà anche questa stagione.

Nel calendario 2020 tre match possono essere decisivi nella corsa playoff, a cominciare dalla sfida per la leadership nella debole NFC East tra i Philadelphia Eagles e i Dallas Cowboys. Scontro al vertice nella AFC North tra gli imbattuti Pittsburgh Steelers e i Baltimore Ravens, sconfitti questa stagione solo dai Chiefs campioni in carica. Sfida play-off anche a Seattle, con i Seahawks che ospiteranno i San Francisco 49ers in un duello tra squadre della NFC West. 

IL COLLEGE FOOTBALL 

La NFL giocherà il primo novembre, mentre nel pomeriggio di Halloween ci sarà spazio per il College Football. Gli occhi dei tifosi saranno puntati su due gioielli, entrambi prossimi protagonisti in NFL. Il primo è Trevor Lawrence, sicura prima scelta assoluta al prossimo Draft NFL con tante squadre che già sognano di averlo (I pessimi New York Jets sono i favoriti nella corsa alla prima scelta assoluta al prossimo Draft).

Il quarterback di Clemson giocherà in casa contro Boston College, a seguire ci sarà il match più interessante del pomeriggio di Halloween ovvero la sfida in Pennsylvania tra Penn State, diciottesima testa di serie, e Ohio State, terza testa di serie. Occhi puntati sul QB di Ohio State, Justin Fields, secondo quarterback alle spalle di Lawrence al prossimo Draft e dato dagli esperti come possibile “Top-5 Pick”. Di fronte ci sarà Penn State, gran rivale di Ohio State nella Big Ten, che cercherà di interrompere il dominio dei Buckeyes nella Division. 

LE WORLD SERIES

La festa di Halloween spesso è coincisa con le finali della MLB, ovvero le World Series. Il massimo campionato di baseball chiude la sua stagione negli ultimi giorni di ottobre, con le World Series che solitamente iniziano verso il 20 di ottobre. L’edizione 2020 delle World Series si è conclusa martedì 27 ottobre, con la vittoria da favoriti per le scommesse online in Gara-6 dei Los Angeles Dodgers contro i Tampa Bay Rays.

L’ultima partita delle World Series disputata ad Halloween è datata 2017, quando al Dodgers Stadium i Los Angeles Dodgers hanno vinto Gara-6 contro gli Houston Astros portando così la serie a Gara-7, dove a trionfare furono però i texani in California. 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Ross D. Franklin (AP Photo).

October 29, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Quando il gatto… non è nel sacco

Che calcio sarebbe senza colpi di scena? La storia di questo amato sport è un lungo rosario di partite memorabili, nelle quali il risultato finale è stato frutto di rimonte rocambolesche, insperate, pazze, concitate. Ecco allora che il celebre proverbio citato da Giuseppe Trapattoni - «Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco» - è una sorta di manifesto calcistico valido in tutte le epoche e a tutte le latitudini.

Orgoglio Hammers

L’ultimo episodio di questa saga si è consumato sul campo dell’avveniristico Tottenham Hotspur Stadium. Nel nuovo tempio degli Spurs la squadra di casa guidata da José Mourinho si è fatta rimontare tre gol dai cugini "poveri" del West Ham. Eppure dopo sedici minuti dal fischio d’inizio il Tottenham era già 3 a 0: appena un minuto di gioco ed apre le danze il sud-coreano Son, e all’ottavo e al sedicesimo l’uragano Kane realizza una doppietta che sembra incanalare il match verso una vittoria agevole per i padroni di casa. Il risultato rimane stabile fino all’ottantunesimo.

A soli nove minuti dal triplice fischio solo un pazzo avrebbe potuto pronosticare un risultato diverso dalla vittoria degli Spurs. Ma la pazzia è parente del calcio: l’orgoglio degli Hammers inizia a emergere all’ottantaduesimo, quando Balbuena confeziona in rete il primo gol degli ospiti.

Tre minuti più tardi un autogol di Sanchez riapre la partita. Infine, al quarto minuto di recupero, una bordata da trequarti campo dell’argentino Lanzini manda la palla sotto l’incrocio dei pali e completa la rimonta. L’autore della prodezza si toglie la maglia e viene sommerso dagli abbracci dei compagni.

Quando la Champions arriva nel finale

Ma la gioia dei calciatori del West Ham non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella provata dai colleghi del Liverpool il 25 maggio 2005 a Istanbul contro il Milan. La finale di Champions League dopo la fine del primo tempo sembra essere ormai archiviata. Capitan Maldini porta in vantaggio i rossoneri dopo appena un minuto, prima del duplice fischio una doppietta di Crespo porta il risultato sul 3 a 0. Reds annichiliti.

Ma nell’intervallo succede qualcosa. Quando le squadre rientrano in campo è un’altra musica: il Liverpool preme e in appena sei minuti, tra cinquantaquattresimo e sessantesimo, pareggia i conti con Gerrard, Smicer e Alonso. Gli avversari subiscono il contraccolpo psicologico e la rimonta si completa ai calci di rigore: fatali gli errori di Serginho, Pirlo e Kakà. La coppa va al Liverpool.

 

Negli anni successivi inizia a circolare la tesi secondo cui negli spogliatoi, dopo la fine del primo tempo, diversi calciatori del Milan si sarebbero lasciati andare a bagordi precoci. Non può dirsi lo stesso dei giocatori del Bayern Monaco, che nella finale del 1999, sul Camp Nou di Barcellona, tengono il risultato di vantaggio per 1 a 0 (gol di Basler al quinto) per novanta minuti. Poi, nel recupero, due deviazioni da calcio d’angolo, di Sheringam e di Solskjaer, ribaltano il risultato e consegnano la coppa al Manchester United.

Quando un 3 a 0 diventa 3 a 4

Da una sponda all’altra del fiume Irwell, nel 2004 è il Manchester City a completare un’incredibile rimonta in trasferta. L’avversario è sempre il Tottenham, ma nel vecchio stadio White Harte Lane. Dopo la prima frazione di gioco gli Spurs conducono 3 a 0 con gol di King, Keane e Ziege. Il City è pure in 10 per l’espulsione di Barton.

Gara chiusa? Niente affatto. Distin, Bosvelt e Wright-Phillips portano il punteggio sul 3 a 3, nel recupero Macken riesce persino a siglare il gol vittoria del 3 a 4 per gli ospiti per la gioia di chi , live, ha effettuato una scommessa.

L’Inter ha persino alzato una Supercoppa Italiana dopo una rimonta di tal guisa: è l’estate 2006, sul manto di San Siro i campioni d’Italia ospitano la Roma, che nel primo tempo ne fa tre (“Amantino” Mancini e doppietta di Aquilani). Nel secondo tempo l’Inter pareggia (doppietta di Vieira e Crespo) e nei supplementari Figo fissa definitivamente sul 4 a 3.

Roma ancora protagonista in negativo nel febbraio 2011: al Marassi conduce 3 a 0 (Mexes, Burdisso, Totti), quando subisce un’offensiva del Genoa (doppiette di Palacio e Paloschi) che ribalta il risultato.

Il 4 a 3 è fatale a Ranieri, che viene esonerato la sera stessa. Sempre nel 2011, ma nella stagione successiva, è il Lecce che in casa subisce un’uguale delusione. Giacomazzi, Oddo e Grossmuller portano i salentini in vantaggio sul Milan, che nel secondo tempo ribalta grazie alla tripletta di Boateng e al gol vittoria di Yepes.

Dalla Mole al Montpellier

Rimonte che hanno un sapore ancora più dolce quando avvengono in un derby. Al Delle Alpi, nell’ottobre 2001, il Torino è sotto 3 a 0 contro la Juventus a fine primo tempo grazie alle reti di Del Piero (2) e Tudor. Ma al rientro riecco la magia: Lucarelli, Ferrante e Maspero fanno pari.

