Quante delusioni per Becks e gli altri con la maglia dei Tre Leoni!

Il 1992 è un anno fondamentale nello sviluppo del calcio inglese. In agosto parte la Premier League, il nuovo formato della First Division, destinato a portare grandi gioie, tecniche ed economiche, al pallone di Sua Maestà.

Ma il momento clou, anche se nessuno può ancora prevederlo, è il 15 maggio, quando il Manchester United vince la FA Cup giovanile contro il Crystal Palace, confermando con un 3-2 a Old Trafford l’1-3 di Selhurst Park di un mese prima. In quella squadra ci sono alcuni ragazzi destinati a scrivere la storia dei Red Devils. Che proprio grazie a quella vittoria si guadagnano un soprannome che è già leggenda: The Class of ’92.

In retrospettiva, ovvio che Eric Harrison, allenatore dei giovani dello United, avesse vita facile. Basta guardare ai tabellini delle due finali per rendersi conto del ben di Dio che il tecnico aveva a disposizione: Ryan Giggs, Gary Neville, David Beckham, Nicky Butt, Paul Scholes e Phil Neville, in rigoroso ordine di esordio con la prima squadra.

Una nidiata di campioni che è paragonabile solo a quella che nel giro di qualche anno produrrà la Masia per il Barcellona di Guardiola. Un gruppo di ragazzi che ancora oggi è unitissimo, che possiede parte di una squadra (il Salford, neanche a dirlo a Manchester), ma che soprattutto ha lasciato un segno indelebile sul calcio inglese nel corso di vent’anni.

Il senatore è Ryan Giggs, che già nel 1991 ha esordito sotto lo sguardo interessato di Sir Alex Ferguson. Lo scozzese sa bene di avere sotto mano una manciata di talenti in grado di cambiare le sorti del club e li gestisce con parsimonia.

Giggs con la sua seconda pelle!

Gli esordi

Il gallese ha due anni e una marcia in più degli altri, al punto che quando termina la prima stagione di Premier League, quella 1992/93, è già stato due volte eletto giovane calciatore dell’anno, ha vinto il primo dei suoi tredici campionati e ha servito a McCoist l’assist decisivo per la League Cup del 1992. La finalissima di FA Cup giovanile la gioca praticamente… da fuoriquota.

Il capitano della squadra è invece Gary Neville, uno che, come si dice da quelle parti, è “United born and bred”. Il difensore esordisce in Coppa UEFA il 16 settembre. Una settimana dopo tocca a David Beckham, che scende in campo in League Cup. All’epoca Becks non è ancora lo Spice Boy che farà innamorare il mondo e Victoria Adams, ma semplicemente un londinese (che tifa Arsenal) dal piede destro fatato, in grado di trasformare ogni calcio piazzato in oro e di regalare cross perfetti.

A novembre è il turno di Nicky Butt, un mediano tutta grinta destinato a studiare accanto a un certo Roy Keane. Ci vorrà qualche anno in più per vedere in campo gli altri due. Nel settembre 1994 esordisce Paul Scholes, che nella sua prima partita (in League Cup) spiega subito al mondo come andranno le cose segnando una doppietta. E infine nel gennaio 1995 Phil Neville decide che tra il calcio e il cricket è meglio il pallone e fa il suo debutto in FA Cup.

Tutto è finalmente pronto perché la Class of ’92 (o i Fergie's Fledglings, in un parallelo neanche troppo velato con i Busby Babes degli anni Cinquanta) si prenda la scena. Giggs è già una stella, ma anche gli altri ci mettono poco a diventare punti fermi della squadra. Gary Neville si prende la fascia destra quando Paul Parker si infortuna e non la lascia più. Becks ha vita più dura, perché davanti ha Kanchelskis, ma Ferguson non ha dubbi e quando il russo lascia Old Trafford per l’Everton lo slot di ala è suo.

Butt fa lo stesso, prendendo il posto di Paul Ince accanto a Roy Keane. In breve tempo però in quella posizione vicino all’irlandese toccherà a Scholes, che da attaccante decide di mettere il suo piede destro a disposizione della mediana, trasformandosi (parola di Zinedine Zidane) nel miglior centrocampista del mondo. E alla fine anche Phil Neville si prende il posto di laterale sinistro in uno degli United più forti e celebrati di tutti i tempi.

La storia della Class of ’92 si scrive prevalentemente con gli almanacchi e parla per alcuni di una Champions League, con tanto di clamoroso Treble per le scommesse calcio; per altri addirittura di due, oltre a una serie impressionante di campionati e altri trofei nazionali e internazionali vinti. E l’impatto sulla cultura britannica (ma non solo) dell’epoca è enorme. Dopo gli anni complicati del post-Heysel e la difficile ripresa, la Premier League diventa il campionato più celebre del mondo, soppiantando la Serie A.

E molta della celebrità del torneo è dovuta a quello United, che con Cantona e i ragazzi di Ferguson offre all’intero pianeta i poster-boy del calcio inglese. Il volto di Becks finisce sui muri delle ragazzine assieme a quello degli idoli musicali (è pur sempre l’era del Britpop) e quando Cantona lascia il biondino si prende la numero 7 che è stata di Best e che sarà di Cristiano Ronaldo.

Certo, non tutte le storie sono a lieto fine. Giggs, Scholes e Gary Neville dedicheranno tutta la loro carriera allo United, mentre Beckham, Butt e Phil Neville lasciano Old Trafford rispettivamente nel 2003, nel 2004 e nel 2005, non senza qualche polemica.

Ognuno di loro, però, continua a lasciare il segno a modo suo nel calcio mondiale. Giggs è il CT del Galles, Beckham è un’icona che trascende lo sport, oltre a essere il proprietario dell’Inter Miami. Gary Neville, al netto di un breve e infruttuoso tentativo da allenatore, è uno degli opinionisti più apprezzati del Regno Unito, così come Scholes.

Phil Neville invece ha deciso di diventare il CT della nazionale femminile, mentre Nicky Butt ha optato per ricominciare da dove tutto è partito, diventando il responsabile delle giovanili dei Red Devils.

Con i Tre Leoni

Paradossalmente, però, nonostante facciano parte di uno dei club più decorati della storia del calcio, i ragazzi della Class of ’92 non hanno portato ad un altro livello la nazionale inglese. Giggs è ovviamente escluso, se non dalla selezione olimpica, dal novero in quanto rappresenta il Galles, ma gli altri cinque, pur di fronte a valori tecnici importanti, non sono riusciti a far fare il salto di qualità ai Tre Leoni. Persino Beckham (115 apparizioni con la maglia bianca), che per oltre un decennio è stato la stella della selezione, ha un rapporto con la nazionale fatto di alti e bassi.

L’espulsione a Francia 98, il dito medio a Euro 2000, il rigore sbagliato con il Portogallo a Euro 2004 sono ferite ancora aperte e non basta la punizione contro la Grecia che ha portato l’Inghilterra al Mondiale 2002 a rimarginarle. Scholes ha addirittura lasciato la nazionale nel 2004 dopo 66 presenze, quando è stato… dislocato a sinistra per fare spazio a Lampard e Gerrard al centro del campo.

Gary Neville ha al suo attivo 85 presenze, ma non è mai stato decisivo per le sorti della squadra. Suo fratello Phil (59 caps), è stato escluso dalla lista finale per due mondiali consecutivi (2002 e 2006) pur non essendo infortunato. Alla fine, per valore tecnico, è andata meglio a Butt, che ha al suo attivo 39 presenze pur non essendo spesso titolare neanche nel suo club, e che nel 2002 è stato definito da Pelè il miglior calciatore dell’Inghilterra al mondiale. 

