I procuratori e le loro influenze su club, mercati ed aree geografiche

Una torta ricchissima, da spartirsi stando attenti a rinunciare a... nulla! Anzi, facendo in modo che le fette diventino sempre più grosse, sazianti. Enormi capitali spostati da un conto all'altro, da una società all'altra. Da un "sistema" all'altro... Ognuno ha il suo stile. C'è chi agisce nell'ombra, c'è chi gioca con le bombe mediatiche - vere oppure no - per far lievitare i prezzi di mercato, quasi "drogandoli".

Abbiamo selezionato i 5 agenti più influenti nel mondo del calcio internazionale, cercando di capire cosa si muova dietro le quinte.

Jonathan Barnett

Secondo Forbes è, a ben donde, il procuratore più potente in assoluto. Non solo nel calcio ma nell'intero mondo sportivo internazionale. Più ricco e potente perfino dei colleghi statunitensi. E' colui che ha portato Gareth Bale dal Tottenham al Real Madrid per 100 milioni. Ha in mano mezza Premier League (probabilmente anche qualcosa in più) ed è specializzato nei trasferimenti Inghilterra-Spagna. Il più recente, quello del terzino Kieran Trippier all'Atletico Madrid, possibile finalista di Champions per le scommesse calcio, sempre dal Tottenham, con cui Barnett ha evidentemente una corsia preferenziale..

Tra i suoi altri giocatori di grido, il centrocampista colchonero Saul Ñiguez, i portieri Szczęsny e Jordan Pickford. Nel 2019 ha totalizzato un fatturato 128 milioni di dollari in commissioni e contratti per 1,3 miliardi. Una curiosità, anzi due: prima di tuffarsi nel calcio, Barnett era specializzato nel cricket - sport comunque molto remunerativo Oltremanica, col suo assistito Brian Lara. Il suo modo di lavorare? Rigorosamente nell'anonimato, a debita distanza da microfoni e taccuini.

Jorge Mendes

L'agente di Cristiano Ronaldo e José Mourinho, lo sanno tutti. E ancora - tra i tanti altri - di Radamel Falcao, James Rodríguez, Ángel Di María, Diego Costa, André Silva, Bernardo Silva, João Cancelo, Ederson Moraes. E' stato calciatore di terza serie in Portogallo, per poi ritirarsi a 30 anni e gestire una discoteca. Nel 1996 fonda la GestiFute, una società di procure calcistiche che diventerà una delle più importanti del mondo del calcio con un valore complessivo di 400 milioni di euro.

Dietro a CR7 e allo Special One si nasconde un mondo di vero e proprio controllo delle sorti sportive di club di livello medio alto. Il sistema, in questo particolare caso, è questo: fare il "direttore sportivo-ombra", per spostare e far crescere l'interesse attorno ai propri assistiti che, occorre dirlo, sono anche tutti di ottimo lignaggio.

Mendes con CR7!

Ebbene, tutti i giocatori portoghesi del Wolverhampton Wanderers, tra i favoriti per le scommesse dell'Europa League, ben 8, compreso l'allenatore Nuno Espirito Santo, sono sotto sua egida. Stiamo parlando dei vari Rui Patricio, Rúben Neves, João Moutinho, Bruno Jordão, Rúben Vinagre, Diogo Jota, Daniel Podence e Pedro Neto. 

Dirigenza accondiscendente (d'altronde i bei risultati fanno gola) e valutazioni dei propri assistiti in costante ascesa. Da poco tempo, addirittura, questo tipo di sistema ha raggiunto picchi esponenziali in patria col Famalicão, club improvvisamente comparso dalle categorie minori e insediatosi in massima serie come "deposito" di calciatori della scuderia Mendes in cerca di un trampolino di lancio.

Mino Raiola

Zlatan Ibrahimovic, Paul Pogba, Matthijs de Ligt, Mario Balotelli, Gianluigi Donnarumma, Kostas Manolas e un'infinita di altri calciatori, di grido e non. La sua base è in Olanda, ad Harlem, e ogni talento dei Paesi Bassi è "roba sua". In Italia si è fatto strada tra un "crack" di mercato e l'altro. Ha iniziato a farsi conoscere prestissimo, quando da 25enne portò Bryan Roy al Foggia e poi Dennis Bergkamp e Wim Jonk all'Inter e così via.

A differenza dei suoi colleghi, il suo potere è internazionale: a seconda delle opportunità di mercato, ha influenzato le campagne acquisti ora di Milan (specie nell'era di Berlusconi e Galliani), ora di Juventus. Il suo modo di agire si distingue anche per la sua presenza fissa sui media: a ogni sua dichiarazione, casca un masso dalla montagna. Il meglio del meglio del calcio mondiale passa dalle sue mani.

Kia Joorabchian

Anglo-iraniano che ha ottenuto le luci della ribalta ai tempi di Carlos Tévez. Per anni ha influenzato il mercato dell'Inter, specie nell'ultima era Suning. E non sempre con buoni consigli (vedi il primo Gabigol e João Mario). Si è dato, da un po' - fiutandone le enormi potenzialità - agli affari con la Cina. Un esempio?  

Il passaggio di Oscar, ancora giovane, allo Shanghai SIPG per 60 milioni.  Secondo il sito "Football Leaks", Kia - figlio di un venditore d'auto di Teheran -, avrebbe guadagnato, negli ultimi 4 anni, una cifra pari a circa 170 milioni tra commissioni e cessioni di giocatori.

Fali Ramadani

Nato in Macedonia, di etnia albanese (è di Tetovo, come lo Shkendija) e con base in Germania, Ramadani è il "re" di tutti gli affari in qualche modo collegabili a tutta l'area balcanica: Luka Jovic, Samir Handanovic, Nikola Kalinic, Ivan Perisic, Miralem Pjanic, Adem Ljajic.

Definito il "Mino Raiola dell'Est", ha lavorato molto, dietro le quinte del passaggio di Maurizio Sarri dal Napoli al Chelsea, club con cui collabora spesso (ha portato in Blues anche Marcos Alonso). Qualche tempo fa era l'agente-intermediario di riferimento della Fiorentina, con cui strinse i contatti per gli affari Jovetic, Ljajic, Seferovic, Nastasic e Behrami.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Manu Fernandez e Paul White.

July 26, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

“La prende Vecino”

Ormai l’espressione “La prende” è diventata propedeutica e quindi consequenziale al cognome dell’uruguaiano numero 8 dell’Inter, praticamente dopo l’ormai celebre Inter-Tottenham di Champions League del 18 settembre 2018. Al di là della presenza prepotente del numero 8 nel calendario di questo episodio, è “simpatico” notare come Matías Vecino abbia incanalato in sé stesso il dono della divina provvidenza interista nel corso degli ultimi 2 anni neroazzurri. 

