Stevie G, l'idolo della Kop!

È un Liverpool-Blackburn come tanti in Premier League. Poco prima del novantesimo, tra i padroni di casa, il norvegese Vegard Heggem esce dal campo, al suo posto lo speaker annuncia l’ingresso in campo del numero 28: Steven Gerrard. Il calendario dice 29 novembre 1998. Una data che diventerà cruciale per una parte di storia del Liverpool, per tutti i tifosi dei Reds e, naturalmente per lui, Steven Gerrard.

Il ragazzino fa il suo ingresso in campo per la prima volta. Il futuro capitano muove il suo primo passo verso la storia di Liverpool, quasi quanto i Beatles, o forse di più, conoscendo i tifosi del club. “Il suo nome non era nemmeno stampato sul match-program di oggi, molti tifosi si sono domandati chi fosse questo ragazzino “, dirà il telecronista della partita al suo ingresso in campo.

Di lì in poi Anfield Road diventerà il palcoscenico di un amore viscerale celebrato con grandi nozze d’oro come la celebre notte di Istanbul, ma anche con la crisi di coppia del 27 aprile 2014, contro il Chelsea. Ma l’amore vero si sa, supera ogni avversità. 

I numeri della Leggenda!

L'attuale manager dei Rangers diventerà uno dei capitani storici del club. Gerrard è il pezzo più importante della Hall of Fame del Liverpool: il terzo di sempre per presenze (667), il settimo per reti segnate (173). I bookmakers già accettano scommesse su di lui come futuro successore di Klopp!

Ad un certo punto della sua carriera, Alex Ferguson, uno che di giocatori validi ne aveva visti, disse: “È diventato il giocatore più influente del calcio inglese”. 

Fidatevi, Steven è uno di quei giocatori che ha rinnovato la nobiltà del numero 8 nel calcio. 
Parola di chi di numeri 8 se ne intende.  

*L'immagine di apertura è di Alastair Grant (AP Photo). Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

July 17, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Quando gli Dei scendono dall’Olimpo


E venne il giorno in cui il campione fallì. La letteratura sportiva è piena di storie che riguardano errori clamorosi entrati a pieno titolo nell’indelebile memoria degli sportivi. Il primo esempio che salta alla mente - creando un sussulto al cuore - è senza dubbio il rigore sbagliato da Roberto Baggio nella finale dei Mondiali del 1994 contro il Brasile. Prima di lui, Franco Baresi. Ma lo ricordano in pochi.

Resta l’immagine del Divin Codino, con le mani sui fianchi e la testa abbassata, in segno di resa; in un attimo l’eroe invincibile diventa mortale, tradito dal Fato, beffato da qualcosa di irrazionale rispetto alle capacità fin lì dimostrate. E’ un flash, una foto, un istante che si consegna alla storia. Poi il campione di calcio torna campione, quando l’errore è già Storia.

Tutti i tifosi hanno impresso nella propria mente l’episodio che ha reso umano il fuoriclasse preferito, ricordano data e ora, sanno dire esattamente dov’erano e con chi erano al momento del cataclisma. Il milanista Shevchenko, opzione sempre interessante come marcatore per le scommesse serie A, si perse nella notte di Istanbul - nel 2005 - fallendo una finale di Champions League che sembrava già vinta.

Soltanto due anni prima era stato l’ultimo fromboliere a colpire la porta della Juventus nell’altra finale di Manchester, dove i tifosi bianconeri piansero lacrime amare per gli errori dal dischetto dei propri beniamini, primo fra tutti David Trezeguet, capace tre anni dopo di deludere l’intera Francia, regalando con il suo errore il quarto titolo Mondiale alla Nazionale Italiana.

Roma-Liverpool non si è mai giocata. Il mantra del tifoso medio della Roma è sempre lo stesso da oltre 35 anni. Quella del 30 maggio fu una notte in cui il sogno e l’incubo si tennero per mano, almeno fin quando Alan Kennedy non realizzò il rigore decisivo della finale della Coppa dei Campioni. La Roma giallorossa si era vestita a festa, forte della convinzione che l’opportunità di ospitare la finalissima le avrebbe dato anche il diritto di alzare la coppa.

Al momento della chiamata alle armi, il Divino Falcao passò la mano, sul dischetto andarono Conti e Graziani, due campioni del mondo che furono stregati dal portiere Grobbelaar. Il popolo perdonò Conti e Graziani, non Falcao, il cui mito iniziò a sbriciolarsi quella sera.

Storie di rigori

Un altro poema epico venne scritto - qualche anno prima - dal fantasista bresciano Evaristo Beccalossi, per tutti il Bek. E’ il numero dieci dell’Inter, ha vinto lo scudetto con Bersellini e rappresenta il nuovo che avanza; Beccalossi è croce e delizia dei tifosi nerazzurri, è capace di giocate risolutive, ma anche di prestazioni abuliche; quella contro lo Slogan Bratislava, in Coppa delle Coppe, appartiene senz’altro alla seconda categoria: il risultato è di zero a zero, l’arbitro assegna il rigore.

Sul dischetto va Beccalossi, prova a piazzare il suo mancino, e calcia fuori. Passano quindici minuti, l’arbitro indica ancora il dischetto. Si presenta ancora Beccalossi, il portiere respinge il tiro, poi intercetta l’ennesimo tentativo: non è serata.

Il rigore solitamente racchiude il momento più intenso di una partita, è una sorta di mezzogiorno di fuoco, dove l’attaccante ha il fucile e il portiere soltanto una pistola. «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto».

Ma non sempre. Per informazioni chiedere allo storico capitano del Chelsea John Terry o a Philippe Bergerôo, portiere del Tolosa chiamato a fermare Diego Maradona. In palio c’è la qualificazione agli ottavi della Coppa Uefa, il fuoriclasse argentino - fresco campione del mondo - prende la rincorsa, arma il suo sinistro e colpisce il palo. Napoli eliminato. Maradona saprà farsi perdonare, a fine anno arriverà il primo - storico - scudetto.

L’argentino che riuscì fare meglio - si fa per dire - fu Martin Palermo, nella Coppa America del 1999; calcia tre rigori contro la Colombia, e li fallisce tutti!

Terry a Mosca contro lo United!

Ma non sono soltanto i rigori a condannare gli eroi con gli scarpini ai piedi; nella finale degli Europei del 2000, l’Italia allenata da Zoff passa in vantaggio contro la Francia, poi ha l’occasione per raddoppiare: capita sui piedi del miglior giocatore azzurro, dell’uomo simbolo, Alex Del Piero. Il talento juventino vola verso la porta francese, entra in area, poi calcia di sinistro fallendo clamorosamente il bersaglio: nonostante per le scommesse sportive, la quota della vittoria degli Azzurri sia ormai bassa, è l’inizio della fine e ci condannerà il Golden Gol.

