Dal sogno NBA al ritorno in Italia: la carriera di Gigi Datome

Gigi Datome ormai è un’istituzione per il basket italiano, tornato nella Serie A per disputare la sua diciottesima stagione della carriera. Classe 1987 nato a Montebelluna ma cresciuto a Olbia, l’ala azzurra fa il suo esordio in Serie A a sedici anni con la maglia della Montepaschi Siena.

Con i Campioni d’Italia però Datome non riesce a giocare da titolare, per questo dopo tre anni e mezzo va in prestito per diciotto mesi a Scafati, dove si mette in luce chiudendo la sua avventura in Campania con oltre nove punti di media a vent’anni.

Virtus Roma

NBA

Fenerbahce

Italia

Roma

La Virtus Roma punta su Datome nel 2008 e nelle prime due stagioni nella Capitale, il talento sardo vive di alti e bassi. Buona la prima stagione, chiusa in Serie A con il 50% da tre punti e oltre otto punti di media in soli 17 minuti. Datome inizia anche a fare esperienza in Eurolega, ma la seconda stagione a Roma è negativa, condizionata anche da alcuni infortuni.

Nel 2010 a Roma con Matteo Boniciolli in panchina arriva la prima stagione da titolare per Datome, che risponde con quasi 11 punti di media in 25 minuti. Nelle due annate successive Gigi diventa il leader tecnico della Virtus Roma, 14 punti a partita nel 2011/12 e addirittura 17 di media l’anno successivo, quando guida la Virtus alla finale Scudetto contro Siena. Saluta Roma con la sconfitta in Gara-5 contro la Montepaschi, lasciando un ricordo indelebile nella Capitale. 

Il salto in NBA

Dopo la grande annata alla Virtus, i Detroit Pistons decidono di dare una chance a Datome in NBA. Per lui un contratto biennale da 3.5 milioni di dollari, decisamente più alto del minimo salariale e questo fa pensare che i Pistons credano in Datome come valida soluzione dalla panchina. In realtà Gigi a Detroit giocherà pochissimo, ancor meno delle previsioni degli analisti delle scommesse NBA, e la sua prima stagione si chiude con 34 presenze e sette minuti di media a partita, realizzando poco più di due punti a gara.

La stagione successiva dopo sole tre presenze a Detroit i Pistons decidono di scambiarlo e Datome gioca a Boston, dove cresce leggermente lo spazio a disposizione. Quasi 11 minuti di media coi Celtics in 18 presenze e oltre cinque punti a partita, con il 49% dal campo e il 47% da tre punti. Questi numeri gli valgono qualche chiamata in NBA, ma al termine del biennale firmato nel 2013 Datome decide di tornare in Europa e arriva la chiamata del Fenerbahce. 

Datome con la canotta di Boston!

Sul tetto d'Europa

Datome arriva ad Istanbul come uno dei giocatori più pagati in Europa. Gigi infatti firma un contratto da 1.7 milioni di dollari a stagione e la sua avventura in Turchia gli varrà oltre otto milioni di dollari in cinque anni. Nel sistema di Zelimir Obradovic l’azzurro deve aprire il campo, giocando da numero 3 e da numero 4, spesso dietro l’arco. Il minutaggio è costante: sia in campionato che in Eurolega, Datome gioca circa 27 minuti a partita e il suo impatto è decisivo.

Più di 11 punti di media in Regular Season, che diventano poi 12 nei Playoff del campionato turco con oltre il 60% da dietro l’arco. Oltre dodici punti di media anche nell’Eurolega; nella finale del 15 maggio 2016 a Berlino, il Fenerbahce cede solamente al supplementare contro il CSKA Mosca, favorito per le scommesse basket, di Nando de Colo, 16 punti, 5 rimbalzi e tre assist per Datome.

In cinque stagioni ad Istanbul Gigi vince tre volte il campionato, tre coppe di Turchia, due Supercoppe e una Eurolega, raggiungendo quattro volte in altrettante stagioni le Final Four. Nell’ultima annata con il Fenerbahce, Datome ha giocato solo sei partite in campionato, mentre sono 28 le sue presenze in Eurolega prima dello stop.

Chiude la sua avventura a Istanbul dopo cinque stagioni per tornare in Italia. A convincerlo è Ettore Messina, che vuole incentrare il nuovo progetto dell’Armani Milano intorno all’esperienza e alla personalità di Datome.

Per Gigi l’Olimpia si è spinta ad offrire un triennale da 1,5 milioni di euro a stagione, che rende Datome uno dei giocatori più pagato della Serie A.

Gigione nazionale

Il rapporto di Datome con la Nazionale è quasi viscerale: a differenza di tanti suoi compagni, Gigi non ha mai rinunciato a un’estate azzurra nella sua carriera. Sempre a disposizione dell’Italia, Datome ha fatto il suo esordio nella Nazionale maggiore nel 2007 a soli 19 anni realizzando cinque punti nell’amichevole pre Europeo contro la Croazia a Bari. Farà parte della spedizione azzurra per Eurobasket in Spagna, giocando solamente sei minuti contro la Lituania, senza segnare alcun punto.

Il momento più alto in maglia azzurra è l’Eurobasket del 2013, giocato da capitano: nel primo incontro del torneo continentale si presenta con il suo esordio con il carrer-high in gara ufficiale segnando 25 punti alla prima partita contro la Russia. Quell’avventura si chiude con l’amara sconfitta contro la Lituania nei quarti di finale. Con la Nazionale ha giocato 175 partite segnando 1579 punti. 
 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Thanassis Stavrakis e Charles Krupa.

September 1, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Tutti i cambi in panchina della Serie A!

Quanti sono stati i cambi di panchina nel corso della Serie A 2019-2020 con tutte le sue anomalie? In realtà di anomalo, in questa particolare sfaccettatura, non evidenziamo proprio nulla: 13, in linea con le stagioni precedenti, anche se in leggerissima crescita.

Ovvero, uno in più dell'annata 2018-2019, che ne aveva registrati una dozzina e 3 in più della 2017-2018, che ne aveva contati 10.

Senza citare la Juve che allontana Sarri a campionato terminato, dopo il venerdì nerissimo della sfida di Coppa con il Lione, ecco tutte le dieci società che hanno cambiato tecnico, il Genoa ed il Brescia più di una volta:

 

Sampdoria

Il primo a pagare pegno è stato Eusebio Di Francesco alla Sampdoria: la sua nomina in estate da parte di patron Massimo Ferrero aveva fatto presagire fuoco e fiamme con tanto di bonus per la valorizzazione dei talenti e invece, l'esperienza in blucerchiato dell'ex allenatore di Sassuolo e Roma, si è rivelata un autentico flop con una vittoria e sei sconfitte nelle prime sette giornate di campionato e la squadra ancorata a fondo classifica a 3 punti.

Difesa poco protetta, troppe idee da infondere a un gruppo dalla qualità in costante ribasso rispetto alle stagioni precedenti e corto circuito inevitabile. Ferrero si è quindi affidato alle sapienti ed esperti mani di Claudio Ranieri, che ha riportato il club ligure a lidi sicuri in graduatoria generale con una salvezza finale piuttosto tranquilla.

