La Top 10 dei calciatori più seguiti sui social!


I social media sono una parte importante della vita di tutti i giorni. Non è diverso neanche per i giocatori di calcio più ricchi e famosi del mondo, che dedicano molto tempo alle dinamiche quotidiane di Facebook, Twitter e Instagram. Molti account sono gestiti da agenzie specializzate, altri dagli stessi campioni. Che si tratti di pubblicare le migliori battute sul calcio o un semplice selfie, i calciatori di fama internazionale attirano, naturalmente, molta attenzione su Internet.

I social media non costituiscono solo lo strumento per interagire con i fan, ma,davanti a questi numeri, sono la base per sponsorizzare aziende ed eventi! 

Con l'aiuto degli amici del blog inglese, abbiamo classificato i 10 calciatori (o ex) più seguiti in base alla fanbase, ovvero al risultato totale della somma delle tre principali piattaforme di social media. Ecco i calciatori più seguiti del pianeta. Primo denominatore comune per gli attenti appassionati di 888sport: hanno tutti giocato in Liga, tra Barcellona e Real Madrid!

 

Cristiano Ronaldo

Cristiano Ronaldo è assolutamente a miglia di distanza dagli altri con quasi 420 milioni di followers sui social media. L'attaccante della Juventus ha il sesto maggior numero di follower su Twitter e guida, incontrastato, le pagine di Instagram e Facebook. I 122 milioni di Mi piace di Facebook di Ronaldo, vincitore anche della UEFA Nations League lo mettono a 20 milioni di vantaggio dagli inseguitori.

Fanbase: 418 milioni - + 52 milioni da maggio 2019, stabile al primo posto della classifica.

Neymar

Il Brasile ha una popolazione di oltre 200 milioni. Barcellona è uno dei club più grandi del mondo. L'importanza del Paris Saint Germain sul panorama internazionale sta crescendo. È un cocktail per un vasto seguito di social media, che pone Neymar davanti a Lionel Messi in questa lista. Neymar ha ben 137 milioni di followers su Instagram!

Fanbase: 243 milioni + 23 milioni da maggio 2019, conferma del secondo posto.

Neymar con la maglia del PSG!

Lionel Messi

Considerato il più calciatore in attività, Leo è lontanissimo dal re dei social media, a quasi 200 milioni di distanza del suo rivale di lunga data Cristiano Ronaldo.

Messi è riservato: la sua attività sui social media lo dimostra. Ha 90 milioni di Mi piace su Facebook.

Fanbase: 237 milioni + 28 milioni da maggio 2019, sempre terzo gradino del podio.

 

David Beckham

La prima delle due leggende del calcio in pensione in questa lista, la fama di David Beckham oscura la sua carriera in campo. Ora proprietario di un franchising MLS, Beckham ha un alto profilo negli Stati Uniti e in Europa dopo una infinità di incantesimi tra Manchester, Madrid e Milano.

Beckham era un marchio ancor prima dell'era dei social media. Sarebbe, probabilmente, in cima a questa lista se Facebook, Twitter e Instagram esistessero dai primi anni del duemila.

Fanbase: 113 milioni.

 

Ronaldinho

Pochi potrebbero fare magie con un pallone da calcio come Ronaldinho. L'ex vincitore del Pallone d'Oro è stato universalmente amato per tutta la sua carriera, giocando con gioia e tormentando le strategie difensive degli allenatori di mezzo mondo.

Il gioco di gambe di Ronaldinho è ancora virale ad oggi. È impegnato naturalmente sui social media, raccogliendo oltre 2.000 post di Instagram per i suoi 52 milioni di follower. Le immagini dei suoi assist per i... "compagni di squadra" in Paraguay hanno fatto il giro del mondo!

Fanbase: 105 milioni.

 

James Rodriguez

James Rodriguez è diventato famoso ai Mondiali del 2014, con quella meravigliosa doppietta realizzata al Maraca contro la sempre ostica Uruguay. Dopo esser stato nominato miglior giocatore del mondiale brasiliano, i suoi social hanno avuto un netto aumento, e, successivamente, vestire le maglie di Real Madrid e il Bayern Monaco non può che aver agevolato una crescita costante.

James ha 31 milioni di Mi piace su Facebook e oltre 45 milioni di follower su Instagram.

Fanbase: 95 milioni, + 3 milioni da maggio 2019, si mantiene al quarto posto tra i calciatori in attività.

 

Gareth Bale

Pur non essendo sempre una figura popolare al Santiago Bernabeu, Gareth Bale ha trascorso diversi anni nella capitale spagnola ed è stato in prima linea nella gloria europea, con ben tre gol decisivi in due diverse finali di Champions!!!

L'essere decisivo contro Atletico e Liverpool è una combinazione per accumulare decine di milioni di followers sui social media, ancor di più per gli amanti della Premier League che lo ricordano scorrazzare sulla fascia degli Spurs!

Come la maggior parte di questo elenco, la fetta più grande dei followers di Bale proviene da Instagram. Oltre la metà (43 milioni) dei suoi 88 milioni in totale sono su Insta, dove ha pubblicato 877 volte tra cui una recentestoria nella quale si dimostra grande golfista...

Fanbase: 88 milioni, + 2 milioni da maggio 2019, sempre quinto tra i campioni del calcio.

 

Andres Iniesta

Il primo spagnolo in questa lista, il seguito di Andres Iniesta è stato potenziato dal suo incantesimo in Giappone. Iniesta è forse il più grande centrocampista del calcio moderno; decisivo nella World Cup 2010, ha giocato nella migliore squadra di club di tutti i tempi.

La sua visione di gioco è stata avvicinata solo da Andrea Pirlo.

Fanbase: 85 milioni, non era neanche tra i primi 20 la scorsa stagione!

Il Mago Iniesta contro il suo Barcellona!

Sergio Ramos

Ha vinto, da capitano ed assoluto protagonista, tutto quello che c'era da vincere in campo! Sergio Ramos, oltre una serie infinita di trofei con il Real e con la Spagna, ha raccolto anche quasi 80 milioni di followers sui social media.

Il marcatore del gol del pari nella finale della Decima è più popolare su Instagram con oltre 38 milioni di followers e quasi 1.800 post. È il più utilizzato dei suoi tre account, compresa una buona porzione di selfie.

Fanbase: 78 milioni, + 6,5 milioni da maggio 2019, ma cede il passo all'eterno rivale Iniesta.

 

Mesut Ozil

Con oltre 20 milioni di follower su Instagram e Twitter (e oltre 30 milioni su Facebook), Mesut Ozil si inserisce al numero 10 in questo elenco. Un assist al bacio di sinistro nel Real Madrid garantiva un enorme seguito da parte dei social media, e Ozil conquista anche i tifosi dei Gunners e quelli dell'intera Germania nella notte di Rio!

Fanbase: 77 milioni - + 2 milioni da maggio 2019, cede un paio di posizioni, ma della Premier rimane il più seguito.

 

*Si ringrazia Sam Cox per la ricerca dei dati complessivi; gli stessi sono aggiornati al 14 aprile 2020. Le immagini, tutte distribuite da AP Photo, sono state scattate in ordine di pubblicazione da Antonio Calanni, Francois Mori e Eugene Hoshiko.

April 15, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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La scommessa Rangnick e il mito degli allenatori-manager!

Il modello dell’allenatore-manager all’inglese, quello reso famoso – per capirci – da Ferguson al Manchester United e Wenger all’Arsenal, è possibile importarlo in Italia? Parliamo del tecnico che oltre a dirigere la squadra sul campo si occupa direttamente anche di mercato, una specie di direttore sportivo in panchina. È la scommessa – davvero intrigante – che è pronto a fare il Milan di Elliott.

L’ad Gazidis ha scelto Ralf Rangnick per la prossima stagione: niente di ufficiale, ma i contatti vanno avanti da tempo e il club rossonero punta sull’allenatore-manager (appunto) tedesco per il dopo-Pioli.

A meno di colpi di scena, Rangnick firmerà un triennale e inizierà la sua avventura con la società portata in cima al mondo dal suo tecnico preferito, Arrigo Sacchi. Solo che il guru rossonero ed ex ct azzurro era un allenatore-allenatore, viveva di tattica e schemi ripetuti ossessivamente, mentre il “professore” (come lo chiamano) tedesco è un allenatore con esperienze concrete da direttore sportivo: dal 2012 al 2015 è stato il ds addirittura di due squadre, il Salisburgo e il Lipsia, entrambe del Gruppo Red Bull, prima di tornare in panchina (quella del Lipsia).