Quest’ultimo, nei minuti finali, è anche oggetto di un caso: rigore per i bianconer, sul dischetto va Salas; Maspero si avvicina, prende il pallone con le mani, con il piede fa una buca sul dischetto, risistema il pallone e si allontana. Salas calcia alto e Maspero diventa un idolo dei tifosi granata.

La rimonta più pazza, però, per la storia delle scommesse calcio si registra in Francia, all’inizio della stagione 1998-99. Bakayoko (2), Robert e Sauzee portano il Montpellier in vantaggio di quattro reti sui padroni di casa dell’Olympique Marsiglia. Nel secondo tempo la svolta: Maurice accorcia, il neo-entrato Dugarry fa doppietta, Roy segna il pareggio e, nel recupero, un rigore di Blanc fissa il punteggio sul clamoroso 4 a 5.

Sempre in Francia, clamoroso il 3-2 del Monaco il 20 novembre 2020 sul Paris, con gli ospiti in vantaggio per due gol, con lo 0-3 sfumato in due occasioni per l'intervento della VAR: Volland risponde alla doppietta di KM7 e Cesc Fabregas completa il clamoroso sorpasso dagli undici metri. Come si dice «non dire gatto» in francese?

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci; l'immagine di Neill Hall (AP Photo). Prima pubblicazione 29 ottobre 2020.

November 21, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Le scelte dei portieri a fine carriera

L'eterna difficoltà di appendere gli scarpini al chiodo. Colpisce gli attaccanti, figuriamoci la categoria più longeva dei calciatori: i portieri, in grado di proseguire la propria carriera anche oltre i 40 anni. Di esempi circa scelte più o meno convenienti arrivano, come sempre, dai meravigliosi anni Novanta.

Dopo anni a difendere la porta delle più grandi squadre di Serie A, le improvvise sfide coi club in lotta per la salvezza o all'estero, in altri emisferi pallonari.

Walter Zenga

Stefano Tacconi

Sebastiano Rossi

Gianluca Pagliuca

A taluni è andata bene, a tal atri meno, con la consapevolezza che, forse, sarebbe stato meglio fermarsi un attimo prima...

WALTER ZENGA

Tre volte miglior portiere del mondo (dal 1989 al 1991), bandiera indiscussa dell'Inter tra i simboli di Italia Novanta con un percorso macchiato solamente da un unico e decisivo episodio, l'uscita a vuoto su Claudio Caniggia, che interruppe l'imbattibilità che al Mondiale durava da 517 minuti.

Uno scudetto, una Supercoppa italiana, due Coppe Uefa, la sua carriera in nerazzurro sembrava dovesse proseguire all'infinito, ma dopo 12 anni finì nello scambio con la Sampdoria che portò Gianluca Pagliuca a San Siro. Dopo una stagione da titolare coi blucerchiati, la seconda - il 1995-96 - finì per disputare appena 7 partite anche a causa di un infortunio.

Gli venne così preferito il giovane Angelo Pagotto e per Zenga, nel 1996-97, si profilò un'esperienza in Serie B con la maglia del Padova neoretrocesso: deludente e senza particolari pretese, coi biancoscudati di Giuseppe Materazzi prima e Adriano Fedele poi, che chiusero con un undicesimo posto, nella pancia della classifica cadetta.

Chiaro che, a quel punto, per Zenga c'era bisogno di rinnovare gli stimoli ed è proprio nell'estate 1997 che cominciò la sua vita da giramondo. Che iniziò oltreoceano, negli Stati Uniti e nella neonata Major League Soccer a Foxborough (Boston), Massachusetts, con la maglia del New England Revolution. Prima portiere, poi portiere allenatore, prima dell'esonero, avvenuto nell'ottobre 1999.

Da lì, il ritorno a Milano da allenatore del Brera, l'esperienza da conduttore di televendite e da postino di Maria De Filippi in "C'è Posta per te", prima di reimmergersi seriamente nel mondo del calcio con le tante panchine tra Romania, Serbia, Emirati Arabi e quelle italiane con l'esperienza più importante probabilmente legata a Catania.

STEFANO TACCONI

Dici Zenga e qual è la prima cosa che viene in mente? L'eterno duello con lo "juventino" Stefano Tacconi, non solo in Serie A, ma anche per un posto in Nazionale. Nove anni in bianconero, dal 1983 (come erede di Dino Zoff) al 1992, Tacconi - dopo gli screzi con Gigi Maifredi e l'incalzare, l'anno successivo, di Angelo Peruzzi - decide di accettare la proposta del Genoa. Che dura due anni e mezzo.

La burrascosa e disastrosa stagione 1994-95 dei rossoblù, infatti, per l'estremo difensore perugino s'interrompe a metà con tanto di rescissione del contratto e ritiro, accantonato dal tecnico Pippo Marchioro, subentrato a Franco Scoglio. Un'annata da dimenticare, in generale, per il Grifone, conclusa con la retrocessione in Serie B dopo lo spareggio ai calci di rigori contro il Padova.

Un finale di carriera che non rese particolare merito a un portiere che, nella propria bacheca, aveva collezionato due campionati, una Coppa Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Uefa.

 

SEBASTIANO ROSSI

Abbiamo parlato di Inter, di Juventus e, ora, ecco anche il portiere simbolo del Milan negli anni Novanta. L'estremo difensore cesenate vinse tutto in dodici anni in rossonero (dal 1990 al 2002): 5 campionati, 3 Supercoppe italiane, una Champions League, 2 Supercoppe Uefa e una Coppa Intercontinentale.

Nel 2002, a 38 anni suonati, la sua carriera avrebbe tranquillamente potuto concludersi lì, dopo gli anni da "chioccia" a Christian Abbiati e Dida, invece "Seba" ha voluto a tutti i costi rinverdire i propri stimoli chiudendo nel Perugia di Serse Cosmi e alternandosi in porta a Željko Kalac il quale, ironia della sorte, nel 2005 si trasferì proprio al Milan.

GIANLUCA PAGLIUCA

Il racconto dei "magnifici 4" dei portieri Anni Novanta non può che concludersi con Gianluca Pagliuca che, come accennato, prese il posto di Walter Zenga nell'Inter subito dopo la Coppa Uefa regalata dall'Uomo Ragno al Biscione nella doppia finale contro il Salisburgo.

Anche l'estremo difensore bolognese divenne una colonna portante della storia nerazzurra, quella - per intendersi - targata Massimo Moratti, patron dal 18 febbraio 1995 fino al 15 novembre 2013. Numero uno Azzurro ai Mondiali di Usa '94, Pagliuca gioca a San Siro dal '94 al '99, prima di difendere - per altre 5 stagioni - la porta della squadra della sua città, Bologna, fino al 2006. Uno stile pazzesco, il suo, estremamente plastico.

Le parole dell'allora presidente della Samp Paolo Mantovani: "Pagliuca? Lo abbiamo comprato gratis dal cielo". Ricapitolando: 7 anni in blucerchiato (con uno storico ed incredibile per le scommesse calcio online scudetto nel '91, una Coppa delle Coppe, una Coppa Campioni sfiorata, una Supercoppa italiana e 3 Coppe Italia), 5 con l'Inter (con cui vinse la "Coppa Uefa di Ronaldo" contro la Lazio) e altrettanti a ottimi livelli coi felsinei, si poteva "dire basta"? A nostro avviso sì.

Pagliuca ad Ascoli!