Una piccola macchia, quella dei Tre Leoni, in una storia clamorosa e talmente importante da meritare un film-documentario. Segnale che la Class of ’92 ha davvero scritto pagine indelebili della leggenda del calcio.

Segui il calcio inglese anche con le scommesse!

*Le immagini dell'articolo sono di Jon Super (AP Photo).

October 25, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Quando per affermarsi bisogna cambiare aria

Se «Una splendida giornata» è la colonna sonora che più s’addice a quei calciatori che hanno iniziato male - «con un’alba timida», per parafrasare Vasco Rossi - la loro esperienza in una squadra per poi affermarsi alla seconda stagione, «Non ho l’età» di Gigliola Cinguetti o «Voglio andar via» di Claudio Baglioni sono brani che fanno al caso di quei calciatori che sono riusciti ad esprimere le loro qualità soltanto cambiando casacca.

Incapacità di ambientarsi in Italia o in una piazza specifica, incompatibilità con un sistema di gioco, acerba gioventù: sono diversi i motivi dietro quei flop che, con il senno del poi, appaiono inspiegabili.

Anonimi al Milan, campioni all’Arsenal

Appare ad esempio inspiegabile come il Milan si sia lasciato sfuggire un campione della caratura di Patrick Vieira. Robusto e granitico centrocampista franco-senegalese, viene ingaggiato dai rossoneri nel dicembre 1995 e presentato come un novello Desailly. Quello in cui arriva è il Milan stellare di Fabio Capello: un vero e proprio caleidoscopio di campioni in cui è difficile per un giovane trovare spazio.

A fine stagione, con un assegno di 4,5milioni di sterline se lo aggiudica l’Arsenal di Arsene Wenger, il quale riesce a rilanciare il suo giovane connazionale che negli anni diventerà una colonna dei Gunners.

Gioca oggi con l’Arsenal Sokratis Papastathopoulos, il difensore greco considerato tra i più affidabili nel ruolo: per lui infelice esperienza in rossonero nel 2010-11, dopo due buone stagioni al Genoa. L’asse Arsenal-Milanello sembra una costante in questo ambito. Nelle fila dei Gunners milita attualmente anche Pierre-Emerick Aubameyang, altro afro-francese, ma attaccante rapido e tecnico.

Anche per lui parentesi anonima al Milan fino al 2008, dove Aubameyang gioca soltanto con la Primavera senza mai esordire in prima squadra: la fama arriva in Francia, poi al Borussia Dortmund e infine, appunto, all’Arsenal.

Di lui l’allora allenatore della Primavera rossonera Filippo Galli dirà un gran bene, indicandolo come il miglior elemento di quella squadra insieme al fluidificante Matteo Darmian, altro giocatore che ha avuto fortuna soltanto lontano da Milanello. Così come Edgar Davids, che giunge “alla corte del Diavolo” nel 1996 insieme agli altri olandesi Reiziger, Bogarde e Kluivert.

I quattro fanno però rimpiangere i loro ben più amati connazionali Van Basten, Gullit e Rijkaard. A fine stagione Davids viene ceduto alla Juventus, dove diventa uno dei mediani più temuti dagli avversari nella storia del calcio.

Dall’Inter al Milan, tutta un’altra musica

Ma c’è anche chi a Milanello ha invece costruito la propria gloria calcistica dopo aver fallito altrove. È il caso di un altro olandese, Clarence Seedorf, capace di affermarsi nel 1995-96 nella Sampdoria e di diventare elemento chiave del Real Madrid nelle tre stagioni successive. Nel dicembre 1999 l’approdo all’Inter. In maglia nerazzurra mister Lippi lo impiega esterno di centrocampo, dove non esprime il meglio di sé.

Nell’estate 2002, dopo l’amarezza dello scudetto perso all’ultima giornata all’Olimpico, Seedorf passa dall’altra parte dei Navigli: al Milan rimane dieci stagioni e, nella seconda metà dele 2013-14, ne diventa anche allenatore.

È oggi un mister anche Andrea Pirlo, altro rigenerato eccellente dalla “cura Milanello”. Di lui si dice un gran bene quando, giovanissimo, incanta con la squadra della sua città, il Brescia. Lo preleva l’Inter, dove lo attendono anni tra luci e ombre: con il Biscione non esplode mai, mentre sono positive le esperienze in prestito alla Reggina e il ritorno al Brescia. Nel 2001 lo prende il Milan e gli fa spiccare il volo verso una carriera piena di successi.

Penombra nerazzurra

Inter sfortunata pure con altri calciatori divenuti altrove celebri. Considerato uno dei «bidoni» per eccellenza della compagine nerazzurra, il francese Mikael Silvestre nel 1998 arriva a Milano dopo un lungo braccio di ferro tra il ds interista Sandro Mazzola e la sua squadra, il Rennes. Sicuro di aver trovato un campione in difesa pronto a sbocciare, mister Gigi Simoni si ritrova invece un giocatore inadatto a fare il terzino sinistro.

A fine stagione il trasferimento al Manchester Utd, dove Silvestre ritrova linfa nel suo ruolo naturale: difensore centrale.

La maglia dei Red Devils la indossa oggi Alex Telles, ottima opzione come marcatore a quote alte per le scommesse online che nel 2015-16 disputa una stagione in prestito al di sotto delle aspettative nell’Inter. Tornato al suo club di appartenenza, il Galatasaray, viene ceduto al Porto, dove diventa il perno della fascia sinistra e conquista la Nazionale brasiliana.

Una sola stagione all’Inter anche per l’austriaco Marko Arnautovic: nel 2009 arriva alla Pinetina con la fama del nuovo Ibra, in realtà si farà ricordare solo per le sue spigolature caratteriali, che gli sono rimaste anche nel corso delle sue successive buone esperienze in Germania e Inghilterra.

Da Henry a Sinisa, quanti rimpianti

Un carattere mite è invece quello di Thierry Henry, che nel mercato invernale del 1999 arriva alla Juve da prospetto di futuro campione. È già un nazionale francese, ma con i Blues gioca da punta, mentre in bianconero mister Ancelotti lo impiega sulla fascia. A parte una preziosa doppietta alla Lazio, realizzata giocando appunto da centravanti, il francese non fa molto altro. A fine stagione la cessione all’Arsenal, dove ne diventa una bandiera.

Tutt’altro che esaltante in bianconero l’esperienza di Sunday Oliseh, nel 1999-00: 8 presenze e 0 gol per il centrocampista nigeriano prima di accasarsi al Borussia Dortmund e rivelare il suo valore. E pensare che viene strappato da Moggi alla Roma, provocando le ire di Franco Sensi. Due anni prima, nell’estate 1997, in giallorosso arriva un altro centrocampista, Ivan Helguera.

Tra le tante new entry a Trigoria di quella finestra di calciomercato, lo spagnolo viene considerato un colpo da veri intenditori. Ma la sua flemma è incompatibile con il dinamico 4-3-3 di Zeman: a fine anno Helguera fa un biglietto di ritorno in Spagna, dove diventa negli anni perno della Nazionale e del Real Madrid.

Si è dovuto allontanare molto meno da Trigoria per affermarsi come uno dei migliori difensori goleador della storia Sinisa Mihajlovic. Per il serbo nella Roma due stagioni in chiaroscuro tra il 1992 e il 1995, dove gioca da ala sinistra. Sven Goran Eriksson alla Samp gli ritaglia un ruolo da libero, nel 1998 se lo porta alla Lazio dove nel 2000 diventa campione d’Italia. Nell’estate 2019 Mihajlovic sarebbe potuto tornare alla Roma, stavolta da allenatore. Ma questa è un’altra storia di calcio.