Ma Vecino sembra uno abituato agli intrecci col destino, di piccola o grande entità. Uno di questi si allaccia al suo esordio in Italia, alla Fiorentina: Vecino debutterà con la Viola il 26 settembre 2013 proprio contro l’Inter, la squadra italiana che nella sua lunga carriera nella Penisola l’ha reso decisamente più celebre al grande pubblico. 

La sua figura, e soprattutto la sua prodezza in Champions che ha bloccato al secondo minuto di recupero il mercato delle scommesse live, sono state anche ottimo pretesto per introdurre nel vocabolario italiano del calcio il significato di Garra Charrua, un’espressione più che altro cara al Fútbol sudamericano, presa in prestito per l’occasione, con grande enfasi, dal commentatore tecnico Lele Adani

Quel giorno, il 18 dicembre 2018, era il giorno del debutto di Matías Vecino nella Coppa “dalle grandi orecchie” tra le tante cose.Riduttivo ingabbiare il personaggio e il calciatore Vecino nell’espressione della Garra Charrua, così come sarebbe riduttivo definirla come enfasi, ultimo affondo con artiglio, grinta, eccetera.  

Ma a Vecino è andata così, con l’immagine dell’”uruguaiano feroce” ormai cucita addosso, per uno poi che da oriundo è stato anche vicino ad indossare la maglia azzurra. 
Non uno abituato ai grandi palcoscenici del calcio internazionale, ma sicuramente un numero 8 dotato di ottima tecnica, intelligenza tattica, intuito e divina provvidenza, appunto. 

Parola di chi se ne intende di numeri 8. D'altronde, “la prende (sempre) Vecino”.
 

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

July 24, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

I premi più ambiti per i portieri!

E' saltato il Pallone d'Oro 2020. La decisione, si a, è arrivata da una considerazione avanzata dalla commissione del premio istituito dalla prestigiosa rivista France Football: troppo particolare, l'anno solare 2020 per pensare di distribuire premi individuali con la dovuta cognizione di causa. Specie pensando al fatto che, ad esempio, anche i campionati europei per nazioni sono stati rimandati.

Proprio a proposito del "Ballon d'Or", si è sempre disquisito sulla possibilità, sempre in qualche modo sviata, di consegnarlo a un portiere. Ruolo unico nel suo genere, che certo non strizza l'occhio a palleggi e colpi di tacco, ma che possiede importanza vitale per il gioco. Gli estremi difensori, a questo proposito, hanno sempre avuto vita difficile in termini assoluti ma si sono potuti consolare con premi e riconoscimenti specifici, prestigiosi e appaganti per la loro carriera.

Miglior portiere dell'anno (IFFHS)

Il più antico è certamente il premio "Miglior portiere dell'anno" assegnato dall'IFFHS (International Federation of Football History & Statistics). Sopravvive dal 1987 e ogni anno solare viene consegnato al miglior portiere del mondo, eletto con i voti di esperti provenienti da 81 paesi. Tuttora vede Gianluigi Buffon e Iker Casillas guidare il palmarès con 5 vittorie a testa, seguiti da gente come Manuel Neuer con 4, e da José Luis Chilavert, Oliver Kahn e Walter Zenga con 3.

L'attuale allenatore del Cagliari si è reso protagonista di tre vittorie consecutive tra il 1989 e il 1991. Tutti di seguito furono anche i riconoscimenti assegnati a Casillas, che tra il 2008 e il 2012 non aveva rivali. I primi due portieri premiati nel 1987 e 1988? Il belga Jean-Marie Pfaff del Bayern Monaco e Rinat Dasaev, portiere dello Spartak Mosca e dell'allora Unione Sovietica.

Arrivando ai tempi attuali, le ultime due edizioni sono andate a Thibaut Courtoi nel 2018 (anno del suo passaggio dal Chelsea al Real Madrid) e Alisson (Liverpool). In questo palmarès mancano ancora gli eccellenti Ederson Moraes del Manchester City e, del Barcellona, Marc-André ter Stegen, ma tutto lascia presagire che si tratti solamente di una questione di tempo.

Best European Goalkeeper (Miglior portiere in Europa)

Subito dopo il riconoscimento IFFHS segue, a livello di tradizione, il "Best European Goalkeeper", istituito dal 1990 dall'Uefa magazine, oggi, in mano a ESM (European Sports Media). E' riservato ai portieri di qualsiasi nazionalità ma militanti in club europei. Si è detto che a cavallo tra Ottanta e Novanta era Walter Zenga il portiere più ammirato e, infatti, la prima edizione fu la sua.

L'estremo difensore milanese trovò quindi - in qualche modo - il modo di consolarsi dopo l'uscita su Claudio Caniggia che costò la semifinale mondiale con l'Argentina. Il più premiato, con questo riconoscimento, è Oliver Kahn (4 volte consecutive tra il 1999 e il 2002). Chiude la cerniera temporale il meraviglioso Alisson del Liverpool, insuperabile nell'annata solare 2019.  

The Best Uefa Goalkeeper

Da non confondersi col "Best European Goalkeeper". S'inserisce nel solco degli "Uefa Club Football Awards", in cui vengono distribuiti riconoscimenti vari, ruolo per ruolo. La versione dedicata ai portieri è stata istituita nel 1997-98 per poi essere interrotta dal 2010 (dopo la vittoria dell'allora interista Julio Cesar) al 2016.

Quindi, i successi di Gianluigi Buffon, Keylor Navas e, tanto per cambiare, Alisson. La particolarità del premio è che tiene dichiaratamente conto della stagione calcistica e non dell'anno solare. Anche qui, il più premiato - allo stato dell'arte - è il tedesco Oliver Kahn.

The Best Fifa Goalkeeper

Tra i riconoscimenti più "giovani", ma non meno prestigiosi, dal momento che arriva direttamente dalla Federazione che regola il calcio mondiale. Istituito nel 2017, tiene anch'esso in considerazione le annate solari. La prima edizione è stata inaugurata da Gianluigi Buffon (davanti a Manuel Neuer e Keylor Navas), il 2018 è stata la volta di Thibaut Courtois (seguito da Hugo Lloris e Kasper Schmeichel), mentre l'anno scorso si è registrato il trionfo di Alisson (che ha battuto la concorrenza di Marc-André ter Stegen ed Ederson Moraes.

Thibaut Courtois la sera della premiazione!

Il 2019 è stato anche l'anno in cui il premio è stato declinato anche al calcio femminile: prima l'olandese Sari van Veenendaal (passata dalla Arsenal all'Atletico Madrid e oggi custode della porta del PSV Eindhoven), seconda la cilena del PSG Christiane Endler, terza la svedese Hedvig Lindahl passata dal Chelsea al Wolfsburg.