Tuttavia, a 40anni suonati, eccolo lì a difendere la porta dell'Ascoli, ringalluzzito dopo un decimo posto ottenuto l'anno precedente da club ripescato. E con un attacco che poteva contare su Marco Delvecchio e Saša Bjelanović. Andò malissimo: il Picchio chiuse penultimo a 27 punti e con la terza peggior difesa (67 reti subite). Pagliuca giocò fino alla 25esima giornata: contro il Livorno venne fermato da un problema alla schiena.

Ma, al rientro, trovò la porta chiusa: Nedo Sonetti, subentrato nel frattempo ad Attilio Tesser, gli aveva preferito il greco Dimitrios Eleftheropoulos. I 23 gettoni dell'esperienza marchigiana ebbero comunque la loro utilità per Pagliuca: concluse infatti la propria carriera dopo aver totalizzato 592 presenze in Serie A, che al momento del suo ritiro lo ponevano al secondo posto della relativa classifica, dietro solo a Paolo Maldini; rimarrà primo tra i portieri fino al 2016, quando verrà superato da Gianluigi Buffon.

Infine, il classe 1966, avendo giocato l'ultima partita il 18 febbraio 2007, rientra inoltre nella cerchia dei calciatori capaci di scendere in campo in Serie A a 40 anni compiuti.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono rispettivamente di Steven Senne e Sandro Perozzi.

October 28, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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La Serie A rischia il collasso: la giocata decisiva spetta a Conte e Spadafora

"Non possiamo esimerci dal rilevare che la nostra immediata adesione alle misure di prevenzione, contenimento e gestione dell'emergenza sta causando una crisi di sistema per le squadre di Serie A, impattate a livello economico e finanziario come mai prima. Il rischio di collasso del sistema è molto alto”.
L’ultima frase della lettera mandata da Lega Serie A al Governo è parecchio eloquente ma esplicativa della situazione.

 

In un periodo storico in cui il calcio dilettantistico rischia in gran parte di scomparire o quantomeno essere riformato, quello professionistico pare non passarsela meglio. 
Lo stop (giusto) e la ripresa a porte chiuse ha provocato, come potevamo immaginarci, un danno economico non indifferente.

Ad oggi si parla di 600 milioni totali, distribuiti in 200 milioni di euro legati alla stagione 2019/2020 (di cui il 60% sono riconducibili alla mancanza di pubblico), e i restanti 400 milioni come previsione per la stagione successiva (65% per assenza di pubblico e 35% per riduzione di sponsorizzazioni). 

Peccato, perché prima di marzo 2020 si erano intravisti margini di crescita. I ricavi dei club di Serie A erano passati da 2,398 miliardi nel 2017/18 a 2,722 miliardi nel 2018/19, anche se il 57% di questa ricchezza è stata prodotta dai 5 Top club: Juventus sempre favorita dalle scommesse Serie A, Inter, Roma, Milan, Napoli. 

La Lega da mesi sta portando avanti il proprio processo di rebranding e nel settembre 2020 ha chiuso l’accordo per la creazione della media company insieme al fondo Cvc: una rivoluzione per la vendita dei diritti all’estero. Insomma, i margini di un’ulteriore crescita c’erano tutti, ora bisognerà sperare nel mezzo miracolo del Governo e della coppia Conte-Spadafora, la giocata decisiva negli ultimi minuti del match spetta a loro, mentre la “Serie A rischia il collasso”.


*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

October 27, 2020
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Salvezza, ma quanto mi costi?

Salvezza, quanto mi costi? Una domanda che, stagione dopo stagione, riecheggia sempre più severa tra gli scranni delle dirigenze di squadre neopromosse in Serie A e quelle che, inevitabilmente, a ogni stagione si ritrovano in bilico, con l'acqua alla gola, lottando fino all'ultima giornata.

La Serie A 2020/2021 è appena iniziata, quindi, per individuare un lotto di formazioni che certamente lotteranno per la permanenza nel massimo campionato italiano, occorre fare un pronostico a lungo termine.

Mettendo pure in conto di "non prenderci" in tutto e per tutto. Però si può andare a spanne, anche in base agli obiettivi apertamente dichiarati a inizio stagione. Una seconda premessa doverosa è la seguente: le difficoltà che hanno caratterizzato l'intero 2020, hanno introdotto formule sempre più complesse negli acquisti, di quelle che coinvolgono più esercizi economici, non solo quelli della stagione in corso.

Benevento

Crotone

Spezia

Udinese

Parma

Genoa

Essendoci, per i motivi di cui sopra, sempre meno soldi da spendere, si è fatto un uso incallito (e non solo per i club che devono salvarsi), talvolta spasmodico, della formula di "prestito oneroso o gratuito con diritto di riscatto" negli anni a venire. Nella fattispecie l'"obbligo" (di riscatto) si è trasformato in "diritto" in maniera direttamente proporzionale all'importanza dell'obiettivo stagionale.

E' chiaro che chi lotta per la "sopravvivenza" ha dovuto giocoforza optare per il "diritto". Va da sé che il calcolo che seguirà fa riferimento esclusivamente ai tesseramenti (non ovviamente agli ingaggi) e, in particolare alle operazioni "onerose" riguardanti la stagione in corso, senza considerare i soldi da versare nell'eventualità di riscatto del cartellino, anche proprio in relazione al raggiungimento o meno dell'obiettivo stagionale.

Tutto ciò premesso, possiamo partire ad analizzare la situazione squadra per  squadra. In tutto, tra chi lotta per non retrocedere, ne abbiamo individuate (pardon, pronosticate) 6: le tre neopromosse (Benevento, Crotone, Spezia), quindi Parma, Genoa e Udinese.

BENEVENTO

I sanniti hanno promesso fuoco e fiamme sin dai primi giorni di calciomercato e sono stati protagonisti di un vero e proprio blitz a Genova contro la Samp per le scommesse Serie A.

Tra acquisti definitivi e prestiti con diritto di riscatto, il patron Vigorito ha speso - solo per i tesseramenti - 11,5 milioni (che diventano poco più di 10 di investimento in considerazione delle entrate attraverso le cessioni) per tesserare i seguenti calciatori: l'attaccante Gianluca Lapadula per 4 milioni versati nelle casse del Genoa, il centrale difensivo d'esperienza Kamil Glik (3 milioni al Monaco), la seconda punta Gianluca Caprari (1,5 milioni alla Sampdoria).

Ancora il mediano franco-burkinabè Bryan Dabo (1,2 milioni alla Fiorentina), il centrocampista moldavo Artur Ionita (1 milione al Cagliari), il trequartista Iago Falque (500 mila euro al Torino) e il laterale sinistro-scoperta Daam Foulan (500 mila euro ai belgi del Waasland-Beveren).

CROTONE

Nessun introito dalle cessioni, solo spese, secondo i dati Transfermarkt: 6,10 milioni, in tutto. Una serie quasi infinita di prestiti gratuiti: Lisandro Magallan (Ajax) Koffi Djidji (Ajax), Arkadiusz Reca (Atalanta), Eduardo Henrique (Sporting Lisbona), Pedro Pereira (Benfica), Denis Dragus (Standard Liegi), Luca Siligardi (Parma) e gli ingaggi a parametro zero di Emmanuel Rivière, Luca Cigarini e Andrea Rispoli.

A "costare" sono stati invece i cartellini del talento cileno Luis Rojas (2,4 milioni all'Universidad de Chile), di Jacopo Petriccione (1,5 milioni al Lecce), Luca Marrone (1 milione di riscatto all'Hellas Verona), Milos Vulic (800 mila euro alla Stella Rossa di Belgrado), Sebastiano Luperto (500 mila euro al Napoli).

