Quando il colpo di scena anima la compravendita dei calciatori

In principio fu Donadoni. Almeno nell’era moderna. Era l’estate del 1986, e fu uno “scippo di mercato” clamoroso. Perché fino a quel momento, la Juventus era l’unica squadra ad avere le risorse necessarie per vincere qualsiasi braccio di ferro con gli altri club per avere la meglio nelle trattative di mercato. Ma alla fine arrivò Silvio Berlusconi - imprenditore televisivo di professione - che mise alle corde anche la Famiglia Agnelli.

Il patron di Canale5 era diventato presidente del Milan da pochi mesi, e volle presentarsi ai suoi nuovi tifosi con un biglietto da visita strabiliante; l’estate del 1986 aveva visto sfiorire del tutto i campioni del mondo di Spagna: i Mondiali del Messico furono il canto del cigno per numerosi campioni, tra cui Cabrini, il Mito Scirea, Rossi, Tardelli, Conti e Altobelli. La nouvelle vague del Verona - con Di Gennaro e Tricella - aveva fallito la prova internazionale. E allora, meglio puntare sul nuovo che avanza.

Il caso Baggio

Che bagarre per Ronie

Derby di mercato

La Juventus considera Donadoni l’erede deputato di Michael Platini, Berlusconi - dopo una serie di rilanci - convince il presidente atalantino Cesare Bortolotti: il neo presidente del Milan rompe le gerarchie consolidate dal tempo, spacca il fronte, offre una cifra indecente: quattro miliardi e mezzo, più i cartellini di Andrea Icardi e Giuseppe Incocciati. Donadoni va al Milan, e da questo momento in poi nulla sarà come prima.

Per le scommesse sportive, l'Atalanta sarà la mina vagante anche per la Champions 2021!

Il caso Baggio

La storia quasi si ripete nel 1990: il braccio di ferro è sempre tra Juventus e Milan, il giocatore conteso si chiama Roberto Baggio, ed ha tutte le carte in regola per diventare un fuoriclasse; vincerà il Pallone d’Oro appena tre anni dopo. Ma questa volta il blitz non riesce, perché la Juventus mette in atto un contro scippo: quando il Milan irrompe sulla scena, la Juventus ha già avviato i contatti con il conte Pontello, proprietario della Fiorentina.

L’Avvocato Luca Cordero di Montezemolo ha trovato un accordo con il club toscano, ma il Milan ha l’intesa con Antonio Calendo, agente del calciatore. Situazione di stallo. Da una parte c’è la famiglia Pontello, entrata in affari con la famiglia Agnelli, dall’altra il giocatore e il suo procuratore che intendono prendere la strada verso Milano. Mentre a Firenze scoppia una clamorosa rivolta dei tifosi, l’Avvocato Agnelli mette tutti intorno a un tavolo, e alla fine riacquista Roberto Baggio.

La guerra di mercato non conviene a nessuno, anche perché la Fiat non deve momenti particolarmente brillanti, e la Juventus - di conseguenza - non intende partecipare all’asta per i calciatori da acquistare. Per questo - due anni dopo - l’estroso centrocampista del Torino Gianluigi Lentini, finisce al Milan. E’ uno scippo di mercato consensuale, del resto Berlusconi si è fatto da parte per Roberto Baggio, e il patto di non belligeranza va rispettato.

Che bagarre per Ronie!

Dall’altra parte di Milano, non la pensano alla stessa maniera; quando Massimo Moratti prende l’Inter, non guarda in faccia a nessuno. Tanto meno a Sergio Cragnotti, già top manager di Enimont - che ha acquistato la Lazio. Lo scontro frontale arriva nell’estate del 1997. Il presidente dell’Inter da anni sta investendo buona parte del suo patrimonio senza mai sfiorare lo scudetto, quello laziale ha vissuto per vent’anni in Brasile, dove ha consolidato la sua posizione imprenditoriale.

L’obiettivo comune si chiama Luis Nazario da Lima. Semplicemente Ronaldo. Quello vero, per dirla come la pensano i nostalgici del calcio, lontani anni luce da selfie e sopracciglia ad ali di gabbiano. La battaglia per l’acquisto di Ronaldo è senza esclusione di colpi. Il giocatore è in rotta di collisione con il Barcellona, e vuol essere ceduto.

La Lazio non vuol farsi sfuggire l’opportunità, anche perché Ronaldo potrebbe essere il testimonial perfetto per le aziende brasiliane di Cragnotti. Il presidente biancoceleste prende subito contatti con gli agenti brasiliani del centravanti, Pitta e Martina, e con loro arriva a trovare un accordo economico a tutto tondo.

Ma la Lazio non ha fatto i conti con Giovanni Branchini, agente italiano che - sotto traccia - lavora per l’Inter. E lavora molto bene, perché da una parte si confronta con i suoi colleghi brasiliani, conoscendo ogni mossa di Cragnotti, dall’altra piazza le contromosse per favorire l’azione di Moratti. La svolta dell’operazione la dà Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato della Pirelli che coinvolge la propria azienda nell’operazione-Ronaldo, e soffia il giocatore al club romano.

Derby di mercato

Ma anche la Lazio non resta a guardare: Cragnotti, imparata la lezione, strappa sul filo di lana un accordo con Dejan Stankovic, pronto a imbarcarsi dall’aeroporto di Belgrado per Fiumicino, con destinazione finale Trigoria. La Roma di Sensi è da tempo sul giovane capitano della Stella Rossa, che quando si presenta agli imbarchi internazionali dell’aeroporto di Belgrado, trova ad attenderlo Sergio Cragnotti: il blitz va a buon fine, Dejan Stankovic firma per la Lazio. La Roma acquista Tomic, ma non è la tessa cosa.

Ancor prima dell'arrivo di Kumbulla, il club giallorosso avrà modo di vendicarsi qualche anno dopo; le proprietà dei due club sono cambiate: da una parte - sul fronte laziale - ora c’è Claudio Lotito, dall’altra l’americano James Pallotta. Estate 2014, il ds albanese Igli Tare è convinto di aver chiuso la trattativa con il Cagliari per il compianto difensore Davide Astori: ha il giocatore in pugno.

Ma il colpo di coda del collega romanista Walter Sabatini stravolge le carte in tavola: Astori firma per la Roma, spiazzando la dirigenza laziale. A quel punto, il direttore sportivo della Lazio - in piena notte - va nel ritiro del Cagliari per riaprire la trattativa, ma il calciatore ha già fatto la valigia.

Geoffrey Kondogbia con la maglia dell'Inter!

L’anno dopo - siamo nell’estate 2015 - il braccio di ferro va in scena tra Milan e Inter. Le due squadre sono alla ricerca del nuovo Pogba, talento francese approdato alla Juventus. I direttori sportivi dei due club milanesi individuano lo stesso giocatore: si chiama Geoffry Kondogbia, e gioca nel Monaco.

Galliani anche qui pensa di avere il giocatore in mano, ma Ausilio e Fassone rilanciano ulteriormente fino a 35 milioni più cinque di bonus: dopo Cristian Vieri, è il calciatore più costoso della storia dell’Inter, prima rivale della Juventus per le scommesse Serie A . “Chi vince si dissangua - profetizza Galliani - e non è detto che sia il vero vincitore”. Quanta saggezza nell’uomo con la cravatta gialla!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo; la seconda è uno scatto di AP Photo.

