Calcio, l’elastico delle neopromosse: salvarsi ormai è un’impresa

Dal 2015 si è decisamente alzato il numero delle squadre neopromosse che, dopo una sola stagione, ritornano in Serie B. Un elastico che sta diventando sempre più frequente. Da cosa è dovuto però questo dato, per quale motivo le squadre neopromosse fanno così tanta fatica?

Negli ultimi cinque anni sono retrocesse nove squadre provenienti dalla Serie B su 15, ovvero nel 60% dei casi le neopromosse non si sono salvate. Nei cinque anni precedenti invece sono retrocesse solamente il 33% delle squadre provenienti dalla Serie B. Inoltre, c’è da sottolineare come l’ultima stagione in Serie A con tre neopromosse su tre in grado di garantirsi la conferma è lontana dodici anni. Nel 2007/08 infatti dalla B salirono tre grandi squadre come Juventus, Napoli e Genoa, naturalmente salve la stagione successiva. 

Le ragioni

Perché per una neopromossa è così difficile mantenere la categoria in Serie A? Le motivazioni sono diverse, la prima è legata all’innegabile calo tecnico della Serie B. Il campionato cadetto ha perso competitività, mancano piazze importanti per la B e, di conseguenza, scarseggiano gli investimenti rilevanti. Alcune realtà sono cresciute, diventando delle certezze della B. Alla lunga però ne risente la competitività del campionato e questo è dimostrato anche dalle tantissime squadre che salgono in Serie A per la prima volta nella loro storia.

L’ultima squadra, in ordine di tempo, è lo Spezia che ha vinto con merito il playoff contro il Frosinone. Un’altra motivazione, indubbiamente da valutare, è l’enorme divario economico che in questo momento c’è tra la Serie A e la Serie B. Il campionato cadetto vive con pochissimi introiti, non clamorosi i fatturati derivanti dai diritti tv e praticamente irrilevanti le altre tipologie di incassi.

Il tutto porta a un inevitabile divario con la Serie A, lì dove invece stanno crescendo gli investimenti di anno in anno. La crisi di quest’anno dovuta alla sospensione non farà altro che accentuare le difficoltà economiche di diverse squadre in Serie B. 

Le eccezioni

Sono state solamente sei le neopromosse in grado di salvarsi alla prima stagione in Serie A dal 2015/16 ad oggi. Cinque anni fa è stato il Bologna a consolidarsi nel massimo campionato, una piazza importantissima con alle spalle una proprietà ambiziosa. Il Presidente italo-canadese Joey Saputo ha voluto riportare Bologna nella massima serie e nell’arco di qualche stagione ha dato una stabilità importante al progetto emiliano.

Altre società importanti tornate in questi anni in Serie A sono Cagliari e Parma, rientrate nel calcio che conta, rispettivamente nel 2016 e nel 2018. I sardi, con il nuovo Presidente Giulini, sono riusciti a blindare la massima categoria e la scorsa stagione hanno addirittura sognato l’Europa fino al termine del girone d’andata.

Anche il Parma, dopo il fallimento, è riuscito a tornare in Serie A e nelle due stagioni nella massima serie ha ottenuto due solide salvezze, arrivando lo scorso anno a due soli punti dal Sassuolo ottavo in classifica, valorizzando fior di calciatori! 

Discorso diverso invece per Spal, Crotone e Verona, le altre tre squadre che sono riuscite a salvarsi da neopromosse. Le loro imprese sono, inevitabilmente, legate ai loro allenatori. Spal e Verona hanno dato continuità al progetto che le aveva portate in Serie A confermando Semplici e Juric, capaci di guidare le loro squadre a due salvezze/imprese.

Il Crotone, vera Coverciano calcistica sul campo e non sui banchi, invece si è dovuto affidare a stagione in corso a Davide Nicola, protagonista di una grandiosa rimonta che ha permesso ai calabresi di mantenere la Serie A nel 2016/17.

Il Benevento si salva

Ci potranno essere delle eccezioni anche nei prossimi anni? Secondo i quotisti di 888sport.it per le scommesse Serie A  le tre favorite per la retrocessione 2021 sono proprio le tre neopromosse. Nella “lotta” per l’ultimo posto viene dato leggermente favorito lo Spezia sul Crotone (rispettivamente @2.60 i liguri e @2.70 i calabresi), mentre il Benevento è la terza squadra favorita con ampia distanza dall’Udinese.

I campani allenati da Pippo Inzaghi hanno dominato la scorsa edizione della Serie B e il Presidente Vigorito ha ambizioni importanti, per questo è proprio il Benevento la squadra che ha le maggiori chances di rimanere in Serie A ed evitare l’elastico che ormai ha colpito la maggior parte delle neopromosse. Il bravo DS Pasquale Foggia sta allestendo una rosa sicuramente competitiva e Inzaghi vorrà tenersi stretta la Serie A dopo l'infelice esperienza a Bologna.

Più che i nuovi calciatori, però, sarà fondamentale per gli Stregoni fare tesoro del bagaglio di esperienze negative della stagione 2017/2018, conclusa all'ultimo posto, ma con un girone di ritorno più che dignitoso. 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Massimo Pinca (AP Photo). Le quote indicate sono aggiornate al 17 settembre 2020.
 

September 17, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Calcio, niente Pallone d’Oro nel 2020: quale sarebbe stato il podio? 

Una decisione storica dovuta ad una stagione sportiva così complessa, France Football ha stabilito di non assegnare il Pallone d’Oro 2020. La scelta, probabilmente, è stata affrettata e influenzata dalla conclusione anticipata del campionato francese che, di fatto, è terminato a febbraio.

Una stagione strana che però aveva un netto favorito nella corsa al Pallone d’Oro. Quest’anno si rischiava il plebiscito in favore di Robert Lewandowski, autore di un'annata mostruosa con la maglia del Bayern. Il Triplete dei bavaresi poi non avrebbe fatto altro che aggiungere un ulteriore vantaggio per il polacco.

Un plebiscito

Capocannoniere di tutte le competizioni giocate, ovvero Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League, nella quale ha segnato in tutti gli incontri ad eccezione della finale di Lisbona. Un totale di 57 reti realizzate in sole 47 partite, alle quali Lewandowski ha aggiunto anche dieci assist. Un ruolino di marcia incredibile, i migliori numeri della sua carriera che il polacco avrebbe ulteriormente impreziosito con il Pallone d’Oro.

"A chi lo avrei dato? A me stesso. Con il Bayern abbiamo vinto tutto quello che potevamo vincere. In ogni competizione, Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League, sono stato il capocannoniere. Con i miei numeri, a chi altro sarebbe dovuto andare il Pallone d’Oro?" Difficile dare torto al bomber di Varsavia, a cui manca solamente la Scarpa d’Oro quest’anno vinta da Ciro Immobile grazie ai suoi 36 gol in Serie A con la maglia della Lazio.

Una vittoria di Lewandowski avrebbe riportato il Pallone d’Oro in Germania 24 anni dopo l’ultimo successo di un calciatore che gioca in Bundesliga. Nel 1996 infatti a vincere fu il fuoriclasse del Borussia Dortmund, Matthias Sammer, mentre sarebbe stato il quarto Pallone d’Oro della storia del Bayern, il primo non tedesco dopo Gerd Muller, Franz Beckenbauer e Karl-Heinz Rummenigge. 

