Fabian ‘GrabbZ’ Lohmann ci racconta League of Legends: “Può diventare una professione allo stesso modo del calcio”

League of Legends è ormai diventato il videogioco per definizione. 14 milioni di like sulla pagina Facebook ufficiale, 100 milioni di giocatori attivi ogni mese, un campionato del mondo a cui prendono parte squadre di giocatori professionisti: questi i numeri di un fenomeno i cui margini di crescita vedranno gli utenti mensili arrivare a 120 milioni nel giro di qualche settimana. 

Per quanti non conoscessero ancora League of Legends, abbiamo scelto di farcelo spiegare da uno dei massimi esperti al mondo: Fabian 'GrabbZ' Lohmann, 25 anni, allenatore della squadra LoL di G2 ESports, formazione europea giunta seconda all’ultimo campionato del mondo alle spalle dei cinesi della FunPlus Phoenix.

“League of Legends è un gioco di strategia cinque contro cinque – spiega Grabbz -, in cui ognuno dei giocatori controlla un personaggio unico e individuale chiamato Campione. Lo scopo principale del gioco è quello di distruggere l'edificio principale degli avversari. Lungo la strada ci sono obiettivi "neutrali" che danno vantaggi alle squadre e sono contesi, il che significa che entrambe le squadre combattono per loro. In generale è davvero difficile spiegare League of Legends in poche parole perché si rischia di perdere molta complessità del gioco nel riassunto”.

League of Legends

Come ti sei appassionato di questo gioco?
“La mia infanzia è stata quella tipica per un bambino tedesco, fatta di scuola, allenamenti di calcio e giochi. I miei amici mi hanno mostrato LoL agli inizi della sua diffusione e sviluppo: abbiamo trascorso molte serate giocando insieme. Sono una persona molto competitiva e League of Legends ha una moltitudine di aspetti da perfezionare, dalla padronanza del campione, al modo in cui si combinano i match up tra i personaggi giocabili, fino alla strategia generale. Tutto ciò mi ha appassionato e non riuscivo a smettere di cercare di migliorare”.

Come può un videogioco diventare una professione?
“Allo stesso modo in cui può diventarlo il calcio. La maggior parte di noi ama il calcio e consideriamo naturale  che il migliore in assoluto possa fare carriera come professionista e farsi pagare. Il discorso alla fine si riduce all’interesse che un gioco genera. Il calciatore in sé non è un talento che dev’essere pagato, ma genera interessi che gli sponsor possono sfruttare per avere visibilità, e quindi lo pagano. Allo stesso modo, gli eSports possono essere una professione.

Sono consapevole che per alcuni potrebbe essere difficile capire perché qualcuno debba guardare altri giocare ai videogiochi, ma non dovremmo dimenticare che ci sono persone che pensano la stessa cosa del calcio. Coloro che hanno un legame con gli sport o gli Esports naturalmente vogliono seguirli e vedere le gare più belle, dal calcio all’atletica leggera, fino alle nostre partite.

L’unica differenza è che è più facile riconoscere le incredibili abilità degli atleti nella vita reale rispetto che negli eSports. È facile vedere che qualcuno è più veloce, più alto, più forte, salta più in alto o spara più forte di altri, mentre negli eSports devi avere una certa esperienza con quel determinato gioco per apprezzare correttamente le abilità”.

LOL

Cosa fa un allenatore di una squadra di LoL?
“Il mio lavoro non differisce molto da quello dell’allenatore negli sport tradizionali. L'allenatore ha il compito di migliorare i suoi giocatori, iniziando dalla strategia generale, dal gioco di squadra, dalle tattiche e dalla disciplina per finire con la consulenza individuale e, soprattutto, la gestione dell'uomo.

A differenza degli sport tradizionali, gli eSport sono ancora molto giovani, così come le strutture e i giocatori, il che significa che ho anche una responsabilità simile a quella di molti allenatori delle squadre giovanili, assicurandomi che i ragazzi apprendano i valori più importanti necessari per lavorare in una squadra, essere lì per loro nel loro sviluppo personale ed essere una guida”.

Come è nato il LoL team G2 eSports? Hai scelto personalmente i giocatori?
“La squadra attuale di G2 è stata creata dal nostro CEO Carlos Rodriguez e dal nostro franchise player Luka 'Perkz' Perkovic. Era l'unico membro rimasto di una precedente squadra G2. Lui è stato l’elemento principale, gli altri giocatori e gli allenatori sono arrivati dopo”.

Il fenomeno degli eSports!