Insomma Rangnick è abituato a costruirsele da solo le squadre, scegliendo giocatori e portando avanti trattative. Tra scoperte e intuizioni di mercato, il 61enne tedesco ha portato nei suoi club talenti come Luiz Gustavo, Firmino, Mané, il Keita ora al Liverpool, Demme, Minamino e Werner, il giovane centravanti del Lipsia pagato 10 milioni che ora vorrebbe con sé al Milan. Anche perché è difficile immaginare una convivenza tra un tipo come Rangnick, cultore del calcio totale, e quel meraviglioso egocentrico di Ibrahimovic: sarebbero scintille quotidiane. A meno che i due non trovino un compromesso, come accadde all’epoca del Grande Milan tra Sacchi e Van Basten.

IL PRECEDENTE DEL MANCIO

L’esperimento di Elliott si annuncia interessante e ha un precedente illustre dall’altra parte di Milano: sia Mancini che Mourinho sono stati due tecnici in grado di indirizzare concretamente le mosse di mercato, da veri direttori sportivi. Il Mancio aveva iniziato già nell’estate ’99 alla Lazio, quando era incerto se continuare a giocare, come avrebbe poi fatto vincendo lo scudetto 2000, o intraprendere una carriera diversa, da allenatore o appunto direttore sportivo.

Quell’estate Cragnotti gli diede la possibilità di misurarsi come dirigente e lui subito ebbe l’intuizione Simone Inzaghi, portato alla Lazio dal Piacenza. Soprattutto, convinse Cragnotti a cambiare la contropartita proposta da Moratti per avere Vieri: l’Inter, oltre ai soldi, offriva Paulo Sousa, mentre Mancini consigliò al presidente biancoceleste di farsi dare Simeone. Mossa vincente, visto che il Cholo fu decisivo per il trionfo della Lazio nel campionato successivo.

Famose sono diventate le telefonate di Mancini per convincere giocatori a trasferirsi nelle sue squadre. Il Manchester City lo costruì praticamente tutto così, chiamando i vari David Silva, Balotelli e Yaya Touré. Lo stesso era successo in precedenza all’Inter: nel 2006 convinse gli juventini Ibrahimovic e Vieira a passare in nerazzurro, dove i due furono decisivi per gli scudetti vinti nell’era post Calciopoli. Stesso discorso per Cambiasso, soffiato a parametro zero al Real Madrid grazie anche alla mediazione dell’agente Ernesto Bronzetti. E nella parentesi allo Zenit, Mancini aveva concluso l’affare con la Roma per il difensore Manolas: poi saltò tutto perché il greco non accettò il pagamento in rubli.

Anche Mourinho utilizza il suo carisma per concludere operazioni di mercato a favore della squadra che allena. Nonostante il portoghese faccia parte del gruppo di allenatori capaci di far rendere al massimo il materiale umano che ha a disposizione, a prescindere da chi lo scelga, è ovvio che lui preferisca guidare giocatori a lui graditi per caratteristiche tecniche e di personalità.

Successe così, nella stagione dell'imprevedibile, anche per le scommesse calcio, Triplete sulla panchina dell’Inter, con il difensore Lucio (anche se Mou aveva inizialmente puntato su Ricardo Carvalho, bloccato dal Chelsea), il trequartista Sneijder e il fuoriclasse Eto’o: tutti convinti dallo Special One. Dopo di lui, all’Inter, un allenatore-manager fu Leonardo, che nella sua carriera si è sempre alternato tra panchina e scrivania (ora infatti è il direttore sportivo del Paris Saint Germain, dopo essere stato uomo-mercato del Milan).

Lo stesso Antonio Conte è abituato a spingere in maniera quasi ossessiva per avere un certo calciatore: si è visto con Lukaku, vanamente corteggiato ai tempi del Chelsea e finalmente raggiunto all’Inter. Ma in nerazzurro le trattative le imposta il ds Ausilio e le conclude il dg Marotta.

NESSUNO COME LUI

Al Manchester United invece faceva tutto sir Alex Ferguson, capace di formare una squadra super con Cristiano Ronaldo e Rooney ma anche di sbagliare valutazioni, come accadde con il giovane Pogba lasciato andare alla Juve gratis (e poi riacquistato con 105 milioni…). Il saldo però per lui e Wenger, per anni allenatore-manager dell’Arsenal, resta decisamente in attivo. Il loro modo di operare in campo e sul mercato ha influenzato generazioni di allenatori (Pellegrini, Pochettino, Emery e Brendan Rodgers, tra gli altri) che però non avevano e non hanno il loro carisma per eccellere in entrambi gli aspetti.

Gli unici degni eredi dei due maestri, perfino con caratteristiche manageriali e soprattutto di gioco decisamente più moderne, sono quei fenomeni di Guardiola e Klopp. E Rangnick? Gazidis è convinto che l’allenatore-manager tedesco abbia le qualità adatte per svolgere entrambi i compiti al meglio in un club da ricostruire come il Milan, nonostante l’inevitabile pressione che dovrà gestire dopo anni di fallimenti rossoneri. Per capire se si tratti di una scommessa vincente, bisognerà aspettare la prossima stagione: la curiosità è tanta, anche perché Rangnick è davvero un personaggio speciale. 

 

*La foto di apertura dell'articolo è di Martin Meissner (AP Photo).

April 15, 2020
Giulio
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Giulio è nato giornalista sportivo, anche se di professione lo fa “solo” da 30 anni. Dal 1997 è l'esperto di calciomercato del quotidiano La Repubblica.

Dal '90 segue (senza annoiarsi mai) le vicende della Lazio: collabora anche con Radiosei e dirige il sito Sololalazio.it. Calcio e giornalismo sono le sue grandi passioni. L'unico rimpianto che lo tormenta è aver smesso di dare spettacolo sui campi di calcetto.

 

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La Roma tra passato e futuro in Azzurro

Doveva partire proprio da Roma l’edizione di Euro 2020, rinviata al prossimo anno, e proprio dalla sponda romanista della Capitale, un blocco tutto romanista sarebbe partito all’assalto della massima competizione continentale per le Nazionali. Appuntamento solo rinviato di dodici mesi per l’Italia di Roberto Mancini, che ha un presente ed un futuro con non poche tinte giallorosse.

Il feeling tra la Nazionale e la Roma è stato sempre particolare negli anni.Tanti calciatori della Lupa, infatti, hanno vinto e scritto la storia con la maglia azzurra. In totale ottantuno calciatori giallorossi hanno vestito contestualmente questa casacca. Molti di questi sono stati protagonisti di grandi vittorie dell’Italia.

Come non citare il trio Totti - De Rossi - Perrotta della Nazionale che ci ha portato al trionfo di Berlino nel Mondiale del 2006. Un apporto non di poco conto da parte dei tre calciatori giallorossi, in particolare dei primi due che hanno costruito un’intera carriera alla ‘Magica’.

O basti pensare all’irresistibile Bruno Conti, uno dei grandi protagonisti del Mondiale di Spagna ‘82. Fu in quell’occasione che si guadagnò l’appellativo di MaraZico, grazie a prestazioni che lo incoronarono come uno dei migliori giocatori dell’edizione iberica dei campionati Mondiali.

Ben quattro invece i romanisti presenti nella lista dei convocati del CT Vittorio Pozzo nel Mondiale del 1938: Aldo Donati, Eraldo Monzeglio, Piero Serantoni e Guido Masetti. Quest’ultimo era presente anche nell’Italia che quattro anni prima vinse la Coppa del Mondo giocata proprio in casa. Insieme a lui altri due calciatori della Roma: Attilio Ferraris ed Enrique Gauita.

IL BLOCCO DEL FUTURO

Ma se tanti sono i campioni che hanno scritto la storia nel passato, la tradizione non può che essere rispettata anche oggi. Facendo quindi un salto dal passato al presente e al futuro della rappresentativa azzurra, ci rendiamo conto, infatti, che la Roma continua a fornire tanti effettivi.

Partiamo da colui che era designato come il grande assente di Euro 2020 ma che, a questo punto, avrà tutto il tempo di rimettersi in carreggiata: parliamo ovviamente di Nicolò Zaniolo. L'ex primavera dell'Inter è il miglior prospetto del nostro calcio e non può che diventare una colonna portante del centrocampo della Nazionale. Già cinque presenze e due reti per il classe ‘99 che avrà un anno di tempo per mettere minuti nelle gambe e per mettersi alle spalle il tremendo infortunio al ginocchio.