Milan

Proprio la pausa delle nazionali, a ottobre, appena dopo la settima di campionato, ha portato al licenziamento in tronco anche di Marco Giampaolo al Milan. Il suo esonero è stato simile a quello di Gigi Simoni all'Inter nella stagione 1998-99, per un motivo principale: è avvenuto non dopo una sconfitta, né un pareggio, bensì una vittoria, 1-2 in rimonta contro il Genoa, esattamente come quando i nerazzurri ribaltarono l'iniziale gol di David Di Michele, che a San Siro aveva portato avanti la Salernitana, prima dei gol di Diego Pablo Simeone e Javier Zanetti.

Ad ogni buon conto, anche Giampaolo non è riuscito a imporre il proprio credo ad un gruppo certamente più qualitativo di quello della Samp per Di Francesco. Il bilancio rossonero del tecnico di Giulianova (ora al Torino) parla di 3 vittorie e 4 sconfitte, una media di 1,29 punti a partita.

Troppo poco per il Milan, che si affida così a  mister Stefano Pioli - che inizialmente sembrava dovesse interpretare la figura del traghettatore - e, soprattutto, a gennaio, alla stella Zlatan Ibrahimovic. Ingredienti che hanno letteralmente svoltato la stagione dei rossoneri, poi qualificatisi per i preliminari di Europa League al sesto posto.

Genoa

Capitolo Genoa, da trattare in un unico capoverso. Che, di fatto, "assorbe" due avvicendamenti in panchina. Il primo vede l'esonero dell'ex Empoli, Aurelio Andreazzoli: con lui, appena 5 punti per i rossoblù e decisiva la sconfitta per 5-1 subita a Parma. Al suo posto, ecco Thiago Motta, che però non mangerà neanche il panettone, esonerato alla 17esima giornata dopo un bilancio personale di una vittoria, 3 pareggi e 5 sconfitte.

Un gol della Lazio al Genoa!

Le note liete, nel suo "futuristico 2-7-2", la valorizzazione dei giovani Agudelo, Cleonise e Rovella. Per ottenere la - soffertissima - salvezza, Enrico Preziosi ha dovuto "citofonare" a un altro cuore genoano, il ben più concreto Davide Nicola, autore qualche tempo prima - lo ricordiamo - del miracolo Crotone.

Udinese

Tre vittorie, un pareggio e sei sconfitte. Questo il bilancio di Igor Tudor con l'Udinese nelle prime 10 partite di campionato. Il tecnico croato è quindi tornato in patria alla guida dell'Hajduk Spalato prima di essere chiamato da Pirlo, in agosto, nello staff della "sua" Juventus. Arriva Luca Gotti, un allievo di Ezio Glerean: eleganza, educazione, idee chiare e mai urlate. Salvezza garantita.

Brescia

Le esperienze più disastrose sulle panchine di Serie A sono state senz'altro quelle di Eugenio Corini e, soprattutto, quella di Fabio Grosso sulla panchina del Brescia (che "colleziona" ben 3 alternanze in panchina), resa rovente dal presidente Massimo Cellino. Il primo, Corini, è stato prima esonerato dopo 7 punti, ottenuti in 11 partite disputate.

Grosso - nell'arco dei 27 giorni al "Rigamonti" - si siede per tre volte sulla panchina delle Rondinelle ottenendo 0 punti e 10 reti subite contro Torino, Roma e Atalanta. Torna Corini, ma ormai la frittata è fatta e nemmeno Diego Lopez (fido di Cellino), assoldato a inizio febbraio, riesce a rianimare la squadra, che resta mestamente al 19° posto.

Napoli

Carlo Ancelotti, al Napoli, viene "esonerato" addirittura dopo una vittoria per 4-0 in Champions League contro il Genk. In realtà, il tempo di Carletto sulla panchina dei partenopei era finito da un pezzo: brutto rapporto con Lorenzo Insigne, squadra ammutinata contro la dirigenza, scarsissimi risultati in campionato (appena 21 punti in 15 giornate) e stimoli che non erano più quelli di partenza, forse perché la testa era già tornata a guardare la Premier League.

Ancelotti ed il Napoli, un rapporto tormentato!

Al suo posto arriva l'allievo Gennaro Gattuso, che riporta serenità ed entusiasmo agli azzurri. Com'è andata lo sappiamo tutti, con quella Coppa Italia alzata al cielo dell'Olimpico in faccia alla Juventus.

Fiorentina

Su 17 partite, ben 8 sconfitte. Anche per un presidente "garantista" (per quanto esuberante) come Rocco Commisso. Vincenzo Montella viene destituito dalla panchina viola con un bottino davvero magro e dopo la sconfitta interna per 4-1 rimediata contro la Roma. Al suo posto, a inizio 2020, arriva Beppe Iachini, che "normalizzerà" la situazione rendendosi protagonista di un finale di stagione rimarchevole. Il che gli frutta la riconferma.

Torino

Arriva quindi, il 4 febbraio 2020, il "turno" di Walter Mazzarri, esonerato da Cairo a gran voce dalla piazza granata, che gli rimprovera - oltreché un insipido dodicesimo posto e pessime figure tipo la sconfitta casalinga per 0-7 contro l'Atalanta, dubbie dichiarazioni pubbliche non propriamente da "cuore Toro".

Come lo è, invece, Moreno Longo, il cui approdo, come si suol dire, è "come l'acqua imperiale: non fa né bene, né male". Salvezza misera misera e tanti rimpianti, specie ripensando a quando a inizio stagione (ancora sotto la stagione Mazzarri) il Torino era impegnato nei preliminari di Europa League, in un confronto davvero complicato, anche per i pronostici delle scommesse calcio, contro i Wolves inglesi.
 

SPAL

Gli ultimi due cambi in panchina riguardano SPAL e Cagliari. Sono stati ben 1890 i giorni in carica di mister Leonardo Semplici, subentrato l'8 dicembre 2014 sulla panchina dei ferraresi, guidati dalla Lega Pro alla Serie A. Alla 23esima giornata, la compagine del "Mazza", dopo aver raggiunto due stupende salvezze, si trova al 20esimo posto ormai condannata alla retrocessione in Serie B. E mister Luigi Di Biagio, non riuscirà in particolari imprese di sorta, anzi...

Cagliari

A, marzo, quindi, appena prima della lunga interruzione, Walter Zenga prende il posto di Rolando Maran che, dopo un inizio a ritmi europei, aveva completamente perso il bandolo della matassa al Cagliari. Una parentesi non particolarmente entusiasmante, che vede però l'ex portiere dell'Inter sconfiggere 2-0 una Juventus ormai già scudettata nella penultima giornata di campionato.

Strana legge del calcio: subito dopo la fine del torneo, patron Giulini assolda... Di Francesco, il primissimo tecnico "esonerato" della Serie A 2019-2020. Per le quote delle scommesse Serie A, grande equilibrio sui nomi del primo cambio di panchina nella nuova stagione!