Che cosa ha significato per te arrivare secondo ai campionati del mondo?
“Principalmente frustrazione. Sapevamo che saremmo stati abbastanza bravi da vincere finalmente il campionato del mondo, un risultato che nessuna squadra occidentale ha raggiunto da quando Corea del Sud e Cina fanno attivamente parte del circuito, ma non siamo riusciti a superare l'ultimo ostacolo. Per le scommesse eSports, l'unica partita che abbiamo perso nel 2019 è stata la finale mondiale, quindi fa ancora più male. Tra alcuni potrò forse guardarmi indietro ed essere orgoglioso di questo risultato, ma per ora provo principalmente rimpianto”.

Ultima domanda: quali suggerimenti puoi dare a un ragazzo o una ragazza che vuole diventare un professionista in LoL o negli eSports in generale?
“Il mio consiglio principale è di non sottovalutare quanto sia difficile diventare professionisti in qualsiasi attività, non solo parlando di League o degli eSports. Devi essere consapevole che potresti dedicarti completamente al tuo mestiere e non farcela lo stesso: perciò è importante che i giovani aspiranti giocatori non trascurino la scuola”.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 30 aprile 2020.

October 19, 2021
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Le più belle notti italiane in Eurolega!

Molte sono state le vittorie di formazioni italiane e le partite memorabili che hanno visto come protagoniste le nostre rappresentanti in Eurolega. Ne abbiamo scelte 5, da raccontare qui sul blog italiano di 888sport.

5 - Ford Pallacanestro Cantù - Billy Olimpia Milano 69-68 (Grenoble, 24 marzo 1983)

Nel 1982 i canturini hanno conquistato la loro prima Coppa dei Campioni, superando in finale il Maccabi Tel Aviv a Colonia per 86-80, con un superlativo Marzorati, il playmaker per definizione della storia del basket italiano. Il Billy Milano, nello stesso anno, ha vinto lo scudetto della seconda stella, il primo con Dan Peterson sconfiggendo in finale Pesaro. 

Le due italiane in gara nella Coppa dei Campioni 1982-83 arrivano ad affrontarsi nella finale del 24 marzo al Palais des Sports di Grenoble: 9 dei 10mila spettatori sono lombardi, equamente divisi tra milanesi e canturini. La sfida è al cardiopalma: Cantù si trova in vantaggio 69-62 a un minuto dalla fine, ma non segnerà più fino alla sirena. E a 5 secondi dal termine, Franco Boselli manda sul ferro un pallone che avrebbe sancito un’incredibile rimonta per la Billy e, invece, consegna la seconda Coppa dei Campioni alla formazione allenata da Giancarlo Primo.

4 - Banco Roma-Barcellona 79-73 (Ginevra, 29 marzo 1984)

Il punto più alto raggiunto dal basket capitolino. Dopo aver conquistato il primo scudetto in un PalaEur gremito all’inverosimile, il Banco Roma alza al cielo la Coppa dei Campioni nel suggestivo Patinoire des Vernets di Ginevra. Più di 3mila tifosi arrivano sulle rive del lago elvetico da Roma per vedere le magie sotto canestro di Larry Wright ed i rimbalzi presi da Clarence Kea.

A guidare la squadra c’è Valerio Bianchini, coach tanto abile con gli schemi sulla lavagna quanto nell’eloquio d’alto livello: “La vittoria è la conseguenza dell’eccellenza dell’allenamento quotidiano: se lavori bene poi puoi anche perdere tre finali, la quarta la vinci” è una delle sue frasi più famose.

Roma e Barcellona hanno entrambe l’occasione di scrivere per la prima volta il proprio nome nell’albo d’oro del massimo trofeo europeo: i capitolini sono gli underdog a Ginevra, ma la serata è di quelle davvero magiche. Così il Banco Roma, dopo una magnifica rimonta, sale sul tetto d’Europa: la Roma, nel calcio, non riuscirà a fare lo stesso il 30 maggio di quello stesso anno. Ma questa è un’altra storia.

3 - Kinder Bologna-AEK Atene 58-44 (Barcellona, 23 aprile 1998)

Al Palau San Jordi di Barcellona, la Virtus Bologna conquista la prima Eurolega della sua storia, superando l’AEK Atene davanti a circa 10mila tifosi bianconeri. La sfida contro i greci è molto combattuta e spezzettata, con la Kinder che conduce 28-20 al 20’; Sconochini e Sasa Danilovic tengono a dovuta distanza l’AEK nella terza frazione che si conclude sul 40-29.

L’incontro è spigoloso, Atene rimonta fino a portarsi a -5 quando mancano due minuti alla sirena. Ci pensa Zoran Savic, che verrà poi votato MVP delle Finals, a infilare la tripla che, di fatto, consegna la coppa nelle mani della squadra di Ettore Messina.