Altro Europeo, altro errore: basta riavvolgere il nastro di quattro anni. L’Italia si gioca la partita decisiva del girone contro la Germania, Casiraghi conquista il rigore, Zola dal dischetto passa il pallone al portiere Köpke. Ma a sbagliare non sono soltanto gli attaccanti, capita anche ai portieri di passare all’altare alla polvere in un battito d’ali.

E’ il caso di Luis Arconada, leggendario capitano della nazionale spagnola; sono passati 24 anni dall’unico titolo Europeo, la Spagna è nuovamente in finale. C’è la Francia, e c’è Platini che calcia una punizione dal limite: il tiro non è irresistibile, ma passa sotto la pancia del portiere prima di finire lentamente in rete.

Il quarto di finale in Messico

La caduta degli Dei coinvolge in prima persona il fuoriclasse francese che - nell’estate del 1986 - si gioca il passaggio alle semifinali del Mondiale messicano contro il Brasile. Ma prima di vedere all’opera il talento juventino di origini italiane, c’è un altro eroe che cade nella polvere. Si chiama Arthur Antunes Coimbra, per tutto il mondo è Zico. Il campione brasiliano non sta bene, e parte dalla panchina. Entra a venti minuti dal termine, e dopo una manciata di secondi ha la possibilità di chiudere il discorso qualificazione. Si presenta sul dischetto, ma si fa parare il rigore da Bats.

Si va ai supplementari, e poi ai rigori. Zico segna il proprio, Platini lo sbaglia, ma la Francia si qualifica ugualmente.

Messico e nuvole, quelle che per un giorno oscurarono gli Dei Dell’Olimpo calcistico.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Jon Super e Sergey Ponomarev.

July 15, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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I portieri inglesi: eroi o villani?

Il calcio è quello sport in cui, nel momento stesso in cui si pensa di aver formulato una teoria inconfutabile su questo o quell'argomento, succede qualcosa che spazza via ogni tipo di certezze. Prendete, ad esempio, la nazionale Inglese di metà Novecento: dopo il Mondiale casalingo vinto 4-2 sulla Germania (in cui uno dei pilastri era il difensore Jack Charlton, recentemente scomparso) nel 1966, si pensò che - finalmente - i padri fondatori del calcio si fossero ufficialmente ripresi (per sempre) la propria creatura.

Tuttavia, esattamente 24 anni dopo, a seguito dell'eliminazione ai rigori avvenuta proprio per mano dei tedeschi dell'ovest a Italia '90, il centravanti Gary Lineker pronunciò il fatidico aforisma "Il calcio è un gioco che si gioca in 11 contro 11 e alla fine vince sempre la Germania". Quella Coppa del Mondo alzata sotto l'arco di Wembley rimane l'unica per i sudditi della Regina Elisabetta, che ai tempi si erano pure convinti di avere per le mani la più grande scuola di portieri al mondo.

Come dar loro torto con Gordon Banks tra i pali? Tuttavia, anche qui, dopo "Banks of England", il piano iniziò a inclinarsi dalla parte sbagliata e, ancora oggi, l'estremo difensore della nazionale dei Tre Leoni rappresenta il primo dei tasti dolenti. 

Shilton tra i più amati

A inaugurare la mediocre tradizione "post Banks" fu il suo diretto successore Peter Shilton il quale, seppur amatissimo in patria, fu il primo protagonista della mancata qualificazione dell'Inghilterra ai Mondiali del 1974 (organizzati, anche qui, in Germania Ovest). Nel match decisivo disputato contro la Polonia il 17 ottobre 1973 proprio a Wembley, teatro del trionfo iridato appena 7 anni prima, Shilton si fece passare sotto il braccio sinistra il rasoterra certo non irresistibile dell'attaccante avversario Jan Domarski.

Il portiere polacco, invece, Jan Tomaszewski, nonostante un infortunio alla mano rimediato a inizio partita, con tuffi poco ortodossi (da "acrobata circense", come lo definirono i media inglesi) parò praticamente di tutto, tranne il rigore del pareggio di Clarke. Risultato, 1-1 e Inghilterra clamorosamente fuori dai Mondiali. Per Shilton alla 15esima presenza con la maglia di Sua Maestà (poi due volte campione d'Europa col Nottingham Forest di Brian Clough), sembrava destinato a interrompere la sua esperienza con la Nazionale.

Ne diventò, invece, il recordman di presenze (125) protraendosi sino a Italia '90, per poi ritirarsi a 48 anni con il Leyton Orient, in cui - con 1005 presenze in campionati professionistici - passò nella storia del Guinness dei Primati come portiere più longevo "all time". Mai come nel suo caso, si ripresenta d'obbligo il quesito shakespeariano sui portieri inglesi: eroi o villani?
 

Seaman e gli errori di posizione

Quel grave errore del '73 fu, di fatto, l'unica "macchia" della carriera di Shilton ("il punto più basso della mia carriera" come lui stesso lo definì), la cui carriera proseguì all'insegna della costanza di rendimento. Non si può dire lo stesso del suo immediato successore, David Seaman, storico estremo difensore dell'Arsenal. La porta dei Gunners venne malamente profanata in sua presenza.

Un'immagine, su tutte: quel gol, già raccontato su questo blog, praticamente da centrocampo di Nayim che, il 10 maggio 1995, consegnò la Coppa delle Coppe al Saragozza di Juan Esnaider. Seaman che, sette anni dopo, al "Shizuoka Stadium", cadde nel medesimo errore di posizionamento sulla punizione di Ronaldinho, che da posizione siderale insaccò sotto l'incrocio dei pali nel match iridato tra Brasile e Inghilterra, con gli inglesi lanciatissimi fino a quel momento anche per le scommesse calcio su 888sport.

Seaman contro il Brasile!
 

Robinson e la maledizione infinita

Capita l'antifona, già negli anni '90 le formazioni di Premier League iniziavano ad affidarsi ai più affidabili portieri stranieri. Nel frattempo, quelli originari della Perfida Albione, continuavano a fare danni.

L'equilibrio sembrava tornato con Paul Robinson, capace di mantenere inviolata la porta dei Tre Leoni per 3 delle 5 partite  disputate al Mondiale 2006. Poi, però, un paio di mesi dopo, l'11 ottobre, in un match di qualificazione a Euro 2008, definì il 2-0 per i padroni di casa della Croazia, mancando clamorosamente lo stop di piatto sull'innocuo retropassaggio di Gary Neville. Robinson se la prese con una "zolla maledetta" entrando anch'egli nel novero dei portieri-calamità, proprio come James

David James, ad esempio, si guadagnò l'appellativo di "Calamity James" per le sue bravate tra i legni, così come in fase di uscita. James, si alternò (con altrettanto insuccesso) a Robert Green ai Mondiali 2010: tutto questo dopo che Green si fece clamorosamente scappare un tiro senza pretese dello statunitense Dempsey nella partita d'esordio alla kermesse iridata, sul risultato di 1-0 per la nazionale allora allenata da Fabio Capello.