Il Guanto d'Oro e il premio Lev Yashin


...Che fino a una certa epoca erano la stessa cosa. In questo caso, il riferimento va al premio di miglior portiere premiato al termine di un Mondiale. Istituito 26 anni fa, ha visto allori per il belga Michel Preud'homme (a Usa '94), il transalpino Fabien Barthez (Francia '98), il tedesco Oliver Kahn (Giappone e Corea del Sud 2002), l'italiano Gianluigi Buffon (Germania 2006), lo spagnolo Iker Casillas (SUdafrica 2010), il tedesco Manuel Neuer (Brasile 2014) e il belga Thibaut Courtois (Russia 2018).

ll portiere che viene onorato di questo trofeo è inoltre eleggibile come miglior giocatore assoluto, come accaduto a Oliver Kahn che nel 2002 li vinse entrambi. Il riferimento al "Ragno nero" Lev Yashin venne abbandonato nel 2006, ma tornò a battezzare un altro riconoscimento per portieri.

Dal 2019, infatti, il "Trofeo Yashin" fa parte delle "statuette" consegnate alla serata al Théâtre du Châtelet di Parigi. L'unica edizione fin qui contemplata è stata vinta da Alisson Becker del Liverpool, seguito da Marc-André ter Stegen (Barcellona) ed Ederson Moraes (Manchester City).

The Premier League Golden Glove

Inglesi maestri del calcio e della tradizione dei premi individuali. Ogni campionato distribuisce ogni mese, infatti, il miglior giocatore e allenatore. E, ovviamente, ce n'è anche per i portieri. Dal 2004-2005, infatti, esiste il Premier League Golden Glove, che fa un po' il "verso" al prestigioso premio hollywoodiano.

Primo premiato fu Petr Cech, assoloto protagonista della Champions vinta dal Chelsea contro ogni pronostico delle scommesse sportive; ultimo - tanto per cambiare - Alisson Becker. L'estremo difensore ceco (il più insignito) vinse ancora al termine delle stagioni 2009-2010, 2013-2014 e 2015-2016. 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo sono di Dave Thompson e Frank Augstein.

July 23, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Eriksson e le Nazionali!

Sven-Göran Eriksson, classe 1948, ha passato oltre quarant’anni in giro per il mondo, allenando in tantissimi paesi e riempiendo una bacheca con trofei importanti. Eriksson è l’unico a poter vantare tre double in tre paesi diversi, centrando l’accoppiata campionato-coppa in Svezia (con il Göteborg), in Portogallo (con il Benfica) e in Italia (con la Lazio). Ma anche in campo europeo, lo scandinavo è una vera e propria sicurezza.

Ha guidato il Göteborg alla prima finale continentale della sua storia, quella vinta nel 1982 contro l’Amburgo. Nel 1990 ha trascinato il Benfica a giocarsi una finale di Champions dopo moltissimi anni, arrendendosi, di misura, solo al Milan degli Immortali di Sacchi.

E poi ha preso per mano la Lazio e l’ha accompagnata a una finale persa di Coppa UEFA (nel 1998 contro l’Inter di Ronaldo), ma soprattutto al successo nell’ultima Coppa delle Coppe contro il Maiorca e in Supercoppa Europea contro il Manchester United fresco di treble.

Insomma, esiste qualcosa che a Eriksson non riesca alla perfezione? Beh, forse sì. Il suo palmares con i club è invidiabile, ma quando si è trattato di allenare le nazionali, lo svedese ha avuto parecchi problemi. L’esperienza più celebre e discussa è ovviamente quella alla guida della nazionale inglese. Eriksson accetta di mettersi al servizio di Sua Maestà nel 2000, fresco di scudetto con la Lazio.

Dovrebbe cominciare attivamente nel luglio 2001, ma l’addio alla squadra biancoceleste a gennaio dello stesso anno accelera i tempi. L’esordio arriva a gennaio in amichevole, con un convincente 3-0 alla Spagna. Tempo qualche mese e a settembre arriva un risultato storico, incredibile per le scommesse calcio: a Monaco di Baviera con un poker di Michael Owen l'Inghilterra supera la Germania 1-5. L’inglese, anche grazie a quella prestazione, conquista il Pallone d’Oro e i Tre Leoni vincono il proprio girone di qualificazione ai mondiali del 2002.

Quante delusioni!

Ma i buoni auspici non vengono tradotti in realtà in Corea e Giappone. L’Inghilterra passa il turno in un girone complicato, con Argentina (che viene eliminata), Svezia e Nigeria. Gli uomini di Eriksson pareggiano con gli scandinavi e con gli africani e vincono il sempre sentitissimo match contro l’Albiceleste con un rigore di Beckham. Due gol in tre partite, però, non depongono a favore del CT, che però si rifà agli ottavi, con la buona vittoria sulla Danimarca.

Il giustiziere degli inglesi però si chiama Ronaldinho, che con una punizione da quaranta metri beffa Seaman e mette la sua firma sulla vittoria del Brasile ai quarti. Scolari si conferma poi la bestia nera di Eriksson anche a Euro 2004. L’Inghilterra perde con la Francia, ma batte Svizzera e Croazia e passa il turno. Si ferma però contro il Portogallo di un giovanissimo Cristiano Ronaldo, che batte i Tre Leoni ai rigori.

Eriksson con Lampard!

È proprio in quel periodo che si rompe l’idillio con la stampa, da sempre fattore importantissimo per chiunque sieda sulla panchina inglese. I tabloid si interessano sempre di più alla vita privata della svedese e l’opinione pubblica comincia a vedere con insofferenza la sua permanenza alla guida della nazionale.

La sconfitta a sorpresa per le quote delle scommesse contro l’Irlanda del Nord nelle qualificazioni mondiali potrebbe costargli il posto, ma alla fine l’Inghilterra stacca il biglietto per Germania 2006 ed Eriksson può guidarla nel suo terzo torneo internazionale.

Anche in questo caso, la delusione è dietro l’angolo. Sempre Scolari e di nuovo il Portogallo ai quarti di finale e ai rigori, stavolta con tanto di espulsione di Rooney per un fallaccio su Carvalho. A Berlino, cala il sipario ed Eriksson si dimette da CT inglese. Per lui 67 partite, 40 vittorie, 17 pareggi e solo 10 sconfitte.

I Mondiali 2010

Tra 2008 e 2010, dopo una stagione al Manchester City, Eriksson ci riprova e guida ben due nazionali nel giro di due anni. Nel giugno 2008 prende il posto di Hugo Sanchez come selezionatore della nazionale messicana, ma l’esperienza è pessima e dura poco. Appena 13 partite, con 6 vittorie, un pareggio e ben 6 sconfitte, comprese due con l’Honduras, che in Messico vengono ritenute oltremodo umilianti.

I pessimi risultati portano il Tricolor a rischiare di non qualificarsi ai mondiali del 2010 e ad appena un anno dal suo insediamento, Eriksson viene esonerato. In Sudafrica ci andrà comunque, ma su un’altra panchina, quella della Costa d’Avorio di Drogba.

