SPAL, una crisi durata un anno dopo due stagioni di paradiso

Dopo tre stagioni vissute in Serie A la SPAL l’anno prossimo tornerà in Serie B con l’obiettivo di riconquistare la massima serie. Un’annata difficilissima per la squadra di Ferrara, iniziata con Leonardo Semplici in panchina e terminata con Gigi Di Biagio. L’ex ct dell’Under 21 era stato chiamato per inseguire un’improbabile salvezza, i risultati però sono addirittura peggiorati dal suo arrivo.

Un rendimento troppo deludente per una squadra che ha messo in mostra diversi giocatori in questi tre anni di Serie A. Nella prima stagione la salvezza è arrivata solamente all’ultima giornata grazie al successo contro la Samp al Mazza. Il 3-1 contro la squadra genovese ha permesso agli uomini di Semplici di difendere il 17esimo posto dal Crotone, ma l’annata più esaltante è stata sicuramente la successiva.

Nel 2018/19, infatti, la SPAL inizia con tre vittorie nelle prime quattro giornate ed occupa addirittura il secondo posto in classifica alle spalle della Juventus, sorprendente anche per le scommesse Serie A. Dopo un andamento altalenante, tra marzo e aprile la squadra di Semplici cambia marcia e con il successo di Empoli alla 33esima giornata arriva a quota 38 punti, blindando la salvezza con ben cinque giornate d’anticipo. La SPAL chiude la stagione al tredicesimo posto a soli due punti dal decimo posto occupato dal Bologna e mettendosi alle spalle squadre importanti come Parma, Cagliari e Fiorentina.

Nel 2019/2020 la SPAL inizia subito male, solo un successo nelle prime sei giornate e girone d’andata chiuso all’ultimo posto a dodici punti in classifica con il peggior attacco del campionato. Da lì la SPAL non si muoverà più, 20esimo posto e peggior attacco della Serie A con sole 27 reti segnate in 35 giornate (otto in meno del secondo peggior attacco e quindici in meno del Lecce, retrocesso all'ultima giornata).

Per gli appassionati di statistiche e scommesse calcio solo Chievo e Pescara negli ultimi anni hanno collezionato meno dei 20 punti della SPAL 2020 e, probabilmente, sarebbe stato più saggio provare a salvarsi con Semplici al timone...

Il mercato

Questi tre anni di Serie A sono serviti indubbiamente alla SPAL per mettere in vetrina diversi giocatori diventati poi protagonisti del mercato. Dopo la prima stagione in Serie A la società ferrarese è riuscita a resistere alla tentazione di vendere i giocatori migliori, anzi intorno a quel gruppo sono stati inseriti giocatori importanti: preso Petagna in prestito con diritto di riscatto, arrivati anche Fares da Verona e Kurtic dall’Atalanta.

Le grandi cessioni sono arrivate nell’estate 2019, su tutte quella di Lazzari, mai davvero sostituito, andato alla Lazio per circa 15 milioni di euro. Sulla destra, l'esterno a tutta fascia era la fonte principale di assist e la sua partenza ha creato un vuoto incolmabile. 

A gennaio 2020, poi, la SPAL ha ceduto Petagna al Napoli per 17 milioni e ha lasciato andare Kurtic in prestito con diritto di riscatto al Parma. L'importo pagato dalla società partenopea per l'attaccante cresciuto nel Milan è davvero rilevante, ma probabilmente la cessione anticipata ha frenato, seppur inconsciamente, le prestazioni dell'unico vero realizzatore a disposizione. 

Un mercato da quasi 40 milioni di euro incassati che la SPAL pensava già di re-investire, come fatto con l’arrivo in prestito con obbligo di riscatto di Bonifazi dal Torino. Tutto questo però potrebbe cambiare con la retrocessione in Serie B. 

Come ripartire

Il tesoretto di circa 15 milioni di euro dell’ultimo mercato sarà una buona base di partenza per la SPAL. In più va aggiunto il famoso paracadute per chi retrocede dalla Serie A in Serie B. La squadra di Ferrara essendo stata nella massima serie per tre stagioni incasserà circa 25 milioni di euro con la retrocessione in Serie B. Una cifra molto importante per rincorrere subito la promozione la prossima stagione, anche se bisognerà capire quale direzione avrà il progetto tecnico.

Il direttore sportivo Vagnati ha lasciato Ferrara per andare al Torino, chi sarà l’allenatore l’anno prossimo è un’incognita: la cosa certa è che la SPAL non confermerà Gigi Di Biagio. Difficile anche capire da chi si ripartirà in campo, visto che solo dodici giocatori hanno il contratto per la prossima stagione compresi Bonifazi e Castro, questi ultimi arrivati a gennaio in prestito con obbligo di riscatto.

Una vera e propria rivoluzione che dovrà riportare la SPAL in Serie A nel minor tempo possibile per cancellare il prima possibile una stagione fallimentare. 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

August 10, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Calciatori e stelle della tv!

Per qualche istante, tutti hanno avuto modo di crederci. Il gossip della storia tra Zlatan Ibrahimovic e Diletta Leotta è durata meno di un temporale estivo, eppure l’accoppiata tra calciatore e showgirl è un grande classico che ha accompagnato - nel corso dei decenni - il cammino di diversi campioni.

In tal senso, il bomber dei bomber continua a essere Bobo Vieri, accompagnato ormai da tempo con l’ex velina Costanza Caracciolo dalla quale ha avuto due figli. In principio, la storia che accese i riflettori sull’ex attaccante fu quella con Elisabetta Canalis; troppo giovani, troppo famosi, troppo affamati di vita affinché potesse andare avanti.

Non meno prestigioso il curriculum di Pippo Inzaghi: tanti i flirt accreditati all’ex attaccante di Juve e Milan; Samantha De Grenet Manuela Arcuri, Alessia Ventura: il tecnico del Benevento che ha battuto ogni record in B con una straordinaria sequenza di risultati positivi anche per le scommesse calcio online sembra essere ancora oggi “a piede libero”.

A cavallo tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, i flirt dei giocatori erano all’ordine del giorno; Pippo Pancaro e Adriana Volpe, Simone Inzaghi e Alessia Marcuzzi, Giuliano Giannichedda e Federica Ridolfi, Dario Marcolin e Barbara Puccetti.

Nello stesso periodo, Francesco Totti dichiarava il suo eterno amore alla letterina Ilary Blasi, dopo aver avuto una breve storia con Maria Mazza, altra donna di spettacolo. “Sei unica”. La scritta mostrata dopo aver segnato un gol decisivo in un derby è rimasta intatta, il tempo non ha corroso un sentimento autentico.