C'era invece Joe Hart, il 15 novembre 2012, nell'amichevole tra Svezia e Inghilterra, terminata 4-2 per gli scandinavi grazie a un poker di reti realizzate (tutte) da un incommensurabile Zlatan Ibrahimovic.

L'attuale attaccante del Milan, al 90', si approfittò di una maldestra uscita di testa dell'ex Toro, per esibirsi in quella spettacolare rovesciata acrobatica da fuori area, così ripetutamente passata dalle emittenti televisive.

Da qui, per Joe Hart (irriso dal maestro Andrea Pirlo col "cucchiaio" nella vittoria ai penalty degli Azzurri contro gli inglesi a Euro 2012, perché "sogghignava ai rigoristi italiani"), iniziò una parabola discendente fatta di catastrofi, alternatasi sempre più spesso alle prestazioni dignitose. Oggi, l'estremo difensore di Shrewsbury, passato anche per il Toro, è svincolato dopo essere stato a lungo "dimenticato" in panchina al Burnley.
 

Ce la farà Pickford?

E, tutt'oggi, la nazionale inglese continua a non raccogliere i dividendi desiderati tra i pali. I protagonisti continuano ad alternarsi ed oggi e il turno del portiere dell'Everton Jordan Pickford, attualmente senza biasimi. Riuscirà il toffeeman a vincere la maledizione che perdura dal 1973 ed a difendere con attenzione la porta dell'Inghilterra tra le favorite per le scommesse di Euro 2020?

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Michael Sohn e David Guttenfelder.

July 15, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Chi vuol essere un coach: le strade per allenare in NBA!

Come si può diventare coach nella lega più competitiva e spettacolare del Mondo? La NBA è, senza dubbio, il marchio più riconoscibile del basket a livello globale. Tutti i ragazzi sognano prima o poi di sbarcare in NBA, dove li attendono la fama, il successo e contratti multimilionari. Non solo, li attendono anche staff tecnici molto strutturati che accompagnano il lavoro del capo allenatore.

Come si fa però a diventare head coach in NBA? Non esiste una strada unica, così come accade anche nel mondo del calcio. C’è chi fa la gavetta nei campi minori come Maurizio Sarri, chi emerge dai settori giovanili come Simone Inzaghi o chi, come Mourinho, prima di diventare un vincente seriale in tutte le competizioni per le scommesse calcio, inizia la sua carriera da assistente per poi arrivare sul tetto d’Europa. 

L'esperto di... video

È l’incredibile parabola di Erik Spoelstra. Il coach dei Miami Heat, uno dei più longevi in NBA visto che è in carica dal 2008, ha in realtà iniziato la sua carriera con la franchigia della Florida addirittura nel 1997. All’inizio Spoelstra era il coordinatore video degli Heat, ovvero si occupava di procurare e preparare le immagini video per le analisi pre/post partita da presentare ai giocatori.

Nel ’99 è diventato assistente allenatore con compiti di scouting e nel 2001 è stato nominato direttore dell’area scouting ed assistente allenatore sempre a Miami. Ruolo che ha ricoperto fino al 2008, quando Pat Riley ha deciso di affidare a Spoelstra la panchina degli Heat prima dell’arrivo dei Big Three, dei due anelli nel 2012 e 2013 e del titolo di Coach of the Year vinto nel 2017.

Carriera molto simile per l’attuale head coach dei Philadelphia 76ers, Brett Brown. Dopo un’avventura di quasi 15 anni in Australia, arriva nel 2002 la chiamata dei San Antonio Spurs che lo nominano come responsabile dello sviluppo dei giocatori nel roster dei texani. Il suo ottimo lavoro lo ha portato poi, nel 2007, a diventare un assistente di coach Popovich, prima della chiamata dei Sixers nel 2013.

Brett Brown indica il prossimo schema alla guardia Ben Simmons!

A Philadelphia, Brett Brown ha ottenuto due qualificazioni ai Playoff con altrettante eliminazioni al secondo turno, per mano dei Celtics nel 2018 e per mano dei Raptors campioni NBA la scorsa stagione. Proprio quella Toronto guidata da un altro coach che ha fatto tanta gavetta per diventare capo allenatore in NBA, ovvero Nick Nurse. Dopo quindici anni da capo allenatore in Europa tra Regno Unito e Belgio, nel 2007 l’attuale coach dei Raptors decide di tornare in America per allenare in G-League, la lega di sviluppo americana.

Prima quattro anni in Iowa, poi altre due stagioni in Texas sulla panchina dei Rio Grande Valley Vipers prima dell’arrivo nel 2013 a Toronto, da assistente di Dwane Casey per ben cinque stagioni. Fino all’estate del 2018, quando il GM dei Raptors Bobby Webster decide di licenziare Casey affidando la panchina a Nurse, che riuscirà a vincere il titolo, da outsider per le scommesse, nella sua prima stagione in NBA. 

Dal college e dalla tv

Si può arrivare anche in altri modi in NBA. È quasi paradossale il percorso di Steve Kerr, ex compagno di Michael Jordan ai Chicago Bulls. L’ex guardia dopo il suo ritiro decise di diventare GM, guidando i Suns dal 2004 al 2010 ottenendo buonissimi risultati senza mai però arrivare alla Finals. Dopo quattro anni come analista per la tv americana, arriva la chiamata dei Golden State Warriors, ma stavolta non per il ruolo di General Manager ma per guidare la squadra dalla panchina.

Quella decisione ha portato i Warriors a vincere tre titoli e lo stesso Kerr ad essere nominato Coach of the Year nel 2016. Molti coach giovani sono però arrivati negli ultimi anni in NBA dopo diverse esperienze nella NCAA. È il caso di Brad Stevens, sulla panchina dei Celtics dal 2013 e testa in campo di Ainge, dopo ben dodici anni passati a Butler (sei da assistente, sei da capo allenatore con due Final Four conquistate nel 2010 e nel 2011).

Discorso simile anche per Billy Donovan, che dopo vent’anni da capo allenatore dei Florida Gators conditi da due titoli NCAA ha deciso di accettare l’offerta dei Thunder e diventare head coach ad Oklahoma City

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Nick Wass e Lynne Sladky.

July 15, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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14 edizioni internazionali per Runner's World!

Dopo aver concentrato nel primo articolo l'elenco delle riviste prettamente calcistiche, spostiamoci sulle pubblicazioni dedicate ad altri sport, che, logicamente, avranno tra i lettori una percentuale considerevole di appassionati praticanti delle relative discipline!

Golf Magazine

La prima rivista dedicata al golf a raggiungere un milione di copie di tiratura. Una vero e proprio "libro sacro" per gli appassionati della disciplina di Tiger Woods. Nata nel 1959, copre tutti gli eventi della stagione golfistica e fa da guida, negli Stati Uniti, nella classificazione dei migliori Golf Club da New York a Los Angeles.


