Giochi senza frontiere - 40 anni fa tornavano gli stranieri

Il 14 settembre 1980 i calciatori stranieri tornavano a calcare i campi di calcio italiano, dopo un embargo durato quattordici lunghi anni. Nessuna questione politica, soltanto una decisione presa dalla Federcalcio all’indomani dell’eliminazione dell’Italia dal Mondiale inglese del 1966 per mano di Pak Doo Ik, inaspettato goleador. Il sicario di Middlesbrough - oltre a far scorrere i titoli di coda sul torneo dell’Italia - chiuse a doppia mandata le frontiere.

Da quel momento, la Figc approvò il veto di tesserare calciatori provenienti da altre federazioni, mentre quelli che già partecipavano al campionato ebbero la possibilità di restare; l’ultimo ad arrendersi fu il gringo Sergio Clerici che disputò il suo ultimo campionato nella Lazio allenata da Luis Vinicio: correva l’anno 1978, undici presenze e un solo gol - decisivo - contro l’Inter, realizzato nei minuti finali, dopo una sfida giocata sotto una pioggia torrenziale.

Era arrivato agli albori degli anni sessanta, rimase in Italia diciotto anni cambiando sette squadre; Lecco, Atalanta, Verona, Fiorentina, Napoli, Bologna e Lazio.
Il club biancoceleste - quando riaprirono le frontiere - si mosse per tempo, acquistando dal PSV Eindhoven l’olandese Renè Van de Kerkhof; il ds laziale Luciano Moggi concluse tempestivamente la trattativa per il centrocampista che tuttavia non ebbe mai modo di giocare un solo minuto: una sentenza della Caf condannò Lazio e Milan in Serie B.

Fu così che il primo straniero a sbarcare sul patrio suolo fu il difensore olandese Michel Van de Korput, tesserato dal Torino. L’accoglienza non è delle migliori, un quotidiano ironizza sul nome del giocatore etichettandolo come un efficace lassativo: ironia da anni ’80, c’è poco da ridere.
Via via, gran parte dei club di Serie A portarono a casa il loro acquisto forestiero: alla fine, arrivarono più bidoni che campioni.

Cinque squadre rinunciarono alla possibilità di acquistare un calciatore straniero: Cagliari, Catanzaro, Ascoli, Como e Brescia rimasero con una rosa al 100% Made in Italy.

Al termine del mercato arrivano undici giocatori dalle federazioni straniere: Brady (Juventus), Falcao (Roma), Kroll (Napoli), Prohaska (Inter), Bertoni (Fiorentina), Eneas (Bologna), Van de Korput (Torino), Juary (Avellino), Neumann (Udinese), Fortunato (Perugia), Luis Silvio Danuello (Pistoiese).

Grande curiosità animò l’esordio dei nuovi volti: l’irlandese Brady, il brasiliano Falcao, l’argentino Bertoni e l’olandese Kroll mostrarono immediatamente il loro valore, altri impiegarono più tempo. Altri ancora - con il passare dei mesi - si rivelarono dei veri e propri brocchi, partiamo raccontando le imprese, rectius, le non imprese di:

Luis Silvio Danuello

La neo promossa Pistoiese decise di volare fino in Brasile per scegliere il proprio gioiello. La storia potrebbe somigliare molto alla sceneggiatura del film “L’allenatore nel pallone”, soltanto che qui manca il lieto fine con la salvezza ottenuta in extremis. 

La Pistoiese vola in Brasile per acquistare un bomber, una punta in grado di fare la differenza. Ma alla fine arriva una ponta, un’ala destra. L’equivoco generato dall’assonanza è fatale, la Pistoiese acquista Luis Silvio Danuello per 170 milioni di vecchie lire. In pochi mesi, si svela l’equivoco, il brasiliano gioca appena sei partite, poi - inevitabilmente - finisce in tribuna; notte tempo, scappa da Pistoia e prende il primo volo per il Brasile, con biglietto isola andata.

Luis Silvio Danuello è diventato - nel corso degli anni - una sorta di leggenda; molte storie sono state inventate sul suo conto: da gelataio a pornodivo, da pizzaiolo a rivenditore di ricambi per macchine. La cosa certa è che sia diventato - anno dopo anno - un vero e proprio monumento al “bidone”. La Pistoiese allenata da Lido Vieri, con Marcello Lippi e Mario Frustalupi agli sgoccioli delle rispettive carriere, retrocede mestamente conquistando la miseria di sedici punti.

 

Sergio Elio Angel Fortunato

In quell’estate non andò meglio al Perugia, privato di Paolo Rossi e penalizzato di 5 punti per le vicende relative al Calcioscommesse. Il direttore sportivo Ramaccioni vola in Argentina per acquistare dall’Estudiantes Sergio Elio Angel Fortunato. La sua patente di bomber è buona; nel Racing Club segna 20 gol in 46 partite, 56 gol in 100 partite all’Estudiantes, 23 gol in 55 presenze con il Quilmes. Sulla panchina c’è Renzo Ulivieri, esordiente in Serie A, e forse è questa la decisione più sciagurata della società che affida la squadra a mani inesperte.

A metà del campionato Ulivieri viene esonerato, ma neanche il cambio alla guida tecnica rinvigorisce l’artillero sudamericano che nel contempo è finito in panchina. Alla fine realizza soltanto due gol nelle dodici apparizioni in cui scende in campo. Sergio Fortunato entra in scena quando il Perugia è già condannato: si toglie lo sfizio di segnare a San Siro contro l’Inter alla penultima giornata e va a bersaglio nell’atto conclusivo del torneo firmando una delle poche vittorie della stagione contro il Torino. Poi saluta, e se ne va.

Herbert Neumann

A completare il podio dei bidoni d’oltre confine, non può mancare il tedesco Herbert Neumann che dopo aver fallito a Udine, pensò bene di replicare le proprie nefaste prestazioni anche al Bologna. In verità, la cosa più apprezzata di Neumann era l’avvenenza della moglie, bellezza portoghese degna di Cristiano Ronaldo.

Se ne accorse subito il direttore generale dei friulani Dal Cin quando volò in Germania per chiudere il contratto, se ne accorsero i compagni quando il tedesco arrivò a Udine con famiglia al seguito. Il centrocampista segna un solo gol, decidendo lo scontro diretto contro la Pistoiese.

A fine stagione, dopo 25 presenze e una sola rete, va a Bologna. Anche qui, il tedesco non riesce a marcare la differenza: venti presenze e un solo gol, all’Udinese, che aveva avuto il demerito di portarlo in Italia. Se ne va dopo due stagioni vissute in campo quasi nell’anonimato.

Per le scommesse serie A , il Bologna si gioca @2.40 nello speciale testa a testa contro il Sassuolo!

Torna al Colonia, va in Grecia all’Olympiakos e chiude in Svizzera, nel Chiasso. In Nazionale, una sola presenza, contro l’Inghilterra. E’ una storia che potrà raccontare ai nipoti, omettendo quel suo deludente viaggio in Italia.
(fine prima parte)

*L'immagine di apertura è di AP Photo.

September 9, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Formula 1, per la prima volta si corre al Mugello: record e curiosità 

All’Autodromo del Mugello si correrà domenica pomeriggio il Gran Premio della Toscana Ferrari 1000. Per la prima volta nella sua storia il Mugello ospiterà una gara della Formula 1, a causa delle pesanti modifiche che ha subito il calendario del Mondiale. In realtà il Mugello non è una novità assoluta per la Formula 1, specialmente per la Ferrari che è la proprietaria del circuito.