Tutte per le scommesse e quote sul basket con 888sport.it!

2 - Kinder Bologna-Tau Ceramica 82-74 (Bologna, 10 maggio 2001)

La Virtus Bologna che, sotto la guida di Ettore Messina, conquista il Triplete nella stagione 2000-01 è considerata una delle squadre più forti di sempre del basket italiano ed europeo. Sono nuovamente gli anni d’oro del basket italiano, dopo il boom dei Sessanta e Settanta: mandiamo in Eurolega quattro formazioni in grado di lottare per vincere, ci siamo laureati campioni d’Europa nel 1999 con la Nazionale e ci prepariamo al meraviglioso (anche se ricco di rimpianti) argento olimpico di Atene.

Il quintetto base della Kinder è incredibile, anche letto 19 anni dopo: Antoine Rigaudeau, Marko Jaric, Emanuel Ginobili, Alessandro Frosini, Rashard Griffith. Le sfide della finale contro il Tau Ceramica (l’attuale Baskonia) di Vitoria-Gasteiz iniziano, però, con una sconfitta in casa per le V nere, che pareggiano poi i conti vincendo gara-2, sempre al PalaMalaguti. La vittoria felsinea in terra basca di gara-3 e la sconfitta in quella successiva portano le Finals alla quinta e decisiva partita.

In un PalaMalaguti sold-out, la notte del 10 maggio 2001 la Kinder Bologna si impone 82-74 e viene proiettata nella storia della pallacanestro continentale.

1 - Skipper Bologna-Montepaschi Siena 103-102 (Tel Aviv, 29 aprile 2004)

Non è una finale, ma una semifinale di Euroleague tutta italiana quella che vede di fronte alla Yad Eliyahu Arena di Tel Aviv la Skipper Bologna e la Montepaschi Siena. Fortitudo e Mens Sana lottano punto a punto, testa a testa in una sfida caratterizzata da continue rimonte e sorpassi dell’una sull’altra: la sirena fischia sul punteggio di 90-90, che consegna la decisione su chi affronterà i padroni di casa del Maccabi ai tempi supplementari.

Carlos Delfino, con un tiro libero messo a segno quando mancano 11.6 secondi al termine dell’overtime, rompe definitivamente l’equilibrio mandando la Skipper Bologna alla prima finale di Eurolega della sua storia. Il sito ufficiale dell’Eurolega definisce quella tra Skipper e MPS come “one of the best games in European basketball history”, una delle migliori partite nella storia del basket europeo.


*L'immagine di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

April 29, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Business e grandi numeri, così si sviluppa lo Sport su consolle!

Da qualche mese anche i club della Serie A stanno organizzando le loro squadre, con tanto di gironi eliminatori e Final Eight conclusiva. Abbiamo intervistato Giorgio Guglielmino, uno dei maggiori esperti in materia.

“Sono proprietario e presidente di due team: Hexon Esports ed Esports Empire - afferma - abbiamo 16 players tra Pes e FIFA, nell’altro team abbiamo sotto contratto altri 32 players che competono in altri giochi”.

Mi parli del rapporto nato con la Fiorentina?
“Con Hexon da 4 mesi è nata una partnership con il loro club. Come società esterna, noi ci occuperemo della gestione del progetto Esports del club. I giocatori della Fiorentina sono calciatori sotto contratto con Hexon, altri sono venuti fuori dal draft, ed erano stati selezionati altri due players che avrebbero dovuto partecipare al campionato di serie A che sarebbe dovuto partire in questo periodo”.

Il campionato è un progetto in rampa di lancio.
“La Serie A al momento è stata posticipata a data da destinarsi. Tutte le squadre italiane hanno aderito al torneo tranne Juventus (ha un’esclusiva con Konami), Napoli e Brescia. Il vero format partirà il prossimo anno. Questo torneo prevedeva 4 gironi - sia lato FIFA che lato PES - erano già stati fatti gli accoppiamenti con un sorteggio a Milano. Dopo la fase a gironi ci sarebbe dovuta essere una fase a eliminazione, e una Final Eight già programmata a Milano.

Tutti gli incontri sarebbero stati in modalità “live”. Il progetto finale è quello di creare in duplice copia il campionato di Serie A su consolle, ma tutto questo partirà soltanto il prossimo anno. Ogni torneo Esports di livello internazionale viene organizzato in modalità live, mentre oggi il gioco si sta sviluppando fondamentalmente on line, con un giocatore che sfida l’avversario che sta dall’altra parte del mondo”.