Tennis

Nella classifica delle migliori (e più apprezzate) riviste al mondo, non può mancare "Tennis". La prima edizione della rivista fu pubblicata il 16 agosto 1954. Attualmente pubblica 8 numeri all'anno e copre vari eventi di tennis in tutto il mondo. Fu acquistata dalla New York Times Company nel 1967 e, fino al 1997, fu responsabile delle sue pubblicazioni.

In tutto il mondo, la rivista di tennis vanta un tiratura di 603.069 copie al mese. Il magazine non solo pubblica vari eventi di tennis, ma anche le classifiche WTA e ATP ed il programma di tutti i vari tornei di tennis. Curiosità: una leggenda di questo sport come Pete Sampras è uno dei proprietari della rivista e, attualmente, funge consulente speciale.

Runner's World

La corsa - o jogging o footing - su strada è sempre stata popolare negli States. Negli ultimi 10 anni ha spopolato anche in Italia e in tutto il Vecchio Continente. Il primo numero del mondo di "Runner" fu pubblicato nel 1966 da Bob Anderson. Inizialmente, la rivista era chiamata "Distance Running News" e nel 1969 ha assunto la denominazione 'Runner's World'.

Attualmente, la rivista è pubblicata da Rodale Press, che ha sede in Pennsylvania, ma già dai primi anni Novanta è diventata "globale" grazie alla collaborazione della Hearst Corporation: sono ben 14 edizioni internazionali oltre all'edizione statunitense che copre principalmente fitness, salute, corsa e maratone. Con un'incredibile tiratura mensile di 710.618 copie in tutto il mondo (anche in Italia), Runner's World è una delle riviste sportive più popolari al mondo.
 

SLAM

Rivista di riferimento orientata sul Basket Nba e, in generale, su tutta la pallacanestro a stelle e strisce e globale. Uscito per la prima volta in edicola nel 1994, con una linea editoriale che mescolava sport accostabili alla cultura musicale hip hop, oggi vengono pubblicati 10 numeri all'anno. In copertina, quasi sempre, una stella della NBA alla quale, all'interno, viene dedica un'intervista, un focus stagionale e statistiche a volontà. Tutto ciò che, insomma, può far gola agli appassionati.

Baseball Digest

Rivista di antichissima tradizione negli Stati Uniti. Edita dal 1942 in Illinois, esce una volta ogni due mesi. Magazine famoso per gli accurati approfondimenti sulla Major League Baseball. Inoltre, vengono pubblicate statistiche (introvabili su altri media) di pitching, battuta e fielding di stelle dello sport più amato in USA, anche per 888sports.

Possiede anche una rubrica seguitissima, ovvero "i fan parlano", una serie di lettere contenenti le più svariate considerazioni di appassionati e lettori.

Sports Illustrated

L'eccellenza assoluta di lettura. Attiva dal 16 agosto 1954, è diventata la prima rivista sportiva a 360 gradi della storia. Molto popolare, viene letta da quasi 23 milioni di persone ogni settimana. Sports Illustrated ha vinto due volte il National Magazine Award e possiede anche una versione dedicata a bambini e ragazzi.

Il lato più affascinante di questa rivista è l'edizione "Sports Illustrated Swimsuit", che contiene principalmente servizi fotografici di modelle, generalmente di grande fama, che posano in location esotiche e indossano costumi da bagno di alta moda. Il numero di "Swimsuit" fu pubblicato per la prima volta nel 1964. Sports Illustrated, infine, propone inoltre un proprio evento editoriale annuale, un calendario, un canale video e spettacoli televisivi.

*La foto di apertura dell'articolo è di Neal Hamberg (AP Photo).

July 13, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Il basket tricolore rallenta la crescita!

Anche il mondo del basket corre ai ripari dopo aver subito, come tanti altri sport (a partire dal calcio) una serie di contraccolpi per la sospensione. Uno studio commissionato a Deloitte (società di consulenza strategica), ha previsto, per lo stop forzoso del campionato, una decrescita economica compresa tra i 38 ed i 40 milioni di euro, a fronte di un fatturato di 110 milioni annui.

Il 60% del budget stagionale della pallacanestro è coperto dagli introiti commerciali (sponsorizzazioni), seguono la biglietteria (35%) e i diritti televisivi (5%). Più in generale, i proventi commerciali della Lega Basket Serie A (LBA) hanno fatto registrare una crescita costante nell’ultimo triennio: 2017-2018: +49% - 2018-2019: +40% - 2019-2020: +3% (una percentuale, quest’ultima, naturalmente molto più bassa a causa della sospensione).

Anche in questo caso, come già sottolineato nell’analisi dedicata al volley, ci troviamo di fronte ad una “piramide” rovesciata rispetto al calcio (dove i diritti tv pesano per oltre il 50%). 

Ritorni positivi per i partner

Ancora più interessanti i dati del cosiddetto “media value” (ovvero la valorizzazione degli spazi espositivi adv sulla base dei prezzi di listino dei diversi “media” utilizzati). La dimensione generata per i “partner” LBA, nella stagione in corso (dati Nielsen Sports), è il frutto di una strategia vincente sviluppata proprio negli ultimi anni. La stagione regolare, ad esempio, si è fermata ad un significativo +27%, la Coppa Italia a +17% e la SuperCoppa infine ad un più che positivo +105%. 

I dati della crescita della LBA

Ma vediamo insieme i dati più interessanti legati al massimo campionato di basket tricolore. Sempre secondo Nielsen Sports gli interessati al prodotto basket sono ben 17,1 milioni. Se ci si focalizza poi solo sulla “prima divisione” (LBA) è un bacino stimato in 12 milioni di unità, anche grazie alle prestazioni delle due squadre di Bologna, Basket City nazionale: nelle 20 partite di regular season disputate, i ragazzi di Djordjevic ne hanno vinte ben 18, un numero clamoroso per le scommesse basket!
 

Gli spettatori medi a partita (per quanto riguarda il girone d’andata) sono stati 4.273 (+7.23%), mentre la Coppa Italia e la SuperCoppa (entrambi eventi a marchio “LBA”) hanno totalizzato rispettivamente 32mila e 9mila presenze. 

Audience in crescita 

I numeri più significativi sono quelli collegati all’audience tv (sempre secondo un report Nielsen). A livello “cumulato” la Serie A ha raggiunto 6.041.000 contatti (+22%) su Rai + Eurosport 2 + Eurosport Player (*dati fino all’interruzione del campionato). Più ridotti, ma sempre interessanti, i viewers di Coppa Italia (1.081.000/+30% rispetto appena ad un anno fa), su Rai, Eurosport 2, Eurosport Player e SuperCoppa (126.292/+38%).

 
Anche sui social network è in forte crescita l’attenzione per il prodotto basket: Instagram: 103mila (+28%); Facebook 100mila (+12%) e su Twitter: 50.800 (+7%), con un “engagement rate” (letteralmente “tasso di coinvolgimento generato”) pari al 2,67% su Instagram e allo 0,31% su Facebook. Con 2.251.023 di impressions nel “LBA Best Week” e un engagement rate su Instagram pari al 3.45% (+30%). 