SPEZIA

Sono tantissimi i prestiti gratuiti in casa ligure (tra questi, quelli di Chabot, Pobega, Agudelo, Agoumé, Deiola, Mattiello, Piccoli), oltre agli ingaggi degli svincolati Jacopo Sala (difensore, dalla SPAL), Ivan Provedel (portiere) dopo la retrocessione in Serie C della Juve Stabia e M'Blala Nzola (attaccante) dopo il fallimento del Trapani. Le operazioni onerose sono costate, alle casse di patron Volpi, 5,5 milioni, ridotti 3,76 calcolando gli 1,79 milioni provenienti dalle cessioni.

Il giocatore più costoso è stato il centrale difensivo kosovaro Adrian Ismajli (2,5 all'Hajduk Spalato). A seguire, il portiere Jeroen Zoet (1,5 milioni al PSV Eindhoven), l'attaccante Diego Farias (500 mila euro al Cagliari), l'ala destra Daniele Verde (500 mila euro all'AEK Atene), il mediano brasiliano Léo Sena (300 mila euro all'Atlético Mineiro) e il centrocampista argentino Nahuel Estévez (250 mila euro all'Estudiantes).

UDINESE

Come al solito, l'Udinese "ci ha guadagnato" e questo grazie, essenzialmente, alla cessione alla Juventus di Rolando Mandragora (ora in Friuli in prestito) per 20 milioni di euro. Sul conto del club dei Pozzo, appare un bel +22,45 milioni di euro. "Sull'unghia" sono stati spesi appena 4,5 milioni: 3,5 per il centrocampista franco-congolese Jean-Victor Makengo dal Nizza e uno per il prestito oneroso del difensore Kevin Bonifazi dalla SPAL.

Tutte le altre operazioni di mercato, temporanee o a titolo definitivo, sono state a costo zero: stiamo parlando, ovvero, dei vari Arslan, Forestieri, Molina, Deulofeu, Pereyra, Pussetto, Ouwejan. Va aggiunto, tuttavia, che in questo particolare caso, le operazioni sono ulteriormente influenzate dal "gemellaggio" col Watford, dea medesima proprietà.

PARMA

Qui si cambia totalmente registro. La nuova proprietà è ambiziosa ma, per il suo primo anno, ha concesso al nuovo tecnico Fabio Liverani, niente di più che l'obiettivo salvezza. Tantissime operazioni dell'ultimo minuto e uscite importanti.

80,4 milioni (divenuti 76,11 in relazione alle cessioni): 18 milioni per Roberto Inglese (riscattato dal Napoli), 8 per Yann Karamoh (dall'Inter), 8 per Valentin Mihaila (dall'Universitatea Craiova), 7,5 per Maxime Busi (dal Charleroi), 6,9 per Alberto Grassi (riscattato dal Napoli), 6,5 per Simon Sohm (dallo Zurigo), 6,45 per Giuseppe Pezzella (riscattato dall'Udinese).

Poi, 4,58 per Luigi Sepe (riscattato dal Napoli), 4,48 per Hernani (riscattato dallo Zenit San Pietroburgo), 4 per Yordan Osorio (dal Porto), 3,5 per Jasmin Kurtic (riscattato dalla SPAL), 1,5 per Wylan Cyprien (dal Nizza) e 1 per Juan Francisco Brunetta, in prestito dagli argentini del Godoy Cruz.

GENOA

In casa Grifone, il saldo (negativo) è di 9,5 milioni. Risultante dai 36,75 milioni di spese effettive e 26,25 di entrate. Come al solito, in casa Preziosi, tantissime le operazioni, gestite dal nuovo direttore sportivo Daniele Faggiano: fatta eccezione per lo "scambio di favori" con l'Inter concernente Andrea Pinamonti, prima acquistato e poi ceduto, particolarmente interessanti sono gli investimenti per il centrocampista Francesco Cassata (7 milioni per riscattarlo dal Sassuolo) e 7,5 per l'attaccante uzbeco tutto da scoprire Eldor Shomurodov.

Segui la lotta per non retrocedere anche con le scommesse calcio!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

October 26, 2020
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Quante delusioni per Becks e gli altri con la maglia dei Tre Leoni!

Il 1992 è un anno fondamentale nello sviluppo del calcio inglese. In agosto parte la Premier League, il nuovo formato della First Division, destinato a portare grandi gioie, tecniche ed economiche, al pallone di Sua Maestà.

Ma il momento clou, anche se nessuno può ancora prevederlo, è il 15 maggio, quando il Manchester United vince la FA Cup giovanile contro il Crystal Palace, confermando con un 3-2 a Old Trafford l’1-3 di Selhurst Park di un mese prima. In quella squadra ci sono alcuni ragazzi destinati a scrivere la storia dei Red Devils. Che proprio grazie a quella vittoria si guadagnano un soprannome che è già leggenda: The Class of ’92.

In retrospettiva, ovvio che Eric Harrison, allenatore dei giovani dello United, avesse vita facile. Basta guardare ai tabellini delle due finali per rendersi conto del ben di Dio che il tecnico aveva a disposizione: Ryan Giggs, Gary Neville, David Beckham, Nicky Butt, Paul Scholes e Phil Neville, in rigoroso ordine di esordio con la prima squadra.

Una nidiata di campioni che è paragonabile solo a quella che nel giro di qualche anno produrrà la Masia per il Barcellona di Guardiola. Un gruppo di ragazzi che ancora oggi è unitissimo, che possiede parte di una squadra (il Salford, neanche a dirlo a Manchester), ma che soprattutto ha lasciato un segno indelebile sul calcio inglese nel corso di vent’anni.

Il senatore è Ryan Giggs, che già nel 1991 ha esordito sotto lo sguardo interessato di Sir Alex Ferguson. Lo scozzese sa bene di avere sotto mano una manciata di talenti in grado di cambiare le sorti del club e li gestisce con parsimonia.

Giggs con la sua seconda pelle!

Gli esordi

Il gallese ha due anni e una marcia in più degli altri, al punto che quando termina la prima stagione di Premier League, quella 1992/93, è già stato due volte eletto giovane calciatore dell’anno, ha vinto il primo dei suoi tredici campionati e ha servito a McCoist l’assist decisivo per la League Cup del 1992. La finalissima di FA Cup giovanile la gioca praticamente… da fuoriquota.

Il capitano della squadra è invece Gary Neville, uno che, come si dice da quelle parti, è “United born and bred”. Il difensore esordisce in Coppa UEFA il 16 settembre. Una settimana dopo tocca a David Beckham, che scende in campo in League Cup. All’epoca Becks non è ancora lo Spice Boy che farà innamorare il mondo e Victoria Adams, ma semplicemente un londinese (che tifa Arsenal) dal piede destro fatato, in grado di trasformare ogni calcio piazzato in oro e di regalare cross perfetti.

A novembre è il turno di Nicky Butt, un mediano tutta grinta destinato a studiare accanto a un certo Roy Keane. Ci vorrà qualche anno in più per vedere in campo gli altri due. Nel settembre 1994 esordisce Paul Scholes, che nella sua prima partita (in League Cup) spiega subito al mondo come andranno le cose segnando una doppietta. E infine nel gennaio 1995 Phil Neville decide che tra il calcio e il cricket è meglio il pallone e fa il suo debutto in FA Cup.

Tutto è finalmente pronto perché la Class of ’92 (o i Fergie's Fledglings, in un parallelo neanche troppo velato con i Busby Babes degli anni Cinquanta) si prenda la scena. Giggs è già una stella, ma anche gli altri ci mettono poco a diventare punti fermi della squadra. Gary Neville si prende la fascia destra quando Paul Parker si infortuna e non la lascia più. Becks ha vita più dura, perché davanti ha Kanchelskis, ma Ferguson non ha dubbi e quando il russo lascia Old Trafford per l’Everton lo slot di ala è suo.