*Il testo dell'articolo è di Federico Cenci; l'immagine di Felice Calabrò (AP Photo).

 
October 25, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il 14-0 da record della Francia

Il clamoroso 14-0 di Francia - Gibilterra che, tra l'altro, supera il precedente primato a livello internazionale dei 13 gol segnati dai tedeschi a San Marino, ci consente di aggiornare questo contenuto.

Del resto, il calcio non è il rugby, quindi vincere con un gol di scarto o in goleada, a livello di punti conquistati, non cambia nulla. È però innegabile che un tabellino che segna 0-13 sia parecchio più d’impatto di una vittoria di corto muso con un semplice 0-1.

I 13 gol dell'Ajax

Goleade in A e Premier

Barcellona - Bayern 2-8

Le vittorie in Champions con lo scarto record

I 13 gol dell'Ajax

I Lancieri, con Traorè sugli scudi con una bella manita, non hanno avuto pietà degli avversari, concludendo la prima frazione di gara con un “normale” 0-4, salvo poi scatenarsi nella ripresa al ritmo di un gol ogni cinque minuti.

Abbastanza per superare il primato per la vittoria più larga nella storia del torneo, rubandolo a dei compagni di squadra… di cinquanta’anni fa! Nel 1972 il povero Vitesse si ritrova sulla strada dell’Ajax neo campione d’Europa e ne prende 12, segnandone uno. A discolpa dei gialloneri, però, il tabellino segnala quattro reti di Cruijff e tre di Neeskens, quindi ci si può anche stare.

Più recente (2010) il clamoroso 10-0 del PSV contro un Feyenoord in crisi nera, che nonostante avesse in campo De Vrij e Wijnaldum viene travolto dalla squadra della Philips.

Risultati da record in Serie A 

Ma non solo in Olanda arrivano risultati da record. Per trovare la vittoria più larga della Serie A a girone unico, però, bisogna tornare al secondo dopoguerra, quando il Grande Torino stravince il derby piemontese con l’Alessandria grazie a un clamoroso 10-0 in cui ci sono anche le firme di Valentino Mazzola e di Guglielmo Gabetto.

Per quanto riguarda il nuovo millennio, invece, i primati sono stati stabiliti con una sfilza di 7-0. Il più recente è quello senza quota per le scommesse calcio dell’Atalanta in trasferta al Torino del 2020, ma negli ultimi vent’anni ce ne sono stati anche due della Juventus a Sassuolo e Parma, due dell’Inter ed entrambi contro il Sassuolo, uno dell’Udinese al Palermo e uno dalla Roma all’Ascoli.

La Dea, tra l'altro, ha segnato 8 reti anche alla Salernitana.

Muriel realizza il rigore

Altro 7-0 è quello della Roma all'Empoli con il primo gol di Lukaku in maglia giallorossa.

Le goleade in Premier

Ancor prima del 7-0 inflitto dal City di Guardiola a Bielsa nel turno infrasettimanale di Premier del 14 dicembre 2021, in Inghilterra si ricordano altri casi...

La storia della Premier League parte dalla stagione 1992/93, quindi i risultati larghi sono tutti abbastanza recenti. Giusto un anno fa, il Leicester fa polpette del Southampton, battendo a domicilio i Saints con un clamoroso 9-0 firmato da triplette di Vardy e Perez.

Non fa meglio il Southampton nel turno infrasettimanale del 2 febbraio 2021, perdendo sempre 9-0 contro il Manchester United!

Primato solo eguagliato, perché nel 1995 il Manchester United di Sir Alex Ferguson decide di schiantare l’Ipswich Town con lo stesso risultato e con un bel poker di Andy Cole.

Guardando più indietro e includendo anche la First Division, si torna invece a prima della Prima Guerra Mondiale. Le vittorie più ampie sono due 12-0, il primo del West Bromwich contro il Darwen nel 1892 e il secondo del Nottingham Forest contro il Leicester nel 1909.

Barcellona - Bayern 2-8

Il 2-8 impronosticabile per le scommesse Champions League subito dal Bayern avrà ricordato al Barcellona che c’è stato un periodo in cui le goleade i blaugrana le prendevano, invece di farle.

La vittoria record in Liga è infatti dell’Athletic Bilbao proprio contro i catalani, che nel 1931 perdono 12-1 al San Mames, con addirittura sette reti del basco Bata.

E il Barça non si prende neanche il primato della vittoria più larga recente, perché ci pensa il Real Madrid di Cristiano Ronaldo.

Nel 2015 i Blancos vincono 10-2 il derby contro il Rayo Vallecano, dopo che qualche mese prima avevano affondato il Granada per 9-1. Le reti del portoghese? Cinque agli andalusi e due al Rayo, che in compenso però ne prende tre da Benzema e quattro da Bale.

In Germania ad essere protagonista della vittoria più larga di sempre è il Borussia Dortmund. Sì, ma dalla parte sbagliata, perché nell’aprile 1978 i gialloneri subiscono una disfatta epocale per mano del Borussia Mönchengladbach: 12-0, con una prestazione sopra le righe di un centravanti destinato a diventare però più famoso da allenatore. Jupp Heynckes segna ben cinque reti della dozzina che i suoi rifilano agli avversari.

Le goleade più recenti, neanche a dirlo, sono, invece, firmate Bayern Monaco: 8-0 allo Schalke 04 con cui i campioni d’Europa in carica hanno aperto la stagione attuale.

Negli ultimi anni c’è anche stato un 8-0 del Lipsia al Mainz e con lo stesso risultato il Bayern ha asfaltato l’Amburgo con poco sorprendente tripletta di Lewandoswki.

Altro 8-0 quello del Bayern al Darmstadt il 28 ottobre 2023, con una peculiarità unica: tutte le reti di Kane e compagni sono state realizzare nella ripresa!

Il tabellone che conferma il clamoroso 8-0

Così come non sorprende per nulla che la goleada più recente della Ligue 1 sia opera del Paris Saint-Germain. Nel 2019 e nel 2016 i parigini rifilano un bel 9-0 agli sfortunati avversari, rispettivamente il Guingamp e il Troyes. Nel match del 2019 brillano Mbappè e Neymar (tre gol ciascuno), mentre in quello precedente a farla da padrone è Zlatan Ibrahimovic, che mette a referto un bel poker.

Ma neanche il PSG degli sceicchi si è potuto avvicinare al primato di sempre del campionato francese, stabilito nella stagione 1935-36 dal Sochaux: un bel 12-1 contro il Valenciennes.

Le vittorie in Champions con lo scarto record

Un excursus sulla Champions League è doveroso: i risultati larghi non sono mai mancati. Quello più recente è l’8-0 con cui nel 2015 il Real Madrid ha schiantato il Malmö nella fase a gironi. Ovviamente, poker di Cristiano Ronaldo e tripletta di Benzema, con Kovacic come unico intruso nella festa dei due.

Ma tornando ai tempi in cui si parlava di Coppa dei Campioni e gli accoppiamenti erano spesso squilibratissimi, c’è una vera e propria festa del gol, quella della Dinamo Bucarest contro il Crusaders nel 1973: finisce 11-0 per i rumeni. Ma comunque ai maltesi è sempre andata meglio… che al VVV-Venlo!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da Alamy. Prima pubblicazione, 25 ottobre 2020.

November 21, 2023
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il Mago nella NBA 2022...