*Le immagini dell'articolo, tutte distribuite da AP Photo, sono, in ordine di pubblicazione, di Fabrizio Giovannozzi, Andrew Medichini e Kerstin Joensson.

August 29, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Tiri e ritiri: le località storiche che adottano le squadre di calcio

C’era una volta Villar Perosa, c’era una volta Brunico, c’era una volta Pinzolo. C’era una volta… il ritiro delle squadre di calcio che durante i mesi estivi si arrampicavano sulle catene montuose di Alpi e Appennini per preparare la loro stagione agonistica. Un appuntamento rinnovato ogni anno, una piacevole abitudine, una colonizzazione temporale che ogni estate si rinnovava con soddisfazione reciproca.

I club più importanti - inevitabilmente - con il loro grande seguito di tifosi colonizzavano intere vallate creando un’empatia inscindibile, un rapporto strettamente connesso che finiva con coinvolgere anche gli sportivi del luogo.

Alcuni posti sono diventati - nel corso degli anni - dei veri e propri santuari laici; basta entrare nel bar principale per vedere appese alle pareti i vecchi gagliardetti di raso, le foto della squadra, i poster, i palloni di cuoio con gli autografi dei calciatori.

Villar Perosa

Villar Perosa da sempre è un feudo juventino: qui è nata la famiglia Agnelli, qui sono nati i trionfi juventini. In Val Chisone la Juventus ha passato gli ultimi sessantuno anni; ci sono passati tutti, da Charles a Sivori, da Bettega a Boninsegna, da Zoff a Platini, da Del Piero a Zidane fino a Cristiano Ronaldo che dovrà portare il decimo scudetto consecutivo a Torino in quello che si annuncia un duello testa a testa con l'Inter per gli analisti delle scommesse

E’ la casa della Juventus, dove ogni anno - alla vigilia di Ferragosto - veniva programmata la prima uscita stagionale: Juventus A-Juventus B. Immancabile l’arrivo in elicottero dell’Avvocato Agnelli, come la convocazione di Giampiero Boniperti per discutere i rinnovi contrattuali; nell’estate del 1976, il presidente piazzò sulla propria scrivania la foto del Torino campione d’Italia: stipendio decurtato per tutti!

Riscone di Brunico

Il quartier generale della Roma - a partire dalla presidenza di Dino Viola - divenne Riscone di Brunico, località in provincia di Bolzano, in Val Pusteria. Il sodalizio giallorosso sposò Riscone di Brunico alla fine degli anni ’70, quando sulla panchina giallorossa tornò lo svedese Nils Liedholm. La Roma trascorse ai piedi del Plan de Corones l’intero decennio prima di cambiar sede del ritiro, e ritrovare - alcuni anni dopo - sempre Riscone passando da Falcao a Totti, da Di Bartolomei a De Rossi, da Pruzzo a Osvaldo.

Milanello

Il Milan è rimasto parzialmente fuori dal circuito dei ritiri precampionato: la costruzione di Milanello nel 1963 - voluta dal presidente Rizzoli - ha portato la formazione rossonera a preparare ogni stagione nel proprio centro sportivo, e soltanto in rare occasioni il club ha scelto ritiri alternativi, come quello di Vipiteno - in provincia di Bolzano - utilizzato a cavallo tra gli anni 70 e 80, e nella prima stagione targata Silvio Berlusconi.

Un’altra delle sedi storiche per i ritiri delle squadre di Serie A è Moena - in Val di Fassa - dove nel corso degli anni sono passate Fiorentina, Sampdoria e la neo promossa Spezia, vincitrice dei play-off di B da favorita per le scommesse calcio.

Castel del Piano

Nell’estate del 1984, un acceso tifoso napoletano attese più di nove ore fuori dal ritiro di Castel del Piano per stabilire un record: essere il primo a baciare il piede sinistro di Diego Armando Maradona, appena acquistato dal Barcellona. La località ha accolto anche i ritiri della Lazio che sull’Appennino modenese - a Pievepelago - costruì il primo storico scudetto di Maestrelli. Il Ciocco - in provincia di Lucca - è stata per anni la sede del ritiro dei calciatori disoccupati.

Un tempo, la scelta della località per ritiro estivo della squadra era legata alla volontà dell’allenatore, che conosceva bene gli impianti, i percorsi all’interno dei boschi, e le tentazioni da tener lontane nel periodo di clausura. Il boemo Zdenek Zeman, per anni, scelse con il Foggia il ritiro di Campo Tures.

Zeman si presenta!

Ancora, Eugenio Bersellini era fanatico di Nevegal, località del bellunese dove portò l’Inter campione d’Italia, la Sampdoria di Vialli e Mancini, la Fiorentina di Baggio e Antognoni e perfino... la Nazionale libica!

Norcia

Ovviamente le squadre del Nord nel corso degli anni hanno scelto prevalentemente località a ridosso della catena alpina, mentre quelle del Centro e del Sud Italia talvolta hanno preferito restare in zona, senza intraprendere viaggi estenuanti durante il periodo di lavori forzati: Norcia è stata per molti anni una sede indifferibile per alcune squadre, sia per lo splendore del posto, che per l’efficienza degli impianti sportivi.

Sempre rimanendo in Umbria, il ritiro di Gubbio è stato per anni un grande classico per le formazioni calcistiche, così come quello di Nocera Umbra.

All'estero

A internazionalizzare i ritiri estivi dei club della serie A, ci fu la Lazio di Sergio Cragnotti, presidente e manager di grandi vedute; prima ci fu la scelta di Seefeld, in Austria, poi Františkovy Lázně, in Repubblica Ceca, successivamente Kiriro in Giappone - e per non scontentare il tecnico Sven Goran Eriksson, anche una puntata in Svezia, a Varberg per proseguire - l’anno successivo - a Schruns, in Austria.

Oggi questo rito pagano è cambiato: le tournée all’estero con amichevoli di lusso vengono preferite alle canoniche tre settimane in altura, in mezzo ai boschi, per la disperazione dei tifosi che - abituati a rincorrere i campioni per i vicoli dei paesini montani durante i ritiri - non possono far altro che seguire la loro squadra sul divano, davanti alla tv. C’era una volta Villar Perosa: Michael Platini, caviale e champagne! Oggi, al massimo, telecomando e birra ghiacciata...

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Antonio Calanni e Felice Calabrò.

August 29, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Rooney: contraddizioni al servizio della numero 8

Forse la sfortuna più grande di Wayne Rooney è stata una delle sue più grandi fortune, ovvero la possibilità di aver vinto e giocato con dei colleghi cannibali come Cristiano Ronaldo, Tevez, Ruud van Nistelrooy.
 

Gente che monopolizza la scena e ti fa quasi sembrare più scarso e meno rilevante nei trofei messi in bacheca dal club di appartenenza. 

Eppure quando dibattiamo di Rooney stiamo parlando del secondo miglior marcatore della storia della Premier League e soprattutto il miglior marcatore della Nazionale inglese e dello United.
 

Il terzo miglior assistman del campionato inglese. Sì, stiamo parlando di Wayne Rooney aka il sottovalutato. 

È il numero 8 che sceglie lui, non il contrario, a differenza dei protagonisti di altre nostre number 8 stories precedenti. 