La sfida “futura” della LBA

La ripartenza della stagione sportiva sarà la “cartina di tornasole” per valutare lo stato di salute del prodotto basket. Le proprietà dei club saranno chiamate ad iniezioni di denaro per supportare le attività future in quello che si preannuncia come un campionato molto complesso per l’intero movimento nazionale.

Sarà difficile, infatti, senza pubblico sugli spalti, confermare un volume d’affari vicino ai 110 milioni di euro su base stagionale.  

*Il testo dell'articolo è stato curato da Marcel Vulpis, direttore di SportEconomy; l'immagine di apertura è di Antonio Calanni (AP Photo).

July 13, 2020
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La numero 8 Azzurra!

Non è un caso, calcisticamente parlando, che il numero 8, se girato, si trasformi nell’infinito. Infinite sono infatti le qualità che deve avere chi, nella numerazione classica, si prende quella maglia. Il centrocampista centrale, un po’ interditore, un po’ regista, un po’ goleador, parecchio tuttocampista.

L'8 con la vecchia numerazione

I numeri ad USA 1994

Antonio Conte, numero 8

Gattuso: il legittimo proprietario

Marchisio, degno erede della 8

Tonali e Frattesi gli 8 del futuro

Ci sono 8 più talentuosi, come Don Andres Iniesta e Hristo Stoichkov, altri vecchio stile, come Gerrard. E poi… ci sono i numeri 8 della nazionale italiana!

Calciatori che non sempre hanno rappresentato, come caratteristiche, il numero che hanno indossato, ma che a modo loro hanno scritto la storia azzurra tra Mondiali ed Europei proprio con quella maglia.

L'8 con la vecchia numerazione

Il problema… di ruolo nasce dalla decisione di utilizzare criteri molto particolari nell’assegnazione dei numeri di maglia negli appuntamenti internazionali.

Per non fare torto a nessuno, esclusi i portieri (1, 12 e 22 o 23), si utilizza a lungo un metodo incontestabile: l’ordine alfabetico. A creare un po’ di confusione, però, c’è anche la scelta di ordinare i giocatori nelle liste per reparto.

Mussi nel 1996

Non è quindi un caso che fino alla fine del ventesimo secolo i numeri 8 della nazionale italiana siano dei difensori.

Considerando che solitamente le convocazioni per i grandi tornei prevedevano 3 portieri, 7 calciatori nel reparto arretrato, altrettanti a centrocampo e 5 in attacco, la matematica vuole che a beccarsi la numero 8 fosse quasi sempre l’ultimo della lista alfabetica dei difensori.

Ecco perché nel vittorioso mondiale del 1982 il numero 8 dell’Italia di Bearzot è lo Zar Pietro Vierchowod. Il difensore, che all’epoca aveva appena giocato un’ottima stagione con la Fiorentina, lo eredita dal compagno di reparto Scirea, che stavolta non è l’ultimo dell’elenco e diventa Campione del Mondo numero 7.

Anche nell’edizione 1986 il numero 8 tocca allo Zar, che nel frattempo ha vinto uno Scudetto con la Roma ed è già diventato una colonna insostituibile alla Sampdoria. Vierchowod si permette anche un tris a Italia ’90, prima di lasciare quella maglia a qualcun altro.

Per qualche anno, però, Vierchowod non viene convocato in nazionale, quindi l’Europeo 1988 fa eccezione.

Nella giovane e divertente squadra di Vicini che arriva sino alla semifinale, i convocati sono 20 invece che 22, ma alla legge dei numeri non si sfugge. Stavolta l’ultimo difensore in ordine alfabetico è Paolo Maldini, che rinuncia al suo classico 3, finito sulle spalle dello Zio Bergomi.

I numeri ad USA 1994

A USA ’94 Paolino ha il 5, solo a Baresi e Baggio viene concessa la facoltà di indossare il numero preferito e l’8 spetta a un altro difensore che sarà più che utile nel corso della caldissima manifestazione.

Sacchi fa uno strappo a una regola non scritta e ne convoca ben otto. Dunque il numero 8 negli Stati Uniti non è Tassotti, che gioca il mondiale… da numero 9, bensì Roberto Mussi, pupillo del tecnico di Fusignano sin dai tempi del Parma ed uomo assist per il gol del pari di Baggio alla Nigeria.

Il difensore classe 1963 mantiene la maglia anche a Euro ’96, per poi cederla, ai Mondiali del 1998, a un altro terzino della squadra di Maldini (Cesare), Moreno Torricelli.

Gli undici Azzurri in campo ai Mondiali!

 

Antonio Conte, numero 8

Ci vuole Euro 2000 per vedere…un vero numero 8 con la maglia della nazionale. Dopo aver fatto alcune eccezioni nei tornei precedenti (come Maldini con la 3 e Del Piero con la 10 in Francia), la FIGC opta per la scelta libera dei numeri di maglia per l’Europeo in Belgio e Olanda.

La numero 8 finisce così sulle spalle di Antonio Conte e l’attuale tecnico dell’Inter la inaugura benissimo, segnando contro la Turchia il primo gol della cavalcata degli azzurri, che arriverà a un passo dalla gloria, prima del pareggio di Wiltord e del Golden Goal, praticamente unico della storia delle scommesse, di Trezeguet nella finalissima di Rotterdam contro la Francia.

Gattuso: il legittimo proprietario

Nel 2002 poi si prende la maglia quello che è il numero 8 per eccellenza del nuovo millennio, almeno per ciò che riguarda l’Italia.

In Corea e Giappone Rino Gattuso indossa nel suo primo grande appuntamento internazionale il numero che porterà fino ai mondiali del 2010. Ringhio è il numero 8 di Trapattoni anche a Euro 2004 ed è proprio quella maglia che indossa nella notte di Berlino quando gli azzurri vincono i mondiali nel 2006.

Gattuso in azione durante i Mondiali del 2010!

La storia d’amore di Gattuso con il “suo” numero continua anche a Euro 2008 con Donadoni, nella Confederations Cup 2009 e nella pessima avventura dei Mondiali in Sudafrica nel 2010 ancora con Lippi. Per l’attuale allenatore del Napoli, ben 73 presenze con la nazionale italiana, la maggior parte delle quali arrivate da numero 8.

Marchisio, degno erede della 8

Anche un calciatore indistruttibile come Ringhio, però, non è eterno e dopo la pessima spedizione degli Azzurri in Sudafrica la carriera in Nazionale di Gattuso ha fine.

La sua maglia la eredita, come da soprannome, un Principino. A indossare la numero 8 negli anni successivi è Claudio Marchisio.

Claudio Marchisio, centrocampista sublime!