September 29, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Leeds, tra tradizione e business!

Incredibile ma vero, il Leeds Loco di Marcelo Bielsa nasce… a Barbaiana, vicino Lainate. E guai a non essere precisi, perché Andrea Radrizzani, 46enne presidente del club inglese, ci tiene parecchio. Uno dei più recenti miracoli calcistici del football inglese ha parecchio di Italia e arriva da un imprenditore tricolore che ha deciso di investire all’estero.

Del resto, in pochi come Radrizzani conoscono bene le possibilità economiche che offre il mercato del calcio made in England. Il numero uno del Leeds è il fondatore di Eleven Sports, network di contenuti sportivi internazionali, che lavora anche nel Regno Unito. E il businessman lombardo ha fatto una scelta che è mezza di cuore e mezza… di portafogli: make Leeds great again.

La tradizione

Il potenziale, del resto, non mancava. Il Leeds United è una grande del calcio di Sua Maestà, che tra anni Sessanta e Settanta ha fatto incetta di trofei sia a livello nazionale che in Europa. Certo, la reputazione della squadra di Don Revie (in panchina) e Billy Bremner (in campo con la fascia) non era delle migliori, al punto che i bianchi venivano chiamati “Dirty Leeds”, ma questo non ha impedito al club di diventare l’orgoglio di una città.

Città in cui, e non è un fatto da poco, c’è solo una squadra. Leeds è lo United, lo United è Leeds. E dal punto di vista sportivo, ma anche economico, questo vuol dire parecchio.

Che affare

Radrizzani ha acquisito il club nel 2017, quando militava in Championship, prima prendendo il 50% delle azioni e poi portando a termine il takeover qualche mese più tardi. Negli anni precedenti il Leeds ha anche conosciuto l’onta della Division One, ma l’obiettivo della nuova dirigenza è stato immediatamente chiaro: il ritorno in Premier League. Per ragioni sportive, ovvio, ma anche perché le casse della società vogliono la loro parte.

E nulla regala un boost, immediato ma anche costante, come raggiungere il campionato che per distacco offre più remunerazione per i diritti TV. Solo in questa stagione, il Leeds incasserà 100 milioni di sterline, che sono pari a quello che Radrizzani ha dichiarato di aver investito in tre anni nel club in una recente intervista. Il fatturato è raddoppiato (da 30 a 60 milioni) e dovrebbe più o meno triplicare ulteriormente in capo a tre stagioni. Quello che è triplicato è anche l’investimento di Radrizzani, considerando che ora il club vale 300 milioni di sterline.

Un miracolo economico, che dimostra che investire nel calcio è possibile. Ma che non sarebbe stato possibile, senza una oculata e intelligente gestione sportiva. Il primo anno della gestione Radrizzani è stato di apprendistato, con il Leeds che è arrivato tredicesimo in Championship, spendendo 28 milioni di euro e incassandone 17 dal mercato.

Fattore B

A dare una marcia in più al club è però stato naturalmente il fattore B, come Bielsa. La scelta dell’argentino come allenatore è stata il cambio di mentalità di cui il Leeds aveva bisogno. E soprattutto, ha creato un piccolo grande capolavoro. Per creare la squadra che ha sfiorato la promozione nella stagione 2018/19, l’ha ottenuta in quella successiva e ha spaventato il Liverpool campione in carica e gli amanti delle scommesse Premier League nell'esordio in campionato dopo quindici anni, sono stati spesi appena sette milioni di sterline.

Tutti, tra l’altro, nella prima stagione con il Loco in panchina. La squadra che ha vinto l'edizione 2020 della Championship, un torneo massacrante da 46 partite, è stata puntellata dalla bellezza di…0 euro.

Il tutto grazie alle doti di Bielsa, che è riuscito a trasformare alcuni calciatori che nel progetto Leeds erano secondari in protagonisti e che, come suo solito, ha creato plusvalore attraverso le prestazioni di squadra e personali dei giocatori. Il tutto incamerando anche un totale di 37 milioni di euro, visto che i calciatori non ritenuti idonei all’idea di calcio dell’argentino hanno lasciato Elland Road e sono stati ben pagati.

Una rosa ipervalutata

Il terzo mercato targato Loco è stato parecchio importante in entrata: 88 milioni spesi per il centravanti Rodrigo, per Diego Llorente, Helder Costa e altri calciatori rigorosamente selezionati dal tecnico di Rosario. Anche grazie a questi innesti, il parco giocatori ora vale circa 150 milioni di euro. Un salto enorme rispetto a quella del primo anno di Radrizzani. Che però non è arrivato solo grazie agli acquisti, anzi.

Esemplare il caso di Liam Cooper, il capitano della squadra. Nel 2017 valeva 1 milione di euro, ora il suo valore di mercato sfiora i 6 milioni. Merito del salto di categoria, ma anche del miglioramento esponenziale delle prestazioni. Per non parlare di Kalvin Philips, prodotto delle giovanili. Valeva un milione e mezzo, ora è arrivato a dodici e ha anche ottenuto la sua prima presenza in nazionale. Miracoli… del Loco.

Ma c’è un ultimo fattore che non può non essere considerato nell’ottica dell’azzeccatissimo investimento di Radrizzani: la città di Leeds. Una città che vive di calcio e che ha atteso a lungo di veder tornare lo United ai livelli che gli competono. E che ha preso d’assalto Elland Road, non facendo mai mancare alla squadra né il supporto del tifo né quello economica. Dire che a Leeds c’è una media di una maglia originale del club a persona rischia di non essere una stima poi così lontana dalla realtà. In città tutti tifano Leeds, il che fa… bacino d’utenza per i diritti TV.

Un bacino che non va diviso con nessun’altra realtà, primo perché lo United è l’unico club cittadino e poi perchè le altre big della Premier non attecchiscono per nulla da quelle parti. Anzi, con il Manchester United c’è una rivalità storico-geografica, mentre il Liverpool ricorda i tempi delle sfide in First Division dei tempi di Revie. Insomma, un colpo da maestro quello dell’imprenditore lombardo. Che ha dimostrato che fare business con il calcio si può eccome. Basta scegliere la piazza giusta… e un tecnico sufficientemente loco!

*L'immagine di apertura è di Manu Fernandez (AP Photo).

September 27, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Non solo Lotito: multiproprietà o sinergie calcistiche?

Si chiamano multiproprietà ma, secondo lo stesso procedimento sintattico per cui le molte amichevoli estive si sono trasformate in "allenamenti congiunti", sono state ribattezzate "sinergie calcistiche". La sostanza, però non cambia: c'è un presidente di Serie A il cui patrimonio viene utilizzato per far crescere altri progetti, altri club. Magari in Serie B o C. Oppure, ancora all'estero.

Vere e proprie seconde squadre, anche se di fatto non parliamo di Under 23 o "costole" varie: club con la loro storia, talvolta importante, pesante, che condividono gli stessi destini di una società "ammiraglia". A questo punto si gioca con l'organigramma, nominando "presidente" o "amministratore delegato" una persona fidata, magari il figlio.