Butt fa lo stesso, prendendo il posto di Paul Ince accanto a Roy Keane. In breve tempo però in quella posizione vicino all’irlandese toccherà a Scholes, che da attaccante decide di mettere il suo piede destro a disposizione della mediana, trasformandosi (parola di Zinedine Zidane) nel miglior centrocampista del mondo. E alla fine anche Phil Neville si prende il posto di laterale sinistro in uno degli United più forti e celebrati di tutti i tempi.

La storia della Class of ’92 si scrive prevalentemente con gli almanacchi e parla per alcuni di una Champions League, con tanto di clamoroso Treble per le scommesse calcio; per altri addirittura di due, oltre a una serie impressionante di campionati e altri trofei nazionali e internazionali vinti. E l’impatto sulla cultura britannica (ma non solo) dell’epoca è enorme. Dopo gli anni complicati del post-Heysel e la difficile ripresa, la Premier League diventa il campionato più celebre del mondo, soppiantando la Serie A.

E molta della celebrità del torneo è dovuta a quello United, che con Cantona e i ragazzi di Ferguson offre all’intero pianeta i poster-boy del calcio inglese. Il volto di Becks finisce sui muri delle ragazzine assieme a quello degli idoli musicali (è pur sempre l’era del Britpop) e quando Cantona lascia il biondino si prende la numero 7 che è stata di Best e che sarà di Cristiano Ronaldo.

Certo, non tutte le storie sono a lieto fine. Giggs, Scholes e Gary Neville dedicheranno tutta la loro carriera allo United, mentre Beckham, Butt e Phil Neville lasciano Old Trafford rispettivamente nel 2003, nel 2004 e nel 2005, non senza qualche polemica.

Ognuno di loro, però, continua a lasciare il segno a modo suo nel calcio mondiale. Giggs è il CT del Galles, Beckham è un’icona che trascende lo sport, oltre a essere il proprietario dell’Inter Miami. Gary Neville, al netto di un breve e infruttuoso tentativo da allenatore, è uno degli opinionisti più apprezzati del Regno Unito, così come Scholes.

Phil Neville invece ha deciso di diventare il CT della nazionale femminile, mentre Nicky Butt ha optato per ricominciare da dove tutto è partito, diventando il responsabile delle giovanili dei Red Devils.

Con i Tre Leoni

Paradossalmente, però, nonostante facciano parte di uno dei club più decorati della storia del calcio, i ragazzi della Class of ’92 non hanno portato ad un altro livello la nazionale inglese. Giggs è ovviamente escluso, se non dalla selezione olimpica, dal novero in quanto rappresenta il Galles, ma gli altri cinque, pur di fronte a valori tecnici importanti, non sono riusciti a far fare il salto di qualità ai Tre Leoni. Persino Beckham (115 apparizioni con la maglia bianca), che per oltre un decennio è stato la stella della selezione, ha un rapporto con la nazionale fatto di alti e bassi.

L’espulsione a Francia 98, il dito medio a Euro 2000, il rigore sbagliato con il Portogallo a Euro 2004 sono ferite ancora aperte e non basta la punizione contro la Grecia che ha portato l’Inghilterra al Mondiale 2002 a rimarginarle. Scholes ha addirittura lasciato la nazionale nel 2004 dopo 66 presenze, quando è stato… dislocato a sinistra per fare spazio a Lampard e Gerrard al centro del campo.

Gary Neville ha al suo attivo 85 presenze, ma non è mai stato decisivo per le sorti della squadra. Suo fratello Phil (59 caps), è stato escluso dalla lista finale per due mondiali consecutivi (2002 e 2006) pur non essendo infortunato. Alla fine, per valore tecnico, è andata meglio a Butt, che ha al suo attivo 39 presenze pur non essendo spesso titolare neanche nel suo club, e che nel 2002 è stato definito da Pelè il miglior calciatore dell’Inghilterra al mondiale. 

Una piccola macchia, quella dei Tre Leoni, in una storia clamorosa e talmente importante da meritare un film-documentario. Segnale che la Class of ’92 ha davvero scritto pagine indelebili della leggenda del calcio.

Segui il calcio inglese anche con le scommesse!

*Le immagini dell'articolo sono di Jon Super (AP Photo).

October 25, 2020
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Quando per affermarsi bisogna cambiare aria

Se «Una splendida giornata» è la colonna sonora che più s’addice a quei calciatori che hanno iniziato male - «con un’alba timida», per parafrasare Vasco Rossi - la loro esperienza in una squadra per poi affermarsi alla seconda stagione, «Non ho l’età» di Gigliola Cinguetti o «Voglio andar via» di Claudio Baglioni sono brani che fanno al caso di quei calciatori che sono riusciti ad esprimere le loro qualità soltanto cambiando casacca.

Incapacità di ambientarsi in Italia o in una piazza specifica, incompatibilità con un sistema di gioco, acerba gioventù: sono diversi i motivi dietro quei flop che, con il senno del poi, appaiono inspiegabili.

Anonimi al Milan, campioni all’Arsenal

Appare ad esempio inspiegabile come il Milan si sia lasciato sfuggire un campione della caratura di Patrick Vieira. Robusto e granitico centrocampista franco-senegalese, viene ingaggiato dai rossoneri nel dicembre 1995 e presentato come un novello Desailly. Quello in cui arriva è il Milan stellare di Fabio Capello: un vero e proprio caleidoscopio di campioni in cui è difficile per un giovane trovare spazio.

A fine stagione, con un assegno di 4,5milioni di sterline se lo aggiudica l’Arsenal di Arsene Wenger, il quale riesce a rilanciare il suo giovane connazionale che negli anni diventerà una colonna dei Gunners.

Gioca oggi con l’Arsenal Sokratis Papastathopoulos, il difensore greco considerato tra i più affidabili nel ruolo: per lui infelice esperienza in rossonero nel 2010-11, dopo due buone stagioni al Genoa. L’asse Arsenal-Milanello sembra una costante in questo ambito. Nelle fila dei Gunners milita attualmente anche Pierre-Emerick Aubameyang, altro afro-francese, ma attaccante rapido e tecnico.

Anche per lui parentesi anonima al Milan fino al 2008, dove Aubameyang gioca soltanto con la Primavera senza mai esordire in prima squadra: la fama arriva in Francia, poi al Borussia Dortmund e infine, appunto, all’Arsenal.

Di lui l’allora allenatore della Primavera rossonera Filippo Galli dirà un gran bene, indicandolo come il miglior elemento di quella squadra insieme al fluidificante Matteo Darmian, altro giocatore che ha avuto fortuna soltanto lontano da Milanello. Così come Edgar Davids, che giunge “alla corte del Diavolo” nel 1996 insieme agli altri olandesi Reiziger, Bogarde e Kluivert.

I quattro fanno però rimpiangere i loro ben più amati connazionali Van Basten, Gullit e Rijkaard. A fine stagione Davids viene ceduto alla Juventus, dove diventa uno dei mediani più temuti dagli avversari nella storia del calcio.

Dall’Inter al Milan, tutta un’altra musica

Ma c’è anche chi a Milanello ha invece costruito la propria gloria calcistica dopo aver fallito altrove. È il caso di un altro olandese, Clarence Seedorf, capace di affermarsi nel 1995-96 nella Sampdoria e di diventare elemento chiave del Real Madrid nelle tre stagioni successive. Nel dicembre 1999 l’approdo all’Inter. In maglia nerazzurra mister Lippi lo impiega esterno di centrocampo, dove non esprime il meglio di sé.

Nell’estate 2002, dopo l’amarezza dello scudetto perso all’ultima giornata all’Olimpico, Seedorf passa dall’altra parte dei Navigli: al Milan rimane dieci stagioni e, nella seconda metà dele 2013-14, ne diventa anche allenatore.