Gli Elefanti lo assumono nel marzo 2010, con un solo compito: guidare la nazionale alla Coppa del Mondo. Dunque, solo cinque partite, di cui due amichevoli, perché l’avventura degli ivoriani termina al primo turno con un pareggio contro il Portogallo, una sconfitta contro il Brasile e una inutile vittoria contro la Corea del Nord.

Eriksson con Drogba!

Queste avventure non proprio soddisfacenti, però, non hanno impedito allo svedese di riprovarci. Dopo aver guidato alcune squadre in Cina, è stato il turno delle Filippine nel 2018.

L’ex CT dell’Inghilterra però si è trovato davanti a una situazione davvero complicata: in un paese dalla scarsissima cultura calcistica, Eriksson ha dovuto dare fondo a tutta la sua esperienza per ottenere dei risultati. La Coppa dell’Asia del Sud 2018 ha visto buone prestazioni delle Filippine, che però hanno perso contro il Vietnam in semifinale.

Va molto peggio la Coppa d’Asia 2019, in cui gli uomini di Eriksson perdono tutte e tre le loro partite (contro Corea del Sud, Cina e Kirghizistan), segnando un solo gol. Al termine della manifestazione lo svedese ha lasciato la panchina, continuando però a mantenere un ruolo da consulente della federazione.

Insomma, non tutte le ciambelle a Eriksson riescono col buco. Soprattutto quando si tratta di nazionali e non di club…

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono, in ordine di pubblicazione di Gregory Bull, Matt Dunham ed Armando Franca.

July 22, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il 21 luglio 1914 faceva il suo esordio la Pentacampeäo

E luce fu. Il 20 luglio 1914 nacque la Selecäo. Un anniversario lontano ma vicino, molto attuale per tutti coloro che amano il calcio. Come gran parte degli eventi calcistici di inizio secolo, la genesi della squadra Nazionale brasiliana ha inizio grazie agli inglesi; nel caso specifico grazie all’Exeter City, formazione nata nel 1904 da una fusione tra Exeter United e St Sidwell's United, una congregazione religiosa situata a ridosso delle mura antiche della città.

Come gli Achei addossati lungo la cinta di Troia: per questo, i partecipanti alle funzioni religiose della parrocchia di St Sidwell’s, vengono chiamati “Greci”. E si porteranno dietro il loro soprannome anche dopo la fusione con l’Exeter United che darà vita all’Exeter City. Siamo nell’Inghilterra, all’inizio del XX secolo; il calcio è ormai pratica consolidata, e anche nella città di Exeter - capoluogo della contea del Devon - il football appassiona gli animi sportivi.

Lungo il lungo percorso della propria storia, il club inglese ha vinto unicamente un campionato di quarta divisione alla fine degli anni ottanta, e una coppa di quarta divisione, ma la squadra è entrata a pieno titolo nella storia calcistica mondiale per essere stata la prima formazione ad aver affrontato il Brasile.

Il viaggio

Estate del 1914, l’Exeter City, accoglie di buon grado l’invito della Federazione Argentina dopo il rifiuto del Tottenham; i giocatori si imbarcano nel mese di maggio, e dopo alcune tappe intermedie nei porti europei, salpano dal porto di Southampton per il Sudamerica, superando Vigo e Madeira. E’ una buona occasione per festeggiare il decimo anno della propria fondazione, le spese sono tutte a carico della Federazione Argentina, i giocatori viaggiano in cabine di prima classe avendo la possibilità di essere seguiti dalle proprie mogli.

La squadra affronta la traversata oceanica verso il Sudamerica a bordo del Royal Mail Steam Packet Andes, una nave lussuosissima: il programma quotidiano dedicato ai calciatori inglesi include allenamenti sia sul ponte che in coperta, intervallati dalle visite turistiche. Il menù è di primissima qualità.

Di fatto è un viaggio di piacere, se non fosse per la disavventura capitata - durante il viaggio di andata - a Rio de Janeiro dove l’intera squadra venne arrestata dopo essersi allenata sull’arenile e aver fatto il bagno nonostante il divieto di balneazione. Una volta arrivati in Argentina, l’avventura degli inglesi proseguì con le partite organizzate dall’AFA; una sconfitta all’esordio, poi due vittorie.

Particolarmente movimentato il successo ottenuto contro il Racing, con il segretario del club argentino capace di impugnare un revolver per chiedere l’espulsione di un calciatore inglese!

Sei vittorie, un pareggio e una sconfitta: il ruolino di marcia degli inglesi non convinse la stampa argentina che non risparmiò critiche ai professionisti britannici. La tournée era di fatto conclusa, ma i dirigenti - durante il viaggio di andata - si erano già accordati per disputare altre tre partite a Rio de Janeiro; le partite avrebbero coinvolto la formazione degli Estrangeiros (una formazione composta da inglesi che si erano trasferiti a Rio de Janeiro), i Brasileiros, e i Cariocas, ovvero i calciatori brasiliani di Rio.

Il programma iniziale venne stravolto, la partita contro i Brasileiros venne fissata per il 21 luglio, ma a quel punto entrò in scena la proposta del giornale Correio de Manhã che sulle proprie colonne avanzò l'idea di invitare i giocatori di San Paolo a prendere parte alla partita Exeter contro i Brasileiros.

Così nacque la Selecäo

A quel punto, la Lega brasiliana scelse di mandare in campo una selezione composta dai giocatori dell’Estrangeiros, dei Cariocas accogliendo anche i migliori calciatori della Lega Paulista di San Paolo, che inizialmente era stata esclusa dal programma delle amichevoli per problemi logistici. Era nata la Nazionale brasiliana, 5 volte Campione del Mondo ed eliminata a sorpresa dal Belgio in Russia per le scommesse calcio.

Il 21 luglio 1914 - dopo i due successi ottenuti con gli Estrangeiros per 3-0 e i Cariocas per 5-3 - sul terreno di gioco dell’Estádio das Laranjeiras di Fluminense - va in scena la prima partita della storia della Nazionale Brasiliana. Sugli spalti ci sono tremila spettatori, questa è la prima formazione della storia del Brasile che scende in campo: Marcos Mendonça; Píndaro, Nery; Lagreca, Rubens Salles, Rolando; Abelardo, Oswaldo Gomes, Friendereich, Osman e Formiga.

Il modulo è il 2-3-5, con due terzini davanti al portiere, tre mediani, e cinque attaccanti. Il Brasile vince per due a zero, grazie ai gol messi a segno da Oswaldo Gomes e Osman. La maglia del Brasile è bianca, con una banda blu orizzontale su entrambe le maniche.

La maglia verdeoro entrerà in scena dopo il drammatico pomeriggio del Maracanazo nel 1950. La sconfitta contro l’Uruguay determinò il cambio di casacca che venne scelta dopo un concorso lanciato dal giornale Correio de Manhã, lo stesso che aveva proposto l’idea della prima - storica - selezione: ma questa, è un’altra storia...