Da Lotito ai De Laurentiis

Il preambolo per dire che in Italia - e non solo - non esiste solo il caso Claudio Lotito a controllare Lazio e Salernitana. Le "multiproprietà", o "sinergie", costituiscono un fenomeno in netta crescita. Il caso più famoso, dopo quello riguardante il plenipotenziario dei biancocelesti, è senz'altro quello della presidenza De Laurentiis, partita da Napoli con papà Aurelio e ora allargatasi a Bari col figlio Luigi, numero uno dei Galletti.

Il quale, al giornalista di Sky Sport Massimo Ugolini, durante la trasmissione "Calciomercato - L'originale - ha dichiarato, senza mezzi termini: "Come avrete notato, i club che ci piace guidare, in famiglia, sono quelli dal grandissimo bacino di utenza. Grandi città e territorio con un'unica squadra di riferimento, come appunto sono Napoli e Bari". Dopo la promozione dalla D, un girone di ferro, come quello meridionale della Serie C, ha impedito il percorso netto di promozioni verso la Serie A, come più volte dichiarato nei vari proclami.

Resta da aggiornarsi su come potranno coesistere sia azzurri che biancorossi nella massima serie con questi assetti societari. Impossibile da regolamento: occorrerà aggiornarsi in questo senso, per ulteriori sviluppi e modifiche allo spartito. Uno status quo che, ad esempio, i tifosi della Salernitana hanno più volte dimostrato di non gradire, chiedendo a Lotito di passare subito la mano.

Setti: Verona e Mantova

Poi c'è il caso Maurizio Setti, imprenditore carpigiano presidente dell'Hellas Verona in Serie A e, dal 27 giugno 2018, socio di maggioranza del Mantova in Serie C. Tuttavia, nei quadri societari non compare ufficialmente: nel frattempo, i virgiliani si sono riportati in Serie C ma c'è da scommettere che prima o poi, esattamente come per il Bari, sarà necessaria una svolta decisionale. Prima o poi, per un club di tale tradizione non è così peregrino immaginare infatti Hellas e Mantova nella medesima categoria. 

Giulini e la "sinergia" Cagliari-Olbia

Il filo conduttore Serie A-Serie C porta anche al caso Cagliari-Olbia nel segno di Tommaso Giulini, ex azionista dell'Inter, oggi patron del Cagliari e "controllore" (diciamo così) dell'Olbia in terza serie. Sulle maglie dei galluresi, compare lo sponsor "Fluorsid", gruppo chimico, una delle attività imprenditoriali dello stesso Giulini, che allo stadio "Bruno Nespoli" manda i giovani del Cagliari a farsi le ossa.

Tommaso Giulivi, patron di Cagliari ed Olbia!

Una corsia preferenziale che ha coinvolto, tra i vari esempi, Damir Céter Valencia (oggi attaccante del Pescara), Daniele Ragatzu e tanti altri.

La multiproprietà internazionale dei Pozzo

A proposito di giocatori in movimento, la multiproprietà della famiglia Pozzo, continua con gli interscambi tra Udinese e Watford, favorita nella Championship inglese per le scommesse calcio. Tra gli ultimissimi, Stipe Perica e Ken Sema girati agli Hornets e il difensore Sebastian Prödl a fare il percorso inverso. Si tratta di un progetto funzionante? Sì, ma non ad altissimi livelli. Tra Udinese e Watford, un tempo c'è stato anche il Granada, club di Liga che però, nel recente passato, è stato mollato dalla famiglia di imprenditori friulani ad un potente gruppo cinese.

Lo scopo dichiarato è quello di creare un modello calcistico di sostenibilità che si autoalimenti. Detto questo, da quando i Pozzo si concentrano su varie proprietà nel mondo del pallone, i risultati dei friulani bianconeri si sono fatti via via meno brillanti, rispetto ai piazzamenti Champions o in zona Europa League a cui avevano abitato, dalle parti della Dacia Arena, dalla fine degli anni Novanta alla prima decade dei Duemila. Quasi una dispersione delle forze, soprattutto a livello di scouting.

Red Bull e City nel mondo: tutt'altra storia

Sempre all'estero, si sa, esiste il modello Red Bull e quello del Manchester City, autentiche holding del calcio con squadre sparse il tutto il globo terrestre. Quella, si può dire, si tratta dell'esasperazione del concetto di "multiproprietà" del pallone. Molto più di semplici "sinergie"...

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Andrew Medichini e Daniela Santoni.

September 26, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Sandro Tonali: un numero 8 nei numeri e nello spirito  

Vittime di una narrazione sportiva che troppe volte tende a scambiare la lente di ingrandimento dell’analisi con il megafono della narrazione enfatizzata, ci siamo ritrovati a credere che Tonali fosse “Il nuovo Pirlo”. 
Un equivoco bello grosso, tra due giocatori che sono antitesi l’uno dell’altro ma che hanno vissuto (Pirlo) e vivono (Tonali) lo stesso compito e dimensione in campo: il mai banale ruolo del regista. È proprio qui che si è causato l’equivoco.  

Sandro nei numeri

Sandro Tonali è corsa, ha gamba. È un calciatore bravo a ricoprire tutto il campo, mettere ordine e spendere il fallo, laddove è necessario. Nella stagione 2018 – 2019, in Serie B al Brescia, in 34 presenze ha accumulato 12 gialli, praticamente uno ogni 3 partite. Sandro Tonali è uno che corre abbiamo detto, uno che compatta la squadra seguendo e associandosi sempre ai compagni, tant’è che risulta essere l’italiano che ha corso più chilometri in Serie A nel 2020: una media di 11,284 chilometri in 2.181 minuti.

Numeri ai quali vanno aggiunti i 6.5 duelli vinti a partita, a testimonianza di un calciatore bravo nel cuore del gioco quando il pallone ce lo hanno gli avversari. 
Tutto ciò non vi suggerisce un paragone più ragionato rispetto a quello con Pirlo?
Se la risposta è ancora negativa, continuiamo ad ammiccarvi, parafrasando le parole di un vecchio idolo del centrocampista ex Brescia.

La partita di Andrea Pirlo a Roma è inserita nel palinsesto del Toto8 settimanale!

Sandro Tonali nello spirito 

“Prendila e spacca tutto ma cerca di essere antico perché la maglia del Milan è gloriosa e pesante. Presta ascolto a chi è lì da tanti anni”. 
Le parole sono quelle di Gennaro Gattuso, estrapolate in una videochiamata proprio con Tonali che ha chiesto il permesso al suo idolo milanista, prima di scegliere la maglia numero 8 in rossonero. 
Sì, perché Tonali è milanista vecchia data, aveva Gattuso come idolo da ragazzino e ora gli tocca prendere le redini del centrocampo di una delle squadre più gloriose della storia del calcio. Mica male per uno nato l’8 maggio del 2000. 