Il centrocampista della Juventus è tra i protagonisti dell’Italia di di Cesare Prandelli che nel 2012 arriva a giocarsi la finale europea contro la Spagna.

Marchisio mantiene la numero 8 anche nella Confederations Cup del 2013 e nella clamorosa eliminazione per le scommesse calcio ai Mondiali 2014 in Brasile. Probabilmente la indosserebbe anche a Euro 2016, quando il CT della nazionale è il suo mentore Antonio Conte, ma un grave infortunio qualche mese prima del calcio d’inizio lo costringe a dare forfait.

La numero 8 azzurra passa quindi ad Alessandro Florenzi, che gioca titolare come esterno di destra nel 3-5-2 del tecnico leccese. L’ex capitano della Roma, però, a differenza dei suoi predecessori nel nuovo millennio, non è un centrocampista centrale.

Dopo l’esperienza più che positiva di Jorginho agli Europei, la maglia numero 8 è finita sulle spalle di Sandro Tonali. 

Tonali e Frattesi gli 8 del futuro

Il centrocampista classe 2000 del Milan, che veste quella casacca anche in rossonero, è una delle sorprese più liete del vivaio azzurro degli ultimi anni e ha fatto un po’ di necessaria gavetta, sia nei club che in nazionale, visto che è stato convocato da Mancini quando era ancora in B con il Brescia, ma non è stato poi inserito nella lista per la campagna europea vincente dell’estate 2021. 

Tonali contro la Germania

Tonali però ha superato la delusione e ha dimostrato, guidando il Diavolo allo Scudetto 2021/22, di potersi anche mettere alla prova sui palcoscenici più importanti, prendendosi quindi il suo posto all’interno della rosa azzurra. 

Un altro che per ruolo e tipologia di calciatore è candidato alla numero 8 azzurra è Davide Frattesi, centrocampista (anzi, tuttocampista) del Sassuolo. Più vecchio di un anno di Tonali, il classe 1999 si è preso la mediana neroverde ed è finito nel mirino dei più importanti club della Serie A, oltre che nella lista di Mancini. 

Per lui è arrivato l’esordio nei match validi per la Nations League 2022/23, con tanto di prima presenza da titolare contro l’Inghilterra.

Vista la storia dei numeri 8 azzurri, però, non c’è poi molto da sorprendersi…

*Tutte le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 13 luglio 2020.

March 23, 2023
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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La guida alla Final Eight di Europa League

Tutti contro il Manchester United, questo potrebbe essere il tema dell’Europa League. Dopo il sorteggio di Nyon  i Red Devils sembrano ancor più favoriti per la vittoria finale. Dopo lo 0-5 in Austria contro il Lask Link, la squadra di Solskjaer dovrà solamente legittimare il passaggio ai quarti di finale d’Europa League ad Old Trafford. Poi partirà verso la Germania dove cercherà il secondo successo nelle ultime quattro edizioni, dopo il trionfo del 2017 contro l’Ajax in finale.

I Red Devils sono una delle squadre più in forma d’Inghilterra e sono ancora in gara in di FA Cup, dopo il successo di Norwich. Guidati da uno straordinario Bruno Fernandes, nominato giocatore del mese in Premier, gli uomini di Solskjaer punteranno a vincere l’Europa League e il cammino non sembra complesso. Dopo il ritorno contro il Lask Linz ad Old Trafford, lo United dovrà affrontare in quarti di finale la vincente Copenhagen-Istanbul Basaksehir, con i turchi reduci dalla vittoria per 1-0 in casa all’andata.

Il cammino della Roma

Il Manchester United potrebbe incontrare in semifinale la Roma, ma il cammino per gli uomini di Fonseca sarà molto duro. Prima dovranno eliminare, in gara secca in campo neutro, il Siviglia negli ottavi di finale, con gli andalusi che non hanno mai perso da quando si è tornati a giocare. Quattro vittorie e altrettanti pareggi nelle otto sfide di Liga, compreso il 2-2 casalingo contro il Barcellona che ha dato il via alla crisi dei blaugrana.

Un ottavo di finale già complesso per i giallorossi, che poi in quarti di finale rischiano di vedersela con il Wolverhampton. La squadra di Nuno Espirito Santo è stata la rivelazione di questa Premier League insieme allo Sheffield. I Wolves erano in lotta anche per un posto in Champions, poi le due sconfitte consecutive contro Arsenal e Sheffield hanno ridimensionato le ambizioni europee della “colonia portoghese” in Inghilterra.

Gli inglesi dovranno difendere l’uno a uno ottenuto nell’andata degli ottavi di finale ad Atene contro l’Olympiakos prima di pensare ai quarti di finale: in Germania potrebbero rappresentare un'opzione affascinante per le scommesse sportive!

Un’altra sfida davvero complessa per i giallorossi, vista la grande solidità del Wolverhampton e la pericolosità offensiva con il trio composto da Jota, Adama Traoré e Raul Jimenez, quest’ultimo autore di 24 reti e 10 assist in 49 presenze stagionali.

Le ambizioni dell'Inter

Il momento difficile che sta vivendo l’Inter in Serie A porta i nerazzurri a puntare con forza sull’Europa League. Vincere, o quantomeno arrivare fino in fondo in Europa darebbe tutt’altro sapore alla stagione degli uomini di Conte. L’Inter sperava di poter lottare fino al termine del campionato con la Juve, invece rischia di terminare al quarto posto ed è reduce da due brutti stop con Bologna e Verona. Nonostante questo i nerazzurri partiranno da favoriti per le scommesse calcio contro il Getafe negli ottavi di finale, seppur la squadra spagnola sarà un avversario ostico.

Lautaro tenta la girata aerea vincente contro la Roma!

Attualmente sesti in classifica in Liga, gli uomini di José Bordalas portano in campo le idee del proprio tecnico. Fisicità, gioco duro e tanta voglia di far sudare ogni partita agli avversari. Quella che era una delle migliori difese di Spagna ha mostrato qualche lacuna di troppo nelle ultime settimane, come dimostrato nell’ultimo match perso 3-1 in casa contro il Villarreal. Manca forse del talento, ma come fatto con il Real il Getafe darà del filo da torcere ai nerazzurri.

Ai quarti di finale quasi sicuro lo scontro con il Leverkusen, che dovrà blindare il 3-1 dell’andata ottenuto a Glasgow contro i Rangers di Steven Gerrard. Qualità offensive, un Kai Havertz sempre più protagonista ma anche una fase difensiva decisamente poco solida sono le caratteristiche della squadra di Peter Bosz. In caso di passaggio del turno in semifinale, l’Inter se la dovrebbe vedere con la vincente dell’ultimo quarto di tabellone.

Da una parte dovrebbe passare ai quarti il Basilea, forte del 3-0 dell’andata in casa dell’Eintracht Francoforte. Dall’altra parte favorito lo Shakhtar dopo la vittoria per 2-1 sul campo del Wolfsburg.

*Le immagini dell'articolo sono di Luca Bruno (AP Photo).