È oggi un mister anche Andrea Pirlo, altro rigenerato eccellente dalla “cura Milanello”. Di lui si dice un gran bene quando, giovanissimo, incanta con la squadra della sua città, il Brescia. Lo preleva l’Inter, dove lo attendono anni tra luci e ombre: con il Biscione non esplode mai, mentre sono positive le esperienze in prestito alla Reggina e il ritorno al Brescia. Nel 2001 lo prende il Milan e gli fa spiccare il volo verso una carriera piena di successi.

Penombra nerazzurra

Inter sfortunata pure con altri calciatori divenuti altrove celebri. Considerato uno dei «bidoni» per eccellenza della compagine nerazzurra, il francese Mikael Silvestre nel 1998 arriva a Milano dopo un lungo braccio di ferro tra il ds interista Sandro Mazzola e la sua squadra, il Rennes. Sicuro di aver trovato un campione in difesa pronto a sbocciare, mister Gigi Simoni si ritrova invece un giocatore inadatto a fare il terzino sinistro.

A fine stagione il trasferimento al Manchester Utd, dove Silvestre ritrova linfa nel suo ruolo naturale: difensore centrale.

La maglia dei Red Devils la indossa oggi Alex Telles, ottima opzione come marcatore a quote alte per le scommesse online che nel 2015-16 disputa una stagione in prestito al di sotto delle aspettative nell’Inter. Tornato al suo club di appartenenza, il Galatasaray, viene ceduto al Porto, dove diventa il perno della fascia sinistra e conquista la Nazionale brasiliana.

Una sola stagione all’Inter anche per l’austriaco Marko Arnautovic: nel 2009 arriva alla Pinetina con la fama del nuovo Ibra, in realtà si farà ricordare solo per le sue spigolature caratteriali, che gli sono rimaste anche nel corso delle sue successive buone esperienze in Germania e Inghilterra.

Da Henry a Sinisa, quanti rimpianti

Un carattere mite è invece quello di Thierry Henry, che nel mercato invernale del 1999 arriva alla Juve da prospetto di futuro campione. È già un nazionale francese, ma con i Blues gioca da punta, mentre in bianconero mister Ancelotti lo impiega sulla fascia. A parte una preziosa doppietta alla Lazio, realizzata giocando appunto da centravanti, il francese non fa molto altro. A fine stagione la cessione all’Arsenal, dove ne diventa una bandiera.

Tutt’altro che esaltante in bianconero l’esperienza di Sunday Oliseh, nel 1999-00: 8 presenze e 0 gol per il centrocampista nigeriano prima di accasarsi al Borussia Dortmund e rivelare il suo valore. E pensare che viene strappato da Moggi alla Roma, provocando le ire di Franco Sensi. Due anni prima, nell’estate 1997, in giallorosso arriva un altro centrocampista, Ivan Helguera.

Tra le tante new entry a Trigoria di quella finestra di calciomercato, lo spagnolo viene considerato un colpo da veri intenditori. Ma la sua flemma è incompatibile con il dinamico 4-3-3 di Zeman: a fine anno Helguera fa un biglietto di ritorno in Spagna, dove diventa negli anni perno della Nazionale e del Real Madrid.

Si è dovuto allontanare molto meno da Trigoria per affermarsi come uno dei migliori difensori goleador della storia Sinisa Mihajlovic. Per il serbo nella Roma due stagioni in chiaroscuro tra il 1992 e il 1995, dove gioca da ala sinistra. Sven Goran Eriksson alla Samp gli ritaglia un ruolo da libero, nel 1998 se lo porta alla Lazio dove nel 2000 diventa campione d’Italia. Nell’estate 2019 Mihajlovic sarebbe potuto tornare alla Roma, stavolta da allenatore. Ma questa è un’altra storia di calcio.

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci; l'immagine di Felice Calabrò (AP Photo).

 
October 25, 2020
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Il 14-0 da record della Francia

Il clamoroso 14-0 di Francia - Gibilterra che, tra l'altro, supera il precedente primato a livello internazionale dei 13 gol segnati dai tedeschi a San Marino, ci consente di aggiornare questo contenuto.

Del resto, il calcio non è il rugby, quindi vincere con un gol di scarto o in goleada, a livello di punti conquistati, non cambia nulla. È però innegabile che un tabellino che segna 0-13 sia parecchio più d’impatto di una vittoria di corto muso con un semplice 0-1.

I 13 gol dell'Ajax

Goleade in A e Premier

Barcellona - Bayern 2-8

Le vittorie in Champions con lo scarto record

I 13 gol dell'Ajax

I Lancieri, con Traorè sugli scudi con una bella manita, non hanno avuto pietà degli avversari, concludendo la prima frazione di gara con un “normale” 0-4, salvo poi scatenarsi nella ripresa al ritmo di un gol ogni cinque minuti.

Abbastanza per superare il primato per la vittoria più larga nella storia del torneo, rubandolo a dei compagni di squadra… di cinquanta’anni fa! Nel 1972 il povero Vitesse si ritrova sulla strada dell’Ajax neo campione d’Europa e ne prende 12, segnandone uno. A discolpa dei gialloneri, però, il tabellino segnala quattro reti di Cruijff e tre di Neeskens, quindi ci si può anche stare.

Più recente (2010) il clamoroso 10-0 del PSV contro un Feyenoord in crisi nera, che nonostante avesse in campo De Vrij e Wijnaldum viene travolto dalla squadra della Philips.

Risultati da record in Serie A 

Ma non solo in Olanda arrivano risultati da record. Per trovare la vittoria più larga della Serie A a girone unico, però, bisogna tornare al secondo dopoguerra, quando il Grande Torino stravince il derby piemontese con l’Alessandria grazie a un clamoroso 10-0 in cui ci sono anche le firme di Valentino Mazzola e di Guglielmo Gabetto.

Per quanto riguarda il nuovo millennio, invece, i primati sono stati stabiliti con una sfilza di 7-0. Il più recente è quello senza quota per le scommesse calcio dell’Atalanta in trasferta al Torino del 2020, ma negli ultimi vent’anni ce ne sono stati anche due della Juventus a Sassuolo e Parma, due dell’Inter ed entrambi contro il Sassuolo, uno dell’Udinese al Palermo e uno dalla Roma all’Ascoli.

La Dea, tra l'altro, ha segnato 8 reti anche alla Salernitana.

Muriel realizza il rigore

Altro 7-0 è quello della Roma all'Empoli con il primo gol di Lukaku in maglia giallorossa.

Le goleade in Premier

Ancor prima del 7-0 inflitto dal City di Guardiola a Bielsa nel turno infrasettimanale di Premier del 14 dicembre 2021, in Inghilterra si ricordano altri casi...

La storia della Premier League parte dalla stagione 1992/93, quindi i risultati larghi sono tutti abbastanza recenti. Giusto un anno fa, il Leicester fa polpette del Southampton, battendo a domicilio i Saints con un clamoroso 9-0 firmato da triplette di Vardy e Perez.

Non fa meglio il Southampton nel turno infrasettimanale del 2 febbraio 2021, perdendo sempre 9-0 contro il Manchester United!

Primato solo eguagliato, perché nel 1995 il Manchester United di Sir Alex Ferguson decide di schiantare l’Ipswich Town con lo stesso risultato e con un bel poker di Andy Cole.

Guardando più indietro e includendo anche la First Division, si torna invece a prima della Prima Guerra Mondiale. Le vittorie più ampie sono due 12-0, il primo del West Bromwich contro il Darwen nel 1892 e il secondo del Nottingham Forest contro il Leicester nel 1909.

Barcellona - Bayern 2-8

Il 2-8 impronosticabile per le scommesse Champions League subito dal Bayern avrà ricordato al Barcellona che c’è stato un periodo in cui le goleade i blaugrana le prendevano, invece di farle.