C'era una volta... un Mago, un mago alto come nessuno mai e che giocava da Dio. 
Questo poteva essere l'inizio di una incredibile ed epica storia. O meglio una fiaba, perché quando si parla di Andrea Bargnani si ha sempre il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e che purtroppo non è stato mai... e cioè la più grande storia del basket italiano! 

A Roma lo svezza il mitico Roberto Castellano, vecchia gloria del Banco di Roma. Lui vede il futuro del basket e lo allena a giocare da esterno. Bargnani diventa Mago a Treviso dove lo porta Maurizio Gherardini, e lì è Riccardo Pittis a battezzarlo Il Mago, perché prima di Bargnani in Italia non si era mai visto un ragazzone giocare a quel modo. A soli 20 anni in appena 24 minuti distrugge una delle più forti squadre del campionato, la “sua” Virtus Roma e si conferma una delle più grandi promesse del basket azzurro.

Mette a referto 25 punti segnando in ogni modo, lasciando tutti a bocca aperta e mani spellate. Sale in cattedra e spiega al mondo che da quel momento sarà normale anche per uno alto duecentrotredici centimetri allargare il campo e fare molto male alle difese. Lui palleggia, tira, finta e va di fioretto come una guardia qualsiasi. Su di lui si accendono i riflettori.  

Il Mago conquista il West

E' normale per uno cosi ricevere le attenzioni della NBA. Nel 2006 i Raptors hanno la prima scelta assoluta al draft e scelgono proprio il Mago. Mai un europeo era stato chiamato così in alto. 
Il Mago arriva e con Chris Bosh, la stella della squadra, forma una della coppie più talentuose ma anomale del basket di quell'epoca. I Raptors per la prima volta nella loro storia arrivano ai Playoff e il gm Colangelo ottiene il premio di executive of the year. Non male come primo anno no?
Il problema è che da lì in poi non si cresce e non si vince... si lotta nel fango e Bargnani inizia a diventare uno dei più grandi misteri del basket. La sua è stata una carriera costellata di infortuni piccoli e grandi, praticamente per 4 anni in NBA non riesce mai a fare una stagione intera, ma nessuno gli concede il beneficio del dubbio.

La redenzione?

Bargnani si porta addosso il fardello di essere uno dei più grandi flop del basket NBA. Ma... perché esiste sempre un ma, nell'autunno 2020 il due volte campione per le scommesse NBA David West, se ne esce con una sorta di bomba mediatica che spacca le convenzioni. Analizzando le nuove regole NBA che stanno privilegiando le spaziature larghe e gli attacchi per avere un maggiore spettacolo in campo West la tocca piano: “la ragione per la quale la coppia Bosh-Bargnani non funzionò è perché noi potevamo mettergli le mani addosso e menarli di brutto”.

 

Nel gioco odierno, sostiene ancora West, avrebbero spaccato!! “They would have blow this NBA out of the water”...lui dice...una cosa pazzesca rispetto alla considerazione del Mago finora.

Andando a rivedere le cifre di Bargnani a Toronto vediamo che Andrea ha una media di 15,2 punti a partita, tirando col 36 % da 3, per 4.1 tiri di media a partita. Queste cifre se paragonate al gioco di appena qualche anno fa, erano più che sufficienti per rendere il Mago uno dei migliori tiratori di tutta la Lega. West cita poi la sua finta di tiro da 3 come una delle più efficaci mai viste. 

La domanda adesso è: con questa nuova chiave di lettura potremmo considerare in maniera diversa l'intera carriera di Bargnani e magari pensare che il suo basket era troppo avanti rispetto ai suoi tempi? Complicato da sostenere ma bellissimo da argomentare.

Figlio del tempo sbagliato

Cambiamo prospettiva ed analizziamo gli stipendi NBA di oggi. 
La NBA sta attraversando il periodo più florido della sua storia e, di conseguenza, i giocatori hanno contratti che, se paragonati con quelli degli anni passati, sono addirittura pazzeschi.
Alla luce però di quello che West ha profetizzato, ci siamo divertiti a paragonare il contratto di Andrea Bargnani con quello del giocatore più simile a lui oggi in tutto il panorama NBA: Kristaps Porzingis “The Unicorn”, l'unico 2.21 in grado di dominare dal perimetro.

Bargnani da prima scelta guadagnava 4,5 milioni. In tutta la carriera ha portato a casa circa 73 milioni. Una cifra che in Europa nemmeno una intera squadra di top player guadagnerebbe in tutta la loro carriera. 

Oggi la prima scelta al draft NBA parte da oltre 8 milioni. Porzingis, che viaggia leggermente sopra alle medie del miglior Bargnani in NBA, circa 20 punti di media con una percentuale molto simile da 3 del 35%, ha guadagnato 27 milioni di dollari e arriverà a guadagnarne col suo attuale contratto 36 milioni nel 2023. 

Porzingis guadagnerà in 3 stagioni quello che il “povero” Bargnani ha guadagnato in 10 stagioni.
Dobbiamo forse chiedere tutti scusa al Mago?

*Il testo dell'articolo è di Jacopo Manni; l'immagine di Phelan M. Ebenhack (AP Photo). Prima pubblicazione 25 ottobre 2020.

December 25, 2021
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

La Philips ed il calcio, storia di una sinergia vincente!

Da quando qualche anno fa la Philips ha deciso di togliere “electronics” dal suo nome, per sottolineare come l’azienda dei Paesi Bassi si sia ormai dedicata solamente alla tecnologia del benessere, è scomparso uno dei due grandi motivi di celebrità della multinazionale. Che nel corso di oltre cent’anni è stata famosissima per due motivi: gli elettrodomestici e…il PSV Eindhoven.

Il club è infatti nato nel 1913 proprio come squadra di calcio degli operai della Philips e ha mantenuto con l’azienda un rapporto pressoché simbiotico. Lo stadio in cui gioca si chiama, neanche a dirlo, Philips Stadion e il logo della casa madre è stato al centro delle maglie da gioco dal 1982, anno di introduzione degli sponsor in Eredivisie, fino al 2016, quando si è spostato sulla manica, per permettere di fatturare con un ulteriore sponsor!

Se il PSV è una delle tre potenze del calcio dei Paesi Bassi (assieme ad Ajax e Feyenoord), gran parte del merito è dunque della Philips, che ha costruito una società modello, capace di vincere sia in patria che in Europa. Il primo titolo nazionale è arrivato nel 1929, mentre l’ultimo, quello della stagione 2017/18, è il numero 24.

Nell’albo d’oro i biancorossi sono a dieci lunghezze dall’Ajax, che ha trionfato 34 volte, ma hanno una rassicurante distanza di nove titoli dal Feyenoord, fermo a 15. La bacheca parla anche di due affermazioni continentali. La Coppa UEFA del 1978, vinta in finale contro il Bastia, ma soprattutto la Coppa dei Campioni di dieci anni più tardi, quella conquistata ai calci di rigore contro il Benfica e che è valsa agli olandesi addirittura un clamoroso triplete, prima del poker con il titolo dell'Olanda agli Europei!

 

Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il supporto della Philips, che spesso e volentieri ha anche aperto parecchio i cordoni della borsa per portare a Eindhoven calciatori che poi hanno scritto la storia del calcio mondiale. Del resto, rispetto ai rivali dell’Ajax al PSV manca un vivaio di prim’ordine. E quindi per mettere su una squadra c’è molto più bisogno di investire, portando talenti da altri club.