Gli altri candidati

Inevitabile la citazione verso chi ha dominato questo premio dal 2009 ad oggi. Lionel Messi e Cristiano Ronaldo potevano entrambi essere dei candidati al podio, anche se le loro stagioni sono state altalenanti. Il portoghese ha vinto la Serie A segnando 31 reti, concludendo la stagione con 37 gol e 7 assist ma l’eliminazione in Champions agli ottavi contro il Lione pesa sulla sua annata. Da aggiungere anche il record di 101 reti realizzato a settembre con la maglia del Portogallo, diventando il secondo giocatore della storia a raggiungere i 100 gol in nazionale.

L’argentino, dal canto suo, ha vinto la classifica cannonieri in Liga con 25 reti servendo anche 21 assist, record nella storia del campionato spagnolo. La stagione del Barcellona però è stata negativa, per questo la sua candidatura sarebbe stata piuttosto debole. Chi in Spagna poteva sperare davvero nel podio è Sergio Ramos, decisivo per il suo Real Madrid con 11 gol realizzati in campionato, decisivi nella rimonta dei Blancos in classifica sul favorito per le scommesse calcio Barcellona.

Due candidature importanti sarebbero arrivate anche da Liverpool che, forse, paradossalmente, ha avuto il "demerito" di vincere troppo presto al Premier... Da una parte l’attaccante esterno dei Reds Sadio Mané, autore di 22 gol e dodici assist in stagione, dall’altra il perno della difesa di Klopp ovvero Virgil van Dijk

Gli outsider

In Italia poteva raccogliere consensi il sinistro di Ilicic: lo sloveno, prima dei problemi personali, era il protagonista della straordinaria cavalcata dell’Atalanta. I 4 gol a Valencia rimangono nel libro delle imprese calcistiche e magari con una Dea in semifinale di Champions la sua candidatura ai primi tre posti sarebbe stata tutt’altro che campata in aria.

In Inghilterra il gioiello belga Kevin De Bruyne sta riscrivendo record su record per numero di assist serviti ai compagni. Il centrocampista del City è da anni uno dei migliori giocatori del Mondo, ma non è mai riuscito a salire sul podio del Pallone d’Oro. In casa Real Madrid merita una citazione anche Karim Benzema, straordinario con la maglia del Blancos questa stagione ed autore di diversi gol di pregevole fattura.

La parata dell'anno!

A Monaco naturalmente non c’è solo Lewandowski, e merita un'attenta riflessione anche la rinascita di Manuel Neuer, tornato ad essere il miglior estremo difensore del Mondo in questa stagione e stradecisivo nella finale contro il Paris.

"Outsider", naturalmente solo per il ruolo, più volte snobbato dalla giuria riunita in Francia. Solo la straordinaria reattività del portiere di Gelsenkirchen ha tenuto il risultato ancorato sull'1-0 in quella che per tutti gli operatori di scommesse Champions League sembrava una partita da gol e da Over!

Straordinario anche il 2020 di Alphonso Davies, gioiello canadese che senza ombra di dubbio è stato la rivelazione di questa stagione in Europa. Arrivato al Bayern come esterno d’attacco, è stato in quest’annata particolare il miglior terzino sinistro del Mondo. 

Il nostro podio? Lewa, Sergio Ramos e Neuer, con i due mostri sacri sicuramente fuori dai primi tre!

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono entrambe di David Ramos.

September 16, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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I calciatori nigeriani più forti!

La Nigeria e il calcio. Un'associazione entusiasmante, acrobatica, pirotecnica, tuttavia misteriosa. Una nazione che detiene il record vittorie (5) nel Mondiale Under 17 e che, alle Olimpiadi di Atlanta 1996 aveva riscritto la storia del calcio conquistando l'oro (prima e unica volta per una formazione africana) a scapito dell'Argentina dei vari Javier Zanetti, Diego Pablo Simeone, Ariel Ortega, José Antonio Chamot, Néstor Sensini.

Nonché del Brasile di Bebeto, Dida, Aldair, Ronaldo, Rivaldo, Zé Maria... E tutto questo a suon di gol. Il neo acquisto del Napoli Victor Osimhen, bomber classe 1998 giunto dal Lille per 70 milioni di euro, promette fuoco e fiamme.

Osimhen con la maglia della Nazionale contro l'Egitto!

E, a proposito di Mondiale Under 17, l'ultimo vinto dalle Super Eagles lo vide assoluto protagonista, in qualità di capocannoniere nell'edizione cilena del 2015 con la bellezza di 10 reti.

Una storia di rivincita e cuore, pensando che da bambino Victor, orfano di madre, vendeva bottigliette d'acqua agli incroci semaforici di Lagos. E mentre gli amanti del fantacalcio preparano la strategia giusta per aggiudicarselo nelle imminenti aste, parte il nostro viaggio alla scoperta degli 11 migliori talenti nigeriani della storia del calcio. La maggior parte dei quali si è concentrato tra la metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila.

11° John Obi Mikel

Bandiera del Chelsea, che lo provina e lo ingaggia nel 2006, all'età di 19 anni. Con la maglia dei Blues giocherà fino al 2017.

In questo decennio abbondante, da centrocampista rapido, tecnico e aggressivo conquisterà due Premier League (2009-10, 2014-15), quattro FA Cup (2006-07, 2008-09, 2009-10, 2011-12), due League Cup (2006-07, 2014-15) un Community Shield (2009), la Champions League 2011-12, contro il Bayern nella notte di Monaco che resta una delle più grandi sorprese delle scommesse calcio nell'ultimo decennio e una Europa League (2012-13, contro il Benfica).

Considerato in patria il più popolare e ricco giocatore nigeriano, oggi gioca in Championship, nello Stoke City

10° Obafemi Martins

L'attaccante veloce come un treno e "acrobata" nelle sue esultanze. Indimenticabili le sue capriole all'indietro accompagnate dallo sguardo spiritato alla Totò Schillaci. La sua specialità è sempre stata l'azione in contropiede, la verticalizzazione, l'attacco della profondità, visto che era in grado di percorrere i 100 metri in 11".

Martins ai tempi dell'Inter!

Grazie a queste caratteristiche è, ad oggi, Oba è il calciatore nigeriano più prolifico nelle competizioni Uefa per club con 23 reti con le maglie di Inter, Newcastle United, Wolfsburg, Rubin Kazan e Levante; 10 delle quali realizzate in Champions League. "Oba Oba", classe 1984, gioca ancora in Cina, allo Shanghai Shenhua. Diciotto sono le segnature con la maglia della nazionale, su 42 presenze.

9°Emmanuel Amunike

Classe 1970, autore del gol decisivo nel 3-2 contro l'Argentina, quello che consegnò la medaglia più preziosa alle Super Eagles ad Atlanta 1996. Già distintosi, come altri suoi compagni, ai Mondiali statunitensi di due anni prima sino a sfiorare contro l'Italia di Roberto Baggio la qualificazione ai quarti di finale. Fu ancora lui a siglare la rete che illuse la nazionale africana col vantaggio "di rapina" al 26' sugli sviluppi di un calcio d'angolo.

Amunike contro l'Italia!

Formidabile in area di rigore, giocò anche nel Barcellona. Ma è con la nazionale che diede il meglio di sé.