Insieme a lui, non potrà mancare un altro centrocampista di una Roma che, dopo tanti anni, ha deciso di puntare finalmente sulla linea green ed italiana. Trattasi di Lorenzo Pellegrini, sul quale la società giallorossa (in attesa di scoprire ulteriori dettagli sul passaggio di proprietà) vuole puntare in maniera assoluta nel futuro prossimo. Il rinnovo dell’ex Sassuolo, infatti, è ritenuto una priorità in quel di Trigoria e l’accordo, nonostante i tira e molla del caso, ha un esito tendente alla fumata bianca.

Per il vice capitano della squadra di Paulo Fonseca è pronto anche un futuro in pianta stabile nel progetto azzurro di Roberto Mancini. A tal proposito si contano già dodici presenze condite da un gol messo a segno in Armenia - Italia dello scorso 5 settembre.

Altro centrocampista nel giro della Nazionale è Bryan Cristante. La concorrenza a Coverciano, per lui, è spietata, compresi i compagni di squadra, ma l’ex Milan ha tutte le carte in regola per conquistarsi quantomeno un posto nei fatidici ventitre. Per lui, ad oggi, sono sette le presenze totali.

Dal centrocampo alla difesa, dove spicca il nome del difensore Gianluca Mancini. Il calciatore, nativo di Pontedera, arrivato nella Capitale durante la scorsa estate, si candida ad essere uno dei protagonisti della ‘nuova difesa’ che dovrà raccogliere la pesante eredità della coppia Bonucci - Chiellini. Tre le presenze, fino ad ora, per il centrale ex Atalanta che, per un tecnico che deve gestire 7 partite in 5 settimane, ha il vantaggio della duttilità tattica. Un patrimonio che la Roma in primis cercherà di coltivare e tutelare da tentazioni italiane ed estere, immancabili per calciatori dai prospetti interessanti quali i quattro succitati.

Gianluca Mancini, difensore della Roma e dell'Italia!

Una politica che potrebbe vedere proprio nella Nazionale Azzurra la principale beneficiaria, in un periodo in cui spesso ci si è interrogati sull’indolenza dei club di Serie A nei confronti dei giovani nostrani. Ma il tempo e la filosofia, almeno in casa Roma, sembrano essere mutati. E ciò non può che essere un bene per la A stessa e per l’intero movimento calcistico nazionale.

*Il testo è stato curato dalla redazione de Le Bombe Di Vlad, le immagini sono di Hakob Berberyan e Francisco Seco, entrambe distribuite da AP Photo.

April 15, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Polivalenti: ritratti di 10 atleti che hanno avuto successo in più di uno sport

La storia dello sport è ricca di atleti che hanno gareggiato e vinto in più di una disciplina: a volte si è trattato di specialità affini tra loro, come automobilismo e motociclismo o nuoto e pallanuoto; in altri casi, i polivalenti si sono distinti in sport completamente diversi. 

Sul blog di 888sport abbiamo scelto di raccontarvi le 10 storie più interessanti e affascinanti di atleti che non si sono accontentati di misurarsi e vincere in un solo sport.

Jaroslav Drobny 

Definirlo giramondo è un eufemismo. Nato nel 1921 a Praga, nel 1947 conquista il titolo mondiale dell’hockey su ghiaccio con la nazionale dell’allora Cecoslovacchia e la medaglia d’argento alle Olimpiadi invernali di St. Moritz nel 1948, prima di lasciare da disertore il paese natale nell’anno successivo, a seguito del colpo di stato. Persa la cittadinanza, gira il mondo con una racchetta da tennis, da apolide prima che l’Egitto gli conceda un passaporto.

Vince per tre volte gli Internazionali d’Italia tra il 1950 e il 1953, gli Internazionali di Francia per due volte nel 1952 e nel 1953, prima di aggiudicarsi Wimbledon nel 1954, primo atleta di cittadinanza africana a vincere sull’erba londinese. In quello stesso anno, Lance Tingay del Daily Telegraph lo pone al numero uno del ranking mondiale. 

Cesare Rubini

È uno dei pochissimi atleti al mondo inseriti nelle Hall of Fame di due sport differenti, campione di pallacanestro e pallanuoto. Nato a Trieste nel 1923, a cavallo tra il 1945 e i 1957 raccoglie successi in entrambe le discipline, conquistando l’argento con l’Italia agli Europei in Svizzera ne 1946 e sei scudetti con la canottiera dell’Olimpia Milano nel basket, l’oro olimpico a Londra nel 1948, il bronzo a Helsinki nel 1952 oltre a un oro e un bronzo con la nazionale in campo europeo e sei titoli nazionali nella pallanuoto.

Come allenatore dell’Olimpia Milano conquista una Coppa dei Campioni e due Coppe delle Coppe.

Gene Conley

Non solo Micheal Jordan! Molti, infatti, sono gli sportivi statunitensi che nella loro carriera si sono cimentati nel basket e nel baseball. Gene Conley è una delle uniche due persone nella storia (insieme a Otto Graham) in grado di vincere il campionato in due dei quattro principali sport americani, conquistando le World Series MLB di baseball con i Milwaukee Braves nel 1957 e tre titoli NBA nel basket con i Boston Celtics tra il 1959 e il 1961.

Manuel Estiarte

Da molti è considerato il Maradona della pallanuoto, capace di dominare la scena mondiale per oltre un ventennio nella disciplina, con le squadre di club e con la nazionale spagnola, con cui ha disputato 578 incontri a cavallo tra il 1977 e il 2000. Per dare un’idea del suo personale palmares, limitandoci solamente agli allori conquistati con la nazionale, Estiarte ha collezionato un oro e un argento olimpico, un oro e due argenti mondiali, tre bronzi europei.

Una rete di Estiarte alla Croazia!

Dopo essersi tolto qualsiasi soddisfazione possibile in vasca, ha collaborato con il CIO, prima di tentare l’avventura nel mondo del calcio: nel 2008, infatti, l’amico Pep Guardiola lo sceglie come suo assistente al Barcellona. Da allora, Estiarte ha seguito il tecnico catalano al Bayern Monaco e al Manchester City.

Alex Zanardi

Zanardi è il simbolo di chi non molla mai, di chi non si arrende di fronte alle dure prove a cui la vita ci mette di fronte. Appassionato di motori sin da bambino, tra il 1991 e il 1994 guida in Formula 1 con Jordan, Minardi e Lotus, prima di tentare l’avventura americana nella Formula Indy, laureandosi campione nel 1997 e nel 1998. Le vittorie negli USA gli valgono un ingaggio da parte della Williams in Formula 1 per la stagione 1999. Nel 2001, il ritorno al campionato CART (nuova denominazione della Formula Indy) nel circuito europeo e il gravissimo incidente del 15 settembre, a seguito del quale gli vengono amputati entrambi gli arti inferiori.

Alex mostra una tempra e una determinazione fuori dal comune che lo portano, nel 2005, a tornare in pista alla guida di una BMW nel Mondiale Turismo. Dopo l'incidente del Lausitzring, Zanardi ha iniziato a partecipare a varie manifestazioni sportive per atleti diversamente abili, prendendo parte anche alla maratona di New York nel 2007 dove coglie un sorprendente quarto posto. La sua nuova specialità, però, diventa il paraciclismo, dove gareggia in handbike nelle categorie H4 e successivamente H5. Dal 2011 mette in fila quattro ori e due argenti olimpici, con ben dodici medaglie del metallo più prezioso nei Mondiali su strada. Qualcosa più di un esempio da seguire.

Maria Canins

Nata in Val Badia nel 1949, tra il 1969 e il 1983 ha primeggiato nello sci di fondo, conquistando quindici titoli italiano e diventando la prima italiana a vincere la Vasaloppet, in Svezia. La bicicletta era stata il suo metodo preferito di allenamento estivo per il fondo dal 1975 prima di dedicarsi al ciclismo come disciplina agonistica, stupendo per la rapidità dei risultati ottenuti.

Nonostante un esordio da professionista all’età di 32 anni, Maria ha conquistato due Tour de France e la prima edizione del Giro d’Italia femminile nel 1988; ai Mondiali su strada si è aggiudicata due bronzi e due argenti individuali, oltre a un oro e un argento a squadre. Soprannominata la “mamma volante”, ha tentato anche la strada della mountain bike, vincendo due tappe di coppa del mondo nel cross country.