L’Autodromo è sempre stato teatro dei test della Rossa, prima dello stop voluto dalla FIA ai test privati. 

Le curiosità

Il Mugello sarà il quarto circuito italiano nella storia del Mondiale della Formula 1 dopo Monza, Pescara e Imola e sarà il 72esimo circuito ad ospitare un Gran Premio di Formula 1 (anticipando il Vietnam). Il Mugello sarà il terzo circuito di proprietà di uno dei partecipanti dopo Suzuka proprietà della Honda e il circuito di Spielberg, meglio conosciuto come il Red Bull Ring.

La Formula 1 è stata Mugello per l’ultima volta ben otto anni fa, quando ci furono tre giorni di test nei quali a segnare il miglior tempo, davanti a tutti, fu Romain Grosjean. Il francese è uno dei pochi piloti del circuit ad aver già girato al Mugello, anche se otto anni fa lo fece alla guida della Renault.

Nonostante sia alla sua prima gara in Formula 1, il Mugello sarà il tracciato più “anziano” di questa stagione. Il suo layout dal 1974 non è mai cambiato, risultando così un tracciato datato ormai 46 anni. 

I record del Mugello

Quindici curve e 5245 metri da percorrere per completare il giro all’Autodromo Internazionale del Mugello. Servirà grande carico aerodinamico per gestire al meglio le quattro varianti e soprattutto le due curve storiche dell’Arrabbiata. A questo però bisognerà aggiungere un gran motore per non perdere troppo sul lunghissimo rettilineo del traguardo.

Poco meno di un chilometro dalla Bucine, ultima curva del giro, fino alla profondissima staccata alla San Donato, tornante in curva 1 che metterà a dura prova i piloti della Formula 1.

L'ultima esultanza rossa!

Il ritmo tra la MotoGP e la Formula 1 è completamente diverso al Mugello, come dimostra anche il record della pista. Per quanto riguarda la MotoGP il record è stato segnato da Marc Marquez la scorsa stagione con la sua Honda. Il fuoriclasse spagnolo ha completato il giro in 1’45’’519 strappando così la pole position, anche se il suo rapporto col Mugello non è ottimo.

Il Gran Premio d’Italia infatti è stato vinto solamente una volta da Marc Marquez in MotoGP (per lui altri due successi in 125 nel 2012 e in Moto2 nel 2013).

Al Mugello ha dominato a lungo Valentino Rossi, capace di vincere sette volte consecutivamente tra il 2002 e il 2008, anno del suo ultimo successo nel GP d’Italia. Dopo il padrone del Mugello è stato Jorge Lorenzo, sei volte vincitore in otto edizioni tra il 2011 e il 2018. Se il giro record della MotoGP è superiore a un minuto e quarantacinque secondi, molto più veloce è invece la Formula 1.

Il record storico del Mugello è stato realizzato da Rubens Barrichello con la F2004 il nove febbraio di sedici anni fa. Giro record in 1’18’’704, con una media vicina ai 240 chilometri orari, tempo che rischia di cadere il prossimo weekend. 

Dopo il clamoroso successo di Gasly a Monza, per le scommesse su 888sport con le migliori quote sui motori il britannico Hamilton torna favorito @1.51!

Le altre piste

Il Mugello non è l’unica pista che vede gareggiare sia la Formula 1 che la MotoGP. Ad esempio la pista di Jerez de la Frontera è un riferimento storico per il Motomondiale, ma in passato ha anche ospitato la Formula 1. Il circus automobilistico è arrivato a Jerez nel 1986, con cinque diversi Gran Premi di Spagna fino al 1990, per poi tornare nel 1994 e nel 1997 per due ulteriori edizioni del Gran Premio d’Europa.

In quel di Le Mans invece la MotoGP dal 1969 disputa il Gran Premio di Francia, ma nel 1967 il Circuito Bugatti vide protagonista anche la Formula 1 con la vittoria di Jack Brabham. Sono invece quattro le piste attualmente condivise tra la Formula 1 e la MotoGP nel calendario “classico” del Mondiale. Sono i circuiti di Barcellona, Spielberg, Silverstone e Austin e solo la pista catalana presenta un layout leggermente diverso tra la Formula 1 e la MotoGP. 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Antonio Calanni e Darren Abate.

September 8, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Leo continua a Barcellona, ma con quali stimoli?

La telenovela calcistica dell’estate è durata poco, ma è stata parecchio intensa. Normale, considerando che l’attore protagonista è stato Leo Messi, sei volte Pallone d’Oro. La volontà, poi ritrattata (ma non troppo) di lasciare Barcellona è stata un fulmine a ciel sereno, anche se qualche nube, a ben, vedere, aveva già cominciato ad addensarsi sul Camp Nou.

L’opposizione del club blaugrana, però, ha sortito l’effetto sperato. Per sfruttare la sua celebre clausola di fuga, Messi avrebbe dovuto intentare una causa ai catalani, cosa che, come ha dichiarato in una lunga intervista, non avrebbe mai potuto fare per motivi affettivi. Dunque, almeno per una stagione, Messi resta a Barcellona. Ma con quali stimoli?

Complicato a dirsi, anche se quando si parla della Pulce lo stimolo principale è sempre uno: vincere, primeggiare, dimostrare a tutti di essere il migliore. D’altronde, uno dei motivi della scarsa soddisfazione di Messi è proprio l’annata pessima del Barcellona, che resta senza titoli stagionali dopo un’eternità. E anche tutti i contatti (veri o presunti) con Guardiola per un volo verso Manchester sponda City, vertevano su un solo punto: vincere di nuovo la Champions League ed il Pallone d’Oro!

Ma gli stimoli per Messi potrebbero arrivare anche dallo scontro frontale con il presidente Bartomeu. Del resto, le elezioni al Barça sono previste a marzo 2021. E anche se il numero uno ha esaurito i mandati e non potrà candidarsi, quale modo migliore di vendicarsi nei confronti di colui che non ha mantenuto la promessa di lasciarlo andare che brillare, favorendo con tutta probabilità la sconfitta della sua corrente alle urne?

Senza poi contare che la vittoria di qualcuno dei candidati potrebbe riportare al Camp Nou facce conosciute come Xavi, che certamente può essere importante per una ulteriore permanenza di Messi più di quanto lo sarà Koeman. Già, Rambo. L’allenatore olandese è arrivato a Barcellona nel momento più sbagliato possibile, provando a mettersi alla guida di una barca che definire in tempesta è poco.

Lui, e non può essere altrimenti, Messi se lo terrà con piacere, ma l’atteggiamento nei confronti degli altri senatori lascia poco spazio alle congetture: Koeman è arrivato anche per rinnovare a fondo la rosa. E così addio a Suarez, a Rakitic, a Vidal e chissà quanto spazio per i senatori che rimarranno, come Piquè. Il problema di Rambo, però, è duplice. Deve cambiare, ma anche vincere. Dopo una stagione all’asciutto, nessuno a Barcellona può neanche concepire l’idea di concedere il bis.

Non è un caso che, dopo lustri, per le scommesse la Liga, il Barcellona non sia più favorito per la vittoria in campionato: la quota è @2.50 contro 1.75 del Real che si conferma campione. Ma qualcosa dovrà arrivare in bacheca, che sia la Liga (buttata alle ortiche per demeriti propri) o, meglio ancora la Champions, che ormai manca dalla stagione 2014/15.