Daniele De Rossi - per anni Capitan futuro - non è stato da meno, legandosi con l’attrice Sarah Felberbaum. L’elenco potrebbe essere molto più lungo, e indirizza l’articolo verso l’attualità, con Gianluigi Buffon con Ilaria D’Amico, e il suo ex allenatore, opzione sempre sicura per le scommesseMax Allegri legato ad Ambra Angiolini.

I bomber del passato

Ma anche in passato, i legami famosi non sono mancati; la storia di Manè Garrincha con la cantante Elza Soares fu una delle prime a balzare agli onori della cronaca, accendendo la seconda metà degli anni sessanta; i due misero insieme la loro reciproca disperazione, fino a farsi del male: lui aggrappato al bicchiere di cachaça, lei contagiata - tra un concerto e l’altro - dalla gioia effimera di stravizi quotidiani. Una storia d’amore andata in rovina tra Rio de Janerio e Torvajanica, dove la coppia visse alcuni anni prima di far ritorno in Brasile.

Quasi nello stesso periodo - in Italia - i rotocalchi raccontavano del matrimonio tra il portiere Lorenzo Buffon e la valletta Edy Campagnoli, in precedenza legata sentimentalmente a Giorgio Ghezzi, altro portiere di calcio.

Storie nate e vissute all’alba del Duomo, come quella nata negli anni settanta tra Gianni Rivera e la cantante Elisabetta Viviani; lui vola verso la fine della propria carriera, lei è giovanissima e in rampa di lancio. Ma la storia tra i due finisce, nonostante la nascita di una figlia.

Gli anni ottanta sono gli anni di Paulo Roberto Falcao; lo chiamano il Divino, in mezzo al campo è un faro, illumina la scena. Fuori dal terreno di gioco semina i paparazzi come fossero terzini; la storia con Ursula Andress è fulminea, ma fa clamore, perché lei non passa inosservata: è la prima Bond Girl, la ragazza col bikini bianco che esce dall’acqua nel primo 007 - Licenza di uccidere.

Amori e tv!

Ma nelle love story dei calciatori, spesso sono i portieri a essere protagonisti in prima persona; Walter Zenga non è soltanto il portiere dell’Inter e della Nazionale, ma per un breve periodo di tempo diventa anche conduttore di una trasmissione di Odeon Tv: si chiama Forza Italia, ma il partito di Berlusconi è ancora lontano da venire. Con lui, c’è la showgirl Roberta Termali che in poco tempo diventa anche la sua fidanzata.

Nello stesso periodo, c’è un’altra coppia che si prende la scena sulle copertine dei giornali di gossip; lui è il centravanti del Napoli Andrea Carnevale, lei è la conduttrice televisiva Paola Perego. Il tubo catodico attrae i giocatori quanto un gol; alla fine degli anni novanta finisce in rete anche Stefano Bettarini, prestante terzino della Fiorentina: lei è Simona Ventura, in quel momento regina incontrastata della tv.

Ormai i calciatori osano sempre di più, fino a puntare il trono di Miss Italia; il matrimonio tra Alessandro Costacurta e Martina Colombari ha la benedizione del popolo sovrano; lui, oltre che bravo è anche bello. Lei ha testa, e gambe, e la storia funziona a meraviglia anche a distanza di quasi vent’anni. Ma non tutte le favole delle Miss hanno un lieto fine; è il caso di Manila Nazzaro, da qualche anno separata dopo il matrimonio con l’attaccante della Reggina Francesco Cozza. La Miss era stanca di farsi chiamare Signora Cozza: come darle torto?

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Luca Bruno (AP Photo).

August 10, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Le 3 storie dimenticate di Germania 2006

Quello di 14 anni fa è stato, si sa, il torneo del quarto trionfo azzurro. Ma scavando nella memoria dei tre giorni, è interessante rispolverare le storie parallele, quelle del "Mondiale degli altri" di debuttanti allo sbaraglio, che però hanno scritto anch'essi pagine indelebili..

Per esempio, il continente africano mandò nel paese teutonico la bellezza di 4 nazionali all'esordio assoluto sulle 5 qualificate: oltre alla già "rodata" Tunisia, parliamo di Ghana, Costa d'Avorio, Angola e Togo. Dall'altra parte del mondo, grande curiosità suscitò la partecipazione dei caraibici di Trinidad & Tobago.

Proprio su queste ultime tre squadre, all'epoca semisconosciute,

Togo

Angola

Trinidad & Tobago

si concentra il nostro ricordo.

Togo

I gialloverdi della striscia di terra incastrata tra Benin, Ghana e Burkina Faso, vengono guidati nel percorso di qualificazione da Emmanuel Adebayor, che a metà della stagione 2005-2006 passa dal Monaco all'Arsenal e che, con la propria nazionale, segna 11 gol in 12 partite sino ad eliminare il Senegal, grande sorpresa del Mondiale nippocoreano del 2002. Ma, oltre a lui, la selezione del Paese di Lomé proponeva ben poco.

In rosa c'erano anche due dilettanti, che giocavano nelle divisioni inferiori francesi, come l'attaccante Richmond Forson (del Poiré), il difensore Affo Erassa del Moulinoise oppure Alaixys Romao del Louhans-Cuiseaux. Tra i convocati, anche il povero Massamasso Tchangai, difensore del Benevento che all'epoca disputava la Serie C2. La società campana, per l'occasione, lo nominò "ambasciatore del Sannio ai Mondiali 2006". Appena 4 anni dopo, nella sera del suo 32° compleanno, l'8 agosto 2010, Tchangai perse la vita a causa di un arresto cardiaco dopo una breve malattia.

Quel Togo, dopo la qualificazione, perse tutte e tre le partite di Coppa d'Africa anche a causa del litigio tra Adebayor e il ct nigeriano Steven Keshi, sostituito in fretta e furia dal selezionatore tedesco Otto Pfister. Giunti in ritiro al Lago di Costanza, scoppiò la solita grana-premi, ormai una consuetudine tra le nazionali africane al cospetto di federazioni sgangherate: il presidente di quella togolese, Rock Gnassimbé, aveva promesso (e disatteso) il riconoscimento di 15mila euro a giocatore per la partecipazione alla rassegna iridata.

Adebayor, il più ricco ma alla guida della rivolta per solidarietà verso i compagni, minacciò che la squadra non sarebbe scesa in campo nella prima partita contro la Corea del Sud. il ct Pfister abbandonò il ritiro, indisposto a lavorare in quel clima di rivolta. Alcuni giocatori lo rintracciarono e lo convinsero a restare in gruppo. Così, gli Sparvieri rischiarono di battere i sudcoreani, grazie al destro incrociato dell'ex Vicenza Mohamed Kader al 31'. La selezione asiatica ribaltò il punteggio Lee Chun-Soo e Ahn Jung-Hwan, non prima però che i togolesi sfiorassero più volte il raddoppio.