Nasser Al-Attiyah

Eclettico è l’aggettivo che più si addice al qatariota Nasser Al-Attiyah. Ha partecipato a cinque edizioni consecutive dei Giochi olimpici nel tiro a volo, specialità skeet, da Atlanta 1996 a Londra 2012, aggiudicandosi in quest’ultima occasione la medaglia di bronzo, la terza in assoluto per il suo paese nella storia delle Olimpiadi. Un anno prima del bronzo olimpico, Nasser Al-Attiyah ha vinto il Rally Dakar per auto, disputatosi tra Argentina e Cile, a bordo di una Volkswagen, precedendo una leggenda del rally mondiale come Carlos Sainz. Si è ripetuto anche nel 2015 e nel 2019.

Luigi Burlando

Di lui il famoso giornalista genovese e genoano Aldo Merlo scrisse: “Forse l'unico personaggio sportivo effettivamente decoubertiniano. Ed aveva vinto tutte le sue battaglie”; nato sotto la Lanterna nel 1889, Luigi Burlando, infatti, è stato in grado di destreggiarsi con disinvoltura come calciatore, allenatore di calcio e pallanuotista. Sul rettangolo verde, ha conquistato due campionati con la maglia del Genoa e altrettanti titoli nazionali ha vinto con la calottina dell’Andrea Doria.

Ha partecipato alle Olimpiadi di Anversa nel 1920 sia con la nazionale di calcio che con quella della pallanuoto, entrando di diritto nella storia dello sport mondiale.

Ester Ledecka

La madre di Ester, Zuzana, è stata pattinatrice di figura, mentre il nonno Jan Klapáč è stato un hockeista vincitore di un argento olimpico a Grenoble nel 1968 e di un bronzo a Innsbruck nel 1964 con la Cecoslovacchia. La venticinquenne praghese Ester Ledecka ha raccolto l’eredità familiare, vincendo la medaglia d'oro nel supergigante di sci alpino e nello slalom gigante parallelo di snowboard ai Giochi olimpici di Pyeongchang 2018: è la prima donna nella storia delle Olimpiadi invernali capace di centrare un titolo in due diverse discipline, nella stessa edizione.

Ledecka è, inoltre, l'unica atleta ad aver ottenuto vittorie sia nella Coppa del Mondo di snowboard che in quella di sci alpino, riuscendo peraltro a vincere in entrambi i circuiti nel corso della stessa stagione (2019-2020).

Vsevolod Bobrov

Se per gli statunitensi è abbastanza classica l’accoppiata basket-baseball, all’epoca dell’Unione Sovietica in molti sono stati gli sportivi che si sono misurati, alcuni ottenendo importanti successi, nel calcio e nell’hockey su ghiaccio. Anche Lev Jascin, il portiere Pallone d’oro 1963, prima di iniziare la sua brillante carriera da calciatore, ha provato l’esperienza in porta sulla pista ghiacciata con la maglia della Dinamo Mosca, conquistando la Coppa sovietica nel 1953.

Vsevolod Michajlovič Bobrov, classe 1922, ha giocato in entrambe le discipline contemporaneamente, vincendo tre titoli sovietici nel calcio con la maglia del CDKA Mosca e sei nell’hockey su ghiaccio con due formazioni moscoviti. Bobrov ha vinto l’oro olimpico con l’URSS nell’hockey su ghiaccio a Cortina nel 1956.

*Le foto dell'articolo sono di Lionel Cironneau e Christof Stache, entrambe distribuite da AP Photo.

April 14, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Zac ed il coraggio di cambiare!

Un salto indietro di oltre 20 anni, coi mezzi di comunicazione che oggi, azzerano tutte le barriere, comprese quelle del tempo, non è opera così complicata: siamo nel campionato di calcio italiano di Serie B, stagione ’94/’95 ed una delle realtà calcistiche con maggiore tradizione del Sud, il Cosenza, deve riuscire a mantenere la cadetteria partendo con una penalizzazione di 9 punti. Per farlo, sceglie l’unica via che gli è possibile in quella delicatissima situazione: un calcio fatto di idee, innovazione e talenti pressoché sconosciuti al grande pubblico, da valorizzare.

L’impresa, perché di tale si tratta, riesce ed, a renderla possibile, è un romagnolo che da poco ha superato la soglia dei quarant’anni, ma che già ha avuto modo di far parlare di sé fra gli addetti ai lavori, per una doppia promozione dalla D alla C1 alla guida del Baracca Lugo e per un’altra dalla C alla B col Venezia. Il suo nome è Alberto Zaccheroni, non ha un gran passato da calciatore, anzi non c’è l’ha per niente, ed il suo calcio ricalca fedelmente i concetti sacchiani, dalla zona all’integralismo per il 4-4-2.

LA SERIE A AD UDINE!

L’exploit in terra calabrese non passa inosservato e viene cavalcato dalla famiglia Pozzo, molti chilometri più a nord, in Friuli, che decide di affidare al mister, la conduzione dell’Udinese, nella massima serie. A maggio del ’96, praticamente un anno dopo la chiamata, i bianconeri di Zaccheroni, otterranno una salvezza tranquilla, giocando un calcio ordinato ed equilibrato, sempre di matrice sacchiana. La seconda stagione in Friuli, quella 1996-‘97 però, non inizia in maniera positiva e la squadra, fino alla primavera pecca di costanza, è altalenante nelle prestazioni e quindi, anche nei risultati.

Ad aprile l’Udinese è di scena sul campo della Juventus di Vieri e Zidane. Passano solo tre minuti e Genaux, terzino francese, ingenuamente, si fa espellere per proteste: logica vorrebbe che, fedele al 4-4-2, il tecnico romagnolo, inserisse un difensore, in luogo di uno dei due attaccanti, Amoroso o Bierhoff. Zaccheroni però, rompe il protocollo; richiama in panchina il centrocampista esterno Locatelli, lanciando nella mischia il ghanese Gargo, calciatore eclettico e polivalente che nella circostanza, si affianca in difesa a Pierini e Calori. La linea di centrocampo a 4 e soprattutto, le due punte, quindi, vengono mantenute.

Il calcio si sa, da sempre, ci racconta storie meravigliose nonché imprevedibili e questa, non fa eccezione: al “Delle Alpi”, al triplice fischio, il tabellino dice Juventus 0 Udinese 3. Dal turno successivo di campionato, i friulani, metteranno insieme sei vittorie e due pareggi nelle ultime otto gare, centrando il quinto posto che vale il piazzamento UEFA.

Tutto ciò, avviene dando seguito alla rivoluzione tattica generatosi a Torino: via il 4-4-2 e spazio al 3-4-3 che sarà anche per l’anno seguente il nuovo, inconfutabile marchio dell’Udinese di Alberto Zaccheroni, in un’epoca, quella della seconda metà degli anni ’90, in cui il sistema di gioco, più che i principi ed in concetti che lo caratterizzavano, era il vero parametro che definiva la filosofia calcistica di un allenatore e quindi della propria squadra.

Le idee tattiche legate alla difesa a 3 erano invece sostanzialmente due: quella “italiana” del Parma di Nevio Scala, con un 3-5-2 che in fase di non possesso diventava sistematicamente un 5-3-2 e, in ambito europeo la corrente catalano-olandese, da Cruyff all’Ajax di Van Gaal, che col i tre difensori, il centrocampo a 4 a rombo ed i tre attaccanti, ricercava un calcio più di dominio, di palleggio e soprattutto dinamico e non posizionale. In mezzo a queste due espressioni, si inserì appunto Zaccheroni, prendendo spunto da entrambe, ma creando un modello proprio.

LE INTUIZIONI TATTICHE

Anzitutto, Nel 3-4-3 dell’Udinese, la linea mediana era in linea e raramente i due “quarti” di centrocampo, Helveg e Sergio, poi Bachini, si abbassavano contemporaneamente sulla linea dei tre difensori per costituirne una a cinque: piuttosto, l’esterno di centrocampo lato palla, si alzava molto in alto a pressare il terzino avversario in possesso ed il compagno dalla parte opposta rimaneva più legato al terzetto difensivo, prestando attenzione al lato più lontano dalla palla.

La costruzione della manovra, inoltre, era molto diretta e verticale: spessissimo si assisteva a sequenze di gioco in cui la palla, attraverso dei passaggi verticali rischiosi ma precisi, arrivava per l’appunto dai difensori, direttamente fra i piedi degli esterni di attacco.