La squadra che ha vinto la UEFA nel 1978 era basata su alcuni dei giocatori che quattro anni prima avevano fatto sognare il mondo con la maglia dell’Arancia Meccanica di Cruijff e che in quell’estate avrebbero conteso all’Argentina il titolo nel mondiale sudamericano: nel corso degli anni il PSV acquista a suon di fiorini i fratelli van de Kerkhof, ma anche Ernie Brandts e Jan Poortvliet. Eppure il grande impatto della multinazionale olandese si ha nei decenni a venire, quando il PSV comincia a raccogliere talenti da tutta Europa, aprendo poi i suoi confini anche alle stelle del Sudamerica. 

Il decennio di platino

Negli anni Ottanta i trasferimenti clamorosi ad Eindhoven sono all’ordine del giorno, anche solo rimanendo agli olandesi. Uno dei più controversi è quello di Ronald Koeman, che nel 1986 lascia l’Ajax di Cruijff per vestire la maglia dei rivali. Assieme a Rambo, dall’Ajax arriva anche Vanenburg, sogno proibito della Roma di Dino Viola. In porta nella squadra che vince tutto c’è Hans van Breukelen, che aveva sostituito Shilton nel Nottingham Forest di Clough, per poi tornare in patria e in attacco c’è Wim Kieft, anche lui scuola Ajax, con un passato in Italia nel Torino e nel Pisa.

Tutti calciatori che nell’estate 1988 vincono l’Europeo con l’Olanda di Michels. Tra loro ci sarebbe anche un certo Ruud Gullit, che nel 1985 il PSV strappa con la forza al Feyenoord per 1,2 milioni di fiorini olandesi. In quel caso però la Philips trova un concorrente abbastanza agguerrito, perché il Milan di Berlusconi sborsa 13 miliardi di lire e nell’estate 1987 si aggiudica il Pallone d’Oro in pectore.

Poco male, perché ci sono anche talenti in squadra che arrivano da altre nazioni. Il posto di Gullit viene preso proprio nel 1987 Søren Lerby, che va ad ingrandire la già folta colonia danese formata da Frank Arnesen, Jan Heintze e Ivan Nielsen. E il capitano che solleva la coppa al cielo di Stoccarda è il belga Eric Gerets.

PSV = Brasile

L’anno successivo ai campioni d’Europa si aggiunge un campione di livello mondiale. Nel 1988 fa il suo esordio in Europa Romario, fresco capocannoniere dei Giochi Olimpici del 1988. Il Baixinho viene acquistato dal Vasco da Gama e diventa immediatamente l’idolo della tifoseria. Per lui tre titoli di capocannoniere dell’Eredivisie e due della Coppa dei Campioni, con una media gol che fa spavento: in cinque stagioni arrivano 142 presenze e 128 reti. Non sorprende dunque che Johan Cruijff nel 1993 lo voglia per il suo Barcellona.

Ma a Eindhoven replicano abbastanza velocemente l’affare. Nel 1994 arriva al Philips Stadion un altro brasiliano, un ragazzino dal sorriso contagioso e dalla velocità impressionante. Ronaldo Nazario da Lima costa 6 milioni di dollari da girare al Cruzeiro, ma vale ogni centesimo. Gli basta un anno per esplodere, con 35 reti in 36 partite. La stagione successiva un infortunio al ginocchio lo costringe a uno stop, ma non gli impedisce di segnare 19 gol in 21 presenze. E, storia già vista, arriva il Barcellona che se lo porta via con 20 milioni di dollari.

Il Fenomeno vero ai tempi del PSV!

 

Anche nei decenni successivi, però, il PSV ha saputo investire su calciatori destinati ad un futuro importante, pur non raggiungendo mai i livelli del Fenomeno. Nel 1996 si prende il centro della difesa Jaap Stam, che accanto a lui ha Philip Cocu. Nel 1998 vengono pagati 6 milioni di euro all’Heerenven per un certo Ruud van Nistelrooy, mentre un anno dopo dal Fortuna Sittard arriva Mark van Bommel.

Nel 2002 c’è un doppio colpo: dalla Corea del Sud quarta a sorpresa per le scommesse ai mondiali giunge Park Ji-Sung, mentre 3,7 milioni di euro versati al Groningen permettono al PSV di accogliere Arjen Robben in biancorosso. Gli ultimi grandi talenti targati Philips sono Georginio Wijnaldum, strappato al Feyenoord nel 2011, e Memphis Depay, che però rappresenta un caso unico: viene portato al PSV a 12 anni ed è quindi un prodotto delle giovanili. Perché in fondo, pur avendo sempre investito parecchio su calciatori presi da altri club, le cose fatte in casa…hanno tutto un altro sapore!

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Marcel van Hoorn e Christof Stache.

October 24, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Gennaro Gattuso vissuto attraverso alcune curiosità 

Su Gennaro Ivan Gattuso detto “Ringhio” o anche Rainghio come lo chiamavano a Glasgow, ormai si sa tutto.
Uno dei personaggi più influenti del calcio italiano degli anni duemila. Temuto in campo per la sua grinta, vittima designata degli scherzi di Pirlo e De Rossi nei periodi di ritiro della Nazionale a Coverciano, schietto e verace come la sua terra. Complicato trovare un qualsiasi frammento biografico del centrocampista che non sia arrivato al grande pubblico. 

Ma forse qualcosa di meno noto della vita e carriera di Gattuso può esserci. 

Il Gattuso day

Gattuso è calabrese, nato a Corigliano Calabro ma domiciliato da sempre a Schiavonea dove torna sempre quando è in ferie per godersi il mare che tanto amava fin da piccolo. Molto radicato quindi lo storico numero 8 del Milan e forse anche per questo amato da tutti i calabresi. 
Talmente da tutti che In suo onore la comunità calabrese di Oshawa, in Canada, ha istituito il “Gattuso Day”. Se vi interessa saperlo o partecipare a distanza, si celebra il 25 giugno. 

Nel club dei sette mesi

Come appena anticipato Gattuso nasce in Calabria, il 9 gennaio 1978. Nasce settimino proprio come alcuni grandi che hanno fatto la storia: Albert Einstein, Isaac Newton, Winston Churchill e Pablo Picasso.
Nomi altisonanti, ma a Gennaro Ivan basta essere sé stesso, basta essere Gattuso, quello che ambiva a un pallone d’Oro diverso da tutti gli altri colleghi: “Il mio pallone d’Oro è rubare più palloni possibili”, riferì in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel lontano 2003. 

80 minuti da Gattuso

E come dargli torto, d’altronde è lo stesso giocatore che in un Milan – Catania del 2008 giocò per ben 80 minuti con il crociato rotto. Se lo lesionò dopo 10 minuti ma talmente era elevata l’adrenalina in corpo che "ho giocato senza problemi forse per il grande entusiasmo che metto nelle cose che faccio”. 

Un dettaglio (eufemismo) che sorprese anche il dottor Martens che lo operò qualche giorno dopo, meravigliandosi di come fosse stato possibile un evento del genere per un giocatore all’epoca 31enne.
Beh, un episodio molto valido e inerente per spiegare nei prossimi anni ai propri nipoti chi fosse Gennaro Gattuso. 

Gattuso il pescatore

Ipercinetico, da bambino nulla riusciva a tenerlo fermo, tranne una cosa sola: la vista del mare dalla riva o dalla finestra di casa. 

Nel mare ci aveva visto già in tenera età il segreto della vita, o forse il suo destino se non avesse fatto il calciatore. Da bambino era solito raggiungere il porto la sera intorno a mezzanotte quando i pescatori tornavano dal mare. Li aiutava a scaricare le casse piene di pesce così da farsi “retribuire” con qualche mollusco o altre razze da rivendere poi nella piazza del paese e guadagnare qualche soldo. 