A una nuova minaccia di non scendere in campo contro Svizzera e Francia, fu la Fifa a offrirsi di pagare ai giocatori quei premi promessi dalla federcalcio togolese, poi multata di 100mila franchi svizzeri da Sepp Blatter. Contro elvetici e transalpina, arrivarono altrettante sconfitte. Onorevoli, a dire il vero.

 

Angola

Al momento del sorteggio, a dicembre 2005, sembrava uno scherzo del destino: l'Angola si qualifica per la prima volta a un Mondiale di calcio e chi va ad incontrare nel match d'esordio? Il Portogallo, coloni intransigenti (per usare un eufemismo) del XX secolo. A Luanda si trattenne il fiato, come negli attimi della liberazione nazionale, a metà degli anni '70, così ben descritta, nella sua complicatissima quotidianità, nel romanzo-reportage di Ryszard Kapuściński "Ancora un giorno".

Il rappresentante più fulgido di questa storia fu il portiere João Ricardo, convocato all'età di 36 anni nonostante fosse senza squadra da un anno. Ricardo, era portoghese di origine ma angolano di nazionalità e con la famiglia rientrò nel paese africano dopo l'indipendenza tra il 1974 e il 1975. Fu trafitto al 4' della sfida di Colonia da Pauleta, su assist di Luis Figo: i portoghesi si fermarono all'1-0, anche dopo una traversa di Cristiano Ronaldo (di testa), mentre gli angolani sfiorarono il pari e la qualificazione, dopo lo 0-0 sorprendentemente imposto anche per 888sports al Messico e la quasi vittoria sull'Iran.

Al vantaggio di Flávio Amado (recordman di presenze della selezione rossonera) al 60', rispose al 75' Sohrab Bakhtiarizadeh. Ad ogni buon conto, le "Palancas Negras" uscirono da quella che in seguito venne ribattezzata "Red Bull Arena" di Lipsia tra gli applausi scroscianti.
 

 

Trinidad & Tobago


Fu un gol dell'esperto difensore del Wrexham, Dennis Lawrence a consegnare ai Soca Warriors la storica qualificazione a un Mondiale. L'impresa fu siglata a Manama, capitale del Bahrain, che nello spareggio di andata si era illuso con un pareggio per 1 a 1. Una folla festante attese il ritorno in patria dei giocatori del ct olandese Leo Beenhakker. "In patria", per modo di dire: la maggior parte dei giocatori era ormai stanziale in Gran Bretagna. Come lo storico portiere di Newcastle e West Ham Shaka Hislop, cresciuto a Reading e presentatosi ai Mondiali tedeschi a 37 anni.

Una nazionale certamente attempata ma interessata, quella caraibica: là davanti, niente meno che l'ex attaccante del Manchester United Dwight Yorke. Proprio Hislop, nella gara d'esordio del gruppo B contro la Svezia, abbassò la saracinesca con numerosi miracoli al cospetto di Zlatan Ibrahimovic e Henrik Larsson, in quel di Francoforte, mentre il 15 giugno successivo, a Norimberga, l'Inghilterra sudò 7 camicie dopo un primo tempo inchiodato sullo 0-0 per i pronostici e consigli scommesse sportive prima di conquistare il 2-0 firmato Peter Crouch (all'83') Steven Gerrard (al 91').

Frizzanti e mai domi, la loro partecipazione dei "Soca Warriors" al Mondiale tedesco viene ancora oggi ricordata come una delle più gagliarde.

 

*La foto di apertura dell'articolo è di Michael Sohn (AP Photo).

August 10, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Milan 2.0? Spazio anche per i giovani!

Donnarumma, Calabria, Gabbia e, neanche a dirlo, Daniel Maldini. Scorrendo l’elenco della rosa del Milan 2020  salta immediatamente all’occhio chi dei rossoneri è cresciuto nel vivaio. E, a conti fatti, non sono moltissimi. C’è Gigio, straordinario portiere del presente e, sperano a Milanello, del futuro, inteso come permanenza al Milan. C'erano, tra gli altri:

Manuel Locatelli

Bryan Cristante

Patrick Cutrone

Andrea Petagna

Pierre-Emerick Aubameyang

Tra gli esterni bassi è ancora in rosa un calciatore utile nel turnover come Calabria, che però non sta facendo la carriera fulminante che molti predicevano, dopo il gol alla Roma in un'insolita notte di neve nella Capitale. E ci sono due ragazzi di ottime speranze, uno dei quali con un cognome che definire pesante è poco. Visti i tempi, quattro calciatori del vivaio sono abbastanza (e proprio quelli richiesti per l’inserimento in lista).. 

Ma nulla a che vedere rispetto ai tempi in cui il Grande Milan era costruito su un’ossatura fatta in casa, o quasi. A disposizione di Sacchi prima e di Capello poi c’erano ragazzi nati e cresciuti a Milanello. Franco Baresi, Paolo Maldini, Billy Costacurta, Filippo Galli e Demetrio Albertini. Nomi che hanno scritto la storia del club rossonero iniziando dai giovanissimi.

Poi è successo qualcosa. La questione è che il Milan difficilmente si affida più ai suoi ragazzi. Ma non si tratta poi di un problema di vivaio e della straordinaria qualità del gruppo di lavoro coordinato proprio da Filippo Galli, perché analizzando le squadre di Serie A ci sono molti prodotti delle giovanili rossonere in giro per il massimo campionato. E molti di loro sono anche nell’orbita della nazionale. Il seetore giovanile, salvo rari casi, è stato semplicemente utilizzare per finanziare il mercato in entrata!

Basta dare una rapida occhiata alle rose del massimo campionato. La Juventus ha tra le sue fila Mattia De Sciglio, a lungo considerato un potenziale erede di Maldini o di Zambrotta. La carriera del terzino bianconero non è stata brillante come ci si aspettava, ma il fatto che Allegri (che lo ha lanciato) lo abbia voluto alla Continassa qualcosa vorrà anche dire. Così come ci sono ottimi motivi per cui molte big europee, quando si tratta di intavolare trattative con i bianconeri, chiedono informazioni sull’azzurro…

Rimanendo in difesa, un altro che poteva fare comodo al Milan è assolutamente Matteo Darmian. Il difensore del Parma ha fatto tutta la trafila a Milanello, ma in rossonero ha accumulato soltanto sei presenze in tre stagioni, prima di essere ceduto in via definitiva al Palermo, che poi lo ha girato al Torino, dove ha trovato la prima delle sue 36 presenza in nazionale.