8° Taribo West

Quarantuno presenze in nazionale, portato in Italia dall'Inter, ha giocato anche nel Milan. Si divertiva a colorarsi le treccine a seconda della squadra per cui era tesserato. Aggressivo, pittoresco, istintivo con qualche eccesso di troppo, che lo aveva portato - con un intervento a forbice - a martoriare la caviglia di Andrei Kanchelskis, allora alla Fiorentina.

A fine carriera si è autoproclamato pastore pentecostale, fondando in seguito la "Taribo West Charity Foundation" per aiutare i bambini nigeriani in difficoltà.

7° Celestine Babayaro

Terzino tutto campo, classe 1978, anch'egli fu tra gli uomini più rappresentativi - 160 presenze in Premier - della storia del Chelsea, che nel 1997 lo prelevò dall'Anderlecht, in cui diventò il più giovane calciatore a esordire in Champions League a 16 anni e 87 giorni, contro la Steaua Bucarest, sfida (in Romania, il 23 novembre 1994) in cui venne addirittura espulso. Anch'egli oro olimpico ad Atlanta, con la nazionale collezionò 27 gettoni.

6° Sunday Oliseh

Mediano moderno antesignano negli anni Novanta. A 19 anni, ai Mondiali statunitensi era già il perno delle Super Eagles. Di lui si accorse immediatamente la Reggiana, che lo catapultò dal Belgio alla Serie A nella stagione 1994-95 (29 presenze e 1 gol).

Colonia e Ajax sono le maglie della successive consacrazione, che spinse la Juventus a investire 21 miliardi per averlo in bianconero nella stagione 1999-2000. Non funzionò. In compenso, in seguito, divenne una colonna del Borussia Dortmund, in Bundesliga.

5° Tijjani Babangida

Attaccante esterno, vide il suo "hype" di carriera con la maglia dell'Ajax tra il 1997 e 2000. Classe 1973 era talmente veloce che, nel celebre videogioco per la playstation "ISS Pro", risultava uno dei calciatori più forti al mondo. 

4° Daniel Amokachi

Prima punta presente in tutte le competizioni internazionali della Nigeria più forte della storia, oltre alla medaglia aurea conquistata da fuori quota nel 1996, tra le soddisfazioni più grandi della sua carriera, la conquista della FA Cup 1995 con l'Everton alle spese del Manchester United (1-0, gol dell'ex Bari Paul Rideout) subentrato al 69' allo svedese ex Cremonese Anders Limpar.

3° Finidi George

Tra i simboli più rappresentativi del calcio nigeriano (62 presenze e 6 reti in nazionale). Ala prolifica e dalle progressioni brucianti, fu bandiera di Ajax con cui vinse una Coppa dei Campioni a Vienna da titolare contro il Milan da veri outsider per le scommesse e Betis Siviglia.

2° Nwankwo Kanu

Un problema al cuore gli impedì di sfondare con la maglia dell'Inter. Fu però proprio Massimo Moratti a pagargli le cure e a ristabilirlo.

Kanu con la maglia dell'Arsenal!

Oltreché con la nazionale, i gol più importanti li segnò con le maglie di Ajax (da giovanissimo, prima di vestire il nerazzurro), Arsenal e Portsmouth. Attaccante elegante e dalle lunghe leve, fu nominato calciatore africano dell'anno nel 1996 e 1999.

1° Jay-Jay Okocha

Dribbling e finte ubriacanti, svariava da centrocampo alla trequarti con una eleganza e visione di gioco rare. A nostro avviso, il calciatore con la tecnica più raffinata della storia della Nigeria. Classe 1973, conta 73 apparizioni e 14 reti con la nazionale e fu capitano del grande Bolton di inizio millennio (dopo che Alex Ferguson non gli concesse neanche una presenza al Manchester United).

Vestì altre maglie molto importanti come Eintracht Francoforte, Fenerbahçe, PSG e, a fine carriera, Hull City.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 15 settembre 2020.

October 19, 2021
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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L'analisi sui giocatori ceduti dall'Atalanta!

Mattia Caldara, 19 milioni più bonus. Alessandro Bastoni, 11,1 milioni. Andrea Conti, 24 milioni. Roberto Gagliardini, 20,4 milioni. Franck Kessie, 32 milioni. Andrea Petagna, 15 milioni. Bryan Cristante, 26 milioni. Gianluca Mancini, 15 milioni più bonus. Timothy Castagne, 24 milioni. Musa Barrow, 13 milioni. Senza contare i 35 milioni di Dejan Kulusevski e quelli che entreranno per altri calciatori ceduti con obbligo di riscatto.

Gian Piero Gasperini è davvero Re Mida. Da quando il tecnico piemontese si è seduto sulla panchina dell’Atalanta, la società bergamasca ha incassato oltre 200 milioni dalle cessioni dei suoi calciatori. E nonostante spesso e volentieri abbia lasciato andare pedine importanti, la Dea è andata in crescendo, fino ad arrivare ai quarti di finale di Champions League e a sognare lo Scudetto. Per ogni calciatore di livello che è andato via, ne è spuntato un altro nello stesso ruolo, con il valore tecnico della squadra che non è mai sceso.

Non si può invece dire lo stesso per molti dei calciatori menzionati nella lunga lista delle cessioni. Spesso e volentieri, chi lascia Bergamo fallisce. O almeno, non rende bene come faceva all’Atalanta. Fa certamente eccezione Bastoni, che all’Inter ha regalato prestazioni così convincenti da spingere Antonio Conte a lasciare fuori Skriniar e a non disperarsi per la voglia di cambiare squadra di Godin.

Kessie, uno dei primi ad andarsene, al Milan è stato molto discontinuo, alternando momenti di forma straordinari a mesi di profonda involuzione. Caldara è stato sfortunato visti gli infortuni che lo hanno condizionato, ma per tornare se stesso (e non è un caso) ha dovuto rimettere piede a Zingonia. A

Anche Conti ha pagato pegno alla cattiva sorte, ma non ha mai del tutto convinto a Milanello. E ancora Cristante, che nel centrocampo della Roma a volte sembra un pesce fuor d’acqua o Gagliardini, che per anni la curva dell’Inter ha fischiato come fosse il peggiore dei bidoni.

Rendimento diverso

E la domanda dunque si pone: perché chi lascia l’Atalanta non rende altrove? Gasperini ha per caso la pozione magica in grado di trasformare dei bidoni in campioni, che una volta salutata Zingonia tornano nella mediocrità? Certamente no. Anche se, in un certo senso, è proprio così. Semplicemente, il tecnico della Dea è il miglior valorizzatore della Serie A. Un allenatore capace di tirare fuori, attraverso la preparazione fisica, il sistema di gioco e il lavoro psicologico, il massimo dai propri calciatori.

Un vero e proprio mago, capace come pochi di far rendere al massimo una squadra. Perché è proprio di squadra che si parla, piuttosto che di rendimento individuale. Certo, i vari Gomez, Zapata o Gosens spiccano, ma il segreto di Gasp è il gioco corale. Quando si parla di lui con i calciatori, il coro è pressoché unanime: “sappiamo sempre cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo andare”.

Dunque, organizzazione, il segreto di ogni azienda o gruppo vincente. Il gioco di Gasperini, l’ossessivo uno contro uno in ogni posizione del campo, è dispendioso e a volte apre il fianco a rovesci del tutto inattesi. Ma è studiato alla perfezione per far risaltare le doti del singolo, a cui l’allenatore cuce addosso un ruolo tutto suo, che il giocatore interpreta con naturalezza.