Sì perché se il numero 8 è in parte presente ma non protagonista nel momento in cui l'inglese muove i primi passi col suo Everton(vestirà la numero 18), allo United inizialmente indosserà il numero 8 perché il 10 è di Ruud van Nistelrooy che è praticamente un intoccabile (quando all'Old Trafford segna l'olandese l'atmosfera diventa celestiale, per i tifosi allo stadio è come recitare un amen corale durante una messa). 

Nasce a Croxteth nella periferia di Liverpool ma l'unico sentimento che destinerà alla squadra Reds della città sarà l'odio, consuetudine per chi nasce nella periferia della città è quindi ama l'Everton.
Debutta contro il Tottenham quando deve ancora compiere 17 anni e anche questo è un record e ricordo che troppo spesso risulta troppo sbiadito da chi racconta il calcio. 

WR e l’Everton

Per provare a spiegare il mondo interiore e contraddittorio dell'attaccante inglese, possiamo provare così: segna in una partita con l'Everton mostrando la maglia "Once a Blue, always a Blue".

In un gol proprio all'Everton con la maglia dello United a Goodison Park bacia lo stemma dei Red Devils ed è un eufemismo dire che i tifosi dei Toffees non l'abbiano presa bene. Poi però, a sorpresa per le scommesse sportive, torna verso il finale di carriera all'Everton. Anche questo è Rooney. 

Affascinante, ruvido ed estetico allo stesso tempo, introverso ed eccentrico. Indecifrabile. 

Uno dei giocatori più forti della storia del calcio inglese, nonché tra i più sottovalutati. Un personaggio e un numero 8 (anche se per poco) da studiare. Da approfondire. 

Parola di chi di numeri 8 se ne intende...

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer

August 28, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Tour de France, torna il grande ciclismo: duello Roglic-Bernal?

Ventitré giorni, ventuno tappe e 3470 chilometri per riportare il grande ciclismo al centro del mondo sportivo. Da sabato 29 agosto partirà l’edizione 2020 del Tour de France, e le sorprese non mancano di certo! A cominciare dagli “assenti” del Team INEOS, che ha deciso di non convocare Geraint Thomas e Chris Froome, che saranno rispettivamente capitani al Giro e alla Vuelta in questa stagione.

A guidare il Team INEOS sarà l’ultima maglia gialla Egan Bernal, capace di vincere il Tour nel 2019 a soli 22 anni.

Come già analizzato su questo blog, l'organizzazione del Tour ha superato un valore complessivo di 160 milioni di euro, con una percentuale del 50% del fatturato complessivo derivante dalla cessione dei diritti tv, per l'Italia RAI ed Eurosport!

I bookmakers di 888sport, tra l'altro, hanno pubblicato le quote per

Testa a Testa

A sfidare il colombiano sarà Primoz Roglic, che viene dato addirittura come favorito dai quotisti di 888sport.it (1.72 la quota dello sloveno nel testa a testa con il colombiano, che invece è quotato 2.00). Il classe 1989 ha dominato l’ultima edizione della Vuelta ed ora punta alla maglia gialla. Nell’ultimo mese Roglic è stato incredibile, a tratti dominante, ma la sua caduta al Delfinato pone dei dubbi sulle sue condizioni fisiche, specialmente per i primi giorni del Tour.

Egan Bernal in maglia gialla sugli Champs-Elysees!

Attenzione agli outsider, a cominciare da Tadej Pogacar. Lo sloveno, connazionale di Roglic, ha condiviso con il campione della Vuelta il podio in Spagna. Il terzo posto nella corsa spagnola ha rivelato al Mondo il talento di Pogacar, che ora al Tour vuole stupire. Il testa a testa con lo spagnolo Miguel Angel Lopez lo vede nettamente favorito (@1.45) e sembra una quota “sicura” visto che lo sloveno può puntare ad entrare tra i primi cinque, mentre l’obiettivo massimo per lo spagnolo è la top ten.

Per gli appassionati di scommesse da tenere d'occhio l’esperienza di Tom Dumoulin e Thibaut Pinot, anche se in condizioni  fisiche non eccezionali, vista la scarsa preparazione con la quale affrontano il Tour. Tra gli outsider impossibile non inserire Richard Carapaz, vincitore del Giro d’Italia lo scorso anno e pronto a vincere anche al Tour.

Le quote di 888sport!

Classifica giovani

Tra i migliori giovani il favorito per la vittoria della maglia bianca è Egan Bernal, ma anche qui c’è un duello molto interessante con Tadej Pogacar. Nel testa a testa è nettamente favorito il colombiano (@1.38), ma le sue prestazioni altalenanti possono far pendere la bilancia verso lo sloveno e la quota @2.80 è molto interessante.

Classifica a punti

Il dominio totale per le scommesse ciclismo di Peter Sagan nella classifica a punti negli ultimi anni difficilmente verrà ribaltato quest’anno. Il testa a testa con Van Aert è nettamente sbilanciato in favore dello slovacco (@1.20), per chi vuole puntare sugli italiani è interessante il duello tra Elia Viviani e il francese Coquard, entrambi a quota 1.85 ma l’azzurro può partire favorito. 

Le quote per la nazionalità del vincitore!

La prima tappa e le curiosità

La prima tappa durerà 156 chilometri e si svilupperà a Nizza, con due Gran Premi della Montagna di terza categoria e un arrivo per velocisti. Molto interessante il testa a testa tra Sagan e Nizzolo, con l’italiano favorito a 1.75 ma attenzione allo slovacco che vuole partire con la maglia gialla e un suo arrivo davanti a Nizzolo paga 1.95. Il Tour da sempre è stato caratterizzato dal tricolore italiano.

Il primo vincitore del Tour infatti è l’italo-francese Maurice Garin. Nato e cresciuto in Italia, a 14 anni il corridore si è trasferito in Francia e a 30 anni ha ottenuto la cittadinanza francese, due anni prima del primo trionfo al Tour nel 1903. Sono stati sette gli italiani capaci di vincere il Tour de France, il primo fu Ottavio Bottecchia nel 1924, capace poi di replicare nel 1925. Dopo di lui hanno vinto Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi, Pantani e l’ultimo è stato Vincenzo Nibali nel 2014.

Quattro corridori hanno vinto cinque volte il Tour de France, e a questi non potrà aggiungersi Chris Froome, fermo a quota 4 e non convocato dalla INEOS. I quattro pentacampioni sono Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault e Miguel Indurain. Il cannibale belga Eddy Merckx detiene i record di vittorie di tappa con ben 34 successi e di maglie gialle, ben 111 nella sua carriera.

Con la vittoria dello scorso anno il colombiano Egan Bernal è diventato il terzo “non europeo” ad aggiudicarsi il trofeo. Prima di lui c’erano riusciti solamente l’americano LeMond in tre occasioni e l’australiano Cadel Evans nel 2011. 

*Le immagini dell'articolo sono di Thibault Camus (AP Photo); le grafiche di Ivan Garcia. Le quote sono aggiornate al 28 agosto 2020.