Molto però dipenderà da quello che rimarrà a disposizione dell’ex CT degli Oranje dopo il mercato, sia in entrata che in uscita. Non che gli ultimi anni, al riguardo, offrano garanzie.

L'ultimo successo in Champions...

I mercati senza logica

Tra le tante teste saltate a fine stagione, oltre a quella di Quique Setien c’è quella di Eric Abidal. L’ex direttore sportivo (sostituito da Planes) paga i risultati della squadra ma ancor di più una serie di operazioni di mercato fallimentari nelle ultime due stagioni. 

Ma il problema sul mercato dei blaugrana comincia da prima della gestione Abidal. Dopo il Triplete firmato Luis Enrique, i catalani hanno perso colpi in sede di trattative. Sono andati via nomi pesanti: Xavi e Iniesta hanno preferito chiudere la carriera altrove, mentre Neymar è fuggito a Parigi e Dani Alves ha scelto prima Torino e poi anche lui il PSG.

Al loro posto, ma non solo, una serie di acquisti non proprio azzeccati. Il più costoso, Coutinho (160 milioni), è attualmente un esubero dopo essere stato sbolognato in prestito, vincendo tra l’altro la Champions con il Bayern. Griezmann (anche lui un totale di 160 milioni) non è ancora giudicabile, visto che è arrivato nella stagione più complicata della storia recente del Barça. Pollice finora verso per Dembelè, che invece combatte con un fisico troppo propenso agli infortuni e che non ha giustificato i 120 milioni spesi per lui.

E anche quelli pagati meno non è che abbiano brillato. Malcom, strappato alla Roma mentre era in aeroporto per 41 milioni, ha lasciato dopo una sola stagione. Andrè Gomes ce ne ha messe due per andarsene, ma i 37 milioni versati al Valencia restano un mezzo mistero. Così come la storia in blaugrana di Arda Turan, pagato 34 milioni e poi desaparecido fino alla rescissione. E poi ancora Lenglet, che non è Piquè, e Semedo, che non sarà mai Dani Alves, ma che sono costati in due 70 milioni.

E infine Arthur, che almeno ha fruttato una buona plusvalenza (80 milioni, contro i 31 di costo), ma che non ha mai tenuto fede all’etichetta di nuovo Xavi. Per quanto Messi...sia Messi, al Camp Nou non potevano certo sperare che tenesse su la nave da solo.

Le tre sconfitte in Champions

E anche questi errori spiegano il perché del crollo verticale dei blaugrana, soprattutto in Champions League. Nelle ultime tre stagioni, il Barcellona è incappato in tre nottate terribili che hanno portato ad altrettante figuracce. E se in Liga, almeno fino all’ultima edizione, i valori tecnici e le 38 giornate hanno fatto sì che la squadra all’epoca di Valverde portasse a casa il titolo al netto degli inciampi, la competizione europea non ha perdonato.

La grafica di 888!

A Roma, nella notte che con il senno di poi ha dato il via alla valanga, i catalani hanno pagato una supponenza mentale evidente, quella di aver già chiuso i conti all’andata. Messi e compagni si sono presentati nella Capitale con l’idea di giocare una mezza amichevole.

L’entusiasmo dei giallorossi, la spinta del pubblico e l’imprevedibilità del calcio hanno fatto il resto, per una eliminazione clamorosa per le scommesse calcio, ma giusta per quanto espresso dalle due formazioni nell'arco dei 180 minuti! L’anno dopo, con il Liverpool, è invece stato il ricordo dell’Olimpico a giocare un brutto scherzo al Barça.

La notte dell'Olimpico!

Il 3-0 all’andata, in teoria, metteva gli spagnoli ancora più al riparo da sorprese del 4-1 alla Roma dell’anno precedente. Ma quando tutti si sono disperati all’errore di Dembelè, che sbaglia il 4-0 a porta vuota, si è capito che i blaugrana non erano tranquilli.

Ad Anfield il Liverpool ha giocato conscio del terrore latente degli avversari e quando ha segnato il 2-0 al minuto 54, Klopp si è goduto il crollo. Non per nulla, Wijnaldum ha portato il doppio confronto in parità pochi attimi dopo e Origi ha suggellato la caduta degli Dei con una rete figlia della confusione della squadra di Valverde, che si perde un corner battuto in fretta, roba che forse si vede in un match delle giovanili, non certo in semifinale di Champions.

Per quello che riguarda il 2-8 subito in Portogallo dal Bayern, si tratta di una disfatta imprevedibile, ma neanche troppo. La squadra di Setien è arrivata al confronto con i bavaresi dopo mesi di tensioni, interne ed esterne, che hanno lasciato il segno. E proprio come accaduto al Brasile nel mondiale casalingo del 2014, si è sciolta come neve al sole non appena i tedeschi (che evidentemente per cultura calcistica non si fermano neanche quando l’avversario è ormai KO) hanno spinto sull’accelleratore.

Paradossalmente, nonostante un risultato mai visto e un’onta complicata da cancellare, quella contro i futuri campioni d’Europa resta la meno evitabile tra le figuracce continentali recenti. Ma, volente o nolente, ha segnato una cesura drammatica nella storia del Barcellona. E quali saranno le conseguenze, cominceremo a vederlo presto.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Luca Bruno ed Andrew Medichini.

September 8, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Abbiati, leader tra i pali e nello spogliatoio!

17 gennaio 1999, ultima giornata di andata del campionato di Serie A. A San Siro arriva il Perugia, che affronta il Milan di Zaccheroni. A tempo ormai scaduto l’arbitro fischia un rigore per gli ospiti, realizzato dal giapponese Nakata. A riprendere il pallone va Bucchi, che però viene travolto da una vera e propria clothesline in pieno stile wrestling. A dargliela è Sebastiano Rossi, portiere rossonero, che viene espulso.

Pochi possono immaginare che quello sarà forse uno dei momenti decisivi del campionato e che sta per iniziare la carriera ad altissimi livelli di un ragazzo destinato a diventare un volto notissimo del calcio italiano. Per i minuti di recupero va in porta Christian Abbiati, classe 1977.

Il ragazzo, nato ad Abbiategrasso 22 anni prima, è all’esordio in Serie A ma non è poi un novellino. È cresciuto in una serie di piccole squadre lombarde prima di finire a Monza. Proprio con la maglia dei brianzoli gioca la sua prima partita in C1 nella stagione 1994/95, per poi passare in prestito al Borgosesia per un anno tra i dilettanti.

Al ritorno alla casa madre diventa il titolare, nonché uno dei protagonisti della promozione in Serie B nel 1996/97. Per Abbiati c’è anche il tempo di giocare un intero campionato cadetto, prima della chiamata da Milanello. Del resto, da quelle parti c’è Galliani che per il “suo” Monza ha sempre un occhio di riguardo e decide di portare in rossonero il portiere.

Da terzo ad eroe

All’inizio di quella stagione, Abbiati è il classico numero 22. Il titolare sarebbe Lehmann, con dietro l’eterno Rossi. Peccato (ma non troppo, almeno per Abbiati) che prima il tedesco decida di regalare momenti di terrore alla difesa rossonera, guadagnandosi un biglietto di ritorno per la Germania, e che poi il portiere del Milan degli Invincibili decida di tentare di decapitare Bucchi, beccandosi cinque giornate di squalifica. Il posto da titolare, il buon Seba non lo vedrà più.