La carriera del classe 1989 lo ha portato poi per quattro anni in un club blasonato come il Manchester United, prima del ritorno in Italia al Tardini. Senza dimenticare Raoul Bellanova, che dopo non aver mai neanche esordito con il Milan ha preferito andare in Francia al Bordeaux e che ora è stato riportato in Serie A dall’Atalanta.

Manuel Locatelli

A centrocampo, poi, c’è davvero di che mangiarsi le mani. Il capitano dell’Under-21 è Manuel Locatelli, che ha passato quasi dieci anni al Milan tra giovanili e prima squadra, con tanto di prima stagione tra i grandi dal rendimento clamoroso e da un gol prestigioso alla Juve! Poi però il classe 1998 ha progressivamente trovato meno spazio, fino ad essere ceduto al Sassuolo. In neroverde si è ritrovato, per le scommesse Serie A è nei Top XI e adesso molti grandi club sono sulle sue tracce. Quanto basta per diventare un rimpianto.

Bryan Cristante

Così come certamente lo è Bryan Cristante. Il friulano sembrava avere le stigmate del predestinato e in rossonero ha esordito prima in Champions League che in Serie A. Anche con lui non c’è stata pazienza e ad appena 19 anni il centrocampista è stato ceduto in Portogallo, al Benfica. Al Da Luz non ha fatto benissimo ed è tornato in Italia, prima in prestito a Palermo e Pescara e poi all’Atalanta.

Con la cura Gasp si è trasformato in un calciatore completo, segnando a raffica e ora è una delle colonne della Roma di Fonseca che lo ha impiegato, addirittura, centrale difensivo.

Spostandosi sulla trequarti, c’è un altro nome che spunta fuori dalle rose di Serie A: quello di Simone Verdi. Anche per lui quasi dieci anni in rossonero, con cessione prematura dopo una serie di buoni prestiti. A Bologna si è consacrato, al Napoli ha deluso, ora cerca di tornare ai suoi livelli al Torino.

Patrick Cutrone

L’ultimo addio pesante di un ragazzo del vivaio è certamente quello di Patrick Cutrone. Il centravanti sembrava poter diventare il nuovo simbolo dei rossoneri, la squadra del suo cuore fin da quando era bambino. Le sue prestazioni però non hanno mai convinto del tutto la società, che alla fine ha preferito cederlo di fronte all’insistenza del Wolverhampton. Le sirene inglesi sono state ingannevoli, se è vero che neanche sei mesi dopo l’attaccante dell’Under-21 ha già fatto ritorno in Serie A, con la maglia della Fiorentina.

Ma l'utilità tattica del comasco, anche a partita in corso, non si discute e probabilmente il Milan dovrà pentirsi di aver lasciato andar via anche lui.

Andrea Petagna

Discorso che vale anche per Andrea Petagna, rinforzo del Napoli, che fino a fine stagione è stato il centravanti della SPAL. Per lui qualche sporadica presenza in rossonero dopo le giovanili, prima della cessione definitiva, anche stavolta all’Atalanta. Con la Dea l’attaccante si è messo in luce come centravanti di manovra, mentre con la SPAL, fungendo anche da finalizzatore, ha dimostrato anche buone doti sotto porta.

Petagna in amichevole contro il City!

Pierre-Emerick Aubameyang

E poi, per concludere in bellezza, un rimpianto mai troppo sottolineato. In fondo, dalle giovanili del Milan ci è passato… un grande cannoniere della Premier League e MVP con una doppietta dell'ultima finale di FA Cup! Pierre-Emerick Aubameyang è stato un calciatore rossonero dal 2007 al 2011, anno in cui è stato ceduto in prestito con diritto di riscatto al Saint-Etienne dopo altre esperienze a titolo temporaneo. I francesi non se lo sono fatti ripetere due volte e lo hanno comprato, per poi rivenderlo al Borussia Dortmund.

I tedeschi, dopo oltre 100 gol in giallonero, lo hanno poi spedito a malincuore (ma con 64 milioni di buoni motivi) all’Arsenal. E il gabonese si è preso i riflettori anche in Inghilterra, con una domanda che non può non agitare i sogni dei milanisti. E se il Milan lo avesse provato anche in Serie A?

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Luca Bruno e Matthias Schrader.

August 10, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Dalla NCAA alla NBA, i coach che non hanno “retto” il grande salto

Non tutti i grandi allenatori del college basket sono riusciti ad imporsi anche in NBA. I casi più recenti di Brad Stevens e Quinn Snyder sono l’eccezione, non la regola per il basket americano; il primo, dopo aver portato la piccola Baylor in finale della NCAA contro Duke, è salito sulla panchina dei Celtics e dal 2013 è uno dei migliori coach della NBA..

Discorso simile per Snyder, capace di portare la piccola università di Missouri per la prima volta tra le prime otto nell’NCAA Tournament. Dopo oltre 200 gare allenate a Missouri, Snyder è passato prima in D-League, poi per quattro anni  è stato assistente allenatore in NBA e al CSKA Mosca prima di salire sulla panchina degli Utah Jazz nel 2014. Nella storia del basket americano però alcune icone del college basket hanno deciso di provare il salto tra i grandi, fallendo però miseramente. 

Esaminiamo due casi iconici, più l'ultimo, in ordine di tempo:

Rick Pitino

John Calipari

John Beilein

Rick Pitino

Rick Pitino e John Calipari, due vere leggende che sfiorano le mille panchine a testa in NCAA. Il primo ha iniziato ad allenare nel lontano 1978 in quel di Boston, dove ha allenato per ben cinque stagioni riportando la squadra all’NCAA Tournament 24 anni dopo l’ultima partecipazione. Dopo due annate come assistente allenatore ai New York Knicks, Pitino torna in NCAA a Providence, dove in due anni passa da un pessimo record di 11 vittorie e 20 sconfitte all’accesso alle Final Four nel 1987.

Dopo questo successo torna a New York, questa volta come capo allenatore dei Knicks e anche qui in due anni ribalta la squadra. Si passa dalle 24 vittorie del 1986/87 ai 52 successi in Regular Season del 1988/89 e la vittoria dell’Atlantic Division a oltre 20 anni di distanza dall’ultimo successo. I Playoff però non furono un successo, dopo il 3-0 inflitto ai Sixers nel primo turno i Knicks vengono eliminati 4-2 dai Bulls di Jordan e Pitino viene mandato via.

La consacrazione di Pitino a livello NCAA arriva però negli anni Novanta, quando riporta in vetta Kentucky dopo lo scandalo che aveva coinvolto l’ex coach Eddie Sutton. Nel ’93 i Wildcats tornano alle Final Four, e nel ’96 arriva il sesto titolo NCAA nella storia dell’Università grazie proprio a Pitino, che nel ’97 torna in NBA per guidare i Celtics.