August 28, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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La salvezza delle retrocesse: il paracadute

L'esplodere dell'economia del pallone, negli ultimi anni, ha portato a introiti considerevoli, che - specie nell'accezione dei diritti tv (la voce più consistente) - hanno compensato la crisi economica di carattere globale. Solo che, proprio per questo motivo, la Serie A e - in generale - le massime divisioni europee, si sono ritrovate a vivere in una sorta di bolla dorata, dalla quale uscirne, causa, spesso, non pochi problemi.

Nel tempo, le retrocessioni si sono fatte sempre più dolorose, si sono registrati anche casi di doppie cadute in terza divisione, fallimenti per investimenti avventati ed ancora da pagare in cui ci si è lanciati quando si era al top e contratti pluriennali certo non più sostenibili in cadetteria. Come fare, quindi, per mettere una pezza a queste rischiose eventualità? Inventarsi una sorta di "paracadute" finanziario, in grado da ammortizzare i costi del cambio - in negativo - di categoria.

I primi a concepirlo sono stati - guarda caso - gli inglesi, che prima hanno dovuto constatare una differenza - tra Premier League e Championship - che una decina di anni fa era colossale, oggi molto meno, con il secondo livello del calcio d'Oltremanica, stabilmente al decimo posto della classifica dei tornei più ricchi di tutto il mondo.

Inghilterra

Proprio in Inghilterra, da quando è in voga il paracadute, ovvero dalla stagione 2012-2013, circa il 45% delle squadre retrocesse sono ritornate in Premier League al primo colpo, proprio quello che si augura il Watford, retrocesso all'ultima giornata! L'ultima delle società a fare l'elastico tra le due divisioni è stata il Fulham, una delle squadre che aveva sperperato di più nella Premier 2018-2019: i Cottagers però hanno fatto rientro immediato dopo lo spareggio che l'ha visti vincitori a Wembley, da favoriti per le scommesse calcio, nel derby londinese contro il Brentford.

Ribadiamo però il concetto: l'obiettivo ultimo di questo meccanismo contributivo, non è quello di facilitare la risalita dei club retrocessi, quanto permettere loro di assorbire senza particolari ripercussioni lo choc economico (non solo sportivo) della retrocessione.

Prendendo come esempio significativo proprio quello del Fulham, il club della zona ovest londinese, dopo la discesa dell'anno scorso, ha acquisiti il diritto a percepire circa 85 milioni di sterline da incassare nelle tre stagioni post-retrocessione, attraverso rate a scendere in percentuali legate agli introiti complessivi del campionato dai diritti tv.

I bianconeri, ora, si apprestano a fatturare tanti altri pounds, dopo il successo nello spareggio contro le Bees: 110 milioni a cui vanno aggiunti le variabili della posizione di graduatoria in regular season (di Championship). Cifre che lasciano a bocca spalancata ma che fanno parte della normalità per la realtà calcistica della Premier, i cui diritti di trasmissione sono i più "comprati" in tutto il mondo.

Spagna

Anche in Spagna il paracadute economico è legato ai diritti tv. Nella "Liga" viene creato un fondo che corrisponde al 3,5% degli introiti complessivi sulla trasmissione delle partite. Che viene redistribuito tra le tre squadre retrocesse in base alla presenza più o meno costante nel massimo campionato iberico.

Wu Lei dell'Espanyol contro il CSKA!

I dati del 2018 parlano di una media di 13,7 milioni per ogni club, cifra rimasta piuttosto simile anche l'anno passato. Una curiosità: fino alla stagione 2014-2015, in caso di immediata risalita, il contributo andava restituito.

Italia

E in Italia? In Serie A i contributi da elargire alle formazioni retrocesse non vengono calcolati seguendo percentuali, bensì a importi fissi. I club scesi in Serie B sono arrivati a percepire una media di circa 20 milioni di euro. Nello specifico, per capire quanto percepisce esattamente ogni squadra retrocessa, esiste una suddivisione a "fasce".

Nella "fascia A" vengono inserite le neopromosse tornate in Serie B dopo appena una stagione  e a cui vengono riconosciuti 10 milioni di euro; in "fascia B" ci sono invece le retrocesse dopo aver militato in A per 2 stagioni anche non consecutive nelle ultime 3, compresa ovviamente quella in cui si è concretizzata lo scivolone nella serie cadetta: qui il contributo è pari 15 milioni di euro.

La "fascia C", infine, corrisponde alle retrocesse che lasciano la A dopo aver disputato in essa 3 stagioni anche non consecutive nelle ultime 4: per loro, pronti 25 milioni. E' l'ammontare che percepirà la SPAL.

Floccari della SPAL!

Dieci milioni a testa, invece, per Lecce e Brescia, da subito tra le candidate alla retrocessioni per gli analisti delle scommesse. In tutto, quindi, la Serie A pagherà un paracadute da 45 milioni sui 60 di tetto massimo previsto per la stagione 2019-2020. I 15 milioni di differenza andranno a rimpolpare, quindi, il paracadute della prossima annata, 2020-2021.

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono, in ordine di pubblicazione, di Richard Heathcote, Joan Monfort e Marco Vasini.

August 27, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Sandro Cois ed una stagione da ricordare

Duecentoventiquattro presenze e nove reti in Serie A, giocando un po’ in tutti i ruoli possibili e immaginabili. Del resto la duttilità non è mai mancata a Sandro Cois, uno che in carriera è nato trequartista ma che volendo si adattava benissimo anche a giocare in difesa. Una carriera importante, con una finale di Coppa UEFA persa ai tempi del Torino di Mondonico, ma anche troppo breve.

Ad appena 31 anni il ragazzo di Fossano, provincia di Cuneo, è costretto a lasciare il calcio. Un’ernia cervicale gli impedisce di essere se stesso, di saltare e di correre come ha sempre fatto. E a quel punto, meglio appendere gli scarpini al chiodo.

E dire che nel 1998 Cois realizza quello che è un po’ il sogno di tutti i ragazzi che cominciano a giocare in Italia: indossare la maglia della nazionale. Tutto merito di una stagione pazzesca e molto fortunata, come lo stesso ex centrocampista non si è fatto mai problemi ad ammettere. Un anno intero senza infortuni e con una squadra ben rodata, sotto l’egida di un tecnico forse mai apprezzato per quanto valeva: Alberto Malesani.

La Fiorentina 1997/98

La Viola della stagione 1997/98, nei ricordi di chi ama il calcio, finisce sempre un passo indietro a quella del Trap, che nella stagione successiva rischia di vincere lo scudetto. E anche a quella di Ranieri, che vince Coppa Italia e Supercoppa nel 1996. Però quel 3-0 a sorpresa per le scommesse alla Juve, lo ricordano tutti, quando si esultava per una domenica sensazionale al Franchi!

Eppure la Viola di Malesani è il trampolino per la gloria per Cois, che si era già fatto un nome con il Torino e che nelle prime stagioni a Firenze aveva, da subito, mostrato una duttilità e una costanza di rendimento non usuali.