Le prestazioni di Abbiati, che si presenta in campo con una determinazione forse inattesa, convincono Zaccheroni a tenerlo tra i pali per tutto il girone di ritorno. Le sue parate sono fondamentali nella clamorosa rimonta rossonera alla Lazio di Eriksson, con tanto di sorpasso alla penultima giornata. E nella partita che sancisce la vittoria dello scudetto a Perugia c’è la sua firma.

Ad appena 22 anni e a neanche sei mesi dall’esordio in Serie A, Abbiati è il portiere del Milan scudettato e la società si fida così tanto di lui da non cercare un sostituto. Per altre tre stagioni difende i pali rossoneri, esordendo anche in Champions League. Poi però, nel 2002, il destino gli fa un brutto scherzo. Un infortunio all’anca lo costringe a saltare i preliminari di Champions League contro lo Slovan Liberec e al suo posto gioca Dida.

Il brasiliano si comporta così bene che Carlo Ancelotti, che nel frattempo è diventato tecnico dei rossoneri, lo promuove a numero uno. Abbiati comunque gioca sei delle diciannove partite che porteranno il Milan a laurearsi Campione d’Europa a Manchester contro la Juventus. Per le due stagioni successive, però, le presenze saranno sporadiche, con il verdeoro ormai punto fermo della retroguardia rossonera.

Abbiati sotto la Curva Sud rossonera!

Le Torino di Abbiati

La sorte però ha uno strano rapporto con Abbiati e nell’estate 2005 gli regala un’avventura decisamente inattesa. In uno scontro con Kakà nel classico Trofeo Berlusconi, Gigi Buffon si infortuna alla spalla. Per tutta risposta il presidente rossonero offre come “compensazione” il prestito secco del suo portiere ai bianconeri.

Quindi Abbiati si ritrova titolare della Juventus di Capello fino al ritorno di Buffon, che avviene nella seconda parte della stagione. A Torino il portiere lombardo vince il suo terzo scudetto, che però verrà revocato a causa del ciclone calciopoli.

La città però evidentemente gli piace, perché anche l’anno successivo resta in prestito sotto la Mole, ma stavolta con la maglia granata. Da titolare indiscusso, Abbiati contribuisce alla salvezza della squadra guidata da Zaccheroni prima e da De Biasi poi. E anche la stagione 2007/08 la passa in prestito, stavolta all’Atletico Madrid, iniziando da secondo e poi conquistandosi il posto da titolare.

Al ritorno al Milan, la situazione è cambiata. Dida non regala più troppe certezze, quindi Abbiati rifiuta la cessione al Palermo e si riprende metaforicamente la numero 1. Deve però abbandonarla nel marzo 2009, quando una distorsione con interessamento dei legamenti lo costringe a chiudere in anticipo la stagione e a fermarsi per dieci mesi. L'infortunio non gli impedisce di tornare di nuovo da titolare e di ottenere il prolungamento del contratto.

La stagione 2010/11 è quella della rivincita. Il Milan di Allegri si aggiudica lo scudetto, l'ultimo non vinto dalla Juventus per gli appassionati di scommesse Serie A, ed Abbiati è di nuovo protagonista, indossando per la prima volta anche la fascia da capitano.

Per altri tre anni il classe 1977 si tiene stretto il posto, finché nella stagione 2013/14 non arrivano a Milano prima Inzaghi e poi Mihajlovic, che gli preferiscono prima Diego Lopez e poi Donnarumma. A quel punto Abbiati decide di lasciare il calcio nel 2016, non prima di essere diventato il portiere con più presenze nella storia del Milan, con 380 presenze e 8 trofei in quindici anni.

La Nazionale

L’unica vera delusione di una carriera così lunga e importante è la nazionale. Chiuso quasi sempre da Buffon, Abbiati riesce a racimolare appena quattro presenze in azzurro, due con Trapattoni e due con Donadoni. E dire che se nel 2000 la squadra di Zoff con Toldo titolare avesse vinto l’Europeo, Abbiati si sarebbe laureato campione d’Europa, visto che il tecnico friulano lo aveva convocato per sostituire proprio SuperGigi, che si era infortunato prima del torneo.

Anche nel 2002 ha fatto parte come terzo portiere della sfortunata spedizione in Giappone e Corea del Sud, mentre nel 2006 Lippi gli ha preferito Peruzzi e Amelia per guardare le spalle a quel Buffon con cui aveva condiviso la porta della Juventus proprio in quella stagione. Ma vista la bacheca, di certo il portiere lombardo non avrà molto di cui lamentarsi in ogni caso…

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di  Matt Dunham ed Alberto Pellaschiar.

September 7, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Tennis, scatta la seconda settimana agli US Open

Tanti assenti, ma finalmente il tennis è ripartito ed è pronto a scattare il primo Grande Slam post sospensione. Da lunedì si giocaa New York lo US Open, lì dove nella settimana precedente si è giocato il Masters 1000 di Cincinnati. Nella bolla di NY mancano molti protagonisti del tennis, a cominciare dai due fenomeni Nadal e Federer. 

La striscia continua 

Sarà dunque Djokovic a guidare la ripresa del tennis, dopo che il serbo ha vinto non senza sofferenze il torneo di Cincinnati. Nole ha dovuto combattere con dei problemi al collo e sia in semifinale che in finale ha sofferto più del previsto. Contro Bautista Agut l’ha spuntata solamente al tie-break del terzo set, mentre in finale contro Raonic ha perso malamente il primo set, ribaltando poi il match vincendo 6-3 al terzo. Nei primi tre turni dello slam, il serbo ha ceduto un solo set al tie break con Kyle Steven Edmund, allungando a 26 incontri il record di imbattibilità del 2020!

Raonic era stato la sorpresa del torneo “di” Cincinnati, capace di vincere lottando ai quarti con KrajInovic e soprattutto di dominare Tsitsipas in semifinale senza perdere mai il servizio, ma ha ceduto il passo nel derby del grande e bianco nord al secondo turno contro Pospisil.

Due big usciti a pezzi dal primo torneo americano si sono prontamente ripresi e sono ancora in gara nello slam: parliamo di Dominik Thiem, che aveva vinto solo tre game contro Krajinovic al secondo turno e Sasha Zverev, sconfitto in tre set da Andy Murray. Sasha è favorito nel “quarto due” @1.55 per le scommesse tennis!

I favoriti

Non si va tanto lontano da vincitore di Cincinnati, ovvero Novak Djokovic. Il serbo non ha perso una partita nel 2020, nonostante le difficoltà fisiche degli ultimi giorni. Nole è naturalmente nettamente favorito per i quotisti di 888sport.it, alle sue spalle c’è Daniil Medvedev @6.00. Il russo ha dimostrato poca solidità mentale contro Bautista Agut la scorsa settimana, ma nel 2019 è stato finalista a New York e vuole confermare il risultato.

Così come vuole fare Berrettini, che nonostante non sia stato perfetto nelle due gare giocate durante la settimana dedicata al torneo di Cincinnati, è arrivato al quarto turno, nel quale sfiderà, da leggero favorito @1.80, il classe '97 di Mosca, Andrey Rublev!

Matteo nel torneo 2019

Eliminato tra le principali teste di serie Stefanos Tsitsipas, forse il giovane più costante degli ultimi dodici mesi anche se continua a mancargli l’acuto in un Grande Slam. Per gli italiani, prestazioni comunque positive per Caruso,  mentre si è fermato, dopo aver vinto i primi due set, al primo turno Jannik Sinner che è stato sfortunato davvero al sorteggio per aver pescato Karen Khachanov. 