Sempre ai pescatori sottraeva le taniche di nafta per trasformale in pali della porta dei campetti da calcio che costruiva in strada con i suoi amici. 

Oggi è un allenatore di calcio stabile ai massimi livelli, ma il sogno del pescatore continua in maniera collaterale grazie all’azienda “Gattuso & Catapano” che si occupa di depurazione e allevamento dei molluschi, ovviamente a Corigliano Calabro. 

Gattuso e i suoi premi

Per la carriera da allenatore di Gattuso siamo al primo trofeo con la Coppa Italia conquistata da sfavorito per le scommesse calcio all'Olimpico di Roma, ma quella da calciatore vanta un numero di trofei da poterci aprire un museo: dalle due Champions League ai due scudetti e ci fermiamo qui.

Molto curiose sono invece le onorificenze ottenuto non proprio da organi prettamente collegati al mondo del calcio.

Gattuso a Pisa con la Nazionale!

Infatti, “Ringhio” grazie alla sua carriera e i chilometri percorsi in campo si è guadagnato: dal Presidente Napolitano riceve l’Ordine al merito della Repubblica italiana, perché nel 2006 ha alzato pure una coppa del Mondo. Dal mondo dell’entertainment televisivo invece riceve il Telegatto nel 2008 come miglior sportivo dell’anno.  

Gennaro Gattuso resta nell’immaginario collettivo il calciatore che qualsiasi allenatore e collega vorrebbe avere in squadra, con lui vincere (o andare in guerra) è più facile. Parola di chi di numeri 8 se ne intende.   

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer; la foto di Lorenzo Galassi (AP Photo).

 
October 23, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Quando il primo anno dei campioni è complicato

Una splendida giornata comincia sempre con un’alba timida. Il celebre brano di Vasco Rossi potrebbe essere il motto di una ridda di calciatori. Si tratta di portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti che hanno vissuto la Serie A da protagonisti, ma solo dopo aver saggiato la prima stagione con una nuova maglia al di sotto delle aspettative.

Il tedesco dal volo ritardato

Corre l’anno 1982 quando il Blasco lancia “Una splendida giornata”. È l’anno dei Mondiali di Spagna, della mitica finale del Santiago Bernabéu che l’Italia vince 3 a 1 contro la Germania dell’Ovest. Ma proprio mentre i teutonici vedono sfumare nel cielo di Madrid il terzo titolo mondiale, in patria sboccia una nuova generazione di talenti. Tra questi, un ricciuto centravanti reduce da una stagione sfavillante con la maglia del Monaco 1860.

Il suo nome è Rudolf Voeller, capocannoniere della seconda divisione con 37 reti in 37 presenze. Numeri che gli valgono il passaggio al Werder Brema. Nella prima stagione in divisa biancoverde, Voeller si fa crescere i baffi e continua a bucare le porte avversarie diventando il miglior marcatore di un torneo che la sua squadra non vince solo per la peggior differenza reti rispetto all’Amburgo.

Continua a fare gol a raffica e diventa punto fermo anche della Nazionale. Il giugno 1987 è per lui l’occasione di affermarsi all’estero. Il tedesco di Hanau, città natale in cui gli hanno persino dedicato un francobollo, sbarca alla Roma. Il presidente Dino Viola lo annuncia con l’enfasi che il campione merita. Su di lui gravitano aspettative enormi da parte della tifoseria, ma l’inizio è balbettante.

Anche a causa dei postumi di un infortunio al ginocchio, Voeller non riesce ad esprimere le sue doti da bomber: il primo anno segna appena 5 gol in 28 presenze tra campionato e coppe. A Trigoria c’è chi vorrebbe rispedire il tedesco in patria. L’acquisto in prestito dal Milan del centravanti Daniele Massaro è un modo per cautelarsi in vista della cessione di un deludente e deluso Voeller. A bloccare tutto è Viola, che vuole concedergli un’altra possibilità. Fiducia ripagata: negli anni successivi Voeller diventa un idolo spiccando il volo nel cuore della tifoseria.

Dalle rive del fiume Meno ai Balcani, la “maledizione” del primo anno sembra essere un ricorso storico per gli attaccanti della Roma. Nell’estate 2006 arriva dal Lecce il montenegrino Mirko Vucinic, pagato 20 milioni di euro: anche per lui, però, il primo anno è difficile per via di un problema al menisco. Ma dall’anno successivo diventa una certezza della bella Roma di Spalletti.

 

Nessun impedimento fisico per Edin Dzeko, che il primo anno in maglia giallorossa fa storcere il naso ai tifosi divenendo oggetto di crudeli battute. Al bosniaco serve un po’ di rodaggio prima di far conoscere le sue qualità: nel 2016-17 realizza 39 gol tra campionato e coppe e ancora oggi è il goleador dell’undici di Paulo Fonseca.

Lo spagnolo che stava per smettere

Non ha la vena realizzativa del numero 9 dei dirimpettai romanisti, ma ha tecnica sopraffina e comunque una discreta famigliarità con il gol Luis Alberto. Eppure l’attuale numero 10 laziale all’inizio appare impalpabile. A fine della prima stagione (2016-17) sono 10 presenze e appena un gol: un magro bottino che getta lo spagnolo nella desolazione, tanto che - per sua stessa ammissione - medita di ritirarsi dal calcio professionistico anzitempo.

Il tecnico Simone Inzaghi decide però di dargli il tempo di riscattarsi, è un ex calciatore e sa come motivare chi vive una fase discendente. Luis Alberto risponde presente alle sollecitazioni del mister: negli anni arriva la prima presenza in Nazionale spagnola, ottime prestazioni, trofei vinti tra cui una Supercoppa Italiana, nel dicembre 2019, andando a segno nel 3 a 1 contro la Juventus.

La sua metamorfosi ricorda quella di un altro laziale, Cesar. Il fluidificante arriva a Formello nel 2001 dal Sao Caetano con ottime credenziali, avendo appena collezionato due presenze in Nazionale brasiliana. L’inizio è difficile, arriva in una Lazio incapace di trovare un’identità di gioco, dove un ciclo sembra essere tramontato.

Dopo Zoff e Zaccheroni, l’arrivo di Roberto Mancini sulla panchina delle Aquile lo rinvigorisce: il brasiliano è lanciato come esterno di attacco e si conquista l’affetto dei laziali, testimoniato dal vezzeggiativo «Cesaretto» che gli viene attribuito. Della Lazio è capitano quando, nel gennaio 2006, viene ceduto all’Inter dove intanto siede il suo ex tecnico Mancini. Una cessione mai digerita dai tifosi biancocelesti.

La favola del brutto anatroccolo

Sono invece i tifosi interisti a non aver mai digerito il mancato impiego di Oliver Bierhoff. Il lungo centravanti tedesco viene acquistato dal presidente Ernesto Pellegrini nel 1991 dagli austriaci del Salisburgo. In maglia nerazzurra non troverebbe spazio, così viene ceduto in prestito all’Ascoli del presidente Costantino Rozzi.

Nelle Marche sembra un flop. È possente ma sgraziato, colpisce male di testa e calcia solo di piatto destro. La porta avversaria sembra un miraggio: nella prima stagione segna la miseria di 2 gol. L’Ascoli retrocede in serie B e i tifosi addossano gran parte delle colpe a questo bomber evanescente venuto da lontano. Ma in cadetteria la musica cambia: Bierhoff sembra ispirato dalle note del suo connazionale Wagner, è un “carrarmato” che conquista la piazza a suon di gol.