In meno di quattro stagioni a Boston, Pitino colleziona un record negativo di 102 vittorie e 146 sconfitte tornando in NCAA nel 2001, alla guida di Louisville con cui vince da favorito per le scommesse basket, dopo aver dominato la Midwest Regional, il secondo titolo NCAA della sua carriera nel 2013. 

John Calipari

Carriera simile per John Calipari, attualmente coach più pagato di tutto il college basket con un contratto da circa otto milioni all’anno. Inizia la sua carriera da capo allenatore a UMass, ovvero l’Università del Massachusetts che conduce a cinque titoli della "Atlantic 10" consecutivi e altrettante partecipazioni all’NCAA Tournament.

Dopo questa avventura, chiusa con un record di 193 vittorie e 71 sconfitte, prova il grande salto in NBA con gli allora New Jersey Nets. In due anni e mezzo colleziona un record di sole 72 vittorie e ben 112 sconfitte e prima di tornare in NCAA prova a rimanere in NBA come assistente dei Philadelphia 76ers. Nel 2000 arriva la chiamata dell’Università di Memphis, dove infila quattro stagioni consecutive da almeno 30 vittorie (record nella storia della NCAA) e porta Memphis alle Final Four nel 2008.

L’anno successivo dice sì a un contratto di otto anni da quasi 35 milioni di dollari complessivi offerto da Kentucky, dove allena tutt’ora e dove ha vinto il suo primo e unico titolo NCAA nel 2012.

John Beilein

L’ultimo coach a fallire il grande salto è stato John Beilein, arrivato la scorsa estate a Cleveland dopo una lunga carriera in NCAA. Dal 1975 inizia la sua carriera come capo allenatore di università minori, fino al grande salto che arriva nel 1992 con la prima panchina di una squadra della “Division I”. Cinque anni a Canisius College, altrettanti a Richmond e sempre cinque stagioni alla guida di West Virginia, fino al 2007 quando arriva la chiamata di Michigan.

Beilein rimane sulla panchina dei Wolverines fino al 2019, vincendo due titoli nazionali e chiudendo la sua carriera NCAA con oltre 800 vittorie a fronte di 500 sconfitte.

Per le scommesse NBA la sua avventura in quel di Cleveland dura meno di una stagione, dopo 54 partite e sole 14 vittorie viene licenziato dai Cavs che decidono di sostituirlo con l’ex Rockets JB Bickerstaff. 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Sam Craft (AP Photo).

August 9, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Quegli Europei portoghesi ed il metodo ellenico!

I campionati europei di Portogallo hanno raccontato una storia indimenticabile, irripetibile. Quella della Grecia del commissario tecnico tedesco Otto Rehhagel. E, a raccontarla adesso, solo l'unione di intenti tra ellenici e tedeschi sa di ossimoro. Già, ma uno dice "Danimarca nel 1992" e crolla il castello. Sì, vero, ma il trionfo dei ripescati di 12 anni prima fu diverso: in fondo gli scandinavi avevano in rosa gente di qualità acclarata come Peter Schmeichel, Brian Laudrup, Flemming Povlsen....

La Grecia era un insieme di "ragazzacci" dalle capacità tecniche relative, senza particolari idee di gioco (se non quella di distruggere le trame avversarie), un portiere dai capelli grigi (l'eterno Antonis Nikopolidis) e, soprattutto senza elementi di talento. La classica squadra data come quarta al girone di qualificazione. Una potenziale vittima sacrificale il cui cammino si era subito fatto in salita, dovendo affrontare i padroni di casa dell'astro nascente del calcio mondiale Cristiano Ronaldo (ma non solo), Spagna e Russia.

La Lettonia e quegli strani segnali

Ma non c'era solo il "gruppo A": ovviamente il talento strabordava anche nel "B" con Francia, Inghilterra, Croazia (e Svizzera), nel "C", il nostro, passato alla storia per il "biscotto scandinavo" tra Svezia e Danimarca e il D con Repubblica Ceca, Olanda e Germania.

Che non si trattasse di un Europeo come tutti gli altri lo si incominciò a intuire da quell'inspiegabile 0-0 con cui i tedeschi di Rudi Völler si fermarono di fronte alla matricola assoluta Lettonia di bomber Maris Verpakovskis, che in quel pomeriggio nello stadio del Boavista (l'Estadio do Bessa Século XXI) non andò a segno, mandando in tilt l'intero sistema di pronostici e consigli delle scommesse sportive. La Germania non vinse una partita e non si qualificò.

Fuoco di paglia? Macché

Quell'Europeo annoverò un'altra singolare particolarità: la partita inaugurale del torneo fu la stessa che lo chiuse, allo stadio Da Luz, quasi un mese dopo: Portogallo-Grecia. Vinsero gli ellenici anche nel primo caso, d'amblè con Karagounis e il rigore di Basinas, concesso da Pierluigi Collina. A nulla valse l'acuto finale dell'1-2 definitivo firmato Cristiano Ronaldo. Con l'1-1 rimediato contro la Spagna e la sconfitta per 2-1 al cospetto della Russia (gli unici tre punti del girone da parte degli ex sovietici), si pensò che quello ellenico fu il classico fuoco di paglia.

In tutto ciò, gli uomini di Rehhagel si ritrovarono secondi non per una superiorità negli scontri diretti con gli spagnoli e nemmeno per la differenza reti (0 per entrambe le selezioni). Bensì solamente per il numero di gol realizzati: 4 per la Grecia e 2 per la Spagna.

Il metodo ellenico

Ai quarti c'è la Francia campione in carica: ci sono Barthez, Thuram, Zidane, Henry, Trezeguet. Ma c'è sempre l'attaccante del Werder Brema (squadra del cuore, peraltro, del ct Rehhagel per la lunga militanza e i due titoli tedeschi conquistati come mister) Andreas Charisteas, che con la sua classica incornata, su cross di Zagorakis dalla destra, beffa lo scarsicrinito portiere transalpino e manda i greci in semifinale,da assoluti outsider per 888sport.

Dici Grecia e dici 1-0, lo stesso con cui beffò la Repubblica Ceca di Pavel Nedved grazie al silver gol del romanista Traianos Dellas, sempre presente ed eletto peraltro miglior difensore del torneo.

Il metodo era sempre lo stesso: 3-5-2 abbottonato e volto ad addormentare la partita, per poi risvegliarla con il colpo letale. Davanti a Nikopolidis, il terzetto composto da Seitaridis, Dellas e Fyssas (ma c'era anche Dabizas). A centrocampo i vari Kapsis, Basinas, Zagorakis, Karagounis e Katzouranis (ma anche Kafes, il centrocampista col numero 1 all'Olympiacos). Là davanti Charisteas e l'ex Zisis Vryzas, scoperta di Luciano Gaucci nel Perugia del "primo" Serse Cosmi.