*La foto di apertura dell'articolo è di Marcio Jose Sanchez (AP Photo).

July 21, 2020
simone pieretti
Body

Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

NBA, dai lockout alla “bolla” di Orlando: la storia delle stagioni ridotte

Non sempre la NBA è riuscita a chiudere la regular season disputando tutte le 82 partite previste dal calendario canonico. La stagione 2019/20 sarà la terza della storia ad avere una stagione regolare ridotta. Il tip-off riprenderà in quel di Orlando con la disputa di otto gare a franchigia, prima dell’inizio dei Playoff.

Una situazione strana, che però si è già verificata in NBA anche se con modalità diverse. In altre due occasioni la stagione è stata ridotta, anche se la struttura fu modificata in partenza a causa dei lockout dei giocatori. Le dispute sui contratti collettivi in NBA hanno portato a ben 4 lockout dal 1995 ad oggi, due dei quali hanno condizionato anche la regular season.

Il più lungo della storia è datato 1998/99, quando la stagione NBA invece di programmare i primi incontri come di solito a novembre ha avuto inizio addirittura nel mese di febbraio. Sole 50 partite per individuare le sedici squadre che avrebbero dovuto poi partecipare ai Playoff, vinti dai San Antonio Spurs in finale contro i New York Knicks.

Sono state invece 66 le gare disputate nella stagione 2011/12, che prese il via a Natale del 2011 con un ritardo di circa due mesi. Quella stagione rappresentò la svolta della carriera di LeBron James, visto che con i Miami Heat riuscì a conquistare il primo titolo battendo in finale gli Oklahoma City Thunder di Durant, Westbrook e Harden. 

Le differenze

Analizzando l’andamento dei Playoff in queste due stagioni, l’unica vera sorpresa che si può ricordare per le scommesse NBA è legata al cammino dei New York Knicks nel 1999. Da ottava testa di serie infatti la squadra guidata da Patrick Ewing è arrivata fino alla NBA Finals dopo aver strappato il pass per i Playoff all’ultima gara di regular season vincendo contro i Miami Heat, battuti poi anche al primo turno per 3-2.

Discorso diverso per la Western Conference, dove San Antonio da testa di serie numero uno ha dominato i Playoff. Solo una sconfitta al primo turno contro Minnesota per i Texani prima di un doppio “sweep” contro Lakers al secondo turno e Trail Blazers in finale di Conference.

Pat Ewing!

Nel 2012, invece, sono arrivate in Finale NBA le seconde teste di serie della Eastern e della Western Conference. Ad Est l’infortunio di Derrick Rose al primo turno contro Philadelphia ha bloccato i Bulls, prima testa di serie della Eastern Conference spianando la strada a Miami che però è stata costretta a soffrire in Finale di Conference, vincendo gara-6 a Boston e gara-7 all’American Airlines Arena. Solo tre sconfitte invece per i Thunder nel cammino che li ha portato a vincere la Western Conference, successo ottenuto in gara-6 contro gli Spurs che erano la prima testa di serie prima del 4-1 degli Heat in finale. 

Le chiavi

Analizzando le statistiche di quelle stagioni, emerge una costante nelle due annate condizionate dal lockout. Dal 1996 al 2001 in cinque stagioni il peggior dato statistico della lega per percentuale dal campo si è registrato proprio nel 1998/99, anno del lockout. Stesso identico dato che si evince anche analizzando le cinque stagioni disputate dal 2009 al 2014, dove proprio nel 2011/12 il dato della percentuale dal campo è stato decisamente inferiore rispetto alle altre annate.

Un’altra costante la si trova analizzando le quattro squadre che sono arrivate alle NBA Finals. Nonostante il cambiamento del gioco dal 1999 al 2012 e gli stili diversi delle squadre, alle Finals nel ’99 sono arrivate le due squadre che hanno fatto registrare il miglior dato per percentuale dal campo degli avversari (Spurs e Knicks entrambe al 40% contro 43.7% della lega).

Dato simile anche nel 2012, dove i Thunder sono stati la miglior difesa della Western Conference per percentuale dal campo degli avversari mentre gli Heat hanno chiuso con la quinta miglior difesa in assoluto, alla quale però va aggiunto il miglior attacco per percentuale della Eastern Conference.

Seguendo questi dati al momento un pronostico per le scommesse basket per le NBA Finals del 2020 potrebbero vedere affrontarsi i Bucks e i Clippers, ovvero le due migliori difese per percentuale dal campo della Eastern e della Western Conference e due delle migliori squadre per record di tutta la NBA, al momento della ripartenza!  

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono di Ronald Martinez e Terry Renna.

July 20, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Paulo Futre e l'Italia!

Per quanto ora possa sembrare lontana, con la Premier League e la Liga a farla da padroni, c’è stata un’epoca in cui la Serie A era davvero la terra promessa del calcio. Quel periodo a cavallo tra anni Ottanta e anni Novanta in cui le squadre italiane facevano incetta di coppe europee e in cui ogni calciatore al mondo sognava di mettersi alla prova nel campionato tricolore.

Anni in cui persino quelle che oggi definiremmo “provinciali” potevano permettersi di mettere in campo campioni di uno spessore inimmaginabile. E quindi succedeva che il tre volte Pallone d’Oro Sudamericano Zico indossasse la maglia dell’Udinese o che El Principe Francescoli diventasse…il Re di Cagliari.

Una storia al riguardo che sembra spesso dimenticata è però quella della Reggiana. Nel 1993 la squadra emiliana è appena stata promossa in Serie A e viene acquistata da Franco Dal Cin, che parte con l’idea di costruire uno stadio di proprietà (il Giglio, poi Città del Tricolore) e porta a Reggio Emilia un paio di calciatori niente male.

In porta c’è un futuro campione del mondo, perché Claudio Taffarel, dopo aver giocato nel Parma di Scala, passa la stagione che porta a USA ’94 e che vede il Brasile strafavorito per le scommesse calcio, proprio a difendere i pali dei granata. E soprattutto, davanti c’è un vice Pallone d’Oro, campione d’Europa e sogno proibito di moltissimi club fino a qualche anno prima: il portoghese Futre.

Quando arriva in Italia, Jorge Paulo Dos Santos Futre, classe 1966, non ha decisamente bisogno di presentazioni. Inizi di carriera con lo Sporting Lisbona, poi il passaggio al Porto con cui vince da protagonista la Coppa dei Campioni 1986/87, quella di Madjer e del Tacco di Allah.