Fuori da Bergamo

Quando però si lascia l’Atalanta, non è detto che tutti gli allenatori siano in grado (o abbiano voglia) di trovare la posizione giusta per il calciatore in questione. Da questo punto di vista è esemplare l’esperienza di Cristante. A Bergamo, da trequartista moderno, tutto primo pressing e inserimenti, l’ex Milan era devastante in attacco grazie alle sue incredibili doti aeree ed era fondamentale nel sistema difensivo andando a disturbare la partenza della manovra avversaria.

A Roma, da mezzala, spesso e volentieri soffre e perde la posizione, così come quando viene schierato da terzo centrale in una retroguardia a tre.

E poi il segreto più evidente ma difficile da emulare: il collettivo. L’Atalanta gioca di squadra, nel vero senso del termine. Automatismi, coperture, distanze, scambi di posizione, in un turbinio che a volte ricorda il Foggia di Zeman(come quando Toloi, un centrale difensivo, si è trovato in campo aperto contro il Paris Saint-Germain mentre la Dea era ancora in vantaggio).

E poi il mutuo soccorso, mai troppo sottolineato da Gasperini. Del resto, nel momento in cui la squadra accetta l’uno contro uno, ci sta che il singolo duello a volte si perda. Ma proprio nel momento in cui un calciatore è superato dal suo diretto avversario, di norma ne spuntano altri due che vanno sulla seconda palla e, spesso e volentieri, la riconquistano. Un qualcosa che per forza di cose, quando i calciatori di Gasperini si trovano in grandi squadre, avviene di rado.

Persino in una nazionale organizzata come la Germania, Gosens in Nations League ha faticato a trovare la quadra, visto che quando avanzava difficilmente si poteva chiedere ai suoi compagni della catena di sinistra (Sule o Rüdiger, Kroos e Werner) lo stesso lavoro che fanno Djimsiti, De Roon e Papu Gomez.

E non è un caso che con un allenatore come Conte, dai principi di gioco non così diversi di quelli di Gasp, Bastoni abbia mantenuto le promesse e che persino Gagliardini, che nelle ultime stagioni era diventato un esubero, è stato in grado (al netto di alcune prestazioni non proprio positive) di ritagliarsi il suo spazio nell’undici dell’Inter, anche nell'avventura tedesca di Europa League.

Lo stesso Barrow, complice la…cura Mihajlovic, sta facendo bene al Bologna, una squadra dove i compagni si aiutano su ogni pallone. Va peggio a chi si trova in altre squadre in cui il collettivo non è oliato come quello dell’Atalanta o in cui il gioco di squadra a volte viene accantonato per prediligere l’invenzione del singolo. Ma del resto, non si può pretendere di replicare alla lettera tutto quello che viene creato dalle parti di Zingonia. Di Atalanta, in fondo, ce n’è una.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

September 14, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Che storie: la fuga per la vittoria, le vacanze nel Bel Paese!

Il 14 settembre 1980, il campionato italiano riaprì le frontiere accogliendo ben 11 calciatori provenienti da Federazioni estere. Il loro rendimento fu direttamente proporzionale al valore economico speso, tanto che l’anno successivo quasi tutti i club di Serie A si presentarono con uno straniero in squadra; nel 1981-82, l’unico calciatore straniero a essere “tagliato” fu il brasiliano Eneas del Bologna, prima scambiato con Herbert Neumann dell’Udinese, poi ceduto dai friulani al Palmeiras poche settimane dopo.

Tra le cinque società che nella stagione precedente avevano resistito all’acquisto esotico, tre questa volta cedono alla tentazione, il Brescia - retrocesso - non può schierare giocatori provenienti da federazioni estere, l’unico club che resta senza straniero è il Cagliari allenato da Paolo Carosi.

Dopo Danuello, Fortunato e Neumann, raccontiamo altre tre storie straordinarie che ci fotografano strumenti completamente diversi rispetto all'attento processo di scouting attuale! 

François Zahoui

Ascoli, Catanzaro e Como presentano tre giocatori che non lasceranno mai il segno. Nel capoluogo piceno arriva l’ivoriano François Zahoui, pagato dieci milioni di euro. Il presidente Rozzi lo scova in un torneo giovanile di Marsiglia: gioca nella squadra africana Stella Club di Abidjan, è un attaccante rapido e promettente: ha appena vent’anni, lavora in una fabbrica di bottiglie di vetro. Il club marchigiano per giocare gli offre un contratto al minimo sindacale, e per lui è già un successo.

Ma una volta arrivato ad Ascoli, la simpatia e l’entusiasmo del giocatore non fanno breccia su Carletto Mazzone che lo manda in campo soltanto otto volte in tutto il campionato. Il suo esordio arriva il 28 ottobre 1981, a Firenze: il tecnico lo fa entrare nell’ultimo quarto d’ora per cercare di mantenere il prezioso pareggio.

“De Ponti era l'unico in avanti e nel finale, svolgeva compiti di copertura lasciando a Zahoui la parte del guastatore - scriverà l’indomani l’inviato de La Stampa Bruno Bernardi - Il negretto della Costa d'Avorio si faceva pescare sempre in fuorigioco, ma pare che fosse nei piani di Mazzone questo atteggiamento per perdere tempo. E' proprio vero che ormai i tecnici le studiano tutte”. Nel campionato successivo Zahoui colleziona altre tre presenze, prima di sposare una nuova avventura in Francia.

Viorel Nastase

Il Catanzaro la stessa estate scelse Viorel Nastase. La storia del primo giocatore rumeno approdato in Italia vale la pena di essere raccontata, somiglia a quelle di tanti altri sportivi dell’Europa dell’Est che - durante la guerra fredda - hanno conquistato la propria libertà al di là del Muro.

Viorel è un predestinato, a sedici anni gioca già nella prima divisione rumena con la maglia del Progresul. Il ragazzino si mette in luce, tanto che l’anno successivo si trasferisce allo Steaua Bucarest, squadra del dittatore Nicolae Ceaușescu: per ovvie ragioni, la formazione è destinata a vincere, almeno in Romania. E quando si presenta in Europa, quanto meno ci prova. Accadrà - in maniera trionfale e del tutto inaspettato per le scommesse calcio - nel 1986, in Coppa dei Campioni, contro il Barcellona.

Ma siamo ancora nella stagione 1971-1972, l’avversario è lo stesso, la competizione è diversa; Barcellona e Steaua Bucarest si affrontano in coppa delle Coppa; i catalani hanno scelto per la panchina il santone olandese Rinus Michels, al Nou Camp non è ancora tempo di Johann Cruijff, ma ci arriveremo.

Questa è la notte di Viorel Nastase, che con un gol decide la partita di andata contro i catalani. Vittoria di misura, la qualificazione è ancora in bilico, e quando nella sfida di ritorno il Barcellona trova il vantaggio con Juan Manuel Asensi, per la formazione del regime sembra finita. Ma a questo punto entra in scena ancora Nastase che realizza una doppietta nel giro di sette minuti, ribaltando il risultato.

La Romania gli va stretta, Nastase è un uomo libero imprigionato in una rete dorata: è l’idolo di Ceaușescu, che non intende lasciarlo andare per nessuna ragione al mondo. Ma l’attaccante trova il guizzo vincente nell’estate del 1979; nel primo turno di Coppa delle Coppe, il sorteggio ha indirizzato la squadra rumena a Berna, contro lo Young Boys: quando il dirigente dello Steaua - prima della partita - fa l’appello sul pullman della squadra, Nastase non risponde.