In queste posizione, si alternavano calciatori estremamente talentuosi come il già citato brasiliano Marcio Amoroso, il danese Jorgensen ed i nostrani Poggi e Locatelli che giocando a piede contrario e, venendo naturalmente ad agire all’interno del campo, immediatamente cercavano la rifinitura per l’attacco alla profondità del centravanti tedesco Bierhoff, un meccanismo di combinazioni ed opzioni per attaccare la linea difensiva avversaria e lo spazio alle sue spalle che oggi, possiamo vedere realizzato in maniera ancora più evoluta e raffinata, nell’Atalanta di Giampiero Gasperini

In un’idea offensiva orientata a trovare la porta avversaria nel più breve tempo possibile, assumevano pertanto un’importanza fondamentale per tenere corta e connessa la squadra, i due centrocampisti centrali, Rossitto e Giannichedda, poi Walem, sempre attenti a mantenere le proprie posizioni; il terzetto Bertotto-Calori-Pierini, alzava palla per andare a cercare in avanti,il petto o la testa del tedesco Bierhoff.

I due mediani infatti, nel 3-4-3 verticale di Zaccheroni erano sempre pronti a raccogliere sponde e palle sporche prodotte dai duelli del loro centravanti e soprattutto, erano costantemente proiettati a mordere le caviglie dei centrocampisti avversari che cercavano di riconquistare palle vaganti nella propria trequarti, evidenziando quindi, un concetto di riconquista palla immediata che oggi è caldeggiato e allenato nei dettagli, dai tecnici top di tutta Europa.

L’Udinese 3.0 del 1997/1998 di Alberto Zaccheroni, centrò il miglior piazzamento in Serie A nella storia del club friulano, un terzo posto che però, in quel momento storico del calcio, non valeva più di un nuovo piazzamento in Coppa UEFA.

Zac a Milanello!

Fu il passaporto, invece, per il tecnico per diventare il tecnico del Milan: evolvendo, nel corso della primavera ’99, il suo 3-4-3 in un più imprevedibile 3-4-1-2, Zac valorizza al massimo il talento di un artista del calcio come “Zorro” Boban e tocca il punto più alto della sua carriera, diventando Campione d’Italia.

*Il testo dell'articolo è stato curato da Luigi Miccio: le immagini, entrambe distribuite da AP Photo, sono, in ordine di pubblicazione, di Luca Bruno e Diego Petrussi.
 

April 14, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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La storia delle formazioni che hanno vinto la Champions senza perdere una partita


Nel 1992/93 la “vecchia” Coppa dei Campioni, dopo trentasette edizioni, lascia spazio alla Champions League: nuova formula, prestigio intatto. Ripercorriamo la storia delle straordinarie formazioni che hanno alzato la grande coppa da imbattute!

Olympique Marsiglia

Milan

Ajax

Manchester United

Barcellona

Olympique Marsiglia

Al primo colpo, i francesi dell’Olympique Marsiglia vincono il trofeo rimanendo imbattuti per l’intero percorso. Doppio successo con il Glentoran ai sedicesimi, pareggio esterno con la Dinamo Bucarest e vittoria casalinga per due a zero. A questo punto, restano otto formazioni divise in due gironi da quattro squadre, con sfide di andata e ritorno.

Le sei partite nelle quali sono impegnati i francesi, vedono altrettanti risultati positivi; due pareggi nel doppio confronto con i Glasgow Rangers, doppia vittoria contro il Bruges, un pareggio e una vittoria contro il CSKA Mosca. In finale c’è il Milan, che ha collezionato dieci vittorie in altrettante partite. Un gol del difensore Boli condanna la squadra di Capello.

Milan

Il riscatto rossonero è dietro l’angolo, dodici mesi dopo sono i milanisti a festeggiare. Anche qui, percorso netto. Anche qui, stessa formula: due turni (sedicesimi e ottavi di finale) a eliminazione diretta con gare di andata e ritorno, poi due gironi da quattro squadre per eleggere le due finaliste. Il Milan vince in trasferta contro gli elvetici dell’Arau grazie a un gol di Jean-Pierre Papin. Il ritorno, a San Siro, finisce zero a zero. Negli ottavi la squadra di Capello travolge il Copenhagen in trasferta: sei a zero, doppiette per Papin e Simone, in gol anche Brian Laudrup e Orlando. La sfida di ritorno è decisa da un gol di Papin.

Nel girone il Milan ottiene due vittorie e quattro pareggi: i rossoneri impattano con l’Anderlecht sia all’andata che al ritorno, vincono le partite casalinghe contro Porto e Werder Brema, pareggiando le sfide lontano da San Siro. La finale si gioca ad Atene, dall’altra parte c’è il Barcellona, il Dream Team allenato da Johan Cruijff. Non c’è storia, finisce quattro a zero per il Milan che trionfa in una notte leggendaria.

Ajax

Nella finale dell’anno successivo - 1994/95 - c’è ancora il Milan che in questa occasione deve piegarsi davanti all’Ajax di Van Gaal. I lancieri, oltre a portarsi a casa il trofeo per la quarta volta, restano imbattuti per l’intera edizione, un’impresa già riuscita nel 1971-72. Cambia nuovamente il format: il torneo prevede quattro gironi da quattro squadre. Ajax e Milan sono inserite nello stesso raggruppamento: gli olandesi ottengono un doppio pareggio contro il Salisburgo, battendo Milan e AEK Atene nelle altre quattro partite.

Nei quarti di finale un pareggio e una vittoria contro l’Hajduk Spalato, stesso esito nelle semifinali contro il Bayern Monaco. Kluivert decide la finale di Vienna a vantaggio dell’Ajax.

Manchester United

La finale più esaltante delle sessantaquattro fin qui disputate è sicuramente quella del 1999 tra Manchester United e Bayern Monaco: gli inglesi - sotto di un gol al novantesimo - ribaltano la sfida nei tre minuti di recupero, con le scommesse calcio impazzite! La cavalcata degli uomini di Alex Ferguson si chiude in maniera trionfale, così com’era iniziata e proseguita durante tutto l’arco della stagione. Le due finaliste sono nello stesso raggruppamento iniziale, le due sfide terminano in parità.

Il Manchester pareggia anche le due partite contro il Barcellona, mentre vince entrambi gli incontri con il Brondby. Nei quarti di finale gli inglesi eliminano l’Inter; successo per due a zero all’Old Trafford grazie alla doppietta di Yorke, a San Siro, gli inglesi pareggiano per uno a uno. C’è ancora un’italiana sulla strada dei Red Devils: il pareggio di Manchester per uno a uno con la Juventus lascia aperto il discorso qualificazione, a Torino una doppietta di Inzaghi illude i bianconeri, ma gli inglesi vincono in rimonta: Keane, Yorke e Cole.

Barcellona

I club spagnoli nella storia della competizione sono quelli che hanno conquistato il maggior numero di trofei, ma per vedere un percorso netto bisognerà attendere il 2006 quando il Barcellona allenato da Frank Rijkaard riesce nell’impresa di vincere senza perdere una partita. Nel girone eliminatorio, i catalani vincono cinque delle sei sfide contro Udinese, Werder Brema e Panathinaikos: gli unici a impattare contro i futuri campioni sono i greci.

Negli ottavi il Barça elimina gli inglesi del Chelsea vincendo a Londra e pareggiando al Camp Nou. L’avversario dei quarti è il Benfica: risultato a occhiali in Portogallo, nel ritorno vittoria del Barcellona grazie ai gol di Ronaldinho e Samuel Eto’o. In semifinale c’è il Milan: l’esito è indirizzato dall’unica rete segnata da Giuly nell’andata a San Siro. Il Barcellona arriva così in finale dove supera per due a uno l’Arsenal.

L’ultima formazione a vincere la Champions League da imbattuta è stata ancora  il Manchester United nell’edizione 2007/08: sulla panchina degli inglesi c’è ancora Alex Ferguson. Cinque vittorie e un pareggio nelle sei partite nel girone di qualificazione contro Roma, Sporting Lisbona e Dinamo Kiev. Negli ottavi di finale, il pareggio esterno contro il Lione non preclude la qualificazione che arriva nella sfida di ritorno grazie al gol di Cristiano Ronaldo. Il Manchester United supera agevolmente anche i quarti di finale ottenendo una doppia Vitoria contro la Roma.

La semifinale di andata contro il Barcellona termina a reti inviolate, in Inghilterra basta un gol di Scholes per regalare allo United la finalissima di Mosca. E’ una finale tutta inglese, contro il Chelsea. Cristiano Ronaldo sblocca il risultato, Lampard pareggia. AI supplementari il risultato non cambia. Si va ai rigori. Cristiano Ronaldo sbaglia, ma dopo di lui, Lampard e Anelka lo imitano, e alla fine è il Manchester United ad alzare la coppa.