Accanto a lui, campioni dai nomi altisonanti. C’è Batistuta, che segna 24 gol tra campionato e Coppa Italia. Toldo, sempre presente e che subisce appena un gol a partita in Serie A. Oliveira, che fa coppia con Bati prima che nella sessione invernale arrivi addirittura Edmundo. E ancora Schwarz, Kanchelskis, Robbiati, Morfeo, tutti calciatori che a modo loro hanno scritto la storia del calcio negli anni Novanta.

E tutto, strano ma vero, ruota attorno a Cois. Che nel 3-4-3 di Malesani si ritrova praticamente a giocare in ogni ruolo. Il jolly, lo avrebbero chiamato i vecchi almanacchi.

Cois in maglia viola!

Un calciatore particolarmente utile, definizioni a parte. Ecco perché le partite disputate sono 31, quasi sempre a centrocampo ma non disdegnando sporadiche apparizioni sugli esterni e addirittura in difesa. Dove c’è da mettersi a disposizione, c’è Sandro Cois.

Francia '98

E non lo nota solo Malesani, ma anche Cesarone Maldini. Il CT azzurro apprezza particolarmente giocatori del genere e a inizio 1998 regala al centrocampista della Fiorentina la prima presenza in nazionale, in un’amichevole contro la Slovacchia a gennaio. In estate, poi, c’è la Coppa del Mondo in Francia. In circostanze normale, un obiettivo irraggiungibile. Ma nella stagione giusta, di impossibile non c’è nulla.

Di conseguenza, quando Maldini dirama le convocazioni, Sandro Cois c’è. Il sogno però lascia un retrogusto dolceamaro, sia personale che di squadra. L’Italia arriva ai quarti di finale contro la Francia padrona di casa e c’è bisogno di qualcuno che marchi Zidane. Cois fino a quel momento non è sceso in campo neanche un minuto, così come il suo compagno di squadra Toldo.

Alla fine però la maglia titolare va a Pessotto, che conosce meglio Zizou perché gioca assieme a lui alla Juventus. Il resto, purtroppo, è storia. Roby Baggio manca per pochi centimetri la rete della qualificazione alle semifinali, Di Biagio colpisce in pieno la traversa ai calci di rigore e il sogno mondiale di Cois finisce senza mai scendere in campo. Ma c’è tempo per rifarsi, come dimostrano le altre due presenze tra fine 1998 e 1999.

Euro 2000 può essere un obiettivo realistico. Mai però sfidare la sorte. Che si accanisce tanto su di lui quanto sulla Fiorentina. I Viola vincono il titolo di inverno nella stagione 1998/99, ma Batistuta si infortuna ed è costretto a stare fuori parecchio. Poco male, perché c’è Edmundo. O almeno, dovrebbe esserci, perché il brasiliano sfrutta comunque la sua clausola e con la squadra in difficoltà se ne va al Carnevale di Rio. Alla fine lo scudetto lo vince il Milan, mentre la Fiorentina arriva terza e affronta la Champions League l’anno successivo.

La cavalcata è pazzesca. Eliminato il Widzew Łódź ai preliminari, il primo girone offre concorrenza pesante: Barcellona, Arsenal e AIK. Passano viola e catalani, anche grazie alla vittoria, da sfavoriti per le scommesse calcio , di Londra, firmata Bati. Il secondo girone è forse più semplice, con lo United futuro campione, il Valencia e il Bordeaux. La Fiorentina si difende bene, ma non riesce a passare. E Cois, nel frattempo, accusa problemi fisici.

L'anno successivo sarà un calvario, che lo convincerà a smettere. L’ernia lo limita e il centrocampista, capendo di non poter più tornare a rendere come prima, preferisce lasciare ad appena 31 anni, nonostante qualche tempo dopo Malesani gli chieda di tornare a giocare per lui con il Modena. Dopo l’addio, Cois si è dedicato alla sua impresa di costruzioni, ma anche…alla Nazionale piloti.

In una partita di beneficienza a Montecarlo nel 2007, l’ex viola viene reclutato da Kaiser Michael Schumacher, che si innamora calcisticamente di lui. Da quel momento in poi nasce un’amicizia con il campione tedesco, ma anche l’amore per la squadra con la maglia a scacchi. Del resto, piloti si nasce. E in fondo il centrocampo… lo guidava lui!

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Carlo Fumagalli e Francesco Bellini.

August 27, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Lopetegui conferma una tradizione incredibile!

L’Europa League è ancora una volta tinteggiata dai colori iberici. Con il successo di Lopetegui, arriviamo ad otto allenatori spagnoli vincitori dell’Europa League negli ultimi 11 anni. Prima della equilibratissima finale di Colonia, nove edizioni su dieci collegate direttamente a Spagna e Portogallo, se si considerano i due trofei vinti da Simeone sulla panchina dell’Atletico Madrid.

Andiamo con ordine ed evidenziamo lo straordinario carattere di continuità, davvero un elemento da non dare per scontato, soprattutto nelI'equilibrio del calcio moderno. I colchoneros hanno vinto tre edizioni dal 2010 al 2019 ed il primo successo è stato tutto in salsa spagnola. L’Atletico guidato da Quique Sanchez Flores vince in finale contro il Fulham; l’anno successivo è il turno dello Special Two, ovvero il portoghese André Villas Boas che trionfa con il Porto in finale contro il Braga nel cinematografico contesto di Dublino! 

Nel 2012 la coppa torna a Madrid, vince nuovamente l’Atletico guidato questa volta da Diego Pablo Simeone, unico allenatore sudamericano a vincere in Europa in questo decennio. Il Cholo riuscirà a replicare il successo sei anni più tardi, ovvero nel 2018 a Lione in finale contro il Marsiglia.

Dal 2013 al 2016 continua, sulla scena della seconda competizione europea, il dominio spagnolo, iniziato da Rafa Benitez che trionfa alla guida del Chelsea in finale contro il Benfica. Le tre edizioni successive sono dominate da Unai Emery, che guida il Siviglia a una tripletta storica, così come raccontato in Champions da Zidane sulla panchina del Real Madrid.

Nel 2017 la coppa “torna” in Portogallo grazie a José Mourinho: lo Special One detiene un record davvero incredibile, è stato l’unico capace di vincere sia la Champions che l’Europa League nel decennio, tra l’altro con due squadre diverse. Josè vince, da favorito per le scommesse Europa League, con il Manchester United nella finale contro l’Ajax, grazie alle reti di Mkhitaryan e Paul Pogba.

L’edizione 2019 invece è stata vinta da un italiano, Maurizio Sarri, che toglie a Unai Emery la sua quarta Europa League e, con Carlo Ancelotti, rimane l'unico tecnico italiano a conquistare l'Europa: le statistiche non vanno mai lette in senso univoco... Nel derby londinese tra Chelsea e Arsenal, l’ex tecnico della Juve domina lo spagnolo e vince con pieno merito grazie ai gol di Giroud, Pedro e alla doppietta di uno straordinario Eden Hazard, in serata di grazia stile Mondiali 2018!

Che attaccanti!