Il femminile

Il ritorno al successo di Vik Azarenka a Cincinnati grazie al ritiro di Naomi Osaka dimostra, ancora una volta, quanta incertezza ci sia nel tennis femminile. La Osaka è la favorita, con quota 6.00 ma le su condizioni fisiche sono assolutamente da testare. Non ha giocato il Masters 1000 di Cincinnati Serena Williams, che va a caccia del ventiquattresimo successo in un Grande Slam. Per l’americana significherebbe eguagliare il record di Margaret Smith Court, un record che insegue da oltre tre anni. La Williams infatti non vince uno Slam dall’Australian Open del 2017, un record che potrebbe raggiungere in casa dove non vince dal 2014.

Una doppietta della Azarenka paga 23 volte la posta, anche se la sua tenuta nelle due settimane è tutta da vedere.  

*Le immagini dell'articolo, distribuite da AP Photo, sono di Andy Brownbill e  Kevin Hagen.

September 6, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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La fortuna di avere Mancini come uomo assist!

Roberto Mancini e Gianluca Vialli, un binomio così inscindibile che sembra che i due in carriera abbiano giocato solo assieme. Semplice capire perché, considerando che la coppia d’oro del calcio italiano ha regalato gioie e sogni alla Sampdoria per anni, da quando nel 1984 il centravanti di Cremona ha raggiunto il fantasista di Jesi al Ferraris.

Otto anni di grande calcio, con uno Scudetto, tre Coppe Italia, una Supercoppa Italiana e una Coppa delle Coppe in bacheca, con il solo neo di non aver sollevato la Coppa dei Campioni nella finalissima di Wembley nel 1992, persa contro il Barcellona con il goal del neotecnico Koaman. Dopo quella partita, Vialli si trasferisce alla Juventus. E al Mancio non resta altro che trovarsi un nuovo gemello del gol. Impresa non semplice, ma alla fin fine neanche impossibile.

Senza il gemello

Il primo anno dell’era post-Vialli e post-Boskov vede Mancini reggere su di sé quasi tutto il peso dell’attacco della Sampdoria. La squadra affidata ad Eriksson circonda il Mancio di giovani di buone speranze (Bellucci, Amoruso, Bertarelli) e gli affianca anche un grande vecchio come Buso, entrato nell'operazione di mercato che ha portato il gemello del gol a Torino.

Alla fine però i ragazzi giocano poco e l’ex Fiorentina entra in rotta con l’allenatore, quindi alla fine quello che gioca di più assieme al numero 10 è Enrico Chiesa. Il talento cresciuto nelle giovanili però non è ancora il bomber implacabile che tutti conoscono e nella stagione 1992/93 segna appena un gol, contro i 15 di Mancini.

L’anno successivo la Samp si rafforza e il reparto offensivo vede due aggiunte di livello internazionale. Chiesa va di nuovo a farsi le ossa in prestito, Buso è stato ceduto ma assieme a Bellucci, Amoruso, Bertarelli stavolta ci sono due calciatori sui generis. David Platt è un trequartista, anche se in carriera ha sempre segnato abbastanza. Ruud Gullit invece gioca un po’ dove vuole, ma la porta la vede eccome.

Non è un caso che quella Sampdoria, che rimane orfana del presidentissimo Paolo Mantovani, arrivi terza in classifica vincendo anche la Coppa Italia. Il Tulipano Nero segna 18 gol tra Serie A e coppa, mentre l’inglese sfiora la doppia cifra in campionato. E Mancio, che nel frattempo è diventato capitano, ci mette del suo con 12 marcature.

Quanti scambi con il Milan

La stagione 1994/95 è molto particolare. Gullit dopo appena una stagione a Genova torna al Milan, ma i rapporti con i rossoneri, con cui si era già separato tra le polemiche, non migliorano. E quindi a dicembre Melli, che era arrivato per l’olandese, torna a Milanello, mentre il Pallone d’Oro 1987 fa il percorso inverso.

Peccato che Gullit non possa giocare in Coppa delle Coppe, avendo già giocato in Champions con il Milan, e che Bertarelli si infortuni gravemente. Senza più Amoruso, il peso dell’attacco ricade di nuovo sulle spalle del Mancio, che fa 12 gol tra campionato e coppe. In campionato la Samp arriva ottava, mentre l’avventura europea termina in semifinale contro l’Arsenal ai calci di rigore.

Altro anno, altra rivoluzione. Nell’estate 1995 Gullit e Platt lasciano la Sampdoria, così come Bertarelli. In compenso però arriva Filippo Maniero dal Padova e soprattutto torna Enrico Chiesa, che nella stagione precedente era stato in prestito alla Cremonese facendo benissimo. L’attaccante genovese dimostra che gli anni in giro per l’Italia sono serviti eccome, andando a segno ben 22 volte, firmando reti di pregevole fattura! 

La coppia con Mancini fa sognare la Genova blucerchiata e il numero 10, come al solito, ci mette il suo importantissimo contributo segnando le… solite 12 reti, a cui vanno aggiunte le sei di Maniero. 

Il mercato decide però di separare la nuova coppia d’oro, perché Chiesa viene ceduto al Parma. In compenso al suo posto arriva (dal Genoa!) un altro attaccante dall’incredibile fiuto del gol: Vincenzo Montella.

L’aeroplanino di Pomigliano d’Arco non fa rimpiangere il suo predecessore e anche grazie agli assist di Mancini segna 22 gol in 28 partite, arrivando secondo in classifica marcatori dietro a Pippo Inzaghi e facendo segnare il miglior risultato di sempre da parte di un esordiente italiano in Serie A. Anche Mancio però segna di più, chiudendo quella che è la sua ultima stagione alla Sampdoria con un bottino di 15 reti.

Un nuovo capitolo

Nella stagione 1997/98 Eriksson diventa allenatore della Lazio e decide di portare con sé due calciatori già avuti a Genova: Jugovic e Mancini. In biancoceleste Mancio potrebbe fare scintille assieme a Beppe Signori, ma il tre volte capocannoniere non trova l’intesa con il tecnico e viene ceduto a metà stagione proprio alla Samp.

La Lazio, che fino all’anno prima era stata di Zeman e poi brevemente di Zoff, ha in organico parecchi attaccanti. C’è Rambaudi, ma soprattutto ci sono Casiraghi e Bokšić.

Il croato però subisce un grave infortunio che gli impedisce di prendere parte alle due finali che quella Lazio si gioca, oltre che a Francia ’98, nel quale la sua Croazia andrà oltre le previsione dei pronostici e consigli scommesse sportive. È dunque accanto a Casiraghi che Mancini vince la Coppa Italia battendo in finale il Milan e poi perde la finale di UEFA contro l’Inter di Ronaldo. Per lui nella prima stagione biancoceleste 9 gol, ma parecchi meriti nei 15 di Bokšić e di Nedved, che attaccante non è ma si giova della presenza del numero 10.

L’anno successivo Mancini arretra un po’ il suo raggio di azione in campo, ma più che questione di età dipende dai compagni di reparto. Cragnotti vuole puntare allo scudetto e porta a Roma Marcelo Salas e Christian Vieri.

Mancini e Salas in riscaldamento!