La vittoria record in Liga è infatti dell’Athletic Bilbao proprio contro i catalani, che nel 1931 perdono 12-1 al San Mames, con addirittura sette reti del basco Bata.

E il Barça non si prende neanche il primato della vittoria più larga recente, perché ci pensa il Real Madrid di Cristiano Ronaldo.

Nel 2015 i Blancos vincono 10-2 il derby contro il Rayo Vallecano, dopo che qualche mese prima avevano affondato il Granada per 9-1. Le reti del portoghese? Cinque agli andalusi e due al Rayo, che in compenso però ne prende tre da Benzema e quattro da Bale.

In Germania ad essere protagonista della vittoria più larga di sempre è il Borussia Dortmund. Sì, ma dalla parte sbagliata, perché nell’aprile 1978 i gialloneri subiscono una disfatta epocale per mano del Borussia Mönchengladbach: 12-0, con una prestazione sopra le righe di un centravanti destinato a diventare però più famoso da allenatore. Jupp Heynckes segna ben cinque reti della dozzina che i suoi rifilano agli avversari.

Le goleade più recenti, neanche a dirlo, sono, invece, firmate Bayern Monaco: 8-0 allo Schalke 04 con cui i campioni d’Europa in carica hanno aperto la stagione attuale.

Negli ultimi anni c’è anche stato un 8-0 del Lipsia al Mainz e con lo stesso risultato il Bayern ha asfaltato l’Amburgo con poco sorprendente tripletta di Lewandoswki.

Altro 8-0 quello del Bayern al Darmstadt il 28 ottobre 2023, con una peculiarità unica: tutte le reti di Kane e compagni sono state realizzare nella ripresa!

Il tabellone che conferma il clamoroso 8-0

Così come non sorprende per nulla che la goleada più recente della Ligue 1 sia opera del Paris Saint-Germain. Nel 2019 e nel 2016 i parigini rifilano un bel 9-0 agli sfortunati avversari, rispettivamente il Guingamp e il Troyes. Nel match del 2019 brillano Mbappè e Neymar (tre gol ciascuno), mentre in quello precedente a farla da padrone è Zlatan Ibrahimovic, che mette a referto un bel poker.

Ma neanche il PSG degli sceicchi si è potuto avvicinare al primato di sempre del campionato francese, stabilito nella stagione 1935-36 dal Sochaux: un bel 12-1 contro il Valenciennes.

Le vittorie in Champions con lo scarto record

Un excursus sulla Champions League è doveroso: i risultati larghi non sono mai mancati. Quello più recente è l’8-0 con cui nel 2015 il Real Madrid ha schiantato il Malmö nella fase a gironi. Ovviamente, poker di Cristiano Ronaldo e tripletta di Benzema, con Kovacic come unico intruso nella festa dei due.

Ma tornando ai tempi in cui si parlava di Coppa dei Campioni e gli accoppiamenti erano spesso squilibratissimi, c’è una vera e propria festa del gol, quella della Dinamo Bucarest contro il Crusaders nel 1973: finisce 11-0 per i rumeni. Ma comunque ai maltesi è sempre andata meglio… che al VVV-Venlo!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da Alamy. Prima pubblicazione, 25 ottobre 2020.

November 21, 2023
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Il Mago nella NBA 2022...

C'era una volta... un Mago, un mago alto come nessuno mai e che giocava da Dio. 
Questo poteva essere l'inizio di una incredibile ed epica storia. O meglio una fiaba, perché quando si parla di Andrea Bargnani si ha sempre il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e che purtroppo non è stato mai... e cioè la più grande storia del basket italiano! 

A Roma lo svezza il mitico Roberto Castellano, vecchia gloria del Banco di Roma. Lui vede il futuro del basket e lo allena a giocare da esterno. Bargnani diventa Mago a Treviso dove lo porta Maurizio Gherardini, e lì è Riccardo Pittis a battezzarlo Il Mago, perché prima di Bargnani in Italia non si era mai visto un ragazzone giocare a quel modo. A soli 20 anni in appena 24 minuti distrugge una delle più forti squadre del campionato, la “sua” Virtus Roma e si conferma una delle più grandi promesse del basket azzurro.

Mette a referto 25 punti segnando in ogni modo, lasciando tutti a bocca aperta e mani spellate. Sale in cattedra e spiega al mondo che da quel momento sarà normale anche per uno alto duecentrotredici centimetri allargare il campo e fare molto male alle difese. Lui palleggia, tira, finta e va di fioretto come una guardia qualsiasi. Su di lui si accendono i riflettori.  

Il Mago conquista il West

E' normale per uno cosi ricevere le attenzioni della NBA. Nel 2006 i Raptors hanno la prima scelta assoluta al draft e scelgono proprio il Mago. Mai un europeo era stato chiamato così in alto. 
Il Mago arriva e con Chris Bosh, la stella della squadra, forma una della coppie più talentuose ma anomale del basket di quell'epoca. I Raptors per la prima volta nella loro storia arrivano ai Playoff e il gm Colangelo ottiene il premio di executive of the year. Non male come primo anno no?
Il problema è che da lì in poi non si cresce e non si vince... si lotta nel fango e Bargnani inizia a diventare uno dei più grandi misteri del basket. La sua è stata una carriera costellata di infortuni piccoli e grandi, praticamente per 4 anni in NBA non riesce mai a fare una stagione intera, ma nessuno gli concede il beneficio del dubbio.

La redenzione?

Bargnani si porta addosso il fardello di essere uno dei più grandi flop del basket NBA. Ma... perché esiste sempre un ma, nell'autunno 2020 il due volte campione per le scommesse NBA David West, se ne esce con una sorta di bomba mediatica che spacca le convenzioni. Analizzando le nuove regole NBA che stanno privilegiando le spaziature larghe e gli attacchi per avere un maggiore spettacolo in campo West la tocca piano: “la ragione per la quale la coppia Bosh-Bargnani non funzionò è perché noi potevamo mettergli le mani addosso e menarli di brutto”.

 

Nel gioco odierno, sostiene ancora West, avrebbero spaccato!! “They would have blow this NBA out of the water”...lui dice...una cosa pazzesca rispetto alla considerazione del Mago finora.

Andando a rivedere le cifre di Bargnani a Toronto vediamo che Andrea ha una media di 15,2 punti a partita, tirando col 36 % da 3, per 4.1 tiri di media a partita. Queste cifre se paragonate al gioco di appena qualche anno fa, erano più che sufficienti per rendere il Mago uno dei migliori tiratori di tutta la Lega. West cita poi la sua finta di tiro da 3 come una delle più efficaci mai viste. 

La domanda adesso è: con questa nuova chiave di lettura potremmo considerare in maniera diversa l'intera carriera di Bargnani e magari pensare che il suo basket era troppo avanti rispetto ai suoi tempi? Complicato da sostenere ma bellissimo da argomentare.

Figlio del tempo sbagliato

Cambiamo prospettiva ed analizziamo gli stipendi NBA di oggi. 
La NBA sta attraversando il periodo più florido della sua storia e, di conseguenza, i giocatori hanno contratti che, se paragonati con quelli degli anni passati, sono addirittura pazzeschi.
Alla luce però di quello che West ha profetizzato, ci siamo divertiti a paragonare il contratto di Andrea Bargnani con quello del giocatore più simile a lui oggi in tutto il panorama NBA: Kristaps Porzingis “The Unicorn”, l'unico 2.21 in grado di dominare dal perimetro.

Bargnani da prima scelta guadagnava 4,5 milioni. In tutta la carriera ha portato a casa circa 73 milioni. Una cifra che in Europa nemmeno una intera squadra di top player guadagnerebbe in tutta la loro carriera. 