July 11, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Francescoli, più Re che Principe!

Nell’estate 1990 Cagliari si ritrova al centro delle cronache sportive mondiali. C’è la Coppa del Mondo in Italia e in Sardegna gioca l’Inghilterra. I tifosi di Sua Maestà sono liberi di tornare a tifare in giro per l’Europa dopo cinque anni di stop dovuti all’Heysel.

Tempo poche settimane, però, Cagliari deve far fronte a una nuova invasione, seppur in numero molto ridotto. Quella degli…uruguaiani. La Celeste, guidata dal Maestro Tabarez, ha giocato a Udine, Verona e Roma, perdendo con l’Italia agli ottavi, ma si è fatta notare. E per il ritorno in A dopo la doppia promozione a firma Ranieri, il Cagliari sceglie tre di quei protagonisti.

Il presidente Orrù porta al Sant’Elia Pepe Herrera, centrocampista (e all’occorrenza difensore) con un ottimo piede sui calci piazzati. In avanti dal Nacional arriva Daniel Fonseca, destinato ad una carriera importante in Serie A. Ma la stella conclamata è un’altra. Forse non un re, ma certamente…un Principe. Questo il soprannome di Enzo Francescoli, dalle origini immancabilmente italiane.

Non è un calciatore qualsiasi e in Italia lo sanno bene. Da Montevideo, dove ha esordito con la maglia dei Wanderers, è partito prima alla conquista dell’Argentina, dove con il River Plate ha vinto il campionato.

La carriera in Europa

Poi si trasferisce in Francia nel Racing Club, una squadra che oggi milita in quella che è la quinta divisione transalpina. Meglio il Marsiglia di Tapie, in cui però si ferma un solo anno, giusto in tempo per assicurarsi il titolo, il secondo consecutivo per le statistiche delle scommesse sportive , per i ragazzi di Tapie.

Ma è con la Celeste che il fantasista classe 1961 dà il meglio. Dal suo arrivo in nazionale, l’Uruguay ha vinto due volte la Copa America ed è arrivata una volta seconda. Logico dunque che l’interesse nei suoi confronti sia alto. In Serie A, si sa, lo spazio alla fantasia non è mai troppo. E il Principe, che sia al River che in Francia aveva mostrato una certa propensione al gol, è costretto ad arretrare il suo raggio d’azione.

Da trequartista che balla tra le linee, si trasforma in regista. L’idea di Ranieri fa diminuire sensibilmente il numero delle reti (17 in 99 partite), ma regala al Cagliari un creatore di gioco sopraffino. Uno che, tanto per fare un esempio, è il mito assoluto di Zinedine Zidane.

Il francese lo ha visto nella “sua” Marsiglia e se n’è innamorato. E non è un caso che il primogenito di Zizou, nato nel 1995, si chiami proprio Enzo. Ma il futuro Pallone d’Oro non è l’unico a subire il fascino del Principe. A Cagliari l’uruguaiano diventa immediatamente un mito.

La prima stagione non è poi così entusiasmante, ma i sardi si salvano con quattro punti di vantaggio sulla terzultima, ponendo le basi per una manciata di annate memorabili. In quella successiva i tre calciatori della Celeste vengono confermati in blocco e, dopo sei giornate di campionato, finiscono nelle mani dell’uomo giusto al momento giusto.

Massimo Giacomini inizia male il torneo e viene sostituito da Carlo Mazzone. Il tecnico romano prende una squadra a rischio retrocessione e la porta a un’altra salvezza tranquilla. Come sua abitudine, Mazzone crea un collettivo in grado di supportare la presenza di alcuni calciatori di classe superiore. E il Principe e Fonseca fanno decisamente parte della categoria. Francescoli, con una maggiore libertà di azione, torna più incisivo in avanti e anche i compagni di squadra ne beneficiano. Ma la stagione 1991/92 è solamente il riscaldamento per una delle annate che hanno scritto la storia del Cagliari.

I rossoblù si presentano al via del campionato 1992/93 senza Fonseca, ceduto al Napoli, ma il neo-presidente Cellino lo sostituisce con Lulù Oliveira (oltre che con l’altro uruguaiano Tejera, che però si rivela un flop). La macchina è sempre più oliata e fa miracoli. Arriva uno splendido sesto posto, che qualifica gli isolani per le scommesse Seria A alla Coppa UEFA. E Francescola stavolta è tra i capocannonieri della squadra, con 9 gol tra campionato e Coppa Italia. Il finale di campionato del Principe è scintillante, con cinque reti nelle ultime quattro partite, compresa una doppietta al Torino.

E forse è proprio in quel giorno di maggio al Delle Alpi che i granata si innamorano di lui. Il Toro di Mondonico quell’anno vince la Coppa Italia e vuole lanciare di nuovo l’assalto all’Europa, dopo la finale di Coppa UEFA persa nel 1992 contro l’Ajax. Per farlo sceglie il Principe, che trova anche da quelle parti un paio di connazionali.

E se l’oggetto misterioso Saralegui fa tappezzeria da un bel po’, in avanti in teoria c’è Pato Aguilera. L’eroe della Coppa Italia dell’anno precedente però gioca pochissimo e a stagione in corso rescinde. Poco male, perché Francescoli mette le sue qualità a disposizione di Andrea Silenzi, che non a caso fa la sua miglior stagione in Serie A, segnando 17 gol e rimediando la convocazione in nazionale. 

Un finale da Re!

A 33 anni, però, e con un po’ troppi infortuni a limitarlo, l’uruguaiano decide di tornare a casa. E “casa” per lui significa il River Plate. Il fisico non lo coadiuva, ma la classe resta, considerando che tra 1994 e 1997 riesce a vincere tre tornei di Apertura, uno di Clausura e, già che c’è, anche una Copa Libertadores nel 1996.

Francesoli con la Liberta!

Anche il canto del cigno con la Celeste è da brividi: la Copa America 1995 si gioca in Uruguay e il Principe la solleva da capitano dopo aver battuto in finale, da sfavorito per le scommesse calcio, il Brasile campione del mondo. Il ritiro arriva nel 1997, a 36 anni. Poi, il Principe continuerà a dedicarsi al suo River, ma da dirigente, diventando fondamentale nell’arrivo sulla panchina di Marcelo Gallardo, suo ex compagno di squadra, che finora ha regalato ai Millonarios due Libertadores, una Copa Sudamericana e tre Supercoppe continentali.

Insomma, dovunque è andato, Francescoli ha lasciato il segno, persino regalando (vista la somiglianza) il suo soprannome a Diego Milito. E viene spontanea una battuta. Sarà stato anche El Principe, ma la leggenda della Celeste ha fatto una carriera…da Re.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distruibite da AP Photo, sono di Martyn Hayhow e Daniel Muzio.