Quindi, se proprio dobbiamo farlo questo paragone a onore di cronaca, facciamolo con Rino, anche lui iconico numero 8. 
Sandro Tonali diventa il giocatore perfetto per condurre mano nella mano verso lidi felici, sia i nostalgici attaccati all’idea del calcio di una volta, sia gli avanguardisti adulatori di un calcio più dinamico, tecnologico e tattico. 

Calciatore tecnicamente pulito nei fondamentali e predisposto ad azzardare la giocata in più anche quando la velocità di azione e pensiero aumenta all’improvviso. O perlomeno calciatore che restituisce l’impressione di poter perfezionare tutto grazie alla giovane età e ai margini di miglioramento che gli si prospettano.

Ragazzo equilibrato e umile (vedi episodio con Gattuso e dichiarazioni di Cellino su di lui a mercato in corso), con quella faccia pulita che resta tale anche quando si tuffa nel “fango” dei raddoppi di marcatura e nel traffico intasato del centrocampo. 

Sandro Tonali è stato plasmato dal calcio del passato ed è proiettato verso quello del futuro. 
Calcisticamente e umanamente mette d’accordo tutti, parola di chi di numeri 8 se ne intende. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

September 25, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Il calcio ed il basket: una storia di successi

Gli Anni Ottanta portarono nel calcio italiana lo sponsor sulle magliette. Una vera e proprio rivoluzione che creò brand, colori e tratti distintivi. I primi prodotti pubblicizzati erano tendenzialmente più "ruspanti" rispetto a quelli a cui siamo abituati oggi: Olio Cuore nel Milan, detersivi Dyal per l'Avellino, salumi Negroni o costruzioni Andreotti sulla casacca grigiorossa della Cremonese, tanto per fare qualche esempio tra i molti.

In questo senso, il primo sponsor che accompagnò le maglie blucerchiato della Sampdoria, era avveniristico, perché già quasi 40 anni fa spingeva sul settore di tecnologia e innovazione. Stiamo parlando di "Phonola", marchio italiano (ad oggi non più utilizzato) del mercato dell'economia di consumo, in particolar modo di apparecchi radiotelevisivi. Faceva capo alla "FIMI S.A." di Saronno e, oltre al calcio, fu attiva con grande successo anche nel basket, con la Juvecaserta.

I favolosi Anni '80 e le sponsorizzazioni

Un'eccellenza italiana: iniziò con il "modello 547", ovvero una radio a forma di telefono prima della Seconda Guerra Mondiale. Sospese le produzioni durante il conflitto bellico, Phonola ripartì nel 1945 producendo apparecchi per conto di marchi terzi come Grundig, Siemens e Motorola, prima di dedicarsi ai televisori negli Anni Cinquanta ed essere assorbita da Phillips una ventina d'anni più tardi.

Un'azienda di livello internazionale e abituata a legarsi allo Sport, diventando sponsor storico del PSV Eindhoven. In Italia, nel Basket, si era legata a Milano.
E proprio il match tra Philips Milano e Phonola Juvecaserta, decise lo scudetto di pallacanestro al termine della stagione 1990-91.

Quell'incredibile Scudetto nel basket

Quasi una festa nei quadri dirigenziali a tutto tondo, certamente un piccolo smacco l'esito della finale: se la formazione meneghine si piazzò prima in regular season e quella campana seconda, nella sfida conclusiva, il team di Phonola si impose al meglio dei 5 confronti 90-99, 94-80, 72-87, 93-81 e 97-88 in quella che sarebbe stata la serie finale più equilibrata della storia per 888sports!

Una formazione storica, rivoluzionaria, quella di coach Franco Marcelletti, per essere stata la prima e ultima squadra del sud, per la precisione geograficamente al di sotto di Roma, a vincere uno scudetto di basket.

Per trovare un'impresa simile, bisogna andare alla stagione 2014-2015 con il titolo della Dinamo Sassari di coach Meo Sacchetti.

Oscar!

La compagine casertana, pur senza la conferma alla vigilia del bombardiere brasiliano Oscar Schmidt, poteva contare cestisti del calibro di Sandro Dell'Agnello, Charles Shackleford, Massimiliano Rizzo, Francesco Longobardi, Ferdinando Gentile, Tellis Frank, Cristiano Fazzi, Vincenzo Esposito, Sergio Donadoni, Giacomantonio Tufano, Damiano Faggiano, Giuseppe Falco, Claudio Acunzo, Luigi Vertaldi e Virgilio Vitiello.

Phonola e la nascita del progetto Sampdoria

Per quanto riguarda la Sampdoria, invece, quella degli Anni Ottanta funse da laboratorio a quella che, peraltro nello stesso anno della Juvecaserta nel basket, arrivò a conquistare il suo primo - e anch'esso storico - scudetto della storia. Quello targato Vujadin Boskov. Ma sulle magliette, tuttavia, campeggiavano già i carburanti Erg.

Phonola, insisté sulle casacche blucerchiate dal 1982 (appena tornata in Serie A) al 1988. Fecero in tempo a crescere i vari Gianluca Vialli, Roberto Mancini, Pietro Vierchowod, Moreno Mannini, Gianluca Pagliuca, Fausto Pari, Luca Fusi. Con Phonola, la giovane Samp di Eugenio Bersellini vinse la sua prima Coppa Italia nel 1984-85 nel doppio confronto contro il Milan e la seconda contro il Torino nel 1988.

Nel 1986 sfiorò lo stesso trofeo contro la Roma di Sven Goran Eriksson (tecnico dei blucerchiati dal 1992 al 1997), che dopo la sconfitta per 2-1 di Genova, rimontò all'Olimpico coi gol di Stefano Desideri e Toninho Cerezo, altro alfiere doriano negli anni a venire.

Una sfida Samp - Verona!

Un marchio, Phonola, che divenne icona sulla maglia blucerchiata, anche perché "vestito" da campioni del calcio britannico come il centrocampista scozzese Graeme Souness - campione d'Europa col Liverpool - e l'attaccante inglese Trevor Francis - ex di quel Nottingham Forest dei miracoli allenato da Brian Clough.

I tempi che cambiano

Negli anni novanta, quindi, il marchio Phonola - separato dall'azienda - fu acquistato dalla Seleco (sponsor in tempi recentissimi di Lazio e Salernitana), e nel 1997, insieme ad altri brand (come appunto la stessa Seleco), passò al gruppo Formenti. Ma i passaggi societari, in questo senso, proseguirono anche negli Anni 2000.

E la FIMI di Saronno, da cui nacque tutto? Ebbene, risulta tuttora esistente: rilevata dalla "Barco", ha proseguito la propria attività di costruzione ed assemblaggio di display cambiando tuttavia genere, dedicandosi a quelli per uso essenzialmente medicale. Una svolta intrapresa già dal 1977.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo; la seconda è uno scatto di Mark Duncan.

September 22, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Serie A, le tre giornate più pazze di sempre!

Sembrava poter essere un martedì decisivo per lo Scudetto, invece la 31esima giornata della Serie A 2019/2020 sarà ricordata come una delle tre giornate più pazze di sempre. A cominciare dalla sfida del Via del Mare dove la Lazio di Inzaghi, reduce dal ko interno col Milan, aveva la possibilità di portarsi momentaneamente a -4 dalla Juve.