 

Nel 1995 passa da un bianconero all’altro: nell’Udinese si consacra pure in serie A conquistando la maglia titolare nella Nazionale tedesca e il golden gol nella finale di Euro ‘96 contro la Repubblica Ceca. Nel 1998 arriva la prestigiosa chiamata del Milan: qui il primo anno è subito foriero di soddisfazioni, con lo scudetto conquistato dopo un’insperata rimonta sulla Lazio.

Chissà che la favola del “brutto anatroccolo”, come veniva chiamato Bierhoff ai tempi dell’Ascoli, non venga ricalcata da un altro attaccante, quell’Hirving Lozano che il primo anno al Napoli è stato in ombra e che oggi, con i partenopei quotati come vincenti @12 per le scommesse Europa League sembra un altro: 4 gol nelle prime 3 presenze stagionali, lo stesso bottino che ha collezionato in tutto il suo primo anno. Anche per lui è stata timida l’alba di una giornata che si sta facendo splendida.
 

*il testo dell'articolo è di Federico Cenci; la foto di Gregorio Borgia (AP Photo).

October 22, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Quando la piccola nazionale entra nella storia

Forti di quattro mondiali conquistati l’approccio di noi italiani a qualunque competizione – iridata o continentale – veda protagonista la nostra nazionale è sempre quello di puntare a raggiungere l’obiettivo finale. E’ una questione di mentalità e abitudine, che restano intatte anche in difficili anni di ricostruzione del movimento calcistico, com’è quello attuale. Ma esistono realtà nelle quali persino l’esito di una singola partita può acquisire connotati storici. 

Ecco l'elenco di piccole rappresentative, con una breve storia ed i riferimenti dei primi risultati favorevoli!

San Marino

Gibilterra

Andorra

Liechtenstein

Lussemburgo

Far Oer

Kosovo

TITANI

Chiedere per credere alla rappresentativa di San Marino che nell’ultimo turno di Nations League, pareggiando a 0 a 0 sul campo del Liechtenstein ha regalato una gioia ai circa 34mila abitanti della Repubblica enclave situata fra Emilia Romagna e Marche.

Dallo 0 a 0 casalingo con l’Estonia durante le qualificazioni a Euro 2016, infatti, i “Titani” non facevano punti nelle competizioni ufficiali. Non solo: mai nella sua storia la nazionale oggi guidata dal Ct Franco Varella era uscita da una trasferta senza subire nemmeno una rete.

L’entusiasmo è tale che ora si punta a interrompere, nel prossimo turno, un digiuno di vittorie lungo 100 partite. L’ultima, e unica, affermazione di San Marino è del 2004. A farne le spese sempre il Liechtenstein (1-0 il risultato finale dell’amichevole). 

 

GIBILTERRA

L’avversario che tenterà di prolungare l’astinenza dei Titani è Gibilterra, nazionale con alle spalle una storia ben più lunga. Gli esordi risalgono addirittura agli anni Venti ma l’ingresso nell’Uefa avviene solo nel 2013 all’esito di una lunga battaglia politica e giudiziaria.

Tanta era la voglia di cimentarsi che l’esordio fu incoraggiante, con il pareggio per 1 a 1 in amichevole con la Slovacchia. La prima vittoria – sempre in amichevole – arrivò un anno dopo (2014), con il gol di Kyle Casciaro che assicurò il successo contro Malta per 1 a 0. Per un’affermazione in una competizione ufficiale bisogna, però, aspettare il 13 ottobre 2018 e lo 0 a 1 rifilato in trasferta all’Armenia in Nations League. 

ANDORRA

Sempre un 13 ottobre (stavolta del 2004) portò fortuna alla rappresentativa di un altro staterello iberico, situato agli antipodi rispetto a Gibilterra: Andorra. In quella data, infatti, arrivò la prima vittoria in gare ufficiali per i “Tricolors”: 1 a 0 casalingo contro la Macedonia nelle qualificazioni per i Mondiali di Germania 2006 con una rete del terzino dell’Elche Marc Bernaus.

Il primo trionfo in assoluto è, però, del 2000, in amichevole con la Bielorussia (2 a 0). Due anni dopo, sempre in amichevole, stesso risultato ottenuto contro l’Albania.  

LIECHTENSTEIN

Prestigioso è stato, invece, l’esordio ufficiale del Liechtenstein, invitato dalla federazione sudcoreana a partecipare alla Coppa del presidente, organizzata nel 1981. Alla prima gara subito pareggio strappato a Malta (1-1) con lo storico gol di Ludwig Skarlski.

Nella stessa competizione i “Nati” conobbero anche il gusto della vittoria, battendo 3 a 2 l’Indonesia con la tripletta di Donath Marxer. Il primo trionfo in competizioni ufficiali è, però, del 14 ottobre 1998 (qualificazioni Euro 2000), 2-1 all’Azerbaigian. Fra i marcatori anche Mario Frick, bomber tuttora record del Liechtenstein (16 reti) e vecchia conoscenza del calcio italiano (ha giocato per Arezzo, Hellas Verona, Ternana e Siena).  

LUSSEMBURGO

Antichissima la storia della nazionale del Lussemburgo, la cui federazione fa parte della Fifa addirittura dal 1910. La prima vittoria è di prestigio: 5 a 4 rifilato alla Francia l’8 febbraio 1914 con poker di Jean Massard.

Sempre con i galletti, oltre un secolo dopo (3 settembre 2017) la rappresentativa del Granducato ottenne un altro risultato storico, il clamoroso 0-0 per le scommesse online a Tolosa in casa dei futuri campioni del mondo nelle qualificazioni per Russia 2018. 

 

FAR OER

Le Far Oer fanno parte della Fifa dal 1988 e dell’Uefa dal 1990. Lo stesso anno arrivò la prima vittoria, 1 a 0 in amichevole contro il Canada. L’esordio più significativo è, però, quello nelle competizioni ufficiali, che vide la nazionale dell’arcipelago nordeuropeo trionfare contro l’Austria sul neutro di Landskrona, in Svezia, nelle qualificazioni a Euro 1992. 

KOSOVO

Proprio una partita contro Far Oer ha portato la prima gioia alla nazionale del Kosovo: 2-0 nella Lega D della Nations League 2018-2019. Per la cronaca i kosovari chiusero il girone al primo posto, assicurandosi l’accesso ai playoff per Euro 2020. Sogno infranto per opera della Macedonia del Nord. Oggi quella kosovara con la stellina della Dinamo Zagabria Lirim Kastrati in attacco è considerata una delle nazionali più promettenti, a livello europeo e non solo. 

*Il testo dell'articolo è di Luca La Mantia; l'immagine di Petros Karadjias (AP Photo).

October 21, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il Classico Barcellona - Real Madrid all'italiana!

Real Madrid-Barcellona. Castiglia contro Catalogna, la corona contro gli indipendentisti, Di Stefano contro Puskas, Breitner contro Cruijff, Butragueño contro Zubizarreta, Cristiano Ronaldo contro Messi.

E poi il caso Figo, le polemiche infinite, i salti della barricata come quelli del Fenomeno, di Laudrup o di Luis Enrique. In una parola, il Clasico. Anzi, no, meglio con due S, all’italiana. Perché in fondo la storia della più spagnola delle partite è in qualche maniera anche intrisa di tricolore. Nel match tra le squadre di Zidane e di Koeman di italiano non ci sarà tanto, ma negli anni passati la bandiera italiana ha sventolato fiera sia al Bernabeu che al Camp Nou. E in maniere molto variegate.