Eriksson decide quindi di sfruttare il suo numero 10 mettendolo dietro le due punte e i risultati sono spettacolari. Lo scudetto sfuma nelle ultime giornate a causa della rimonta del Milan, ma la Lazio fa sua sia la Supercoppa Italiana che l’ultima Coppa delle Coppe, vinta in finale da favoriti per i bookmakers di 888sports contro il Maiorca.

Mancini torna ai suoi classici livelli con le ormai tipiche 12 reti stagionali, mentre i due compagni di squadra fanno meglio. Vieri, che salta l'intera prima parte di stagione, realizza 14 gol, mentre Salas è il capocannoniere della stagione 1998/99 con 23 marcature.

L’appuntamento con il tricolore è solo rimandato, perché nella stagione 1999/2000 la Lazio si aggiudica finalmente il suo secondo scudetto. Vieri non c’è più, ceduto all’Inter, ma assieme a Salas in attacco Eriksson schiera una futura bandiera biancoceleste come Simone Inzaghi.

Il Matador è di nuovo il miglior realizzatore in campionato (12), ma l’attuale tecnico laziale è il miglior marcatore stagionale con 19 gol, 9 dei quali in Champions League. Per Mancini, all’ultima stagione in Italia, solo tre reti ma la soddisfazione di vincere scudetto e Coppa Italia prima di annunciare il ritiro.

Gli ultimi partner d’attacco di Mancini, però, non sono Salas e Inzaghi. Nel gennaio 2001 arriva un ripensamento e la scelta di andare a giocare con il Leicester City. Dura appena un mese, appena il tempo di aggiungere alla lista qualche altro nome come quelli di Ade Akinbiyi e di Dean Sturridge. Spetta all’inglese l’onore di essere l’ultimo compagno di reparto di Mancini. E visto chi lo ha preceduto, dovrebbe esserne fiero!

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Carlo Fumagalli e Darko Vojinovic.

September 5, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Il “caso” Gianluigi Lentini 

C'è una chiave di lettura alternativa per rendere il giusto omaggio alla carriera di Gianluigi Lentini: raccontarla al contrario. Un ragazzo tanto introverso quanto leader. Due facce della stessa medaglia in un solo calciatore, un solo uomo.

Gianluigi nasce a Cermagnola dove inizia a giocare a calcio proprio nella squadra della sua città e vende miele per guadagnarsi da vivere. Ma il suo vero lavoro deve e sarà un altro: tirare calci a un pallone, insieme ad altri 10 compagni e 11 avversari. 

Inizia la gavetta praticamente in tutte le serie minori: gol importanti, salvezza e promozioni, a volte anche retrocessione nei più disparati campetti di provincia del nord. Nel mezzo anche un incidente in motorino mentre si stava recando al campo di allenamento. Un infortunio che lo terrà fuori per qualche mese.

Quello dei dilettanti è un mondo che non si presta a Gianluigi che viene notato dal Cosenza e per lui arriva la Serie B e quindi i professionisti. Un'esperienza che non durerà a lungo a causa della retrocessione di ufficio in Serie D, nonostante la massima serie sfiorata alla prima stagione con i calabresi. 

Decide comunque di restare al Cosenza e fare il capitano, ancora una volta tra i dilettanti. Il karma sarà benevolo per Lentini e l'affetto ai calabresi sarà ripagato con la chiamata del Torino prima, e dell'Atalanta poi.

Qui Lentini dà il meglio di sé da calciatore tanto da meritarsi la clamorosa chiamata di uno dei migliori Milan con Fabio Capello in panchina. Il suo trasferimento ad una cifra record, oltre che giudicata spropositata per l'epoca, diventerà una caso da tribunale, il celebre "Processo Lentini". 

Al Milan però non comincia bene e Capello preferisce tenerlo in panchina in occasioni importanti come la finale di Champions League contro l'Ajax. Assisterà da spettatore anche alla finale vinta a sorpresa per lescommesse Champions League 4 a 0 contro il Barcellona. Al mister friulano proprio non va giù il suo stile di vita mondano. 

Un mondo capovolto

Proprio ora succede l'assurdo. Nella notte del 2 agosto 1993, al rientro dal torneo organizzato per il centenario del Genoa, è coinvolto in un grave incidente automobilistico lungo l'Autostrada Torino - Piacenza: lo schianto avviene perché, dopo aver sostituito una gomma forata con il "ruotino", Lentini accelera in maniera eccessiva e perde il controllo dell'auto schiantandosi a 200 all'ora.

Gianluigi si salva miracolosamente dopo due giorni di coma, ma avendo picchiato la testa in maniera violenza subisce conseguenze a livello neurologico. Da qui in avanti una lunga convalescenza che lo porterà a un lungo stop dal campo. Un periodo di riflessione e di allenamento alternativo che lo trasformerà nella versione migliore di sé stesso.

Al fatidico ritorno in campo Lentini è diverso. 

Torna titolare al Milan e realizza 7 gol in 30 partite, tra i quali spicca una bellissima rovesciata contro il Pescara. Questa volta risulta titolare nell'ennesima finale di Champions League del Milan, persa, stavolta da favoriti per le scommesse online, però contro il Marsiglia. Lentini fa un passo indietro, compie un'altra scelta d'amore e torna al Torino.

Di nuovo granata e con la mano dell'allenatore Emiliano Mondonico riusciamo ad assistere al Torino più brillante degli ultimi 20 anni. Quinto posto al primo anno, terzo l'anno successivo. I granata brillano in Europa: vincono la Mitropa Cup e si arrendono solo in finale in Coppa UEFA all'Ajax. Lentini in questa squadra è protagonista e leader. Sarà fondamentale, finalmente ha trovato il suo posto nel mondo e un finale di carriera sereno.

Gli ultimissimi anni Lentini andrà nelle Marche per vestire la maglia dell'Ancora. Infine torna nella sua Carmagnola dove riprenderà l'attività lasciata in partenza: la vendita del miele.

Sì perché la carriera di Gianluigi Lentini avrebbe meritato sicuramente più dolcezza. Una storia molto controversa e affascinante, parola di chi di numeri 8 se ne intende. Ah, adesso che siete arrivati alla fine, ovviamente, rileggetela partendo dalla fine, è quella la vera storia di Lentini.

*Il testo dell'articolo è di Luigi Di Maso, responsabile editoriale di Social Media Soccer.

September 4, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Serie A, i big match e le curiosità del calendario 2020/21

La stesura del calendario della Serie A dà il via ufficialmente alla stagione 2020/21 del calcio italiano. Il fischio d’inizio al campionato verrà dato sabato 19 settembre al Franchi di Firenze: i Viola nell'anticipo delle 18 targato Sky ospiteranno il nuovo Torino di Marco Giampaolo.

Nel primo weekend lungo stagionale si giocheranno solamente sette partite, viste le richieste di Atalanta, Inter e Spezia di posticipare di qualche giorno l’inizio dell’annata. Le due squadre nerazzurre, per gli impegni europei conclusi a metà e fine agosto, hanno chiesto e ottenuto una settimana in più di preparazione. Lo Spezia, alla sua prima storica apparizione in Serie A, ha vinto il Playoff di B il 20 agosto e per questo ha posticipato la trasferta di Udine.

Grande curiosità nella prima giornata per la nuova Juventus di Andrea Pirlo, che farà il suo esordio domenica 20 settembre in posticipo alle 20.45 contro la Sampdoria di Claudio Ranieri: stessa sfida e stesso orario dei 3 punti che hanno consentito la matematica per il nono scudetto consecutivo, grazie al 2-0 firmato da CR7 e Bernardeschi! 