Charisteas-gol e quel trionfo irripetibile

Il solito Charisteas, infine, decise al 57' la finale che i portoghesi pensavano di vincere in carrozza. Dicevano, i lusitani Fernando Couto, Rui Costa, Figo: "Abbiamo già commesso una volta l'errore di sottovalutarli e perdere. Non può succedere un'altra volta". E invece successe.

Il popolo greco non ricorda un momento di unità nazionale come durante quel mese folle. L'ultimo - anzi, il penultimo - momento di felicità spensierata, prima delle Olimpiadi che contribuirono al default del Paese. Una storia irripetibile, che lasciò tutti a bocca spalancata. 

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Luca Bruno (AP Photo).

August 9, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Le coppie di attacco della storia della B!


Chi fa da sè fa per tre, ma quando ci si trova ad affrontare una difesa, sempre meglio avere un partner. Meglio ancora se il proprio compagno di avventura è in grado, già da solo, di creare grattacapi anche alle retroguardie. Del resto, la Serie B non è un campionato semplice. Non è detto che chi ha fatto bene in Serie A si trovi bene tra i cadetti, anzi, spesso e volentieri la vita è complicata per chi scende di categoria..

Ma c’è anche chi fa il viaggio all’incontrario, terrorizzando gli avversari in B e lanciandosi verso la Serie A. Negli anni Novanta, più che di una B forse era il caso di parlare di una A2... Soprattutto guardando alle squadre ed alle relative coppie di attaccanti, sempre ottima opzione per le scommesse calcio, che hanno scritto la storia della seconda serie tricolore:

Fiorentina

Foggia

Bari

Ascoli

Cesena

Ravenna

Fiorentina

La Fiorentina 1993/94 si trova in Serie B… quasi per caso. La Viola paga un campionato assurdo: dopo quasi metà stagione è terza, ma crolla alla distanza dopo problemi interni. Normale dunque che in quel campionato cadetto la squadra di Claudio Ranieri sia la grande favorita. E basterebbe guardare l’attacco per capire perché. La batteria offensiva in mano al tecnico di San Saba è impressionante.

C’è Gabriel Omar Batistuta, che scriverà la storia della Fiorentina e che l’anno successivo vincerà la classifica cannonieri al ritorno in Serie A. E accanto a lui c’è Ciccio Baiano, già re dei bomber cadetti due anni prima con il Foggia di Zeman. L’attaccante partenopeo quell’anno subisce un infortunio che lo tiene fuori a lungo, ma non c’è problema: Ranieri ha in rosa un duo che può fare faville, Anselmo Robbiati e Francesco Flachi. E infatti la promozione è una formalità.

Foggia

A proposito di Foggia, non si può non menzionare il tridente del 4-3-3 di Zeman che porta i rossoneri alla promozione in Serie A nella stagione 1990/91. Oltre a Baiano, che con 22 marcature è il capocannoniere, c’è un ragazzo con un sinistro fatato che si sta facendo le ossa. Beppe Signori quell’anno segna “soltanto” 11 gol, ma avrà tutto il tempo di farsi notare in Serie A, di cui diventerà re dei bomber addirittura per tre volte, sempre con la maglia della Lazio.

Terzo del tridente, ma secondo per realizzazioni, è Roberto Rambaudi, che segna 15 gol e contribuisce a una promozione storica e alla nascita del mito di “Zemanlandia”.

Bari

La terza vittoria di Signori nella classifica marcatori arriva in coabitazione con un mito del gol tricolore: Igor Protti, uno dei due calciatori in grado di diventare capocannoniere in A, in B e in C. Il trionfo in A arriva con il Bari, che l’anno prima (stagione 1994/95) è arrivato secondo nel campionato cadetto grazie a un altro tridente d’eccezione.

Assieme allo Zar, che segna sei reti, la squadra di Materazzi schiera anche un centravanti storico del calcio italiano: il Cobra Tovalieri, che trascina i suoi con 14 gol. A concludere il trio c’è il brasiliano Joao Paulo, ala elegantissima, che nonostante non fosse un gran realizzatore è tuttora uno dei miti della tifoseria biancorossa.

Ascoli

Non solo Puglia, però. Anche più al nord si difendono egregiamente. L’Ascoli degli anni Novanta inizia dalla Serie A ma termina in C, nonostante un attaccante particolarmente prolifico in rosa. Oliver Bierhoff passa al Del Duca l’inizio della sua carriera italiana e non lesina reti nel campionato cadetto. Per lui, che, poi, sarà re dei bomber in Serie A con l’Udinese nella stagione 1997/98 e Campione d'italia a sorpresa per le scommesse Serie A nel 1999, arriva il titolo di capocannoniere nella stagione 1992/93.

In quella successiva è secondo in classifica marcatori, nonostante faccia coppia con un attaccante di grandissima esperienza. Beppe Incocciati in due anni però fa solamente due reti e nell’ultima stagione di Bierhoff nelle Marche, i bianconeri retrocedono.

Cesena

Stessi colori per un altro bomber storico del calcio italiano, il re dei centravanti di provincia: Dario Hubner. Anche lui, come Protti, si toglie la soddisfazione di laurearsi capocannoniere sia in A, che in B che in C. L’exploit nella serie cadetta arriva con la maglia del Cesena, nella stagione 1995/96. In quel caso Tatanka fa 22 reti, ma i romagnoli arrivano solamente decimi.

L’anno in cui vanno più vicini alla promozione in Serie A è il 1993, visto che accanto a Hubner c’è un altro pendolare del gol, Lorenzo Scarafoni. I 12 gol del Bisonte e i 15 del marchigiano trascinano il Cesena allo spareggio contro il Padova, che viene però vinto dai veneti per 2-1. Hübner comunque si rifarà ampiamente negli anni successivi tra Brescia e Piacenza…

Ravenna

E pensando a capocannonieri di Serie A che hanno avuto un passato in B, impossibile non menzionare il Bobo nazionale. Christian Vieri si prende il trono del gol in A nel 2000/2001 con la maglia dell’Inter, dopo essersi laureato in Spagna Pichichi con l’Atletico Madrid nella memorabile stagione 1997/98. Una delle sue tre esperienze in B la fa con la maglia del Ravenna, mettendosi in luce e realizzando 12 reti.