E’ fuggito via, ed è il suo dribbling più bello. Riapparirà un anno dopo, al Monaco 1860, al fianco di un giovanissimo Rudy Voeller.

Nastase arrivò in Italia a 28 anni, consumato da una voglia di libertà sfogata con tutti gli eccessi del caso, dopo la repressione degli anni giovanili della dittatura; a Catanzaro - nelle tre stagioni in cui vestì la maglia giallorossa - non fece mai la differenza mettendo insieme la miseria di tre gol, uno per stagione ed un ricordo indelebile del gol qualificazione al San Paolo in Coppa Italia.

Concluse la sua esperienza calabrese ciondolando, tra un bar e un night club: una notte - stanato dal suo allenatore Bruno Pace - pensò bene di invitarlo al suo tavolo e offrirgli da bere qualcosa di forte, come la sua voglia di libertà. “Mister, per me whisky con ghiaccio!”.

Dieter Mirnegg

Dieter Mirnegg è il difensore che il Como sceglie per affrontare il campionato. Più che giocare a calcio, è uno sciatore provetto. L’Udinese lo prende in prova per disputare il Torneo di Capodanno, disputato per consentire alla Nazionale italiana di partecipare al Mundialito organizzato per il Centenario della Federazione uruguaiana: Mirnegg fa una gran figura, segna una doppietta alla Juventus; il torneo lo vince clamorosamente l’Ascoli che in finale batte la Juve per due a uno.

Durante il calcio mercato estivo tuttavia è il Como a gettarsi senza remore sul difensore austriaco Mirnegg, ma i soldi versati al Duisburg non sono ben spesi: gioca soltanto undici partite, il Como scivola in Serie B.

In totale, i volti nuovi nella seconda stagione del calcio senza frontiere sono otto: la metà delle formazioni della Serie A ha in rosa un nuovo straniero; il Milan si presenta con lo squalo Joe Jordan: il soprannome deriva dalla dentatura, il centravanti ha perso i due incisivi superiori, e quando gioca, si toglie la protesi. Senza denti, l’attaccante non morde: i rossoneri retrocedono.

Il Milan miglior difesa del campionato per le scommesse Serie A si gioca @quota 10!

Il Cesena trova il contropiedista austriaco Walter Schachner, grazie ai suoi 9 gol porterà i romagnoli alla salvezza. L’Udinese - dopo aver ceduto Neumann al Bologna, acquista il difensore brasiliano Orlando Pereira: ha 31 anni, è il suo ultimo anno di carriera, viene in vacanza nel Bel Paese.

La scelta della neopromossa Genoa ricade sul belga René Vandereycken che ripaga la fiducia dei dirigenti. Questi i pionieri di inizio anni ’80: poi arriva Platini, e per oltre un decennio il campionato italiano sarà di gran lusso, sarà ostriche e champagne.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Carlo Fumagalli (AP Photo).

September 14, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Tennis, al via gli Internazionali di Roma: gli azzurri possono sognare

Tutti contro Rafa Nadal in quella che è casa sua. Dopo l’avventura in USA tra Cincinnati e US Open, scattano gli Internazionali di Roma che daranno il via alla stagione sul rosso. Il mondo del tennis si sposta dunque in Europa ed inizierà proprio a Roma. Mancheranno gli appassionati sugli spalti, ma ci saranno tantissimi campioni che proveranno a sfidare Rafael Nadal. Lo spagnolo è reduce da due vittorie consecutive a Roma, dove ha trionfato per ben nove volte e va alla caccia del decimo successo.

Il fenomeno ispanico favorito sia a Roma che al Roland Garros però non gioca dalla finale di Acapulco del 1 marzo e le sue condizioni fisiche sono un’incognita. Discorso molto simile che si può fare per Novak Djokovic, che di certo non è stato straordinario negli Stati Uniti. Il serbo dopo la clamorosa squalifica agli US Open si vuole riscattare e cerca un successo a Roma che manca dal 2015 quando sconfisse in finale Roger Federer. Djokovic sarà la testa di serie numero uno nel torneo di Roma, dove ci sono comunque alcune incognite.

Il torneo distribuisce oltre 5 milioni di euro tra edizione maschile e femminile ed assegnerà 1.000 punti ATP al vincitore.

Grossi punti interrogativi legati soprattutto ai possibili favoriti alle spalle dei due che partiranno in prima fila. Le assenze di Medvedev e dei finalisti di New York Thiem e Zverev, aprono il tabellone per diversi giocatori che vogliono stupire. Attenzione a Stefanos Tsitsipas, quotato @13 per le scommesse tennis: il greco vuole riscattarsi dopo la disastroso sconfitta con Borna Coric agli US Open.

A Roma si vedranno Monfils e Wawrinka, entrambi rimasti in Europa dopo aver rinunciato alla campagna americana giocata nella bolla di New York. Sulla terra rossa possono stupire giocatori solidi come Goffin e Diego Schwartzman, mentre arrivano a Roma con ottime sensazioni dopo New York Rublev e Alex De Minaur che ricordiamo battere da sfavorito Shapovalov per le scommesse Coppa Davis.  

Gli italiani

Non arrivano in grandissima condizione gli azzurri al torneo di Roma. Le ambizioni tricolori sono però importanti, a cominciare dal padrone di casa Matteo Berrettini. Il tennista romano non è riuscito a ripetere lo straordinario US Open dello scorso anno, ma ha comunque raggiunto gli ottavi di finale prima di essere sconfitto da Rublev. Berrettini aveva iniziato alla grande nel primo set, poi è calato alla distanza dimostrando una condizione fisica non straordinaria.

Giocare a Roma in match da due su tre, non tre su cinque come a New York può dare una grossa mano a Berrettini. L’azzurro si presenterà come testa di serie per la prima volta a Roma, l’anno scorso dopo l’impresa con Zverev non gestì al meglio le aspettative e perse contro Schwartzman.

Le speranze azzurre passano da Berrettini ma anche da Fabio Fognini, che al contrario del romano ha deciso di non andare a New York. Il ligure è rimasto in Europa, ma la sua prima uscita è stata molto preoccupante: un nettissimo 6-1 6-2 incassato dal qualificato Huesler al secondo turno dell’Austrian Open, dove Fognini era la testa di serie numero uno.

Per Berrettini sorteggio abbastanza insidioso, il romano come Fognini inizierà dal secondo turno e può trovare sulla sua strada Struff, reduce da un buonissimo US Open e da tabellone il possibile quarto di finale sarà con Goffin, che ricordiamo ai quarti di finale per le scommesse Wimbledon nell'ultima edizione londinese. Fognini invece si trova nel lato di tabellone di Tsitsipas, suo possibile avversario ai quarti, mentre al secondo turno il ligure affronterà il vincente di Anderson-Humbert.

Chi può stupire è Jannik Sinner, 19 anni e tanta voglia di dare spettacolo a Roma. Il giovanissimo gioiello del tennis italiano giocherà il primo turno contro Benoit Paire. Sorteggio negativo per l’altoatesino, che dovrà vedersela con un avversario di tutto rispetto al primo turno e qualora dovesse batterlo affronterà al secondo turno Stefanos Tsitsipas, sfidato la scorsa stagione sempre al Foro Italico.