I big match

Il primo big match stagionale da calendario doveva essere Lazio-Atalanta, ma la sfida si giocherà solo mercoledì 30 settembre. L’Olimpico sarà il centro del campionato italiano nelle prime giornate. La prima grande sfida, infatti, sarà Roma-Juventus alla seconda giornata che si giocherà domenica 27 settembre alle 20.45. Tre giorni dopo, sempre all’Olimpico, il recupero di Lazio-Atalanta e domenica 4 ottobre alle 15.00 sarà nuovamente protagonista la squadra di Inzaghi che ospiterà l’Inter di Conte.

Sfide toste all’inizio anche per la Juve di Pirlo, perché nella terza giornata ospiterà all’Allianz Stadium il Napoli dell’ex compagno al Milan Rino Gattuso. Il primo derby stagionale si giocherà alla quarta giornata e sarà la sfida milanese tra Inter e Milan, con i rossoneri che cercano un successo con i nerazzurri in campionato che manca da quasi 5 anni (31 gennaio 2016).

Un'esultanza di Hernandez, attaccante aggiunto!

La seconda stracittadina andrà il scena alla sesta giornata con il derby della Lanterna tra Sampdoria e Genoa. Molto interessante la settima giornata della Serie A quando si affronteranno le prime quattro classificate la scorsa stagione: a Bergamo l’Atalanta di Gasperini ospita l’Inter, mentre all’Olimpico andrà in scena Lazio-Juventus.

Alla decima giornata il primo derby della Mole da allenatore per Andrea Pirlo, decisivo contro il Torino con un gol all’ultimo minuto il 30 novembre del 2014 alla sua ultima stagione in bianconero.

Il dodicesimo turno presenta due sfide interessanti in ottica Scudetto e Champions League. La Juventus ospita l’Atalanta di Gasperini e l’Inter di Conte ospita il Napoli a San Siro. La giornata decisiva e forse più affascinante è però la diciottesima. Alla penultima di campionato infatti ci sarà il derby di Roma e il derby d’Italia, che mai come questa stagione sembra poter decidere la corsa Scudetto, con la Juve quotata @1.70 e l'Inter, a ruota, @3 per le scommesse Serie A sullo scudetto! 

Gli "scherzi" del calendario

La grande curiosità è legata ad Andrea Pirlo e alla sua prima avventura da allenatore sulla panchina della Juventus. L’ex regista bianconero ripartirà dalla Samp. Con la promozione dello Spezia per la prima volta nella storia della Serie A ci saranno tre squadre liguri ai nastri di partenza. Il primo big match della stagione sarà Roma-Juventus, così come successo nel 2015-16 quando le due squadre si affrontarono all’Olimpico nella seconda giornata di campionato. La Juve perse la seconda gara contro i giallorossi, con Dzeko che segnò il suo primo gol in Italia.

Per il secondo anno consecutivo il derby di Milano si giocherà alla quarta giornata. Il Milan di Pioli spera di ribaltare l’esito dei due derby della scorso anno, vinti entrambi dall’Inter di Conte che ha vinto tutti i derby da allenatore in Serie A (2 su 2 a Torino, due su due la scorsa stagione a Milano).

Il derby di Roma della trentasettesima giornata sarà l’ultima gara che si giocherà allo Stadio Olimpico in campionato. Lazio e Roma infatti giocheranno l’ultima partita in trasferta per lasciare l’Olimpico all’UEFA, prima del match inaugurale di Euro2020 tra Italia e Turchia. 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Antonio Calanni e Luca Bruno. La quota menzionata è aggiornata al 4 settembre 2020.
 

September 4, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Calcio, lo strano caso dell’Udinese: nessun rigore a favore in stagione

Nessun rigore a favore, una sorpresa specialmente nel calcio guidato dal VAR. È lo strano caso dell’Udinese, che nella lunga stagione 2019/2020 non ha mai avuto un calcio di rigore a favore. Dato anomalo visto la tendenza arbitrale che ha decretato ben 187 rigori, 10 dei quali contro l'Udinese, meno se si analizza la squadra friulana.

Con Tudor prima che con Gotti poi l’Udinese ha occupato poco l’area di rigore avversaria. Pochi gol, poco possesso palla e tanta ricerca del contropiede. Lo dimostrano anche le caratteristiche degli attaccanti, su tutti Kevin Lasagna che, spesso e volentieri, calcia verso la porta anche in situazioni di scarso equilibrio. Decisamente un attaccante che ama il campo aperto, per una squadra che difficilmente domina il gioco, postando il baricentro in avanti.

Ancora, i friulani sono tra le poche squadre che non giocano con esterni offensivi, i ruoli, quindi, che consentono più frequentemente l'1 vs 1 con i difensori avversari.

Questo può spiegare in parte il dato, anche se va in netta controtendenza con quanto successo nella stagione precedente. Nel 2018/19 infatti l’Udinese è stata la terza squadra con più rigori a favore, ben otto, tra l’altro sbagliandone, clamorosamente per le scommesse Serie A, cinque. Visto il poco cinismo dei friulani dal dischetto è stato un bene per De Paul e compagni non avere calci di rigore?!...

Questo dato, però rimane un’assoluta eccezione nel calcio italiano e soprattutto nel calcio del VAR. 

I record italiani

L’ultima squadra a non aver segnato neanche un calcio di rigore in stagione è stato il Torino nella stagione 2017/18, anche se in quell’annata i granata ebbero un rigore a favore. A sbagliarlo fu Andrea Belotti nel match casalingo pareggiato uno a uno contro il Milan.

L’ultima squadra in Serie A a chiudere la stagione senza calci di rigore a disposizione fu il Siena nel 2004/2005. I bianconeri iniziarono quella stagione con Gigi Simoni sulla panchina, esonerato poi in corso d’opera e sostituito da Luigi De Canio.

Nonostante l’assenza di calci di rigore i toscani riuscirono a salvarsi quell’anno grazie ai sette punti conquistati nelle ultime quattro giornate. Decisivo il successo casalingo ottenuto all’ultima giornata contro l’Atalanta per 2-1. Quella stagione comunque il Siena ebbe a favore un calcio di rigore nel ritorno degli ottavi Coppa Italia nella sconfitta casalinga per 5-1 contro la Roma.

Negli ultimi trent’anni solamente altre due squadre non hanno avuto alcun calcio di rigore a favore.Nel 1990/91 il Bologna di Scoglio prima e Radice poi è retrocesso, chiudendo il campionato all’ultimo posto senza mai avere a disposizione un rigore. L’anno successivo è stata invece la Fiorentina a non calciare mai dal dischetto: I Viola iniziarono la stagione con il brasiliano Lazaroni in panchina, ma dopo i risultati negativi, decisero di cambiare, scegliendo,  come il Bologna, Gigi Radice. 

18 rigori per la Lazio, zero per l'Udinese!

I numeri all'estero

L’Udinese è la seconda squadra tra i primi cinque campionati europei senza calci di rigore da quando è stato introdotto il VAR. La prima fu il Werder Brema nella stagione 2017/18 in Bundesliga, la prima con l’assistenza tecnica in Germania. Nonostante il numero dei calci di rigore sia aumentato con il VAR, il Werder chiuse la stagione senza tiri dal dischetto e con il sesto peggior attacco della Bundesliga, un dato simile a quello fatto registrare dall’Udinese quest’anno.