L’Europa League, naturalmente, è anche storia di bomber, evidentemente più fortunati del Lukaku di Colonia… 
Dopo l’edizione del 2010 vinta dall’Atletico Madrid guidato da Diego Forlan, autore di sei reti e di una doppietta in finale, l’Europa League si trasforma per due stagioni nella “Falcao League”.

Falcao esulta con la coppa!

El Tigre infatti la vince per due anni consecutivi da capocannoniere, prima con la maglia del Porto poi con quella dell’Atletico Madrid. Ventinove gol in due sole stagioni in Europa League per il centravanti colombiano, miglior marcatore della competizione da quando ha cambiato nome nel 2009.

Nel 2013 l’Europa League viene vinta, ribadiamo, dal Chelsea di Rafa Benitez, ma ci sono ancora tracce di Atletico e della sua straordinaria tradizione in tema di attaccanti, come già riportato sul nostro blog. A guidare l’attacco dei Blues è, infatti, una leggenda dei Colchoneros, Fernando Torres, autore di sei gol, compreso il momentaneo 1-0 nella finale contro il Benfica.

Ancora una “doppietta” colombiana-spagnola tra il 2014 e il 2015, questa volta è Bacca a portare il Siviglia a due titoli consecutivi da centravanti dell’attacco andaluso. Undici gol in due edizioni e la doppietta nella finale del 2015 contro il Dnipro, prima del suo passaggio, non certo da maglia conservata nella incredibile sala dei trofei, al Milan.

Nel 2016 il Siviglia cala il tris, questa volta a guidare l’attacco non c’è il colombiano ma Kevin Gameiro. L’attaccante francese ex PSG segna il momentaneo 1-1 nella finale di Basilea contro il Liverpool e chiude la stagione con sette reti in Europa League. Dominio francese fino alla scorsa stagione che viene interrotto solamente nel 2017, quando lo United di Mourinho vince l’Europa League. Nella finale contro l’Ajax a guidare l’attacco c’è Rashford, ma il centravanti di quello United era Zlatan Ibrahimovic, assente in finale per il grave infortunio al ginocchio subito qualche settimana prima.

Nelle ultime due edizioni prima della magnifica Final Eight tedesca sono stati decisivi due centravanti francesi campioni del Mondo con la loro nazionale nel 2018 in Russia. Il primo è stato Antoine Griezmann, autore di una doppietta nella finale di Lione contro il Marsiglia vinta 3-0 dal suo Atletico Madrid.

Nel 2019 invece Giroud, forse troppo sottovalutato quando si parla di centravanti di prima fascia, ha guidato il Chelsea di Maurizio Sarri con undici reti in Europa League e segnando anche il gol del vantaggio nel derby londinese in finale contro l’Arsenal, in un incontro, sulla carta equilibrato per i bookmakers di 888sports e reso meno complicato per i ragazzi di Cobham, dalle combinazioni in verticale del tridente offensivo tirato a lucido! 


*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono, in ordine di pubblicazione, di Miguel Morenatti e Paul White.

August 26, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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La rivincita sulla storia dello Spezia!

Dunque è lo Spezia a raggiungere Benevento e Crotone in Serie A. Una promozione storica dal momento che gli Aquilotti non hanno calcato il palcoscenico da quando il massimo campionato italiano porta questo nome, bensì solo nel 1921 e 1925, quando ancora si chiamava "Prima Divisione". Tempi in cui, fino al '22, a vincere in Italia era la mitica Pro Vercelli e il bianco delle maglie della formazione ligure, per chi non lo sapesse, tra ispirazione proprio dalla compagine piemontese, che mieteva successi a tutto andare.

"Verremo ricordati per sempre", ha voluto sottolineare il tecnico Vincenzo Italiano al termine della finale di ritorno dei playoff, persa allo stadio di casa "Alberto Picco" 0-1 per le scommesse Serie B, ma mai sconfitta fu più indolore! Può dirlo forte. Perché lo Spezia, con la storia, ha sempre dovuto fare i conti in maniera antipatica. 

Quello "Scudetto dei Pompieri"

Il motivo è presto detto. Non occorre aguzzare troppo la vista per notare che sulle maglie candide dei liguri compare un tricolore, come uno Scudetto. Ebbene, fa riferimento a quello vinto "ufficiosamente" nel 1944 in pieno conflitto bellico. Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, la Serie A venne sospesa. Dal regime fascista, proprio nel 1944, venne quindi istituita una "divisione nazionale" che avrebbe dovuto poi assegnare il titolo di campioni d'Italia, poi non riconosciuto nel mese di agosto dello stesso anno da parte della Repubblica Sociale Italiana.

A vincerlo fu la squadra del  Gruppo Sportivo 42º Corpo dei Vigili del Fuoco 1943-1944 di La Spezia, in sostituzione dello Spezia stesso, che aveva dovuto interrompere le attività. Una formazione, quella dei "VV.FF." che schierava tutti i giocatori degli Aquilotti, di fatto "presi a prestito". Uno sforzo territoriale, un qualcosa di proprio, che i cittadini spezzini sentono ancora oggi tramandato sottopelle. Le istituzioni del calcio, con una delibera del 2002, hanno attribuito "de facto" allo Spezia quel titolo che, allo stesso tempo resta "ufficioso".

Il patrimonio di patron Gabriele Volpi

Ma dello "Scudetto dei Pompieri", così com'è comunemente conosciuto quello del 1944, c'è da andare particolarmente fieri, esattamente come la stagione conclusa così trionfalmente dalla formazione di patron Gabriele Volpi, 77 anni, recchese di passaporto nigeriano. Il suo patrimonio ammonterebbe a circa 3 miliardi di euro, accumulati facendo affari nella logistica dei trasporti petroliferi nel paese africano dopo essere partito prima da operaio e poi da rappresentante farmaceutico in quel di Recco. E' conosciuto come "L'italiano più ricco d'Africa".

Nel 2008 rilevò in Serie D uno Spezia indebitato fino al collo, promettendo la Serie A nel giro di 10 anni. Durante le prime stagioni investì 40 stagioni, salvo poi smarcarsi negli ultimi anni (in cui il presidente non si vede più neanche allo stadio, si dice, "per scaramanzia". La finale l'avrebbe seguita al bordo del suo yacht ormeggiato lungo la Costa Smeralda).

Un'oculatezza quasi "involontaria" che ha però portato gli Aquilotti alla conquista della promozione tanto agognata. Il primo amore di Volpi resta però la pallanuoto con quella "sua" Pro Recco resa la squadra più vincente in termini assoluti con 15 scudetti (grazie alla sua presidenza) e 6 Champions League conquistate.

Il miracoloso Spezia di mister Italiano

Lo Spezia di Italiano, invece, ha strabiliato nella seconda parte della stagione. Tra gennaio e febbraio, 5 vittorie di seguito ma, attenzione: dal 24 novembre al 22 febbraio, la squadra è rimasta imbattuta la bellezza di 13 turni consecutivi. Numeri da terzo posto, che si temeva comunque beffardo, visti i finali "infelici" degli ultimi anni. Specie dopo la sconfitta 2-0 nella semifinale di andata dei playoff, contro il Chievo di Filip Djordjevic.