July 11, 2020
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Coppia d'assi, quando gli affari non sempre quadrano

C’erano una volta Loik e Mazzola. Questa storia parla dei giocatori che sono stati trasferiti in coppia da un club a un altro, ottenendo - talvolta - risultati alterni. Non è il caso della coppia dei giocatori del Venezia che, una volta arrivati sulla sponda granata del Po scrissero pagine di calcio leggendarie.

Durante il calcio mercato era uso comune cedere l’accoppiata al grande club della Serie A, e l’operazione conveniva unicamente alla società pronta a cedere i propri gioielli. Spesso, qualche pezzo di bigiotteria entrava nella cassaforte dei presidenti, avvezzi a collezionare diamanti da 24 carati. Il presidente della Lazio Umberto Lenzini fece un affare con l’Internapoli, acquistando Pino Wilson insieme a Giorgio Chinaglia.

Spesso i trasferimenti hanno anche sovvertito le “gerarchie” della coppia, con il calciatore meno promettente che spesso si è rivelato più affidabile del proprio compagno. E’ il caso di Daniele Massaro, che il presidente della Fiorentina Pontello acquista per arrivare al centravanti del Monza Paolo Monelli. L’attaccante non trova molto spazio in maglia viola, chiuso dall’argentino Daniel Bertoni e Ciccio Graziani, mentre il jolly è la rivelazione del campionato di Serie A, si afferma, viene convocato per il Mondiale di Spagna e diventa campione del mondo senza mettere piede in campo.

Dodici anni dopo sarà ancora lì, questa volta al centro del campo, per ascoltare l’inno nazionale prima di Italia-Brasile a Pasadena, terminata incredibilmente senza reti al 120' per le scommesse calcio. E Monelli? Ha fatto la sua onesta carriera, ha continuato per qualche anno alla Fiorentina, ha vissuto il suo momento di gloria da centravanti della Lazio (1988) prima di iniziare un lento declino.

La Juventus è un club avvezzo a chiudere accordi multipli, nell’estate del 1983 acquista dall’Avellino il portiere Tacconi e il fantasista Beniamino Vignola; l’estremo difensore è chiamato a raccogliere la pesante eredità di Dino Zoff, e avrà modo di farlo in maniera adeguata. Il centrocampista è la riserva designata di Michael Platini, e non risponde alle attese fino in fondo, perché sostituire Le Roi è impresa irrealizzabile per i comuni mortali; il centrocampista avrà il suo minuto di gloria nella finale di Coppa delle Coppe, segnando il gol decisivo contro il Porto. L’anno dopo quattro presenze in Coppa dei Campioni, e sessanta secondi nella maledetta finale dell’Heysel.

Le coppie di stranieri

Ma nella decade ’80, la riapertura delle frontiere spinge alcuni presidenti a tentare l’accoppiata straniera; il primo a essere soggiogato da tale opportunità è Vincenzo Matarrese, padre padrone del Bari appena promosso in Serie A: nell’estate del 1985 acquista dall’Aston Villa il centrocampista Gordon Cowans e il centravanti Paul Rideout. Il mediano è uno degli idoli del Villa Park, ha vinto un campionato inglese e la storica Coppa dei Campioni del 1982.

Quando approda a Bari è nel pieno della maturità calcistica, ma non riesce a incidere. Resta in Puglia tre stagioni, dopo la retrocessione immediata, cerca invano di riportare la squadra in Serie A senza riuscirci. Il suo compagno d’avventura ha soltanto 21 anni, è una promessa e tale rimarrà; il primo anno segna solo sei gol, non fa meglio nelle due successive stagioni in Serie B.

Nello stesso periodo storico, il Conte Pontello cerca un’altra accoppiata per la Fiorentina; dal Pescara viene acquistato il capocannoniere della Serie B Stefano Rebonato, valutato a peso d’oro. Il club abruzzese dà il via libera alla cessione del centravanti inserendo nell’affare anche il centrocampista Bosco: è un disastro su tutto il fronte.

La Roma del presidente Dino Viola tenta l’accoppiata esotica alla fine degli anni ’80, acquistando dal Flamengo Renato Portaluppi e Jorge Andrade. La stravaganza dell’attaccante Renato si nota già nei primi giorni di ritiro, quando si presenta al campo di allenamento con il beauty case: tra un esercizio e l’altro si specchia e si alliscia i capelli con la spazzola. E’ un bomber, soprattutto con le donne: si trova a suo agio in discoteca più che nell’area di rigore avversaria, in campionato non segna neanche un gol.

La Roma lo rimette sul primo volo per il Brasile e lo saluta. Sullo stesso volo c’è anche Jorge Andrade, che gioca appena nove partite; dopo pochi mesi inizia a essere inseguito da leggende metropolitane; alcuni dubitano sulla veridicità anagrafica del giocatore (31 anni dichiarati), altri su un presunto biscotto fatto al presidente Viola, con tanto di amichevole organizzata dalla nazionale brasiliana contro l’Austria e un gol da cineteca realizzato ovviamente dall’oggetto dei desideri giallorossi. In pratica, un “pacco”. Anzi, un doppio pacco.

L’attrazione esotica colpisce anche il presidente del Genoa Aldo Spinelli che si spinge fino in Uruguay per rafforzare la propria squadra: il doppio affare con il Peñarol comprende gli acquisti del centravanti Carlos Alberto Aguilera e del mediano Josè Perdomo. Sul centravanti, nulla da dire, sarà l’eroe della leggendaria notte di Anfield, sulle doti del centrocampista nessuno riuscirà a fotografarle meglio del tecnico della Sampdoria Vujadin Boškov. “Se slego il mio cane, gioca meglio di Perdomo”.

Anche Juventus e Inter si giocano il punto della coppia straniera; l’acquisto di Jürgen Kohler e Stefan Reuter dal Bayern Monaco è un affare solo a metà per i bianconeri; lo stopper è giocatore di livello, il centrocampista delude le attese. Va ancor peggio all’Inter che preleva dall’Ajax Dennis Bergkamp e Wim Jonk: il primo è un talento che avrà modo di esprimersi al meglio in Premier League, con l'Arsenal vincerà tre titoli di Premier per le scommesse sportive 888, il secondo viene spedito a Milano per svincolare l’acquisto del fantasista.

Ivan De la Peña, talento mai sbocciato a Roma!

Anche la Lazio di Sergio Cragnotti non è esente da affari simili; per arrivare allo spagnolo Ivan De la Peña del Barcellona deve acquistare anche il difensore portoghese Fernando Couto; il centrocampista non risponderà alle attese, mentre lo stopper si rivelerà il vero affare dell’operazione e sarà decisivo nella vittoria del 2000, 0-1 a Torino, a sopresa per le scommesse Serie A. La Roma zemaniana nel 2012 va a caccia di talenti in Brasile; arrivano Dodò e Castan, con loro il promettente Marquinos: sembra il classico pacco regalo: si rivelerà più forte degli altri due sudamericani.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Andrew Medichini e Manu Fernandez.

 
July 11, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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