Cammino molto duro anche per Salvatore Caruso, che al primo turno se la vedrà con un qualificato ma qualora dovesse vincere incontrerà subito Novak Djokovic.

Partite tutt’altro che agevoli per gli altri due italiani già presenti nel tabellone al primo turno: Travaglia se la giocherà con l’americano Taylor Fritz, mentre Mager dovrà affrontare la testa di serie numeri dodici Grigor Dimitrov

Per il torneo WTA, favorita la Halep.

*L'immagine di apertura è di Andrew Medichini (AP Photo). Le quote indicate nell'articolo sono aggiornate al 14 settembre 2020.

September 14, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Dragan Stojkovic, la stella tra le stelle!

Piccolo, furbo e vince sempre lui. Non c’è da meravigliarsi se, sin da quando è bambino, Dragan Stojković è noto a tutti in famiglia come Piksi. Che volendo è una traslitterazione di “pixie”, folletto, ma deriva invece dal titolo di un celebre cartone animato, “Pixie and Dixie and Mr. Jinks”, in cui una coppia di topolini riesce costantemente ad avere la meglio su un gatto pasticcione.

 

E anche in campo, spesso e volentieri, andava così. Il piccoletto (1,74m, per i chilogrammi parlano ampiamente le maglie sempre troppo grandi) non avrà avuto un fisico statuario, ma se il pallone gli finiva tra i piedi non c’era modo di toglierglielo. A meno che lui stesso non decidesse di calciarlo in porta o di regalare un assist ai compagni.

La carriera di Dragan, classe 1965, comincia a Niš, in Serbia. Da quelle parti sono abituati a dare i natali a personaggi importanti come gli imperatori Costantino il Grande o Giustino I. E con la maglia del Radnički Niš, ad appena sedici anni, Piksi comincia a far capire che il trono potrebbe prenderselo anche lui. Puntuale come un orologio svizzero, dopo quattro anni arriva la chiamata dalla capitale.

La Stella tra le Stelle

La Stella Rossa Belgrado raduna i migliori calciatori di tutta la Jugoslavia e Stojković non fa eccezione. Di quella squadra piena di campioni, lui è quello che emerge di più a dispetto del fisico. Le sue giocate permettono alla Zvezda di vincere due campionati e a Darko Pančev di laurearsi capocannoniere.

L’estate che però cambia la carriera di Piksi è quella del 1990. In Italia, a poche centinaia di chilometri dalla sua Jugoslavia, c’è il canto del cigno della nazionale balcanica. Pochi mesi dopo da quelle parti cominceranno purtroppo a cantare i cannoni, ma la “Jugo” che si presenta nello Stivale è uno spettacolo. Accanto a Stojković e Pančev ci sono Katanec, Bokšić, Prosinečki, Jarni, Savićević e Šuker, manca solo Zvone Boban che è stato squalificato per un anno dopo gli incidenti tra Stella Rossa e Dinamo Zagabria.

La stella assoluta però è Dragan, che con il suo numero 10 trascina i compagni di forza ai quarti di finale. Le sue due reti contro la Spagna agli ottavi (con una punizione da antologia) illudono una nazione intera, prima dell’eliminazione ai quarti, ai calci di rigore, contro l’Argentina. Tra i tre che sbagliano, c’è anche Stojković. E la sua storia con i tiri dal dischetto non finisce qui.

Subito dopo il mondiale, arriva una chiamata importante. È Franz Beckenbauer, fresco di titolo iridato con la Germania Ovest. Il Kaiser è stato convinto a suon di soldi da Bernard Tapie a diventare allenatore dell’Olympique Marsiglia e ha chiesto il suo acquisto. A venticinque anni, Stojković diventa il numero 10 di un’altra squadra piena di campioni: Papin, Cantona, Waddle, Deschamps, Tigana e Abedì Pelè.

E la stagione 1990/91 sembra decisamente quella della consacrazione. L’OM vince il titolo di Francia e si fa strada fino alla finalissima della Coppa dei Campioni, al San Nicola di Bari. Ma Piksi gioca poco, perché un infortunio al ginocchio lo tiene per parecchio lontano dal campo.

Quando torna, in panchina trova Goethals e soprattutto di fronte, nell’ultimo atto continentale, la “sua” Stella Rossa. La finale è considerata tra le più brutte di sempre e si decide dal dischetto. Stojković, però, si rifiuta. Non può tradire i suoi vecchi compagni. “Se lo sbaglio sono jugoslavo e a Marsiglia mi ammazzano. Se lo segno, non posso più tornare nel mio paese”. Il ragionamento non fa una piega. E alla fine, vincono gli jugoslavi.

Per le scommesse calcio, in Francia il 13 settembre si gioca un apertissimo Paris - Marsiglia!

L'arrivo a Verona

Ce n’è abbastanza per una rottura e per un addio inatteso. Ma mai quanto la nuova destinazione di Stojković. Una neopromossa, per quanto dal curriculum importante. Nel 1985, l’Hellas Verona aveva conquistato un clamoroso scudetto. Sei anni dopo tornava in A dopo un anno di purgatorio tra i cadetti. I tre stranieri scelti dal presidente Mazzi sono il rumeno Răducioiu, lo svedese Prytz, già protagonista della promozione, e Piksi, pagato dieci miliardi di lire.

Le aspettative, però, non corrispondono alla realtà. Il ginocchio che lo ha già tormentato negli anni precedenti continua a dargli noie e nella sua unica stagione in Serie A Stojković raccoglie solamente 19 presenze e una rete, in un pareggio esterno ad Ascoli.

Nel mezzo, due rigori sbagliati, con tanto di infortunio sulla ribattuta di uno dei due. Non mancano i problemi disciplinari: nella prima amichevole stagionale arriva un’espulsione con tanto di mega-squalifica da scontare in campionato. Insomma, un’annata da dimenticare. E quando gli Scaligeri tornano in Serie B, anche Piksi decide di tornare indietro.

Per gli appassionati di scommesse Serie A, il Verona giocherà in casa entrambe le partite dei primi due turni di campionato.

Al Marsiglia, però, non è più una delle stelle. E dire che nella stagione 1992/93 arriva per i francesi la gioia della vittoria in Champions League contro il Milan. Stojković quella partita non la gioca per infortunio, così come molte altre nell’annata seguente. Poi l’OM retrocede d’ufficio per il caso Valenciennes e a neanche trent’anni un campionissimo come lui resta senza squadra. E la scelta, anche stavolta, è inattesa. Il Giappone, all’epoca l’ultima frontiera del calcio mondiale.

Il gol dalla panchina

La carriera di Piksi termina nel 2001, dopo sette anni nel campionato del Sol Levante con la maglia del Nagoya Grampus e con in bacheca due Coppe dell’Imperatore. Nel mezzo, un ottimo mondiale 1998, con al braccio la fascia di capitano della Jugoslavia (allora Serbia e Montenegro) e “rubando” di nuovo il numero 10 al rivale Savicevic. In nazionale per Stojković 43 presenze e 6 reti, non proprio il bottino che ci si aspetta da uno dei calciatori più importanti della storia dei Balcani. 