Nello stesso anno arriva dietro soltanto al milanista Gullit nella classifica del Pallone d’Oro, una circostanza per cui negli anni a seguire Futre ha spesso, tra il serio e il faceto, accusato Berlusconi di aver influito sulle votazioni. Dopo il trionfo continentale si trasferisce all’Atletico Madrid, dove conquista due volte la Copa del Rey, ma non riesce a scalfire il predominio del Barcellona di Cruijff. 

Il 1993 per Futre è un anno particolarmente movimentato. In inverno torna in Portogallo, al Benfica, causando la rabbia tra i tifosi dello Sporting, a cui aveva promesso qualche settimana prima che avrebbe nuovamente indossato la maglia biancoverde. Giusto il tempo di vincere la Coppa del Portogallo, che arriva un’altro trasferimento. Tapie lo porta al Marsiglia fresco campione d’Europa, ma lo scandalo che coinvolge il club transalpino convince il portoghese che è meglio guardare altrove.

E quindi, nel novembre di quello stesso anno, Futre fa il suo esordio in Serie A, con la maglia della Reggiana, contro la Cremonese. Neanche il tempo di scaldare i motori che il talento si fa subito notare: alla sua prima partita nel campionato italiano, il lusitano segna immediatamente dopo una serpentina nell’area avversaria. Peccato che quella rimarrà l’unica presenza stagionale per lo sfortunato fantasista.

 

Un durissimo intervento da dietro di Pedroni costa il rosso al difensore della Cremonese e forse l’intera carriera a Futre. Il portoghese è costretto a uscire e la diagnosi è di quelle terribili: rottura del legamento rotuleo del ginocchio destro. Una mazzata pesantissima, tanto per il calciatore quanto per la squadra, che però riesce a rimanere comunque in Serie A. Il quattordicesimo posto, l’ultimo che garantisce la salvezza, permette di sperare in un ritorno in grande stile del numero 10.

La realtà però dice altro. Futre rimette piede in campo nel settembre 1994, ma non è più lo stesso giocatore. L’infortunio lo limita ad una manciata di presenze e due reti, ed a inizio novembre si ferma di nuovo. La Reggiana intanto, senza il suo talento e senza Taffarel, che dopo il mondiale vinto è tornato in Brasile, scivola sempre di più in classifica.

Non basta neanche il secondo ritorno di Futre, che gioca altre sette partite consecutive, stavolta rimanendo sempre  in campo per tutti i novanta minuti e segnando altri due gol. La sua stagione 1994/95 si conclude con 12 presenze e 4 reti, ma anche con l’inevitabile retrocessione della Reggiana. L’avventura italiana, però, non è finita.

Il finale di carriera

A chiamare è Silvio Berlusconi, proprio quello che, a parere di Futre, gli ha strappato il Pallone d’Oro 1987. Il portoghese arriva al Milan di Capello, unico e incontrastato favorito per le scommesse Serie A, ma anche l’avventura in rossonero non regala gioie, anzi.

Il tecnico friulano non lo convoca praticamente mai, escluso un match con il Parma a marzo 1996. E l’unica presenza arriva nell’ultima partita di campionato, per uno scherzo del destino, di nuovo contro la Cremonese. Futre gioca 79 minuti nel 7-1 dei campioni d’Italia ai grigiorosa, per poi essere sostituito dall’altro talento sfortunato della rosa, Roberto Baggio.

È l’addio di Futre al calcio italiano. Nella stagione successiva passa al West Ham, ma anche in Premier League ha poca fortuna. Gli infortuni al ginocchio continuano a martoriarlo e non lo lasciano in pace neanche quando prova a tornare all’Atletico Madrid. L’ultima annata prima del prematuro ritiro, ad appena 32 anni, la gioca in Giappone, allo Yokohama Flugels.

L’unico momento di gloria dopo l’infortunio, il portoghese se lo prende da dirigente: quando l’Atletico Madrid retrocede in Segunda Division, Futre diventa DS dei Colchoneros ed è sotto la sua guida che Mono Burgos e compagni tornano, da favoriti per le scommesse sportive nella massima serie.

Una piccola soddisfazione dopo una carriera che poteva regalare molto di più a Futre, colpito da una sfortuna senza precedenti. Ma il portoghese resta comunque, almeno nel cuore degli appassionati italiani, uno dei simboli dell’era d’oro del pallone di casa nostra. Di quegli anni in cui persino una neopromossa poteva acquistare un grande campione straniero e in cui nei campi di provincia giocavano…i Palloni d’Oro.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Carlo Fumagalli (AP Photo).

July 20, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il calcio nella modernità: la "match-analysis"

Che cos'è la modernità nel calcio? Spesso per definire il concetto ci si ferma all'evoluzione del sistema arbitrale, dalla goal line technology, passando per il sistema VAR. Oppure ci si perde in interminabili elucubrazioni di tattica, stili di gioco, possesso palla e altre argomentazioni che separano i sofisti del bel gioco dai "risultatisti".

IPO

Xg

Pass map ed altri strumenti

E ancora, beghe contrattuali, procuratori, nuove formule di compravendita giocatori e tante altre velleità del sottoinsieme calciomercato. In realtà, dietro al concetto evolutivo dello sport più amato del mondo, esiste un mondo "sommerso", che solo negli ultimi mesi è stato interessato da vera e propria volontà conoscitiva da parte di appassionati ed addetti ai lavori: la "match analysis", che con i suoi modelli e i suoi strumenti, è in costante crescita.

Figure professionali sempre più ricercate dai club (i match-analyst, per l'appunto), che "scartabellano" fino all'ultimo dato sia sulla formazione avversaria da consegnare all'allenatore in fase di preparazione della partita, sia sulla propria squadra. In quest'ultimo caso l'utilità è studiare il comportamento dei giocatori in rosa, cercare di renderli più performanti attraverso gli errori commessi, i movimenti fatti negli incontri precedenti, la loro corsa, oppure l'impatto avuto con le nuove disposizioni tattiche del mister.

L'Indice di Pericolosità Offensiva (IPO)

Ogni strumento di analisi moderna del calcio è figlio, sostanzialmente, di due indici di partenza: l'"Indice di Pericolosità" offensiva e gli "Expected Goals". L’indice di pericolosità è un particolare dato con cui è possibile valutare quali squadre abbiano ottenuto più punti di quanti ne meritassero e quali meno. Ma a cosa serve? La reperibilità di tali dati serve prima di tutto agli addetti ai lavori in senso stretto, coloro i quali sono inseriti nella "pancia" del mondo del calcio.

Suddetti dati, una volta raccolti, vanno pesati, messi in collegamento, interpretati in base a tanti variabili. Con essi, si creano quindi degli indici che incrociano i numeri tra di loro per poter valutare quante reti una squadra avrebbe meritato di realizzare nell'arco di una partita. Proprio da questi indici, è stato approntato l’Indice di Pericolosità Offensiva.

Napoli e Milan in azione!