Contro i biancocelesti, forse la squadra in quel momento meno in forma rispetto alla prima parte del campionato, il Lecce reduce da sei sconfitte consecutive (4 dalla ripresa) e ben 25 reti subite nei sei ko incassati.

Dopo il gol annullato a Mancosu al primo minuto, la Lazio passa subito in vantaggio con Caicedo grazie a un regalo di Gabriel. A metà primo tempo Immobile ha la palla gol per lo 0-2, con i biancocelesti che sembrano in controllo. Poi nel giro di 20 minuti succede di tutto, il Lecce pareggia alla mezz’ora e nel finale di primo tempo Mancosu sbaglia il rigore del possibile 2-1. Ad inizio ripresa però i salentini passano in vantaggio con Lucioni e la Lazio, che rincorre il pareggio con le poche energie rimaste, sembra dire addio alla lotta al titolo.

Una corsa Scudetto che sembra chiusa al 50esimo minuto del match serale di San Siro tra Milan e Juventus. I bianconeri, con lo 0-2 di CR7 dopo il vantaggio sulla clamorosa azione personale di Rabiot sembrano mettere in cassaforte i tre punti ed il nono Scudetto consecutivo.

Il Milan di Pioli però è in fiducia e ribalta clamorosamente il risultato in 7 minuti, passando dallo 0-2 al 3-2 grazie alle reti di Ibra su rigore, Kessié e Leao. Nel finale il definitivo 4-2 di Rebic certifica il ko bianconero, mantiene aperto ancora per qualche giorno il discorso Scudetto e, soprattutto, inizia a far vacillare la panchina di Sarri... 

Stagione 2000

Un suicidio collettivo che apre le porte alla Juventus di Carlo Ancelotti. La ventiseiesima giornata della stagione 1999/2000 è, senza dubbio, la più assurda domenica calcistica degli ultimi venti anni, fatta eccezione ovviamente per le ultime giornate dei vari campionati nella quali, spesso, molte squadre non hanno più nulla da chiedere. A metà marzo la Juve è capolista con sei punti di vantaggio sulla Lazio, nove sull’Inter, dieci sul Milan e undici sulla Roma.

Un buon distacco, che diventa apparentemente incolmabile nel weekend del 18 e 19 marzo, che inizia sabato a San Siro con il sorprendente pareggio dell’Inter in casa contro il Bologna decimo in classifica. Dopo la vittoria 3-2 della Juve grazie a due autoreti sul Toro, la domenica scatta l'imponderabile! Tutte le altre rivali si fermano, a cominciare dalla Lazio di Eriksson che perde 1-0 col Verona quartultimo e regala ai bianconeri il massimo vantaggio in classifica a otto giornate dal termine.

Non ne approfittano neanche Milan e Roma, che potevano accorciare sui biancocelesti: i rossoneri perdono clamorosamente per le scommesse calcio in casa del Venezia terzultimo di Pippo Maniero ed i giallorossi all’Olimpico vengono battuti per 0-2 dalla Reggina.

 

Le due giornate successive riapriranno poi il campionato, con la Lazio che recupera lo svantaggio sulla Juve e vince con merito il titolo, sfuggito nella stagione precedente, all’ultima giornata! 

2002, quante follie!

Nel 2001/2002 sembrava una corsa a due tra l’Inter di Cuper e la Roma campione in carica di Fabio Capello. A cinque giornate dalla fine i nerazzurri hanno tre punti di vantaggio sui giallorossi e sei sulla Juventus di Lippi, quasi definitivamente fuori dalla lotta al titolo. A San Siro l’Inter ospita l’Atalanta, una dea diversa da oggi, che infatti ha disperato bisogno di punti salvezza. Nel finale di primo tempo i bergamaschi passano in vantaggio, ma ad inizio ripresa il pareggio di Vieri sembra aprire la strada all’Inter per un successo.

L'esultanza di Bobo Vieri!

A 25 minuti dalla fine il gol del definitivo 1-2 di Daniele Berretta riapre ufficialmente il campionato e certifica una giornata pazza per le scommesse Serie A. LA sconfitta dell’Inter, infatti, non viene sfruttata dalla Roma di Capello, che dopo lo 0-0 dell’intervallo a Venezia ha la possibilità di raggiungere l’Inter in testa alla classifica nella ripresa.

I veneti, già matematicamente retrocessi a cinque giornate dalla fine, tirano fuori l’orgoglio e si portano sul 2-0 a dieci minuti dalla fine. Due calci di rigore di Montella negli ultimi 5 minuti permettono ai giallorossi di pareggiare 2-2 e di rimanere al secondo posto in solitaria a -2 dall’Inter.

La Juve però non perde l’occasione, vince 0-4 a Perugia e lascia aperta la speranza Scudetto che diventerà poi realtà nello sciagurato 5 maggio interista. I bianconeri vincono 0-2 a Udine, l’Inter perde all’Olimpico contro la Lazio e scivola addirittura al terzo posto a -2 dalla Juve, superata anche dalla Roma. 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Tano Pecoraro e Luca Bruno.

September 21, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Ibrahimović vissuto attraverso le sue citazioni 

Nel Mondiale del 2014 in Brasile c’erano tutte le premesse per divertirsi e godere di uno spettacolo generato dalle migliori stelle del pianeta tranne una: Zlatan Ibrahimović. 
Non a caso lo svedese non perse occasione, dopo l’eliminazione nello spareggio contro il Portogallo, per ridimensionare quello che sarebbe stato lo spettacolo della Coppa del Mondo: "Una cosa è chiara: un Mondiale senza di me non merita di essere visto"

Quel novembre del 2013 e quella sconfitta contro Cristiano Ronaldo lasciò un segno deciso in una delle tante fasi dell’immensa carriera dello svedese. L’ennesima non qualificazione ai Mondiali spinse infatti Ibrahimović a ripensare di nuovo a un ipotetico ritiro dalla Nazionale, salvo poi ripensarci e chiudere dopo l’Europeo del 2016. 

All'Inter

Un’altra fase importante della carriera di Zlatan Ibrahimović fu sicuramente quella all’Inter. 

Se tutti siamo abituati a ricordarlo con numeri altisonanti come il 9 della triste parentesi di Barcellona, degli inizi juventini, ma anche dello strapotere a Los Angeles, o il 10 indossato nella ridente Parigi, uno dei numeri più fortunati per lo svedese fu proprio il nostro amato numero 8 cucito sulla maglia di tutto il periodo neroazzurro. 

Ibrahimović non ha semplicemente giocato nell’Inter, ma l’ha vissuta, l’ha fatta risorgere e l’ha trascinata quando stava diventando uno squadrone sul quale puntare sempre, anche per le scommesse sportive.

Fece risorgere la squadra portandola al filotto di successi post-Calciopoli insieme a Roberto Mancini: 88 (guarda un po’) partite e 57 gol in Serie A. Trascinò la squadra nei momenti più difficili, come ad esempio il finale di stagione nel 2008 al Tardini di Parma. 
A proposito del rapporto con l’attuale tecnico della Nazionale Ibrahimović disse: “Mancini mi ha detto che i miei gol erano quasi belli come quelli che faceva lui... Ma non è vero i miei sono più belli!”
Nel periodo all’Inter e con la numero 8 sulle spalle anche i suoi gol più stratosferici per l’appunto.
Fanno ancora scuola le reti segnate di tacco sfruttando la sua elasticità, improbabile per uno col suo fisico. Caratteristica dovuta alla pratica di alcune arti marziali, tra cui il Taekwondo, da quando era bambino. 
 