Un po’ il riassunto stesso della sua carriera, un susseguirsi di alti e bassi. E quello che poteva essere un Piksi senza infortuni lo si intravede per un attimo, in un video che diventa virale ai tempi dell’esperienza da allenatore del Nagoya Grampus, coronata con la vittoria del campionato nel 2010. Gioco fermo, calciatore a terra, il portiere getta il pallone fuori alla rinfusa.

Ma dalla panchina qualcuno coglie l’occasione: Stojković, che con un tiro al volo da cinquanta metri spedisce la sfera in rete ed esulta tra gli applausi del pubblico. Del resto, essere campioni è come andare in bici. Impossibile dimenticarsi come si fa…

*L'immagine di apertura è di Armando Franca (AP Photo).

September 12, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Alberto Aquilani e due carriere da predestinato!


Sfidiamo chiunque a stilare una lista di calciatori che nella loro carriera possono vantare di aver giocato in Italia nel Milan, nella Roma, nella Juventus e a Firenze. Ma anche Liverpool e Sporting Lisbona all’estero, senza contare i diversi infortuni che hanno limitato la brillantezza in alcuni momenti della carriera. 

Tant’è che la sua storia, vissuta attraverso i soprannomi che gli sono stati affibbiati, parte dall’iconico “Principino”, dovuto alla somiglianza con Giuseppe Giannini detto il Principe, e “Swarovski”, a causa della sua fragilità muscolare. 

Parliamo comunque di carriera di assoluto rispetto da calciatore e una da allenatore inaugurata con la vittoria della Coppa Italia Primavera con la Fiorentina. Insomma, il meglio deve ancora venire (?).

Tecnica e carattere del “Principino”

Alberto Aquilani è uno che alle pressioni dell’ambiente ha potuto rispondere quasi sempre sul campo con la qualità. Ha mostrato fin da subito le sue doti imponendosi in una Roma instabile, quella dei 4 allenatori in una sola annata (Prandelli, Völler, Delneri e Bruno Conti), sempre con il numero 8 sulle spalle (per 5 stagioni). Una squadra con dei nomi pesanti come Totti e Montella, e con giovani che volevano imporsi, come ad esempio De Rossi. 

Ma come anticipato, per Aquilani le aspettative alte hanno costellato la sua esperienza. Prendiamo Liverpool ad esempio. L’ex Roma si approcciava ai Reds dopo uno dei suoi più grandi infortuni. Quasi un crocevia per la carriera. Eppure, dopo i debutti con la maglia del Liverpool prima in coppa e poi in campionato da subentrato, colleziona la sua prima presenza da titolare il 9 novembre contro il Birmingham, strappando la standing ovation al suo pubblico al momento dell’uscita dal campo.

Mica male quando capita in un palcoscenico di nome Anfield. Alla lunga però, in carriera, ha pesato più il fisico di cristallo che il talento cristallino. 

Il futuro da allenatore

Dal 2019 è diventato allenatore. Ha cominciato con l’under 18 della Fiorentina, fino ad affacciarsi in prima squadra come collaboratore tecnico di Iachini. Ora è il mister della Primavera. 

Tra le tante scommesse Serie A pubblicate da 888sport, la Fiorentina è favorita @1.60 nello speciale testa a testa con il Sassuolo!

Grande occasione in panchina per Aquilani con importanti responsabilità legate ai risultati e, soprattutto, alla crescita dei ragazzi. Il primo impatto è stato un po’ come quella volta ad Anfield: memorabile, subito la Coppa Italia.

La speranza, ma anche la convinzione, è quella che la carriera da allenatore restituirà ad Aquilani le soddisfazioni e i trofei che da calciatore non sono arrivati.
Uno da seguire con la lente di ingrandimento, parola di chi di numeri 8 se ne intende. 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

September 11, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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I centravanti della Nazionale italiana

Nominare Ciro Immobile ha significato a lungo parlare…di gol. L’attaccante della Lazio ha portato a casa una meritatissima Scarpa d’Oro, la terza vinta da un italiano dopo i trionfi consecutivi di Luca Toni e Francesco Totti tra 2006 e 2007.

I numeri di Ciro Immobile

Gli altri Nove Azzurri

Gli altri attaccanti segnano di più

Il ritorno di Benzema con la Francia

Gnonto e Retegui

I numeri di Ciro Immobile

Per lui solo una stagione (quella 2018/19) sotto quota venti gol, mentre in quella precedente ne erano arrivati addirittura 41. Insomma, non sembra esserci davvero modo di fermare Immobile in campionato... a meno di non mettergli addosso la maglia azzurra.

Quella che colpisce il centravanti biancoceleste in nazionale sembra una vera e propria maledizione. Per lui con l’Italia 41 presenze e appena 10 reti.

Immobile in gol contro il Cagliari!

Mancini, ad esempio, spesso lo ha alternato con Belotti, un altro il cui score con la nazionale non è esattamente positivo (28 presenze, 9 gol).

Indubbio che, nonostante le difficoltà incontrate con la rappresentativa azzurra, Immobile meriti fiducia, perché il gol ce l’ha nel sangue. E forse, visti gli ultimi anni, il problema non è poi così relativo al laziale (o a Belotti), quanto endemico alla nazionale italiana che ha vinto, come a Wembley, anche in serata di luna storta dei nostri centravanti!

Raspadori!

Gli altri Nove Azzurri

Andando a spulciare le rose delle ultime grandi competizioni, risulta evidente che l’Italia non ha un “9” di livello mondiale ormai da parecchio. A Euro 2016, Conte si è affidato a un attacco atipico composto da Pellè ed Eder, non proprio due “spacca porte”.

Il centravanti titolare di Prandelli, sia ad Euro 2012 che al Mondiale 2014, era Balotelli, l'ultimo attaccante a realizzare una doppietta pesante in Nazionale, ma il talento di SuperMario è sempre stato troppo intermittente per poterlo considerare un attaccante tra i più forti del mondo.

E lo confermano anche i numeri, che parlano di 14 gol in 36 presenze in azzurro, cifre… da Immobile. Va ancora peggio in Sudafrica nel 2010, quando Lippi porta in attacco un paio dei reduci della vittoria nel 2006 (Iaquinta e Gilardino), affiancati da Pazzini.

Insomma, l’ultimo vero bomber in azzurro sembra essere Luca Toni, che gioca Euro 2008 (senza mai segnare) ed è protagonista in Germania nel 2006 ma va a segno solo due volte, sempre nei quarti di finale contro l'Ucraina. E anche le sue statistiche non sono di quelle memorabili: 47 partite, 16 gol.

Un po’ meglio forse Pippo Inzaghi, anche lui iridato nel 2006, che ha chiuso la sua carriera in nazionale con 57 presenze e 25 marcature, che lo rendono il sesto miglior marcatore di sempre nella storia azzurra. E forse il problema… è tutto qui, considerando che il capocannoniere della nazionale, Gigi Riva, è a quota 35 e per le idee tattiche dell’epoca non era neanche un vero numero 9.

Così come non lo erano naturalmente Baggio e Del Piero, a quota 27 entrambi. E se si cercano centravanti veri si deve tornare agli anni tra le due guerre per trovare Meazza (33) e Piola (30). Anche bomber conclamati come Vieri (23) e il Pallone d’Oro 1982 Paolo Rossi (20) sono parecchio indietro in classifica.