E invece no: playoff vinti da favoriti delle scommesse calcio con grande rimonta (3-1) al "Picco" e atto finale col Frosinone, vinto 0-1 allo "Stirpe" e perso con medesimo risultato (rete dello svedese Marcus Rohdén) in casa, ma con il giusto ausilio del miglior piazzamento in regular season rispetto ai giallazzurri di Alessandro Nesta.

Qualche nome? In porta c'è l'ex "enfant prodige" Simone Scuffet, all'ennesima grande occasione in Serie A dopo che gli esordi dell'Udinese l'avevano portato a un passo dal trasferimento all'Atletico Madrid di mister Diego Pablo Simeone. A centrocampo, la grinta e l'esuberanza tecnica del barbuto ex SPAL, Luca Mora.

Davanti, la cooperativa del gol formata dal bulgaro d'esperienza Andrey Galabinov (7 reti), M'Bala Nzola (7), Antonino Ragusa (8) e l'italo-ghanese classe '94 Emmanuel Gyasi, nato a Palermo come Balotelli, autore di 9 reti, dell'acuto dello "Stirpe" e di un finale di stagione pirotecnico. Là davanti, fari puntati anche su un islandese figlio d'arte: di nome fa Sveinn Aron. Di cognome Gudjohnsen. Prossimo obiettivo in Serie A? Dalle parti del capoluogo ligure dicono:  "Metà classifica e vincere tutti i derby contro Genoa e Sampdoria"...

*L'immagine di apertura è di Adriana Sapone (AP Photo).

August 25, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Il minimalismo galactico di mister Zidane

Undici trofei conquistati in tre anni e mezzo - effettivi - da allenatore del Real Madrid. Un unicum, secondo solamente al grande Miguel Muñoz, vincitore per 14 volte, ma in un arco temporale durato 15 stagioni.

L'allenatore, per intendervi, degli "Anni d'oro”, come cantavano gli 883, dal 1960 al 1974. E che trofei, per Zizou: 3 Coppe dei Campioni, una in più di Muñoz e record condiviso con Bob Paisley al Liverpool e Carlo Ancelotti.

Tuttavia, nessuno può dire di averle vinte tutte in fila come ha fatto il francese dal 2016 al 2018. E, ancora, due Supercoppe Europee, altrettanti Mondiali per Club (il terzo non l'ha vinto solo per la pausa nella prima parte della stagione 2018-2019), due campionati e due Supercoppe spagnole, queste ultime due competizioni, fresche fresche di stagione.
L'ultima Liga, poi, ha avuto una soddisfazione doppia perché conquistata in rimonta sugli acerrimi nemici del Barcellona. Fatte tutte queste premesse e ricordandosi il "genio" qual era da giocatore vien da chiedersi: Zidane, meglio da allenatore o da calciatore? Qui si sprofonda nella filosofia più mistica del mondo del calcio. 

Quei record sottovalutati

Ma occorre fare una premessa immediata: una reale risposta non esiste. Il fatto è che "mister" Zidane, ricalca in toto quello che il giocoliere di origini berbere è stato sul rettangolo verde: uno che trasformava in banali le giocate tecnicamente più difficili.
E tutto questo senza mai lasciarsi trasportare dalle emozioni o tradire particolari atteggiamenti. Una sfinge inespressiva, che però infondeva tranquillità ai compagni: con lui, c'era da starne certi, il pallone era in cassaforte.

L'inglorioso finale di carriera da calciatore, con quella testata a Marco Materazzi nel 2006, non rappresentava per nulla (o quasi) il suo abituale modo di essere, che si infuocava solo nelle rare occasioni in cui da Zinédine si trasfirmava in Yazid (il suo secondo nome), lasciando spazio all'orgoglio algerino, presente in qualche meandro del suo cuore.

E i suoi successi da tecnico arrivano proprio dalla strada della compostezza: i giocatori che allena lo guardano come un faro abbagliante (eccezion fatta per il bizzoso Gareth Bale) e Zizou trasmette loro la cultura della vittoria.

Senza urla, né particolari ostentazioni, vince tutti i trofei quotati dalle scommesse calcio: "vai è gioca largo attaccando gli spazi", spiega a Dani Carvajal; "sei pronto a essere ovunque a metà campo e a cercare nei corridoi i movimenti degli attaccanti", indottrina gente come Isco o Fede Valverde. "Là davanti, sentiti il re", lascia così libero di esprimersi Karim Benzema.

Quindi, dopo la vittoria al triplice fischio, si presenta in conferenza e parla quasi a bassa voce, toccando tutti i temi della partita disputata. Stando sempre nel suo. Eppure media e opinione pubblica per i pur bravissimi Jürgen Klopp e Pep Guardiola, certamenti più avvezzi alle telecamere, all'essere a loro modo "personaggi", creatori di un nuovo stile.

Rendere banali le cose più difficili

Zidane, in questo senso, nonostante gli straordinari record ottenuti in così poco tempo da allenatore, è stato sempre inspiegabilmente accantonato. Anzi, no. Forse una spiegazione c'è: e non è certo quella - miope - secondo cui si tratti esclusivamente di un "gestore di grandi campioni" e nulla più.

Grattando un po' di più la superficie, si scopre che "mister Zizou" abbia cucito indosso al suo Real la veste perfetta per la mentalità "madridista": il "minimalismo galactico". Che si giochi con un 4-3-3 o un 4-3-2-1, ognuno si esprime con precisione al proprio posto, senza strafare. Ogni giocatore viene indottrinato a dare il meglio nel proprio ruolo, lavorando sodo sulle distrazioni a cui, talvolta, i grandi campioni in una grande squadra incappano, magari per eccesso di zelo.

E tutto questo con o senza un campione come Cristiano Ronaldo: chi scende in campo, tra i Blancos, sa di essere stato scelto da "uno che la sa lunga su come si vince" e così per Zidane dà tutto. Un personaggio, insomma, che incarna alla perfezione la mentalità vincente madridista. Là dove c'è ossessione, lui ci arriva con la sicurezza in se stesso e nei propri mezzi a disposizione: in questo senso, Zidane è meglio di José Mourinho.
 

Nell'intervallo della finale Champions 2016-2017 contro la Juventus, con le quote delle scommesse sportive in grande equilibrio, negli spogliatoi del Millennium Stadium di Cardiff, prima lascia sedere i propri giocatori, agitati per il punteggio di 1-1, poi rassetta il pavimento trascinando verso il muro le bottigliette coi piedi; quindi lascia passare altri minuti e poi parla alla squadra sottolineando anzitutto una cosa: "Se farete come vi dico io, un gol in più della Juventus, vedrete che lo segnerete".

Per le Merengues andò anche meglio rispetto a quanto pronosticato da Zizou. Panacea di tutte le esigenze madridiste: lo si è capito quando ha ripreso le redini della situazione compromessa dalle gestioni Julen Lopetegui. Di questo passo, Zinédine può diventare - molto presto sulla tabella di marcia - l'allenatore più vincente di sempre nella storia del Real, il club più prestigioso per antonomasia.  

*L'immagine di apertura è di Avell Golovkin (AP Photo).

August 22, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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