Nella parte di carriera neroazzurra chiude con un bottino personale di 117 match e 66 reti in totale. A differenza della media pazzesca maturata in Serie A, nella statistica aggregata pesano i digiuni sottoporta nelle notti europee. Ma guai a definire la Champions League una maledizione o qualcosa di simile. 

“Non è un'ossessione. Se lo fosse significherebbe che non avrei raggiunto i miei obiettivi. Invece ho fatto esattamente quel che volevo, al 100%. Ho sempre dato il massimo per vincere quanto possibile. Certo, sarebbe bello vincere la Champions, ma se finissi la carriera senza sarei comunque felice e fiero di quanto fatto”
Come dargli torto.

Girando il mondo 

La parabola che forse lo descrive meglio è quella nel periodo ascendente della sua carriera. Parentesi che parte dal momento in cui va in Inghilterra al Manchester e vince da favorito per le scommesse calcio l'Europa League, poi ai L.A. Galaxy e infine Milan bis. 

Zlatan a Los Angeles!
Quel periodo di carriera in cui sembrava aver dato tutto il possibile e che sembrava appunto un momento ascendente, anche a causa dell’età che avanzava e gli infortuni che lo bloccavano.
È proprio in questa fase che effettivamente Ibrahimović ha dimostrato (e sta dimostrando ancora oggi, questo è il bello) di essere tra i migliori calciatori degli anni ’20. 
Quando sembrava finito ha ricostruito una nuova carriera con istanti brillantissimi e momenti di strapotere imbarazzanti. 

Qui abbiamo potuto comprendere che tutta quella dose di autostima non era poi parte di un personaggio costruito, ma semplicemente specchio di quello che Ibra è sempre stato e ha sempre sentito di essere: semplicemente uno dei migliori. 
Arrogance? No. Confidence” scrisse in uno dei suoi recenti post di Instagram

Didascalia che lo descrive meglio di come hanno fatto tutti gli altri, non a caso è farina del suo sacco. 
Quella che negli anni abbiamo spacciato per arroganza in realtà è pure autostima (lo abbiamo fatto anche in un derby di Milano, confondendo la sua ammirazione per Ronaldo “Il Fenomeno” per arroganza). 
All'ingresso del suo lussuoso appartamento a Malmö, Zlatan Ibrahimović ha fatto appendere una gigantografia di due piedi ammaccati e rovinati. 

Gli amici, quasi perplessi, gli chiesero la prima volta: "Ma che razza di piedi schifosi sono quelli? Come puoi appendere al muro una simile porcheria?". 

"Idioti. Sono quei piedi che hanno pagato tutto questo"
Passeranno gli anni, passeranno i decenni, ma continueremo sempre a raccontare di Zlatan Ibrahimović. Parola di chi di numeri 8 se ne intende. 
“Io sono Ibra, voi chi ca**o siete?"

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer. La foto è di Kelvin Kuo (AP Photo).

September 19, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Pelé e quel Mondiale non vinto!

Disputare quattro edizioni del Campionato del Mondo di calcio e vincerne ben 3. Un autentico record, che solo "il più grande" per coloro i quali scelgono lui nell'eterno dualismo con Diego Armando Maradona può fregiarsi di aver tagliato.

Stiamo parlando, ovviamente, di Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, che, ci ha lasciato in eredità tante storie da raccontare! 

888Sport

Dei trionfi in Svezia, nel 1958 a 17 anni, contro i padroni di casa scandinavi, del 3-1 alla Cecoslovacchia in Cile quattro anni più tardi e del largo successo per 4-1 contro un'esausta Italia "post partita del secolo" a Messico 1970, si è già detto tutto.

Ma che ne fu della Coppa Rimet non vinta dalla Seleção? Ecco, diciamo che l'espressione "non vinta" non è proprio l'espressione più corretta. L'edizione di Inghilterra 1966, infatti, fu una vera e proprio disfatta per i verdeoro, usciti di scena già al girone di qualificazione, da campioni in carica. Le motivazioni furono svariate. Ce ne fu una, però, che "abbracciò" tutte quante.

Il Mondiale più "europeo"

Il Brasile era il detentore del titolo, ma ad aspettarlo c'era la patria del calcio. Quella degli inventori del gioco: anche se la competizione non propose scontri diretti tra le due nazionali, la mentalità della Perfida Albione, come in un "transfer", si impossessò in qualche modo dello stile di gioco di Bulgaria, Portogallo e Ungheria, avversari del Brasile nel gruppo 3.

Si trattava di un Mondiale profondamente diverso dagli altri: si segnava poco, si badava al sodo, i contrasti erano particolarmente ruvidi e gli arbitraggi decisamente "all'inglese". Si lasciava correre, non si sanzionava e, a corollario di tutto ciò, non erano previste sostituzioni. Una problematica inesistente, quest'ultima, oltremanica: l'unica - eventuale - sostituzione di cui si preoccupò la Football Association, fu quella riguardante il trofeo, sparito misteriosamente il 20 marzo 1966 durante un'esposizione al pubblico.

Ci pensò poi il meticcio Pickles (morto un anno dopo strozzato dal suo stesso guinzaglio) a ritrovarla, avvolta in carta da giornale, in un parco londinese a pochi giorni dall'inizio della competizione.

Tra stranezze e boicottaggi

Altre stranezze di quel Mondiale? Non venivano suonati gli inni prima delle partite (se non per il match inaugurale e quello della finale Inghilterra-Germania 4-2). Questo per lo scompiglio dettato dalla partecipazione di una nazione "nemica" della Gran Bretagna come la socialista Corea del Nord, letale in seguito all'Italia. Pak Doo-ik e compagni si qualificarono disputando appena due partite, entrambe giocate a Phnom Penh contro l'Australia.

La Corea del Sud si ritirò per il cambio sede del girone "a tre" dal Giappone alla Cambogia. Dopodiché i Nordcoreani avrebbero dovuto giocare contro la vincente delle qualificazioni riservate alle nazionali africane, che però a loro volta - proprio per non aver ottenuto dalla FIFA un posto a loro riservato - boicottarono tutte la competizione, non partecipandovi.

Pelé preso di mira

Il cammino del Brasile del commissario tecnico dalle discendenze di Castellabbate Vicente Feola, parte proprio dalla Bulgaria il 12 luglio al Goodison Park di Liverpool, casa dell'Everton. Secco 2-0 per i verdeoro, con entrambi i gol giunti su calcio di punizione: il raddoppio porta la firma di Garrincha al 63', ma al quarto d'ora ad aprire è proprio Pelé.