Ricordiamo per le scommesse e quote Champions League che nell’edizione 2020, il Bayern Monaco ha vinto tutte le 7 partite alle quali ha partecipato, ed è l’unica formazione che potrebbe aggiungersi a quelle elencate nell’articolo.

*La foto di apertura dell'articolo è di Bernat Armangue (AP Photo). Prima pubblicazione, 13 aprile 2020.

August 20, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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L'Europa League (già Coppa Uefa) più spettacolare di sempre!

"La conferma è arrivata in questo istante: Careca gioca! E' stato colto da un attacco influenzale, febbrile, piuttosto violento durante la nottata: si è ripreso e, proprio un istante fa, è stata resa ufficiale la formazione del Napoli con Careca in squadra. Giocheranno dunque Giuliani, Ferrara, Franchini, Corradini, Alemão, Renica, Fusi, De Napoli, Careca, Maradona e Carnevale. 

Si gioca in un ambiente straordinario: settantamila spettatori presenti, io direi che almeno trentamila sono italiani che tifano Napoli. Stoccarda è stata letteralmente invasa dai tifosi napoletani...". 

I tempi che furono: le italiane (quai) imbattibili in Europa

Sono passati oltre trent'anni da quel trionfo del Napoli in coda alla Coppa Uefa più bella della storia. E, proprio in linea con le emozioni fornite da quella edizione, datata 1988-89, il discorso introduttivo alla finale di Stoccarda firmato Bruno Pizzul, lanciato da Giampiero Galeazzi e Leo Junior dagli studi di Saxa Rubra, resta a tutt'oggi il più maestoso, impeccabile, giornalisticamente e televisivamente perfetto.

Insomma, se l'edizione 2023/2024 con il derby nei quarti tra Milan e Roma vale praticamente la Champions, quella coppa, vinta dal Napoli di Diego è nella leggenda!

Erano gli anni in cui le squadre italiane dominavano in Europa e, nel giro di pochi giorni, si era andati vicinissimi all'en plein: se il Milan aveva demolito 4-0 la Steaua Bucarest in Coppa dei Campioni con le doppiette di Ruud Gullit e Marco van Basten, le reti di Julio Salinas e Luis María López Rekarte del Barcellona avevano spento il bel sogno della Sampdoria di Gianluca Viali, Roberto Mancini e Vujadin Boskov proprio all'ultimo atto.

Blucerchiati che si sarebbero poi ampiamente consolati l'anno successivo, sempre in Coppa Coppe (2-0 all'Anderlecht con doppietta di Vialli ai supplementari) e con l'incredibile Scudetto del 1991. 

La Coppa Uefa più seguita di sempre

Ma la Coppa Uefa del Napoli, si diceva, resta quella più spettacolare, nel cammino di un'edizione ricca di gol, partite spettacolari, sorprese forse irripetibili. Una, certamente, quella dei tedeschi orientali della Dinamo Dresda Torsten Gütschow, che agli ottavi avevano liquidato con due 2-0 la Roma, peraltro sotto una memorabile nevicata nel match di andata al Rudolf-Harbig-Stadion, quel mercoledì 23 novembre 1988.

Ma quello, si sa, fu l'anno dell'Inter dei record del calcio, che - oltre allo Scudetto - sarebbe arrivata in fondo anche in Europa, se non fosse per quella serata storta di San Siro agli ottavi contro il Bayern Monaco, sconfitto in Germania per 0-2 con quel coast to coast di Nicola Berti.

Al ritorno, il prematuro infortunio di Andreas Brehme, aprì la strada ai bavaresi per un clamoroso 3-1. Inter che, in semifinale, fu vendicata proprio dal Napoli di Ottavio Bianchi, giunto fino a quel punto dopo aver liquidato PAOK Salonicco, Lokomotive Lipsia, Bordeaux e Juventus.

Un doppio confronto fratricida spettacolare: il 2-0 per i bianconeri dell'andata, fu ribaltato al San Paolo, 3-0 ai tempi supplementari coi gol di Maradona (su rigore), Carnevale e Renica al 119', a un passo dai calci di rigore.
 

La memorabile partita di Stoccarda

Si arriva alla finalissima: 2-1 per il Napoli al San Paolo contro lo Stoccarda di bomber Maurizio Gaudino, figlio di immigrati campani e che spaventò il popolo partenopeo con un gol che porto in vantaggio i tedeschi al 17'. Maradona (su penalty causato da Buchwald e contestato dagli avversari) e Antonio Careca ribaltarono la situazione.

Al ritorno, a Stoccarda sede anche di UEFA Nations League per la Germania, il brasiliano, mise il punto esclamativo a una partita pirotecnica, con un pallonetto morbido sulla solita intuizione del Pibe de Oro, che aveva ispirato anche la girata vincente di Ciro Ferrara, arrivata dopo l'incursione vincente di uno scatenato Alemão.

Napoli avanti 3-1 al 62': la sfortunata autorete di Fernando De Napoli al 70' e il gol di Nils Schmäler all'89', valsero solo per gli annali.

Ancora negli occhi l'abbraccio, quasi da fratello maggiore, di Maradona a un Ferrara commosso e quella Coppa Uefa alzata al cielo di Stoccarda, l'unico trofeo internazionale che, ad oggi, brilla nella bacheca del Napoli.

*La foto di apertura dell'articolo è di Franco Castanò (AP Photo). Prima pubblicazione 12 aprile 2020.

March 15, 2024
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Macron, l'eccellenza italiana!

Macron? Il venticinquesimo presidente della Repubblica Francese ma…non solo. Per chi mastica di calcio, ma anche di sport in generale, Macron significa abbigliamento sportivo. E in un mercato dove a farla da padroni sono i big players, marchi americani (Nike) e tedeschi (Adidas e Puma), l’azienda nata nel 1971 a Bologna è decisamente un’eccellenza tutta tricolore. Che con una crescita costante è addirittura arrivata spesso e volentieri a soppiantare le ben più celebri concorrenti straniere. E pensare che tutto nasce da un semplice negozio di attrezzature per il baseball.

Dedichiamo questo spazio a Macron, non solo per le meravigliose intuizioni commerciali di riproporre la maglia bandiera e l'intero completo dello scudetto del 2000 nella sua ormai pluriennale fornitura alla Lazio, ma anche perché l'azienda ha annunciato che produrrà fino a maggio 40 milioni di mascherine per l'Italia. Perché l’eccellenza si vede anche da queste cose!!!

Sport minore in Italia, ma certamente non a Bologna, che ha una radicata tradizione quando si parla di mazze, guantoni e diamanti. E dunque nel 1971 la Macron comincia a distribuire in Italia materiale proveniente dagli Stati Uniti, per poi ampliarsi a metà degli anni Settanta e mettersi a produrre in proprio, sconfinando negli altri sport a stelle e strisce come football americano e basket, oltre che in discipline come il volley.

Il legame con le discipline in voga negli USA si conferma sia attraverso la distribuzione in Italia delle divise dei team professionistici che, a partire dagli anni Novanta, con la produzione in loco per conto della leggendaria Champion delle maglie delle squadre NBA.

I PRIMI PASSI CALCISTICI 

L’esordio nel calcio non può più attendere e arriva nel 1997 con la produzione di abbigliamento. Per il primo contratto di fornitura di un club bisogna aspettare il nuovo millennio, che però inizia col botto: la prima squadra targata Macron, e non potrebbe essere altrimenti, è il Bologna. È solo l’inizio di una espansione che al momento non sembra volersi fermare. Nel 2005 il marchio esce fuori dai confini italiani, vestendo lo Swansea, ma anche conquistando consensi negli USA e in Medio Oriente.

La prima big tricolore a vestire Macron è il Napoli e, bacheca alla mano, il periodo tra il 2009 e il 2015 coincide con le migliori prestazioni recenti degli azzurri: nei sei anni di fornitura il marchio Macron aiuta Mazzarri e Benitez a conquistare due coppe Italia e una supercoppa italiana, oltre a vedere il ritorno del Napoli in Champions League per la prima volta dai tempi di Maradona.

 

Nel frattempo la Macron trova anche il modo di prendersi un’importante fetta di mercato di uno sport tradizionalista come il rugby. La prima nazionale a vestire maglie dell’azienda bolognese gioca proprio con la palla ovale ed è la Scozia nel 2013. Due anni dopo si registra per la Macron anche un esordio iridato, visto che la Tartan Army partecipa ai mondiali che si tengono in Sudafrica. Dal 2017, poi, il marchio felsineo arriva la consacrazione casalinga: un contratto (con una base che si aggira sui 2 milioni di euro l’anno) per la fornitura delle maglie della nazionale italiana fino al 2025.