L’"IPO", di fatto, combina - a sua volta - i valori associati alle diverse situazioni d'attacco, affibbiando loro un peso specifico in relazione all’importanza, con lo scopo di analizzare quanto una formazione sia in grado di essere più o meno insidiosa in zona-gol. Nella fattispecie, vengono presi in considerazione tutte quelle situazioni proprie degli ultimi 25 metri di campo. Ad esempio. il tiro da fuori, da distanza ravvicinata, i movimenti a palla inattiva.

In tutto, secondo il "Giornale Italiano di Educazione alla Salute, Sport e Didattica Inclusiva", esistono sono 9 parametri utili per definire l'effettiva pericolosità di una squadra, in base all'assioma per cui "il gol non ha un valore in sé, ma è la risultante dei fattori che lo compongono": parliamo di azione promettente, corner, cross-traversone senza conclusione, assist più colpo di testa, palla-gol, rigore, punizione centrale, punizione laterale, tiro da dentro l'area e tiro da fuori area.

Gli Expected Goals

Quasi una conseguenza dell'"IPO", sono gli "Expected Goals". Un sistema mutuato dal baseball e fortemente adattato al calcio che, a differenza della palla base, è uno sport a basso punteggio, fatto che ha rappresentato sempre un ostacolo per le analisi "matematiche".

Partendo dal presupposto, come insegna 888sports che le squadre migliori sono - in un modello lapalissiano - quelle che effettuano più tiri e ne subiscono di meno, si raccolgono dati a iosa per capire quanti gol ci si sarebbe aspettati da una determinata squadra nell'arco di una partita, di una stagione o, anche, di un particolare segmento di tempo.

In questo senso, uno degli studi più conosciuti è lo "Spam" (Shot Position Average Model) di Paul Riley. In pratica, seguendo un metodo statistico analizzando oltre 30mila tiri su tre stagioni di Premier League, Riley è stato in grado di stabilire quante conclusioni siano necessarie prima di segnare in gol da dentro e da fuori area, da posizioni esterne, su punizione e via discorrendo.

Il risultato dello studio fu che il numero di tiri necessari, in media, a realizzare un gol da ciascuna posizione, rimanesse praticamente invariato da stagione a stagione. Riley, inoltre, ha fatto di più: ha suddiviso il campo in ulteriori zone affibbiando loro un valore in relazione al tiro, indipendentemente dal fatto che si sia trasformato in gol. Se si arriva in area a tirare, in parole povere, vuol dire essere stati comunque pericolosi, che si segni oppure no. Va da sé che l'utilità di tutto ciò è la valutazione dell'effettiva pericolosità della squadra, a prescindere dai gol segnati.

Così, dalle ricerche relative alla stagione 2019/2020, Napoli e Milan avrebbero dovuto realizzare più gol per il volume di gioco espresso!

Gli altri strumenti (utili alle tv)

Altri strumenti sono quelli messi a disposizioni degli "studi tv": ecco, quindi, la "Goal Build Up" (che riproduce la sequenza di passaggi che portano a un tiro o a un gol); la "Pass Map" (la mappa dei passaggi di una squadra durante una partita); la "3D Shots on goal"  (che evidenzia le traiettorie e i tentativi di conclusioni in porta; la Heat Map, la cosiddetta mappa di calore, che evidenzia le zone di campo "calcate" da un determinato calciatore, di cui - oggi - si contano anche i chilometri percorsi.

Gli strumenti descritti nell'articolo aiutano anche nei pronostici e consigli relativi alle scommesse sportive. Insomma, oggigiorno sembra ormai impossibile concepire la casualità della palla rotonda, nonostante si continui - a ragione - a sostenere il fatto che, vivaddio, "Il Calcio non è una scienza esatta".

Addirittura, sono diverse le squadre che analizzano squadre e giocatori (specie in fase di scouting) chiedendo aiuto anche all'enorme database del videogioco "Football Manager". Fu il caso, ad esempio, del Watford di Walter Mazzarri... Viviamo, insomma, in un'epoca in cui calcio reale e virtuale iniziano a fondersi. Per fortuna, conta ancora - più di qualsiasi altro dato - "buttarla dentro"...

*Le immagini dell'articolo sono di Luca Bruno (AP Photo). Prima pubblicazione 20 luglio 2020.

January 5, 2021
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il grande cuore di Braintree!

Vanarama League South, sesta serie, ultimo stallo del semiprofessionismo inglese: a pochissimi chilometri dall'aeroporto Ryanair di Stanstead (non lontano da Londra), la cittadina di Braintree. Qui, il club gli Irons del Braintree Town, per autosostenersi dopo il dissesto economico sofferto anche a queste latitudini calcistiche ha lanciato l'idea: "Ogni piccolo imprenditore o supporter della zona, con un'offerta minima di 1000 sterline, avrà l'opportunità di vedersi scritto il proprio nome, o quella della propria piccola ditta sulla maglietta 2020-21".

Quindi, non più un solo sponsor, ma tanti piccoli sostenitori "per tornare grandi" all'urlo di "l'unione fa la forza", lanciato dal presidente di lunghissimo corso Lee Harding, imprenditore lungimirante innamorato del suo club, che guida - insieme a un'altro paio di soci - da ormai una ventina d'anni. 

Una lotteria per la comunità

L'iniziativa in questione è il concentrato della sua filosofia: "Il club è di tutti, nel bene e nel male - ha raccontato Harding in una recente intervista per la locale testata Braintree & Witham Times -. Le origini operaie non devono mai essere dimenticate, specialmente dopo questo lungo stop dell'attività calcistica, che economicamente sta pesando parecchio nelle nostre casse. Dobbiamo costruire il futuro: il nostro sostegno economico, mio e dei soci, non verrà mai a mancare e cercheremo di conservare il Town ai più alti livelli calcistici possibili, in base alle nostre disponibilità.

Ma oggi serve un aiuto in più: e lo chiediamo agli appassionati di questa maglia. Cerchiamo, in pratica, 20-30 piccole aziende, ditte individuali o semplici tifosi generosi in grado di garantire un'offerta di mille sterline. Alla fine, procederemo a un sorteggio: il primo estratto vincerà la sponsorizzazione sulla nostra prima maglia di gioco, il secondo su quella da trasferta. Per tutti gli altri, ovviamente, predisporremo i banner pubblicitari a bordo campo del nostro stadio, il 'Cressing Road'".

A proposito di divise da gioco: i colori sociali sono l'arancio e il blu, stesse cromie delle tute dei lavoratori della Crittal Window Company, che entravano e uscivano dal Crittal Garage, ancora oggi il simbolo della società, fondata nel 1898 con il nome di Manor Works Football Club. Dalla produzione di finestre con telaio in ferro e acciaio (da qui il nickname dei giocatori arancioblù "The Irons").