Accanto a lui c’è un vero e proprio bomber di categoria, Cosimo Francioso, che nel 1999 vincerà la classifica dei cannonieri in B con il Genoa. Ma neanche una coppia del genere riesce a salvare i romagnoli, che arrivano penultimi, a pari (de)merito con il Modena nella stagione 1993-1994: chi ha vinto per le scommesse Serie B il titolo di capocannoniere in quella clamorosa annata nella quale hanno segnato a ripetizione, oltre a Batigol, Bierhoff, anche Carnevale, Chiesa, Galderisi e Pippo Inzaghi? Uno dei due rapaci dell'Ancona che scopriremo nel prossimo articolo sui centravanti cadetti!

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Fabio Muzzi (AP Photo).

 

August 7, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Antonio Conte: il numero 8 sulla maglia e nel destino


Testa, cuore e gambe. È il titolo del suo libro pubblicato nel 2013, ma potrebbe essere tranquillamente un trittico che racconta tutta la sua genesi, dall’Antonio Conte ragazzino fino al capitano, senza escludere l’Antonio Conte allenatore..

Con la testa (sulle spalle) è partito dal Lecce per affermarsi alla Juventus, superando anche un grave infortunio che poteva mettere a serio rischio la carriera. 

Con il cuore ha vissuto e giocato nei posti che più ha amato, appunto Lecce e Juventus, cosa che non gli ha evitato di allenare Bari e Inter, le acerrime rivali delle sue storie d’amore. 

Gambe, e qui c’è poco da contestare: l’Antonio Conte giocatore era un atleta pazzesco. Ora che è allenatore ha un suo modo di intendere il calcio che richiede un’intensità fisica, e quindi una gamba, che non tutti i calciatori e le squadre possono permettersi. Con le gambe ha giocato 418 partite alla Juventus e vinto scudetti, una Coppa Uefa, una Champions League e una Coppa Intercontinentale. Praticamente tutto. 

L'inizio

La storia di Conte parte come quelle favole che appartengono più ad un calcio sudamericano e a un mondo pallonaro che non appartiene più alla contemporaneità.
Tira i primi calci nella Juventina Lecce (guarda caso), società dilettantistica del capoluogo salentino, fondata dal padre Cosimo che poi "vende" le prestazioni del figlio ai giallorossi del Lecce per 8 palloni (di cui “Tre pure sgonfi” dirà Antonio) e 200.000 lire. 

Una vita fatta di battaglie personali, di squadra e contraddizioni, ma tanta “self confidence” come direbbero gli inglesi. 

Quando nella stagione 2006 – 2007 fu esonerato dall’Arezzo in B dopo 9 partite e zero vittorie, salutò lo spogliatoio con un discorso in cui si dichiarava deluso dai calciatori che non lo avevano compreso appieno e che nel giro di 4-5 anni sarebbe arrivato in Serie A su panchine del calibro di squadre come Juventus, Inter e Milan...

Un personaggio #NotForEveryone. 
Un numero 8 affascinante, parola di chi di numeri 8 se ne intende. 

Segui le scommesse calcio con 888sport!
 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

August 7, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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I due teatri della Champions!

Esattamente come l'Europa League, anche la Champions si prepara a vivere una fase finale inedita in 65 anni. Un epilogo storico ma inevitabile: a partire dai quarti di finale, le 8 squadre qualificate si ritroveranno tutte a Lisbona. Come nelle più emozionanti competizioni riservate alle nazionali, sfide dirette, "one shot", al meglio dei 90' con tempi supplementari ed eventuali rigori in caso di persistente parità..

Per una volta l'espressione "sono tutte finali" non apparterrà solamente al mondo della retorica, bensì a quello della realtà nuda e cruda. E se l'Europa League proporrà 4 stadi, a Lisbona - città scelta di buon grado dall'Uefa dopo la rinuncia di Istanbul, sede originaria dell'ultimo atto della coppa - saranno due gli impianti ad ospitare le sette partite totali in programma nel tabellone della cosiddetta "final eight":

lo stadio "Da Luz"

e lo stadio "José Alvalade".

Un percorso tutto d'un fiato, da mercoledì 12 a domenica 23 agosto, per decretare chi entrerà nell'albo d'oro della massima competizione europea riservata ai club come successore del Liverpool, già eliminato dall'Atletico Madrid. Uno sguardo più approfondito ai due impianti in questione.

Da Luz

Letteralmente, lo "Stadio della Luce", che ospiterà - la finalissima del 23 agosto con il Bayern tra le favorite per le scommesse e quote Champions League, una semifinale e i due quarti di finale RB Lipsia-Atletico Madrid e Atalanta-Paris Saint-Germain. E' la casa del Benfica, i cui tifosi sono soliti chiamare "A Catedral", ovvero "La Cattedrale", un riferimento alla sacralità laica delle partite del seguitissimo e storico club biancorosso dell'"Águia Vitória".

Ha già ospitato un atto conclusivo della Champions in tempi recenti, nel 2014: sono gli stessi sostenitori dell'Atletico Madrid a non nutrire un ottimo ricordo di questo stadio, sede del trionfo per 4-1 degli acerrimi rivali del Real all'epoca timonati di Carlo Ancelotti. Quella alzata al cielo di Lisbona 6 anni fa, fu la cosiddetta "Décima" Coppa dei Campioni per i Blancos.

Un epilogo davvero doloroso per la formazione già all'epoca allenata da Diego Pablo SImeone, avanti fino al 92' grazie all'acuto di Diego Godín al 36'. Poi, però, la solita proiezione offensiva di Sergio Ramos al 93' sospese le scommesse online e portò la sfida ai supplementari; nei 30' successivi di extra time, l'impianto difensivo dei Colchoneros crollò sotto i colpi dei vari Bale, Marcelo e, al 120' su calcio di rigore, Cristiano Ronaldo. Simeone non resse, facendosi espellere a fine gara.

Oggi spera di riprendersi quello che la sorte gli sottrasse, quella notte del 24 maggio 2014. L'Estádio da Luz è capiente 66.147 posti e fu costruito per 133 milioni di dollari nel 2003 - seguendo il progetto dell'architetto Damon Lavelle - in vista degli Europei in Portogallo dell'anno successivo. Fu inaugurato il 25 ottobre 2003 e la prima partita disputata (un'amichevole) è stata Benfica-Nacional Montevideo, terminata 2-1 per il club lusitano.

Le gare disputate a Euro 2004 furono, in successione, Russia-Portogallo 0-2, Francia-Inghilterra 2-1, Croazia-Inghilterra 2-4, Inghilterra-Portogallo 2-2 (6-5, dcr) e la finalissima - indimenticabile - Portogallo-Grecia 0-1 con rete ellenica di Angelos Charisteas.  

José Alvalade

Impianto da 50.095 posti ubicato a pochi passi dalla fermata Campo Grande, sulla linea gialla della metropolitana della capitale portoghese. Dalla sua inaugurazione, avvenuta il 6 agosto 2003, ospita le partite casalinghe dello Sporting Lisbona. Fa parte di un complesso denominato "Alvalade XXI" ed è stato progettato dall'architetto Tomás Taveira ed infine intitolato al fondatore del club biancoverde.