Anche le nuove frontiere della sponsorizzazione non sfuggono alla Macron, che si lancia anche nel business dei naming rights. Seguendo l’esempio della Reebok, che nel 1997 partecipa alla costruzione dello stadio del Bolton, nel 2014 la Macron sostituisce proprio l’azienda inglese sia per la fornitura delle maglie del club della Greater Manchester che nel nome dell’impianto, che per quattro stagioni si chiama Macron Stadium, prima di acquisire l’attuale denominazione di University of Bolton Stadium.

LA MACRON E LA UEFA

Il vero salto di qualità dell’azienda bolognese, però, arriva probabilmente attraverso una serie di accordi commerciali con le massime autorità del calcio Europeo. L’esordio nel mondo delle nazionali di calcio arriva, accompagnando l'Albania nella clamorosa qualificazione ad Euro 2016! Subito dopo, la UEFA si rivolge proprio alla Macron per il suo Top Executive Programme Kit Assistance Scheme, un accordo che prevede la fornitura ai membri UEFA delle nazioni più piccole del materiale tecnico delle nazionali maggiori, dell’Under-21 e degli arbitri dei campionati di prima categoria. Di conseguenza, ora indossano divise Macron anche Andorra, Armenia, Bielorussia, Cipro, Isole Faroer, Liechtenstein, Lussemburgo e San Marino. 

La soddisfazione della UEFA per la bontà del lavoro della Macron è resa evidente dall’ultimo accordo in ordine di tempo tra la federazione europea e l’azienda italiana, quella che vede per la prima volta nel 2019, addirittura a a stagione in corso, il marchio Macron sulle divise degli arbitri nelle coppe europee. Sia Skomina a Madrid che Rocchi a Baku vestono tricolore in occasione delle finali di Champions League e di Europa League 2018/19, così come Undiano Mallenco quando ha diretto la finalissima di Nations League tra Portogallo e Olanda.

Una bella soddisfazione, che fai il paio con la splendida annata del Verona e con la cavalcata spettacolare della Lazio, altro fiore all’occhiello del brand. Insomma, un’ascesa che sembra non avere fine per la Macron. Che nell’arco di cinquant’anni si è trasformata da negozio di provincia in esempio di livello mondiale delle capacità dell’imprenditoria italiana e che, in un momento così complicato per tutti ha anche deciso di dare una mano. 

Segui il calcio con 888sport!

*L'immagine è di Riccardo De Luca (AP Photo); prima pubblicazione dell'articolo, 11 aprile 2020.

 
November 24, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Gli italiani protagonisti in Liga!

Valencia, casa Italia. L’arrivo, seppur per una manciata di mesi, nella squadra bianconera di Alessandro Florenzi, che va a rinforzare il contingente tricolore già rappresentato da Piccini, conferma, come già raccontato sul blog lo strettissimo rapporto tra i calciatori italiani e il club di casa al Mestalla.

Quanti italiani tra Real e Barcellona

Bobone protagonista all'Atletico

Maresca: che numeri!

Il Villareal tricolore

Ma, più in generale, la Liga è spesso stata meta di esperienze all’estero dei nostri giocatori, rappresentativi o meno. Vero, a Valencia c’è una vera e propria colonia, che di tanto in tanto aumenta di numero, ma anche molte altre squadre spagnole (e non soltanto le big) hanno puntato sul made in Italy con una certa frequenza.

Quanti italiani tra Real e Barcellona

Il Real Madrid ha chiamato, oltre Carletto Ancelotti, sulla sua panchina per ben due volte Fabio Capello, che in entrambi i casi ha portato con sé calciatori italiani. Il primo blanco… tricolore è Christian Panucci, che il Real acquista nella sessione di mercato di gennaio 1997. Il tecnico di Pieris lascia in estate dopo aver vinto la Liga, mentre il difensore resta fino al 1999, aggiungendo in bacheca un’altra Champions League dopo quelle già vinte con la maglia del Milan.

Panucci, esterno basso affidabile!

Nel 2006 i trasferimenti di italiani sono due. Il primo è precedente all’arrivo di Capello, perché Cassano si accasa al Bernabeu nel gennaio 2006. Ma a luglio, dopo lo scandalo Calciopoli, si ritrova di nuovo a lavorare con il friulano, già suo tecnico ai tempi della Roma, e con lui, al centro della difesa, arriva il campione del mondo e futuro Pallone d’Oro Fabio Cannavaro. Cassano torna presto in Italia, nel luglio 2007, con in bacheca una Liga. Va meglio al capitano degli azzurri, che resta fino al 2009 e vince due campionati e una Supercoppa.

Anche a Barcellona però non si sono fatti mancare qualche italiano. Si comincia nel 2003 e il primo a vestire la maglia blaugrana è Francesco Coco. Il terzino sinistro arriva dal Milan, resta una stagione e poi…finisce all’Inter. Sempre un ex rossonero è il secondo della lista: dopo una carriera stellare con il Diavolo, nel 2005 Demetrio Albertini si toglie lo sfizio di essere protagonista anche al Camp Nou, vincendo la Liga nella sua ultima stagione in carriera.

E nel 2006, fresco di titolo iridato, tocca a Gianluca Zambrotta volare in Catalogna. Per il protagonista delle notti tedesche, due stagioni in blaugrana e poi il ritorno in Italia. Neanche a dirlo…al Milan!

Bobone protagonista all'Atletico

Terza grande di Spagna ma tra le prime quando si tratta di italiani e di bomber leggendari è l’Atletico Madrid. Che nel 1997 fa il colpo a effetto e acquista dalla Juventus un certo Bobo Vieri. Una stagione al vecchio Calderon basta e avanza: 24 gol in altrettante partite, titolo di Pichichi e ritorno in Serie A, a suon di miliardi di lire, alla Lazio.

L’anno dopo tocca a Michele Serena, ma l’esperienza del difensore dura dodici mesi ed è sfortunata perché termina con la retrocessione.

Nel 2002 c’è la prima esperienza spagnola di Albertini, che resta una stagione, così come quelle di Abbiati, in prestito tra 2007 e 2008. E poi c’è Cerci, che arriva con la fanfara nel 2014 ma non si ambienta, torna in Italia in prestito, poi di nuovo a Madrid prima di essere ceduto al Verona.

Abbiati portiere dell'Atletico!

Maresca: che numeri!

Sono parecchi gli italiani protagonisti a Siviglia, un’altra piazza molto amata dai calciatori tricolori. Chi lascia certamente il segno è Enzo Maresca, che arriva nel 2005 e lascia nel 2009, mettendo in bacheca ben due Europa League consecutive.

Maresca in pressione su Messi!

Non sono così fortunati due portieri. De Sanctis fa il numero 12 nella stagione 2007/08, mentre Sirigu tenta l’avventura spagnola nella stagione 2016/17. Per entrambi poche gioie, così come per Ciro Immobile, che cerca senza successo di reinventarsi in Spagna nel 2015 dopo l’esperienza fallimentare al Borussia Dortmund. Anche al Sanchez Pizjuan non gli va benissimo, così come a Cigarini e Andreolli, entrambi passati a Siviglia in prestito e subito dimenticati.

Il Villareal tricolore

Altra meta molto gettonata (sarà per la vicinanza a Valencia) è Villarreal. Pensando agli italiani con la maglia del Submarino Amarillo viene subito in mente Giuseppe Rossi, primatista del club per gol nelle coppe europee. Per Pepito sei anni all’Estadio della Ceramica, tra molti gol (82 in tutte le competizioni) e due gravissimi infortuni.

Protagonista col Villarreal anche Daniele Bonera, che gioca quattro anni in giallo. Il primo italiano del club però resta Alessio Tacchinardi, che dopo aver lasciato la Juventus gioca due anni in Spagna. Più recenti le avventure di Sansone e Soriano, che hanno poi entrambi salutato il club valenciano per accasarsi al Bologna.

Il bomber Giuseppe Rossi!


E le altre squadre? Il Malaga è andato sull’usato sicuro prendendo Maresca dopo l’esperienza a Siviglia, l’Espanyol ha potuto schierare il campione d’Europa Moreno Torricelli. Il Levante cala il pokerissimo con Tommasi, Riganò, StorariAcquafresca e un più recente Pazzini.

Qualcuno ha optato per le isole, come Aquilani, che sceglie il Las Palmas, o Iuliano e Doni, che a fine carriera hanno giocato a Maiorca. E poi c’è una scelta romantica, quella di Stefano Sorrentino, che nel 2007 si accasa al Recreativo Huelva, la squadra più antica di Spagna, la porta alla salvezza e poi…va a fare miracoli al Chievo. Insomma, si scrive Liga, ma spesso…si legge Serie A.