La "Pérola Negra", 25 anni, però, fu presa a calci dai figli di Sòfia. In particolare il suo ginocchio fu "timbrato" dal ripiegamento offensivo dell'attaccante Petăr Petrov Žekov, il suo omologo bulgaro, che appena tre anni dopo si aggiudicò la Scarpa d'Oro. Per questo Pelé è costretto a saltare il match di tre giorni dopo, sempre a Goodison Park, contro l'Ungheria, che con un rigurgito di grandeur anni Cinquanta, rifila un 3-1 senza appelli ai brasiliani che avrebbe sorpreso tutti gli appassionati di scommesse calcio.

La stella di Três Corações torna a disposizione per l'ultimo match del raggruppamento, in programma il 19 luglio a Liverpool, contro il Portogallo. I lusitani lo presero di mira, letteralmente "a calci". L'intervento più duro fu quello del rude difensore dello Sporting Lisbona João Pedro Morais, lo costringe a zoppicare (non essendo previsti i cambi) sino al 90', quasi fuori uso. L'arbitro è l'inglese George McCabe, fischietto di Sheffield che non ha la minima intenzione di abbandonare gli standard interpretativi sull'agonismo, propri del calcio britannico.

Risultato? 3-1 per i rossoverdi con doppietta di Eusébio e per il Brasile l'avventura finì già al primo turno, come non succedeva dal 1934. La delusione di Pelé per quanto visto e vissuto in Inghilterra fu tale da dichiarare, a fine competizione, di non voler disputare più Mondiali. Purtroppo per l'Italia e per fortuna del calcio non fu così, perché nel 1970, fu grandissimo protagonista del 4-1 con cui i verdeoro asfaltarono gli Azzurri, reduci dal 4-3 alla Germania Ovest.

Segui le competizioni internazionali anche con le scommesse online!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Bippa (AP Photo). Prima pubblicazione 19 settembre 2020.

 
January 3, 2023
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Provinciali alla riscossa


Si riparte. Con le solite attese, la stessa passione, i nuovi acquisti e le vecchie ambizioni. La prima giornata di campionato rinnova quel senso di sano entusiasmo che avvolge l’avvio del campionato di calcio. Da sempre, l’esordio del torneo è accompagnato da sorprese più o meno grandi che nel tempo hanno generato vincite miliardarie al Totocalcio o aspettative disattese; Platini battuto all’esordio, Berlusconi bastonato da Rozzi, Edy Bivi che beffa Rudy Kroll.

Storie da … clamoroso al Cibali, partite che si sono prese - di imperio - la prima pagina dei giornali, reti che hanno freddato gli entusiasmi dei tifosi disegnando scenari differenti rispetto a quelli ipotizzati sotto l’ombrellone. Di seguito gli esordi stagioni con risultati più a sorpresa:

1982-1983

L’estate del 1982 è una delle più esaltanti grazie agli Azzurri che hanno appena vinto il Mundial di Spagna. Sei undicesimi della squadra italiana giocano nella Juventus che si è anche assicurata il polacco Boniek e il francese Michael Platini. Quella di Trapattoni sembra una squadra imbattibile, ma quando si presenta a Marassi per la prima sfida del campionato 1982-83, si capisce subito che c’è qualcosa che non va. La giovane Sampdoria del presidente Paolo Mantovani si prende la scena, e batte i campioni d’Italia in carica grazie a un gol di Mauro Ferroni.

L’uomo della domenica è un terzino: ha sulle spalle la maglia numero 2, e ha appena segnato quello che resterà il suo unico gol in Serie A.

 

Ferroni gioca otto stagioni in Serie A, dopo aver rovinato la domenica a Platini & compagni, vivrà una gloriosa stagione a Verona, vincendo l’unico scudetto scaligero della storia.

1984-1985

Il campionato 1984 inizia il 16 settembre, al Bentegodi arriva il Napoli di Diego Armando Maradona che gioca la sua prima partita in Serie A: il fuoriclasse argentino - appena acquistato dal Barcellona - è oscurato dal tedesco Hans-Peter Briegel che - oltre a cancellare dal campo il diretto avversario - segna il vantaggio gialloblù. Il Verona vince per 3-1, segnano anche Galderisi e Di Gennaro: è la prima recita di un torneo trionfale.

1986-1987

Nell’estate del 1986 soffia il vento del rinnovamento italiano, mosso dalle pale degli elicotteri che atterrano all’Arena Civica di Milano: il nuovo Milan si mostra in tutto il suo splendore, campagna acquisti faraonica e ambizioni imperialiste. L’esordio dei rossoneri è in programma a San Siro contro l’Ascoli, il presidente Silvio Berlusconi è emozionato come al primo appuntamento.

Passerella, sorrisi, fotografie. Tutto sembra andare per il meglio, almeno fino al minuto diciannove: lancio di Brady, destro a incrociare di Barbuti e palla sotto la traversa. Massimo Barbuti di mestiere fa l’attaccante, ma non è un gran cannoniere: gioca soltanto una stagione in Serie A, segna all’esordio, e segna nella sua ultima apparizione della carriera contro il Napoli - quello di Maradona - che sette giorni prima ha vinto il suo primo scudetto.

 

1987-1988

Anche l’avvio del campionato successivo riserva delle sorprese all’esordio, la partita in schedina che fa saltare il banco si gioca sempre a San Siro; l’Inter di Trapattoni si presenta con rinnovate ambizioni, di fronte c’è la neo promossa Pescara allenata da Giovanni Galeone.

Un po’ alchimista, un po’ sognatore, un po’ filosofo: il tecnico sa di calcio, e si affida ai piedi educati di Leo Junior; lancio di esterno destro, taglio di Galvani che si inserisce, e supera Zenga con un pallonetto chirurgico.

La scheda tecnica di Romano Galvani racconta che successivamente indossò anche la maglia dell’Inter (3 presenze) nella stagione dello scudetto dei record. Ma a San Siro la partita non è ancora finita: nella ripresa il Pescara raddoppia, tra una sigaretta e un caffè trova il tempo di segnare anche Slišković, - fantasista gitano - vizioso frequentatore di stadi, di porti e di bische.

Il tecnico Galeone continua a fare il pirata, e qualche anno dopo si presenta all’Olimpico per la prima di campionato; la Roma ha salutato Rudy Voeller, ingaggiando l’argentino Caniggia e il giovane Sinisa Mihajlovic.

In panchina c’è Vujadin Boskov, nella rosa c’è anche un giovanissimo Francesco Totti, ma il suo nome ancora lo conoscono in pochi. Il Pescara affonda la Roma di Ciarrapico, basta un gol di Salvatore Antonio Nobile. Il terzino, quando arriva a Pescara, ha già visto passare il treno della vita: una stagione nell’Inter - da attore non protagonista - poi qualche campionato di A con le provinciali.

2000 e 2001

Il primo campionato del nuovo millennio si apre col botto; l’Inter di Marcello Lippi esce con le ossa rotte da Reggio Calabria: al Granillo la Reggina vince in rimonta, dopo il gol di Recoba arrivano quelli di Possanzini e Marazzina. Il campionato è iniziato da soli novanta minuti, e c’è il primo tecnico esonerato: Moratti congeda Lippi, futuro Campione del Mondo. Sembrava fosse amore, e invece era un calesse.