Gli altri attaccanti segnano di più

Fatti un paio di calcoli, è evidente che con l’Italia… non si segna, soprattutto facendo un rapido paragone con le altre nazionali di un certo livello. Cristiano Ronaldo magari non fa testo (112 gol con il Portogallo), così come i 77 gol di Pelè con il Brasile.

CR7 esulta con la maglia della sua nazionale!

Ma già i 71 di Klose con la Germania dovrebbero rendere l’idea, così come i 70 di Messi con l’Argentina. La Spagna è a 59 con David Villa, come l’Uruguay con Luis Suarez, l’Inghilterra supera comunque quota 50 con Rooney (53) e lo fa anche la Francia con i 51 di Henry.

Delle big restano solo l’Olanda, con le 50 marcature di Van Persie, che comunque sono 15 in più del miglior marcatore azzurro e Lukaku, nel pieno della sua carriera, è già a 52 gol con il Belgio... Paradossalmente, va ancora peggio se si valutano nazionali “minori”.

Ibrahimovic alla data di prima pubblicazione di questo articolo ha segnato 62 gol con la Svezia ed è insidiato da Lewandowski, a quota 61 con la Polonia e prossimo avversario per la Nations ad ottobre in una gara che si annuncia equilibrata per le quote di 888sports. Subito dietro il meraviglioso attaccante del Bayern, spunta Dzeko, che ha all’attivo 59 marcature con la Bosnia. 

Dove sta la differenza? Di certo nel fatto che, almeno nel caso delle selezioni più “piccole” spesso e volentieri la squadra gioca solo ed esclusivamente in funzione del suo bomber, che è l’unico terminale offensivo e di conseguenza, se non fosse altro per una semplice questione numerica, segna più degli altri.

C’è anche una questione di qualità media della squadra. Se la stella non è (o non è solamente) il centravanti, probabile che siano anche gli altri a prendersi l’onore e l’onere di segnare e i numeri di Baggio e Del Piero, da questo punto di vista, validano la tesi.

Il ritorno di Benzema con la Francia

Straordinaria l'incidenza realizzativa di Benzema alla sua seconda "vita" calcistica con la Francia!

Benzema a segno a San Siro

Il capitano del Real non solo è implacabile sotto porta, ma non ha problemi a fare qualche corsa all'indietro per coprire Mbappè...

Immobile, per rimanere all’attualità, non appartiene alla stessa categoria del centravanti della nazionale francese. In Nazionale, non è come nella Lazio il fulcro della manovra e sfogo preferito degli assist di Luis Alberto; ad esempio nel match con l’Olanda lo si è visto, spesso, svariare sulla sinistra, tanto da offrire, per la rete decisiva in un Under difficile da prevedere per i pronostici e consigli sulle scommesse, un cioccolatino a Barella, che si inserisce e segna, ma centravanti proprio non è.

Se l’Italia di Mancini, come fanno la Polonia o la Bosnia, giocasse “per” Immobile, di certo l’attaccante laziale ne beneficerebbe assai. E pur non raggiungendo le cifre mostrate in campionato, con tutta probabilità Ciro avrebbe una media gol ben superiore a quella attuale, che parla di una marcatura ogni quattro partite circa.

Ma l’Italia non è pronta (e a ben vedere non lo è stata mai) a sacrificare la bontà tecnica e tattica di una squadra intera per far sì che il suo 9, che sia il bianconceleste, Belotti o chi per loro, possa aumentare le sue statistiche. Il modo di intendere il calcio degli azzurri è da sempre diverso. E pazienza se i centravanti alla fine a livello internazionale sembrano soffrire.

Gnonto e Retegui

Un qualcosa che ha notato anche lo stesso Roberto Mancini, che non per nulla si è messo al lavoro per individuare quello che potrebbe essere il nove del futuro della nazionale italiana. 

E visto che alcuni di quelli che sono nel giro della nazionale non giocano con continuità, il CT con le sue convocazioni ha preferito dare fiducia a chi invece sta vedendo il campo con frequenza.

È il caso di Willy Gnonto, che tra Zurigo e Leeds United ha già oltre 2000 minuti giocati in stagione.

Il problema per il Mancio è stato che Gnonto, che con l’Italia ha giocato da centravanti contro l’Ungheria e ha già battuto il record del gol più giovane in Nazionale, a Leeds gioca da attaccante esterno.

Willy Gnonto

Ecco perchè il tecnico ha guardato anche…oltreoceano, con la convocazione di Mateo Retegui.

Il centravanti del Genoa, ha il passaporto italiano grazie alle origini siciliane e visto che in Superliga Argentina stava segnando a ripetizione, Mancini lo ha chiamato, ricevendo un sì convinto dall’attaccante; 2 reti in 2 partite per l'oriundo ...2.0!

Non bisogna poi dimenticare nel novero dei giovani attaccanti il classe 2006 Simone Pafundi, di cui il CT parla sempre benissimo. Ma considerando che il talento di Monfalcone gioca poco anche nell’Udinese, è difficile pronosticare che la 9 vada a lui a breve…

Retegui ha subito segnato 2 gol anche con Luciano Spalletti.

Intanto, la Scarpa d’Oro a Immobile non la toglierà comunque a nessuno, così come la considerazione degli addetti ai lavori. E poi, guardando alla bacheca, con quattro Mondiali e due Europei, quello di Wembley davvero meraviglioso, si potrebbe pensare che il metodo, in fondo, funzioni eccome...

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 10 settembre 2020.

March 22, 2024
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Il nuovo TOTO8: più bonus per tutti!

Torna il grande calcio europeo e, naturalmente, non poteva mancare il TOTO8! Le prime due partecipazioni al TOTO8 2020/2021 sono completamente gratis per gli utenti registrati e potrebbero coincidere con il primo palinsesto stagionale, con partite della Premier e della Liga e con quello del prossimo weekend che avrà in cartellone l’esordio della nuova stagione di Serie A!

Il jackpot!

Dalla sterza partecipazione al gioco, basterà aver giocato 25 euro dopo la mezzanotte tra domenica e lunedì e, ovviamente, entro l'inizio del primo incontro in schedina, per ricevere il bonus di 1 euro che consente di indovinare gli 8 pronostici del TOTO8 e vincere il jackpot di 888 euro!

Il TOTO8!

Come si gioca?

Giocare al TOTO8, come sempre, è semplicissimo: accedi al tuo conto 888sport, registrati adesso se non hai ancora un conto. Leggi gli incontri in palinsesto e pronostica l’esito delle 8 partite selezionate (1X2):  se fai 8 su 8, vinci 888€!

Attenzione, se non fai 8 su 8, ricevi 1€ di Bonus per ogni pronostico corretto!

Le novità

A differenza dell'edizione precedente, chi fa 8 su 8, vince 888 euro a prescindere dal numero di utenti registrati che indovineranno tutte le gare dell'intero palinsesto. Ogni 7 giorni, aggiorneremo sulle nostre pagine il numero dei vincitori della settimana e, perché no, confronteremo la competenza della comunità di 888sport italiana rispetto a quella degli altri mercati europei!

La prima schedina

Avranno più facilità nel ponderare le squadre che usciranno vincitrici dalla prima giornata di Liga e Premier gli appassionati di calcio internazionali: il big match tra gli 8 in palinsesto è sicuramente Tottenham - Everton, un capitolo in più di uno dei duelli che hanno caratterizzato maggiormente le competizioni europee degli ultimi 15 anni, Mou vs Ancelotti!

September 9, 2020
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