Segui le scommesse de La Liga con 888sport!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 10 aprile 2020.

 
October 19, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Spalletti e l'evoluzione del calcio italiano!

Se pensiamo ad un tecnico che nel nostro calcio, si è rivelato capace di offrire un impulso reale, innovativo, sotto il profilo tattico, a tifosi, appassionati ed addetti ai lavori, non possiamo esimerci dal menzionare Luciano Spalletti ed il suo sistema di gioco 4-2-3-1, riformulato al Maradona con un centrocampista in più!

 

DUE MODULI IN UNO

LA DIFESA A TRE E MEZZO

TRA ICARDI ED OSIMHEN

Nell’ormai lontano campionato di Serie A 2005/2006, a metà stagione, la Roma, falcidiata dagli infortuni, veleggia a metà classifica, attesa dalla complicata trasferta di Genova contro la Sampdoria. Il tecnico toscano accantona il 4-4-2, tra intuito ed emergenza, propone un 4-2-3-1 pieno di centrocampisti e con Totti centravanti.

Spalletti con il Napoli
I giallorossi pareggeranno ma daranno spettacolo: è la sera in cui nasce ufficialmente “la Roma di Spalletti”, quella in cui, da lì a poco, si esalteranno il Perrotta trequartista, i brasiliani Mancini e Taddei da esterni offensivi, De Rossi e Pizarro da mediani. In difesa, davanti al portiere Doni, l’esperienza di Panucci e la fisicità ed il senso tattico della coppia centrale Chivu - Mexes, garantiranno affidabilità e personalità.

Finora, ci siamo limitati a fare cronaca, addentriamoci ora nella questione più puramente tattica; perché sul campo l’impatto di quella Roma, fu così disarmante?

Giornali, siti web, analisi tattiche di professionisti e non, sono tutti unanimi nel riconoscere che il vero punto di forza di quell’impianto di gioco fu l’esaltazione del principio offensivo dell’imprevedibilità dei singoli: Totti interpretava il ruolo di centravanti in maniera totale, non offriva mai riferimenti agli avversari e piuttosto che attaccare la profondità, veniva a ricevere palla in tutte le zone della trequarti per permettere a Perrotta, Mancini e Taddei di arrivare, con corse lunghe di attacco alla profondità, alla conclusione.

Questo può sembrare banale, ma c’è dell’altro. 

DUE MODULI IN UNO

Quel 4-2-3-1, che negli anni a seguire, fino al 2009, si mostrò in tutto il suo splendore, fino a condurre i giallorossi alla vittoria di coppe nazionali ed a sfiorare lo scudetto, si caratterizzava per essere in anticipo sull’evoluzione tattica collettiva del gioco, nella messa in azione di alcuni principi tattici, oggi ritenuti essenziali: in primis il sistema di Spalletti risultava dinamico ed in grado di sdoppiarsi. In fase difensiva infatti, le linee di gioco restavano quattro, ma i due esterni offensivi, ripiegavano sulla stessa linea dei due mediani, dando vita ad un 4-4-1-1 corto e stretto difficilmente penetrabile.

Non solo: nel 4-2-3-1 di Luciano Spalletti i due difensori centrali abitualmente entravano palla al piede a puntare la linea di centrocampo avversaria, alla ricerca della verticalizzazione alle spalle dei centrocampisti avversari e quando uno di questi saliva palla al piede o, era fuori posizione, uno dei due mediani, De Rossi, si mostrava subito pronto a prendere il suo posto per riformare la linea a 4. Altro concetto fondante di quel 4-2-3-1 era l’alternanza e il riconoscimento collettivo di un mantenimento palla prolungato, qualora non ci fossero tempi, spazi e smarcamenti in avanti.

A condurre questa fase, imperversava David Pizarro. In fase offensiva, altro aspetto che vale la pena menzionare e che caratterizzò non poco quel sistema, era l’attacco delle vie di mezzo, cioè dello spazio alle spalle della linea di centrocampo avversaria; se Perrotta e Totti, come risaputo, si alternavano verticalmente senza dare riferimenti, altrettanta differenziazione si notava nello scaglionamento offensivo dei due attaccanti esterni: il brasiliano Mancini giocava infatti più dentro al campo, più stretto, mentre a destra, l’altro carioca, Taddei, si muoveva più lungo la linea laterale. 

Spalletti a Trigoria!

Altro concetto dominante erano le transizioni offensive, le ripartenze, realizzate attraverso l’organizzazione di attacchi preventivi raffinati: quando si difendeva infatti, Totti non rientrava mai sotto la linea della palla nella propria metà campo, restava sempre sopra e non certo, come dice qualcuno ancora oggi, per pigrizia, ma bensì per rappresentare il porto sicuro su cui in particolare De Rossi, Pizarro e Chivu si appoggiavano per ripartire dando tempo a calciatori di grande gamba e capacità organiche come Perrotta, Taddei e Mancini di attaccare la porta avversaria con molto campo a disposizione. 

Negli anni a seguire, quella Roma, come detto, cambiò alcuni calciatori, ma mai i principi  tattici e neanche l’ossatura di base: Doni, Panucci, Mexes, De Rossi, Mancini, Perrotta, Totti, Taddei, Pizarro, furono i riferimenti di un sistema di gioco impostato su concetti tattici avveniristici e che oggi sono considerati “normali” ma che in realtà, più di dieci anni fa, fecero scuola: attacco preventivo, differenziazione delle diverse fasi del possesso palla, attacco delle vie di mezzo, imprevedibilità e assenza di posizioni fisse.

LA DIFESA A TRE E MEZZO

Spalletti ed il suo 4-2-3-1 raccolsero consensi anche all’estero, vedi la vincente esperienza in Russia alla guida del favorito per 888sport  Zenit San Pietroburgo, prima del ritorno a Roma, nel gennaio 2016, quando il tecnico toscano ripropose un 4-2-3-1 ancora più raffinato ed evoluto, con una finta difesa a 4, costituita in realtà da tre difensori centrali, di cui uno, Rudiger, partendo da esterno destro, dinamicamente, una volta trovata la prima uscita nella fase di possesso, veniva a stringersi accanto a compagni Manolas e Fazio, per liberare, attraverso un perfetto meccanismo di difesa e copertura preventiva, le qualità tecniche di spinta di Emerson Palmieri, sulla catena di sinistra. 

In quel 4-2-3-1 giallorosso bis, però, alcuni temi di gioco rimasero intatti; il trequartista era sempre un giocatore di grande forza fisica e corsa, con notevoli tempi inserimento e nel pressing, non più Perrotta ma Nainggolan; l’attaccante centrale, sempre abile nel giocare spalle alla porta e nel rifinire l’ azione era Dzeko, che in tal senso, non era e non è certo paragonabile al Totti migliore, ma aveva ed ha grande qualità.

TRA ICARDI ED OSIMHEN

Gli esterni offensivi, nuovamente uno velocista e disarmante in campo aperto, stavolta Salah e non più Mancini, l’altro più abile a giocare tra le linee, in questo caso El Shaarawy. A gestire il possesso alternando mantenimento e verticalizzazioni, non più il cileno Pizarro, ma un De Rossi nel pieno della maturità.

Victor Osimhen

Nel biennio interista, prima di trovarsi a lavorare a Napoli con Osimhen, nonostante il doppio piazzamento Champions al rush finale per le scommesse calcio, i concetti che hanno caratterizzato non solo l’efficacia ma anche l’appagamento estetico che appassionati ed addetti ai lavori hanno sempre trovato nel 4-2-3-1 di Spalletti, non sono emersi come nelle esperienze giallorosse, probabilmente a causa di un parco giocatori a disposizione, con caratteristiche diverse da quelli delle esperienze romaniste.

Sicuramente i nerazzurri erano più fisici, meno dinamici, sia strutturalmente che di pensiero: basterebbe paragonare Vecino a De Rossi, Gagliardini a Pizarro, Icardi a Dzeko, Perisic a Salah, , per capire quanto i singoli determinino le scelte dei principi di gioco degli allenatori al fine di renderli insieme, il più efficaci possibili.

In ogni caso, è fuori dubbio che il 4-2-3-1 di Spalletti, sia stata una vera perla nell’evoluzione tattica collettiva del calcio italiano!

*Il testo dell'articolo è stato curato da Luigi Miccio; le foto sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 9 aprile 2000.

October 25, 2021
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