Tutto questo per inquadrare il contesto di un team chiamato a guadagnarsi il pane quotidiano senza soste. E che, negli ultimi anni, ci è pure ben riuscito: al termine della stagione 2015-2016, il Braintree Town sfiorò, infatti, la promozione storica in League Two sotto la guida tecnica di Danny Cowley, attuale allenatore dell'Huddersfield Town, squadra sempre da Over per le scommesse calcio , in Championship.

L'intraprendenza di patron Lee Harding

A sottolineare l'intraprendenza di Harding e del club, per il blog italiano di 888 Sport, il giornalista della "Colchester Gazette" Jonathan Waldron: "Il Braintree Town vive una situazione molto comune, direi generalizzata, all'interno della "Non-League" inglese, dove i club vivono degli incassi delle partite e dei guadagni indotti. Non a caso vengono chiamati "le squadre del club": i tifosi pagano il biglietto, si bevono un paio di pinte o forse più e, al contempo, foraggiano economicamente la loro piccola squadra del cuore.

Immaginare queste squadre senza alcun tipo di attività, è allarmante. Il presidente Harding, tuttavia, è sempre stato foriero di ottime idee. La stagione in Vanarama League South (in cui gli Irons, penultimi a marzo, sono stati salvati d'ufficio con l'abolizione delle retrocessioni, ndr) riprenderà, si spera, a settembre, e sono già state organizzate amichevoli d'agosto, una di queste in casa contro il "prestigioso" Stevenage, sempre sfavorito nelle scommesse sportive 888.

Anche qui, la speranza è che già a fine estate si possano riaprire i cancelli del 'Cressing road'. E' fondamentale. L'idea di questa sorta di lotteria riservata a piccole ditte a sostegno del club, però, è stata unica nel suo genere nel panorama delle 'minors' inglese. Il Braintree Town merita senz'altro una bella idea: provarci, con ogni mezzo e mettendo la comunità (che conta circa 42mila abitanti, ndr), è sempre lodevole". 

Il murales allo stadio

A proposito di comunità: il Braintree Town, poco tempo fa, passò agli onori della cronaca per il murale dipinto da Gnasher (il più grande in questo campo in UK) davanti all'entrata di Cressing Road (lo stadio) in onore di Keith Flint, cantante e ballerino cofondatore dei "Prodigy", originario proprio di Braintree e scomparso lo scorso 4 marzo 2019. Un episodio che ha commosso l'Inghilterra e le cui immagini hanno fatto il giro del mondo.

Segui le storie di 888sport e le scommesse Serie A!

*Foto di Bernat Armangue (AP Photo).

 
July 18, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Regional partnership, il nuovo “Eldorado” del calcio (e non solo per i top club)

La nuova frontiera del marketing calcistico ha un nome: “regional partnership”. I più importanti club di calcio europei (a partire da quelli inglesi, per proseguire con i top team spagnoli), in questi ultimi anni, hanno sfruttato al massimo la loro proiezione internazionale. Grazie anche alla notorietà, in mercati cosiddetti “non maturi”, hanno conquistato velocemente quote e fans. Da lì l’idea di sviluppare le regional partnership.

Si tratta di accordi commerciali su specifici mercati o aree geografiche di riferimento. Può succedere così che un club europeo sia legato in patria (in ambito “domestico”) ad una birra e in Asia, sempre nello stesso settore, ad un brand locale concorrente (perché intende utilizzare il calcio come acceleratore di notorietà). Questa nuova frontiera consentirà alle società di calcio di moltiplicare all’infinito i ricavi commerciali, fino ad oggi, spesso concentrati sui mercati “domestici”. 

Juventus, club sempre pioniere

In Italia, la prima a muoversi in questa direzione (a partire dalla stagione 2014/15) è stata la Juventus, che ha chiuso diversi accordi in Cina. Negli anni passati, ad esempio, i campioni d’Italia si sono legati a Carlsberg fino alla stagione 2018 (oggi il brand sponsor di questo comparto è Bud), ma all’estero hanno affiancato la loro immagine prima a Star Lager (brewery company nigeriana) e poi alla cerveza messicana Tecate.  

Attualmente i bianconeri sono abbinati in Asia (con particolare attenzione alla Cina) a Costa Crociere China, a Dashing (azienda di profumi) e a China Merchants Bank. L’idea della società di Andrea Agnelli è potenziare quest’area utilizzando l’immagine di Cristiano Ronaldo (nel ruolo di testimonial-bandiera sui mercati esteri). 

Ma la Juventus non è l’unica società tricolore ad aver investito su questo nuovo settore geocommerciale. Il Milan, nel 2018, ha annunciato un accordo con partner asiatici, lo stesso hanno fatto, sempre in Asia, Bologna e AS Roma. Seguiti, da poche settimane, dalla Lazio di Claudio Lotito e da Atalanta (in gara ancora per campionato e, da outsider per le scommesse sportive, in Champions League) e Napoli.

Nel complesso, considerando anche la presenza dell’Inter, sono 8 le squadre di Serie A, che hanno scelto di percorrere questa strada. Di fatto, in una logica più ampia queste operazioni dovrebbero portare anche alla “internazionalizzazione” delle società in esame. 

Altrimenti si rischia di assistere a interessanti operazioni commerciali (tra i 300 mila e il milione di euro a stagione), ma non a iniziative di lungo respiro. Non è un caso che la Juve ad esempio sia sempre più presente in Cina e abbia aperto a fine 2019 la quinta J-Academy a Shanghai.

La strategia Zhang

Sicuramente da monitorare è la strategia messa in campo dagli “uomini” della famiglia Zhang, proprietaria dell’impero commerciale Suning e, da alcune stagioni, del marchio nerazzurro. 

La proprietà cinese ha messo a sistema rapporti pluriennali con diversi brand della “rete” Suning (dagli orologi sportivi ai sistemi di pagamento attraverso carte prepagate fino ai vini, all’energia e agli apparecchi di elettronica). Nel complesso, attualmente, sono 7 con contratti in scadenza tutti nell’estate del 2021: Aux, Ceb credit card, A.O. Smith, Midea, Monalisa Tiles, Tianjin Seagull Watch Group e Kweichow Moutai Group. 

Si stima che il numero dei partner asiatici dell’Inter, favorita per il secondo posto nelle quote delle scommesse calcio, possa aumentare nel corso delle prossime stagioni. La presenza commerciale di Suning in Cina è un “hub” unico per una ulteriore espansione e potrebbe fungere, soprattutto, da effetto leva in termini di ricavi. 

Più difficile, almeno nel breve, sarà recuperare il “gap” con gli altri top club europei, che si muovono su una media di 15 contratti stagionali, sfruttando la loro proiezione internazionale (costruita nel tempo) e la forza del monopolio linguistico (soprattutto se parliamo di realtà britanniche). 

*Il testo dell'articolo è stato curato da Marcel Vulpis, direttore di SportEconomy; l'immagine di apertura è di Antonio Calanni (AP Photo).

July 18, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off