Nella sua storia ha ospitato 5 gare del campionato d'Europa 2004 tra le quali la semifinale che ha visto i padroni di casa sconfiggere i Paesi Bassi, oltre alla finale della Coppa UEFA 2004-2005 proprio tra Sporting Lisbona e CSKA Mosca, che vide i russi imporsi per 3-1. Una delle sue principali caratteristiche era la pista di atletica fatta in tartan: prima della posa della pavimentazione con il sintetico, veniva utilizzato per il ciclismo, incluso il Giro del Portogallo.

Ecco, infine, le gare tra nazionali disputate durante Euro 2004: Svezia-Bulgaria 5-0, Spagna-Portogallo 0-1, Germania-Repubblica Ceca 1-2, l'incredibile per le scommesse calcio Francia-Grecia 0-1 con Zidane ed Henry battuti dalla rete di Charisteas e Portogallo-Olanda 2-1.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Armando Franca.

 
August 6, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Gli stadi della Germania che ospiteranno l'Europa League

Sarà dunque la Germania ad ospitare il rush finale dell'Europa League. Esattamente come la Champions a Lisbona o l'NBA a Orlando (in Florida), verrà ricreata una "bolla" - termine molto in uso di questi tempi - in cui giocatori e staff tecnico potranno ovviare agli impegni di calendario senza continui spostamenti internazionali.  In questo sistema, ovviamente, i turni da recuperare saranno "secchi", come in un Mondiale o un Europeo.

Via alla "Final 8", con le 8 squadre qualificate ai Quarti a sfidarsi tutte in Germania. E perché proprio la Germania? Il paese teutonico che, come risaputo, certamente in quanto a impianti sportivi, può dirsi all'avanguardia. Queste le città ospitanti:

Colonia

Duisburg

Gelsenkirchen

Düsseldorf

Sette partite complessive tra quarti, semifinali e finale, che verranno giocate in quattro stadi, sempre senza pubblico. Quali? Andiamo a scoprirlo.

Colonia

RheinEnergieStadion. Costruito nel 1923, fino al 2004 era conosciuto come Müngersdorfer Stadion. Ha ospitato partite degli Europei di calcio del 1988 e, più di recente, dei Mondiali del 2006. Inaugurato 97 anni fa, è da sempre l'impianto interno degli incontri della formazione calcistica dei "Caproni", ma ha ospitato anche - dal 2004 al 2007 - la squadra di football americano dei Cologne Centurions. ù

E' stato interessato da due periodi di ristrutturazione: il primo tra il 1973 e il 1975, il secondo tra il 2002 e il 2004 proprio in previsione della competizione iridata in cui a trionfare furono gli Azzurri. Citare la capienza, parlando di stadi vuoti, diventa pleonastico. Ma, per curiosità, conterebbe 49.698 spettatori.

Il Manchester United, favorito per le scommesse Europa League esordirà in questo impianto il 10 agosto!

Qui, nel tempo, si sono tenuti anche importanti concerti: di Michael Jackson, P!nk, Bruce Springsteen, i Coldplay, Bon Jovi, Rihanna, Beyoncé con Jay-Z. Nel 2006, le partite mondiali disputate sono state Angola-Portogallo 0-1, Ghana-Repubblica Ceca 2-0, Svezia-Inghilterra 2-2, Togo-Francia 0-2 e Svizzera-Ucraina 0-3 (dcr).

Duisburg

Schauinsland-Reisen-Arena. Un tempo conosciuta come MSV-Arena, è l'impianto che (nel suo complesso) ha ospitato gli allenamenti dell'Italia campione del mondo nel 2006. Ha una capienza di 31.500 spettatori, è stato costruito in un anno, tra il 2003 e il 2004 ed è costato 43 milioni. Fu costruito sulla base del vecchio Wedaustadion ed ospita le partite casalinghe del Duisburg. Nel 2005 ha ospitato le partite di football americano nell'ambito dei Giochi mondiali, torneo che è stato vinto dalla nazionale tedesca.

Gelsenkirchen

Veltins-Arena. Sede, dal 2001, delle partite casalinghe dello Schalke 04, che in precedenza giocava nel Parkstadion. E' capiente 61.481 seggiolini. Nato col nome di Arena Auf Schalke, dal 1º luglio 2005 è stato ribattezzato col nuovo nome in seguito alla stipula di un contratto di sponsorizzazione con l'omonima azienda produttrice di birre (la Veltins, per l'appunto). È uno degli stadi più moderni del mondo, ed è stato costruito in previsione dei Mondiali 2006.

La Veltins-Arena!

In questa occasione vennero disputate le partite Polonia-Ecuador 0-2, Stati Uniti-Repubblica Ceca 0-3, Argentina-Serbia e Montenegro 6-0, Portogallo-Messico 2-1 e Inghilterra-Portogallo 0-0 (1-3, dcr). La Veltins-Arena ha ospitato anche la storica finale della Champions League 2003-2004 tra Porto e Monaco col trionfo finale di José Mourinho.

Düsseldorf

Merkur Spiel-Arena. Impianto polifunzionale da 54.600 posti casa del Fortuna Düsseldorf, neoretrocesso in Zweite Bundesliga, che nella stagione appena conclusa l'ha condiviso col KFC Uerdingen il cui stadio, il "Grotenburg", era in ristrutturazione. Erigerlo ex novo - dal 2002 al 2004 - è costato la bellezza di 240 milioni di euro.

L'arena, sorta per sostituire il precedente Rheinstadion, era conosciuta dal 2004 al 2009 come LTU Arena, dal 2009 al 2018 come Esprit Arena e nel 2011, anno in cui divenne sede dell'Eurovision Song Contest, come Düsseldorf Arena. Pur non essendo stato parte dei Mondiali di calcio del 2006, l'impianto ha ospitato numerose competizioni internazionali nel corso della sua storia. Ospiterà la semifinale di lunedì 17 agosto!

La prima, nel febbraio del 2005, fu l'amichevole tra la Germania e l'Argentina, terminata in un pareggio 2–2. Nel 2007 ci fu una seconda amichevole internazionale tra la nazionale tedesca e la Svizzera, che vide quest'ultima battuta 3–1. La terza amichevole vittoria a sorpresa della Norvegia contro i tedeschi per 1–0. L'arena ha ospitato anche due amichevoli del Portogallo oltre a diversi concerti importanti che hanno visto protagonisti Bruce Springsteen, Madonna, Beyoncé e One Direction.

 

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono di Martin Meissner.

August 6, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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