Calciatori e tecnici

Non si può non cominciare con i giocatori, perché in fondo in campo ci vanno loro. Il Real Madrid cala un tris non da poco. Il primo azzurro a giocare al Bernabeu è Christian Panucci, che vola in Spagna nel gennaio 1997. Per lui parecchie soddisfazioni, tra cui una Liga e una Champions League da aggiungere a quelle milaniste. Va peggio a Cassano, che si trasferisce a Madrid nel 2006 ma si deve accontentare di un campionato vinto e di confermare la sua fama di calciatore e ragazzo assolutamente imprevedibile.

Qualche mese dopo, col titolo di Campione del mondo in tasca, arriva anche Cannavaro, che resta fino al 2009 e di scudetti ne vince due. Filo conduttore degli italiani in Blanco è ovviamente Don Fabio Capello, che per ben due volte allena il Real, vince la Liga e… se ne va. Nella seconda avventura il friulano porta con sé anche Franco Baldini come segretario tecnico, che regala ai Blancos un certo Gonzalo Higuain.

Il premio grande però lo conquista Carlo Ancelotti, che nel 2014 riesce nell’impresa di regalare al Real la tanto agognata Decima. Con lui però di connazionali in campo non ce ne sono. In compenso, dopo Ancelotti arriva Benitez che porta con lui Fabio Pecchia, che vive una tanto breve quanto inattesa esperienza da vice alla Casa Blanca.

 

Anche in Catalogna però non è che si siano fatti mancare gli italiani. I catalani rispondono al Real con un altro tris. Il primo italiano blaugrana è Francesco Coco, per cui il Camp Nou nel 2003/04 è un breve intervallo tra la maglia del Milan e quella dell’Inter. Altra caratura quella di Demetrio Albertini, che, dopo aver vinto tutto con il Milan, nel 2005 decide di chiudere una carriera stellare vincendo la Liga.

Come Cannavaro, anche un altro campione del mondo nell’estate 2006 lascia la Juventus: Gianluca Zambrotta si prende la fascia sinistra del Barcellona per due stagioni, vincendo però solo una Supercoppa, da favorito per le scommesse La Liga nel derby catalano.

Di allenatori italiani al Camp Nou neanche l’ombra? Errore, perché nella stagione 1955/56 da quelle parti c’è Sandro Puppo, che ai catalani e al calcio spagnolo e mondiale fa un regalo mica da niente: lancia in prima squadra un certo Luis Suarez, unico Pallone d’Oro iberico e protagonista anche delle notti magiche della grande Inter. E anche dietro una scrivania, gli italiani sono molto considerati: Ariedo Braida, l’uomo dietro gli acquisti del Milan degli Invincibili, è stato direttore sportivo dei blaugrana dal 2015 al 2019.

Le sponsorizzazioni

Persino gli sponsor nel Clasico hanno parlato italiano. Quando la Liga apre ai marchi sulle maglie da gioco, il primo a prendersi lo spazio sulla camiseta blanca del Real è l’italianissimo marchio Zanussi, azienda veneta di elettrodomestici nata nel 1916 a Pordenone. Dopo due stagioni tocca a un altro brand di eccellenza dell’economia tricolore: la Parmalat, che sponsorizza il Real della Quinta del Buitre negli anni di maggior successo, prima di lasciare spazio al Barcellona di Cruijff.

Don Fabio Capello!

Il Barça non ha mai ospitato marchi italiani come sponsor ufficiale, ma si è invece affidato a un’azienda italiana come sponsor tecnico. Per sei anni, dal 1992 al 1998, è toccato alla Kappa creare le maglie dei blaugrana che in quel periodo indossano campioni come Ronaldo o Rivaldo.

E siccome in Italia c’è parecchio interesse per il match, normale che le televisioni del nostro paese abbiano spesso trasmesso il Clasico. Indimenticabili gli anni Novanta, in cui la Liga entrava nelle case degli italiani il sabato sera attraverso Telemontecarlo. Poi è stato il turno di Sky (e per un anno anche del canale in chiaro Cielo), mentre il match del 24 ottobre sarà trasmesso da DAZN.

Che trionfi in Italia

Impossibile però non concludere con i dolcissimi ricordi in Italia per entrambe le squadre. Le ultime due finali di Champions League disputate in terra tricolore sono state infatti vinte dai blaugrana e dai blancos. Quella di Roma del 27 maggio 2009 ha visto di fronte il Barcellona di Guardiola e Messi e il Manchester United di Ferguson e Cristiano Ronaldo. Le quote calcio sono equilibrate, ma la Grande Coppa la portano a casa i catalani, con reti di Eto’o e di Messi.

Il 28 maggio 2016 Milano diventa invece provincia…di Madrid, considerando che a San Siro la Champions se la giocano il Real e l’Atletico. I Colchoneros vanno in svantaggio nella prima frazione e poi pareggiano, dopo aver fallito un penalty, nel secondo tempo. Supplementari inchiodati sul risultato di 1-1. Ai rigori è decisivo CR7. Perché in fondo il Clasico…è anche un pezzo d’Italia.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono rispettivamente di Martin Meissner e Paul White.

October 21, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Ricomincia la Champions: italiane a caccia del trofeo e quella curiosità su Pirlo 

Una su tutte la Juventus: la squadra del neotecnico Pirlo è, tra i club di Serie A, l’indiziata principale per riportare il trofeo nel nostro Paese dopo il trionfo interista del 2010.

Proprio sulla Juventus e soprattutto su Pirlo una curiosità che fa sorridere ma fa anche intuire quanti sia ancora prematura la carriera da allenatore dell’ex centrocampista: Pirlo ha debuttato in Serie A il 21 maggio 1995 al Brescia con Mircea Lucescu in panchina. Proprio oggi, nel duo debutto europeo contro la Dinamo Kiev troverà nella panchina opposta alla sua il tecnico rumeno come avversario.

L’Inter che resta ancora, con il Milan di Sacchi, l’unica italiana ad aver vinto la Coppa per due stagioni consecutive (nel 1964 e 1965) proverà ad andare avanti il più possibile più per una questione economica che di reale ambizione di collocare il trofeo in bacheca. Il Real Madrid, la squadra più temibile nel girone della campagna europea dell’Inter, è proprio la squadra con cui i neroazzurri vinsero la loro prima Coppa Campioni con il risultato di 3 a 1. Ogni segnale positivo è valido per sperare. 

L’Atalanta arriva alla Champions di quest’anno con la stessa spensieratezza di quella terminata con il goal di Choupo-Moting al 90’ nei quarti di finale contro il PSG. Un pizzico in più di consapevolezza dovuto proprio al cammino strepitoso e magari un bagaglio di esperienza in più per evitare uno scivolone simile a quello delle 3 sconfitte alle prime 3 partite nel girone sempre nella passata edizione della coppa. Il bottino europeo per ora dice: 4 vittorie, 4 sconfitte e un pareggio.

 

Toh, Guarda chi rivede! La Lazio, da leggera sfavorita contro il Borussia per le Scommesse Champions League, torna nella prima competizione europea 13 anni dopo l’ultima apparizione. Quella del 2007 della quale si ricorda uno spettacolare pareggio il 3 ottobre contro il Real Madrid all’Olimpico per 2 a 2: doppietta di Pandev per i biancocelesti e di Van Nistelrooy per le merengues. Werder Brema e Olympiacos le altre del girone che la Lazio terminò ultima a 5 punti. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

October 20, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off