Oggi la prima scelta al draft NBA parte da oltre 8 milioni. Porzingis, che viaggia leggermente sopra alle medie del miglior Bargnani in NBA, circa 20 punti di media con una percentuale molto simile da 3 del 35%, ha guadagnato 27 milioni di dollari e arriverà a guadagnarne col suo attuale contratto 36 milioni nel 2023. 

Porzingis guadagnerà in 3 stagioni quello che il “povero” Bargnani ha guadagnato in 10 stagioni.
Dobbiamo forse chiedere tutti scusa al Mago?

*Il testo dell'articolo è di Jacopo Manni; l'immagine di Phelan M. Ebenhack (AP Photo). Prima pubblicazione 25 ottobre 2020.

December 25, 2021
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La Philips ed il calcio, storia di una sinergia vincente!

Da quando qualche anno fa la Philips ha deciso di togliere “electronics” dal suo nome, per sottolineare come l’azienda dei Paesi Bassi si sia ormai dedicata solamente alla tecnologia del benessere, è scomparso uno dei due grandi motivi di celebrità della multinazionale. Che nel corso di oltre cent’anni è stata famosissima per due motivi: gli elettrodomestici e…il PSV Eindhoven.

Il club è infatti nato nel 1913 proprio come squadra di calcio degli operai della Philips e ha mantenuto con l’azienda un rapporto pressoché simbiotico. Lo stadio in cui gioca si chiama, neanche a dirlo, Philips Stadion e il logo della casa madre è stato al centro delle maglie da gioco dal 1982, anno di introduzione degli sponsor in Eredivisie, fino al 2016, quando si è spostato sulla manica, per permettere di fatturare con un ulteriore sponsor!

Se il PSV è una delle tre potenze del calcio dei Paesi Bassi (assieme ad Ajax e Feyenoord), gran parte del merito è dunque della Philips, che ha costruito una società modello, capace di vincere sia in patria che in Europa. Il primo titolo nazionale è arrivato nel 1929, mentre l’ultimo, quello della stagione 2017/18, è il numero 24.

Nell’albo d’oro i biancorossi sono a dieci lunghezze dall’Ajax, che ha trionfato 34 volte, ma hanno una rassicurante distanza di nove titoli dal Feyenoord, fermo a 15. La bacheca parla anche di due affermazioni continentali. La Coppa UEFA del 1978, vinta in finale contro il Bastia, ma soprattutto la Coppa dei Campioni di dieci anni più tardi, quella conquistata ai calci di rigore contro il Benfica e che è valsa agli olandesi addirittura un clamoroso triplete, prima del poker con il titolo dell'Olanda agli Europei!

 

Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il supporto della Philips, che spesso e volentieri ha anche aperto parecchio i cordoni della borsa per portare a Eindhoven calciatori che poi hanno scritto la storia del calcio mondiale. Del resto, rispetto ai rivali dell’Ajax al PSV manca un vivaio di prim’ordine. E quindi per mettere su una squadra c’è molto più bisogno di investire, portando talenti da altri club.

La squadra che ha vinto la UEFA nel 1978 era basata su alcuni dei giocatori che quattro anni prima avevano fatto sognare il mondo con la maglia dell’Arancia Meccanica di Cruijff e che in quell’estate avrebbero conteso all’Argentina il titolo nel mondiale sudamericano: nel corso degli anni il PSV acquista a suon di fiorini i fratelli van de Kerkhof, ma anche Ernie Brandts e Jan Poortvliet. Eppure il grande impatto della multinazionale olandese si ha nei decenni a venire, quando il PSV comincia a raccogliere talenti da tutta Europa, aprendo poi i suoi confini anche alle stelle del Sudamerica. 

Il decennio di platino

Negli anni Ottanta i trasferimenti clamorosi ad Eindhoven sono all’ordine del giorno, anche solo rimanendo agli olandesi. Uno dei più controversi è quello di Ronald Koeman, che nel 1986 lascia l’Ajax di Cruijff per vestire la maglia dei rivali. Assieme a Rambo, dall’Ajax arriva anche Vanenburg, sogno proibito della Roma di Dino Viola. In porta nella squadra che vince tutto c’è Hans van Breukelen, che aveva sostituito Shilton nel Nottingham Forest di Clough, per poi tornare in patria e in attacco c’è Wim Kieft, anche lui scuola Ajax, con un passato in Italia nel Torino e nel Pisa.

Tutti calciatori che nell’estate 1988 vincono l’Europeo con l’Olanda di Michels. Tra loro ci sarebbe anche un certo Ruud Gullit, che nel 1985 il PSV strappa con la forza al Feyenoord per 1,2 milioni di fiorini olandesi. In quel caso però la Philips trova un concorrente abbastanza agguerrito, perché il Milan di Berlusconi sborsa 13 miliardi di lire e nell’estate 1987 si aggiudica il Pallone d’Oro in pectore.

Poco male, perché ci sono anche talenti in squadra che arrivano da altre nazioni. Il posto di Gullit viene preso proprio nel 1987 Søren Lerby, che va ad ingrandire la già folta colonia danese formata da Frank Arnesen, Jan Heintze e Ivan Nielsen. E il capitano che solleva la coppa al cielo di Stoccarda è il belga Eric Gerets.

PSV = Brasile

L’anno successivo ai campioni d’Europa si aggiunge un campione di livello mondiale. Nel 1988 fa il suo esordio in Europa Romario, fresco capocannoniere dei Giochi Olimpici del 1988. Il Baixinho viene acquistato dal Vasco da Gama e diventa immediatamente l’idolo della tifoseria. Per lui tre titoli di capocannoniere dell’Eredivisie e due della Coppa dei Campioni, con una media gol che fa spavento: in cinque stagioni arrivano 142 presenze e 128 reti. Non sorprende dunque che Johan Cruijff nel 1993 lo voglia per il suo Barcellona.

Ma a Eindhoven replicano abbastanza velocemente l’affare. Nel 1994 arriva al Philips Stadion un altro brasiliano, un ragazzino dal sorriso contagioso e dalla velocità impressionante. Ronaldo Nazario da Lima costa 6 milioni di dollari da girare al Cruzeiro, ma vale ogni centesimo. Gli basta un anno per esplodere, con 35 reti in 36 partite. La stagione successiva un infortunio al ginocchio lo costringe a uno stop, ma non gli impedisce di segnare 19 gol in 21 presenze. E, storia già vista, arriva il Barcellona che se lo porta via con 20 milioni di dollari.

Il Fenomeno vero ai tempi del PSV!

 

Anche nei decenni successivi, però, il PSV ha saputo investire su calciatori destinati ad un futuro importante, pur non raggiungendo mai i livelli del Fenomeno. Nel 1996 si prende il centro della difesa Jaap Stam, che accanto a lui ha Philip Cocu. Nel 1998 vengono pagati 6 milioni di euro all’Heerenven per un certo Ruud van Nistelrooy, mentre un anno dopo dal Fortuna Sittard arriva Mark van Bommel.

Nel 2002 c’è un doppio colpo: dalla Corea del Sud quarta a sorpresa per le scommesse ai mondiali giunge Park Ji-Sung, mentre 3,7 milioni di euro versati al Groningen permettono al PSV di accogliere Arjen Robben in biancorosso. Gli ultimi grandi talenti targati Philips sono Georginio Wijnaldum, strappato al Feyenoord nel 2011, e Memphis Depay, che però rappresenta un caso unico: viene portato al PSV a 12 anni ed è quindi un prodotto delle giovanili. Perché in fondo, pur avendo sempre investito parecchio su calciatori presi da altri club, le cose fatte in casa…hanno tutto un altro sapore!

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Marcel van Hoorn e Christof Stache.

October 24, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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