Un'esultanza dei calciatori del Werder!

I friulani sono stati addirittura il terzo peggior attacco in Serie A, davanti solamente alle retrocesse Spal e Brescia.

In Spagna l’ultima squadra a finire la stagione senza calci di rigore a favore fu l’Osasuna nella stagione 2013/2014. La squadra di Pamplona non riuscì a mantenere la categoria e proprio come l’Udinese chiuse l’annata con il terzo peggior attacco del campionato. In Ligue 1 l’ultima squadra senza rigori fu il Nantes cinque anni fa, anche se i francesi riuscirono a salvarsi. Nessun tiro dal dischetto per il secondo peggior attacco di tutta la Ligue 1 che però chiuse la stagione al quattordicesimo posto in classifica.

In Premier League, come in Germania, invece basta tornare indietro di sole tre stagioni al 2017/18 per trovare l’ultima squadra senza calci di rigore a favore. E si tratta di un dato in controtendenza rispetto a quanto successo negli altri grandi campionati europei. A chiudere la stagione senza alcun calcio di rigore a favore infatti fu il Crystal Palace allenato da Roy Hodgson.

The “Glaziers” furono il nono miglior attacco di tutta la Premier League con un grande apporto realizzativo dei centrocampisti Luka Milivojevic e James McArthur e chiusero l’annata con un dignitoso undicesimo posto in classifica. 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Riccardo de Luca e Jan Pitman.

September 3, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

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Nations League, esordio per gli Azzurri con Bosnia e Olanda

La stagione 2020/21 sarà inaugurata dalla Nazionale di Roberto Mancini, che si è radunata lunedì a Coverciano per preparare i primi due impegni del Gruppo 1 della Nations League. Due le sfide per gli Azzurri, che inizieranno venerdì sera al Franchi di Firenze contro la Bosnia. Sulla carta l'incontro più semplice per l’Italia, che poi lunedì sera dovrà vedersela con l’Olanda alla Cruijff Arena di Amsterdam.

Il commissario tecnico Roberto Mancini ha già fissato l’obiettivo, ovvero migliorare la partecipazione all'esordio della competizione e quindi vincere il girone e strappare il pass per le finali.

Notizia delle ultime ore è la candidatura di Torino e Milano per ospitare la fase finale della seconda edizione della Nations League, in data ancora da definire, vista la priorità di Euro 2020.

Chi vince il gironcino con Bosnia, Polonia ed Olanda, oltre al gettone di partecipazione di 1,5 milioni di euro, raddoppia, con un bonus, tale importo, prima dell'eventuale premio per la vittoria finale! Il Portogallo, primo ed unico campione, nell'edizione 2019 ha incassato ben 7,5 milioni: una cifra del genere farebbe, naturalmente, comodo alle casse di via Allegri in un momento di sofferenza generale!

Le scommesse calcio vedono leggermente favorita l'Olanda, @2.15, sull'Italia, per la vittoria del Gruppo A.

La coppa della Nations!

Per queste prime due partite ha deciso di fare una maxi-convocazione con 37 giocatori presenti a Coverciano. In lista anche Tonali e Jorginho, che erano in dubbio dopo i primi test, eseguiti con le loro rispettive squadre. Stanno entrambi bene e quindi anche loro saranno a disposizione di Mancini. 

L'esperienza

Non c’è solo il blocco Juve a Coverciano, anzi i bianconeri sono in numero ridotto rispetto al folto gruppo di interisti convocati da Mancini. Compreso Biraghi, attualmente tornato momentaneamente a Firenze ma reduce da una stagione positiva a Milano, sono sei gli interisti presenti al raduno azzurro.

Prima convocazione per Bastoni, che così come Gagliardini, Barella, D’Ambrosio, Biraghi e Sensi ha raggiunto Coverciano direttamente dalle vacanze, visto che solo dieci giorni prima i nerazzurri hanno finito la loro stagione nella emozionante serata di Colonia.

Il cammino europeo dell’Inter può essere una buona base per l’esperienza internazionale di una Nazionale giovane che ha bisogno di elementi con minuti di competizioni internazionali sulle gambe! Barella è un punto di riferimento dell’Italia da quando è arrivato Mancini, gli altri nerazzurri invece cercano spazio e vogliono conquistarsi la maglia azzurra.

A proposito di esperienza, importante il ritorno dopo un anno in Nazionale di Giorgio Chiellini. Il capitano della Juve, di nuovo favorita per le scommesse anche per la stagione 2020/2021, è a Coverciano con Bonucci, Bernardeschi e Luca Pellegrini. Per “Chiello” può essere l’ultima stagione con l’Italia, ma ha già fatto sapere di non voler rinunciare all’Europeo della prossima estate e lo vuole preparare mettendosi a disposizione di Mancini da subito, anche per gli impegni di Nations League.

Esperienza internazionale la porterà sicuramente Jorginho, reduce però da una stagione altalenante con la maglia del Chelsea. Assente invece Marco Verratti, un forfait molto pesante per Roberto Mancini. Le condizioni fisiche del centrocampista del Paris Saint Germain non sono perfette, il problema al polpaccio che ne ha limitato la presenza alle Final Eight della Champions League non è risolto. 

Gli altri protagonisti

Un protagonista sarà sicuramente Lorenzo Insigne, uno di quelli sempre utilizzati da Roberto Mancini nei suoi primi due anni da commissario tecnico. Il capitano del Napoli si è riscattato nella seconda parte della scorsa stagione con l’arrivo di Gattuso e vuole far bene anche in Nazionale.

Chi è reduce da una stagione incredibile è Ciro Immobile, che ha bisogno del definitivo salto di qualità tra azzurro e... Champions League! Il bomber della Lazio viene dalla scarpa d’oro e dal record eguagliato di Gonzalo Higuain con 36 reti in una singola stagione e vuole scacciare via le critiche che spesso, senza apparenti ragioni, lo colpiscono in Nazionale. Altro biancoceleste reduce da una stagione clamorosa è Francesco Acerbi, che per Mancini ha superato Romagnoli ed è diventato la prima alternativa a Chiellini sul centrosinistra.

Le novità

Le novità tra i convocati sono due, oltre a Bastoni, ed arrivano dal Sassuolo. Mancini infatti ha convocato Manuel Locatelli, una delle rivelazioni a centrocampo della scorsa stagione, e “Ciccio” Caputo, 21 gol siglati in campionato con i neroverdi.

Tra i 37 convocati del Mancio rientrano anche diversi giocatori che vogliono riscattarsi dopo stagioni in chiaroscuro. Il primo è Alessandro Florenzi, fuori dal progetto tecnico della Roma e alla ricerca di una squadra che vuole puntare su di lui dopo il prestito a Valencia. A centrocampo spicca Jack Bonaventura, addirittura svincolato, che ancora non ha un contratto dopo l’addio al Milan.

Torna anche Zaniolo in Nazionale dopo il brutto infortunio al ginocchio subito a gennaio nella sfida di campionato contro la Juventus. In attacco sono presenti anche Moise Kean, reduce da una prima annata in Premier League negativa, e Stephan El Shaarawy che in Cina ha segnato solamente 4 gol in 19 presenze con la maglia dello Shanghai Shenhua. 

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo, sono di Wolfgang Rattay ed Armando Franca. La quota indicata nell'articolo è aggiornata al 1 settembre 2020.

 
September 1, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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