I colpi di scena non mancano neanche l’anno successivo. La squadra protagonista della domenica è il Chievo, fino ad allora un trivio piazzato nel cuore di un quartiere di Verona, tre strade che si incrociano e che profumano di pandoro.

Si gioca a Firenze, il club toscano vive una traballante situazione economica, ma la squadra che manda in campo è accettabile: ci sono Di Livio e Adani, Baronio e Morfeo, e c’è Enrico Chiesa che sa fare gol. Dall’altra parte Delneri ha quasi tutti esordienti; c’è Luciano che si chiama ancora Eriberto - ci sono D’Angelo e D’Anna - ci sono Corradi e Manfredini.

C’è anche Simone Perrotta, è figlio di emigrati, è nato ad Ashton, nel Nord Ovest dell’Inghilterra e ha già perso il suo primo treno per la gloria collezionando 5 presenze con la Juventus. Si farà trovare alla stazione quando il treno passerà ancora, e arriverà fino a Berlino. Perrotta ancora non sa cosa il destino gli riserva, intanto si porta avanti con il lavoro e segna. Il raddoppio è di Marazzina.

2015 e 2018

Con il passare degli anni, il divario tra big e squadre di provincia aumenta: i risultati a sorpresa sono ancor più rari. Ma ogni tanto accade ancora, anche per le scommesse. Nel 2015, è l’Udinese a fare uno scherzo indesiderato ai campioni d’Italia della Juventus; allo Stadium decide un gol di Thereau. Il regno di Allegri alla Juventus in questo avvio di campionato sembra finito: vincerà ancora, vincerà tanto.

Nel 2018 la sorpresa arriva da Reggio Emilia, dove l’ambiziosa Inter di Spalletti fa visita al Sassuolo di De Zerbi. Il tecnico ieratico piega la testa di fronte a un collega che ha ancora voglia di studiare, e aggiornarsi. Segna Berardi. E l’ingegner Squinzi può far festa. La sua squadra ha vinto, e lui è pure milanista.

La partita del Sassuolo contro il Cagliari è inserita nel palinsesto del secondo Toto 8 stagionale: gioca gratis e vinci gli 888 euro dal jackpot!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Massimo Pinca (AP Photo).

September 19, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Il "perché" della Coppa di Lega

Chi perizia costantemente il palinsesto delle partite inglesi, si di fronte, al termine dell'estate, a un plotone di incontri. Sembra la FA Cup ma non lo è perché, a ben vedere, comprende - sì - tante squadre, ma solo professionistiche.

Trattasi, chiaramente, della League Cup, che - come accade dal 1982 - prende il nome del suo main sponsor, in questo caso la bibita energetica "Carabao". Il regolamento prevede che a partecipare siano tutti i 92 club iscritti alla Football League, organizzatrice della manifestazione: 20 squadre di Premier e le 24 di Championship, League One e League Two. 

Coppa "federale" e Coppa di Lega: le differenze 

Sempre rimanendo in Inghilterra, la League Cup è stata assegnata per la prima volta nel 1961. Ha senso di esistere perché la FA Cup è, di natura, una sorta di "Open" calcistico, che racchiude - in maniera onnicomprensiva - praticamente tutte le formazioni iscritte alla Football Association, la federazione organizzatrice. Il torneo più antico al mondo quindi, la FA Cup, è definibile come "coppa federale". Le varie leghe, poi, mettono a disposizione il proprio trofeo.

La Carabao Cup, addirittura, prevede un ulteriore frazionamento, come l'English Football League Trophy O "Checkatrade Trophy"), che racchiude le formazioni di League One e League Two (terza e quarta seria), oltreché alcune Under 23 dei club di Premier League. Una sorta, l'EFL Trophy, di Coppa Italia di Serie C, quindi.

Il "sistema misto" italiano

A proposito di Italia: alle nostre latitudini, dal 1957 ad oggi, si adotta un "sistema misto". La Coppa Italia è, sì, sotto giurisdizione della Figc ma, di fatto, viene organizzata dalla Lega Calcio e comprende tutte le formazioni di Serie A e B, più alcune di C e dilettanti. Una competizione di cui, a furor di popolo, si sono acclamate modifiche e rivisitazioni radicali.

Ragioni popolari, tuttavia, mai ascoltate per una competizione di cui si ha interesse promuovere solo l'ultima parte, per i soddisfacenti share tv forniti alla TV di Stato dai top club una volta portata la coppa, un po' troppo alla rinfusa, ai quarti di finale. Le formazioni di Serie B sono costrette a giocarsi le proprie chance di qualificazione in "gara secca" in stadi come San Siro o l'Olimpico. Insomma, della sorpresa o del "giant killing" alla inglese, tanto cari agli esperti di scommesse non importa a nessuno.

Dove la Coppa di Lega esiste (e dove ha fallito)

La Coppa di Lega persiste in una ventina di altri paesi. Più o meno tutti strutturati alla "britannica". Non è un caso, infatti, che gli "inventori" di questa competizione furono proprio gli scozzesi, insieme agli irlandesi. Dopodiché, la troviamo anche in Francia (Coupe de la Ligue), la cui Coup de France "federale" è praticamente identica alla FA Cup. E poi, tra gli altri esempi, in Portogallo (Taça da Liga), Giappone, Gibilterra, Sud Africa, Corea del Sud.

Poi ci sono paesi in cui l'esperimento è fallito: in Spagna, una "Copa de la Liga" è stata assegnata dal 1982 al 1986, ma poi prevalse l'unicità della Copa del Rey federale. Stesso dicasi per la "DFL-Ligapokal" tedesca, messa in palio nel 1972 e tra il 1997 e il 2009.

La "Guardiola's Cup"

Tornando a parlare della Coppa di Lega più famosa, quella inglese, mette in palio un posto in Europa League e ha il merito di concentrare le proprie partite nella prima parte della stagione, con finale a Wembley a cavallo tra febbraio e marzo. La società detentrice del trofeo è il Manchester City, aggiudicatosi (2-1) l'ultima finale disputata contro l'Aston Villa. La terza consecutiva, in casa Sky Blues, da quando c'è Pep Guardiola, trionfatore anche nelle precedenti sfide  a Chelsea (2019) ed Arsenal (2018).

Citizens vittoriosi in tempi recenti anche nel 2014 e nel 2016. E' però il Liverpool il club ad aver vinto il maggior numero di edizioni (8, l'ultima nel 2012 contro il Cardiff City) e, dal 1991 ad oggi, è stata "alzata al cielo" sempre da formazioni di Premier League. Lo era anche il Birmingham City nel 2011, quando, da sfavoriti per le scommesse calcio , trionfarono sotto il cielo sotto l'arco londinese battendo 2-1 l'Arsenal con un gol all'89' di Obafemi Martins, salvo poi retrocedere in Championship a fine stagione.

 

Una competizione che, proprio parlando di Arsenal, ha anche un suo lato romantico: è durante la finale del 1969 (persa incredibilmente 3-1) con lo Swindon Town di terza serie, che lo scrittore Nick Hornby (autore, tra le sue straordinarie opere, di "Febbre a 90") scoprì il suo amore tormentato per i Gunners.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Alastair Grant (AP Photo).

September 18, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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