Qual è l’obiettivo degli Esports?
"L’auspicio è quello di creare una comunity, considerando che il settore attualmente abbraccia numeri importantissimi. All’estero gli Esports è già un movimento mostruoso: Psg, Manchester City, Real Madrid hanno già delle strutture all’interno dei loro centri sportivi. L’Esports all’estero è riconosciuto ufficialmente, in Italia questo non è ancora accaduto, ma presto accadrà perché dietro c’è un business infinito fatto di sponsor, di prodotti e di eventi”.

Ma i players hanno dei ricavi?
“I giocatori più importanti vengono stipendiati, non stiamo parlando di ragazzini che stanno davanti alla consolle, ma di veri e propri professionisti. Dietro c’è una struttura e un’organizzazione incredibile che non ha nulla da togliere a una squadra classica. Tanti sponsor si stanno avvicinando, ho visto in questi giorni che anche le scommesse sportive si stanno accorgendo di questo comparto: all’estero - in Inghilterra - scommettere sugli Esports è la normalità. In Italia è ancora un territorio quasi inesplorato e sarà interessante scommettere sulla A”.

In quali Nazioni gli Esports sono maggiormente diffusi?
"I Paesi maggiormente all’avanguardia sono Stati Uniti e l’Inghilterra, anche se negli States il calcio non è un gioco molto affermato. In Europa, sulla parte calcistica, l’Olanda è sicuramente il primo paese continentale. Lo stesso Ruud Gullit ha un team di Esports, e altri personaggi stanno investendo”.

Qual è l’impatto economico su squadre e calciatori?
Escludendo le squadre di calcio, oggi il team che ha il valore più alto è di 2,5 milioni di euro. Ma ce ne sono ancora pochi. Il movimento economico complessivo non è facile da determinare, in Italia vengono vendute 1,4 milioni di copie di FIFA, ma il business non è solo quello. I players qui in Italia possono arrivare a guadagnare anche duemila euro al mese mentre in Inghilterra, il player più importante del Manchester City ha già uno stipendio di 20 mila euro al mese. Dietro c’è un movimento che più abbracciare un’infinità di aspetti.

Che margini di sviluppo avranno in Italia gli Esports?
"Avranno margini importanti, gli Esports hanno un valore da far crescere nel tempo. Nel nostro Paese c’è una fetta importante di persone che gioca, che non riguarda soltanto la fascia 6-17 anni, ma abbraccia la fascia che va dai 20 ai 40 anni, e che è la più congrua. Mediamente in Italia ci sono 65-70 mila persone che ogni sera guardano la partite di FIFA dei players professionisti su Twitch, la piattaforma video per e-sport più famosa del mondo. Questo è un pianeta ancora inesplorato che fra poco avrà grandi numeri”.

*L'immagine di apertura è di Gregorio Borgia (AP Photo).

April 28, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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Pirlo, dal Brescia alla... Leggenda!

Il primo ad accorgersi del suo talento fu Mircea Lucescu. Il tecnico rumeno l'aveva già adocchiato nelle giovanili delle Rondinelle anche se, all'epoca suo esordio in Serie A, datato 21 maggio 1995, all'età di 16 anni e 3 giorni, fu gettato nella mischia da Adelio Moro, fedele secondo - in Italia - di Lucescu (esonerato), in un Reggiana-Brescia 2-0 di fine stagione con entrambe le squadre già certe della retrocessione in Serie B. Andrea Pirlo si palesò nel calcio italiano al 79' di quel giorno, subentrando a Marco Schenardi. E' l'alba, anzi, l'aurora della straordinaria carriera del "Maestro".

Dopo quella comparsata e la discesa in cadetteria, Pirlo trascorse tutta la stagione successiva nella Primavera, prima di tornare (e in pianta stabile) in quella prima squadra che vinse il campionato di Serie B nel 1996-97 con Edy Reja in panchina: 17 presenze in campionato e 2 reti, le prime della sua carriera. Una, nella sconfitta per 3-2 di Palermo e l'altra, di testa sul cross mancino di Rosario Pergolizzi, nel 3-1 al Venezia di fine stagione con festa per il primo posto e invasione di campo tra i tifosi bresciani al settimo cielo.

Il suo talento sbocciato nella stagione successiva, condita da 4 segnature, non fu sufficiente - per un solo punto - a salvare il Brescia dall'immediata retrocessione dai cadetti, al termine di una stagione combattuta ma difficoltosa, in cui in panchina si avvicendarono i vari Giuseppe Materazzi, Paolo Ferrario ed Egidio Salvi con Adriano Bacconi. Ma il biglietto da visita era ormai compilato in tutti i suoi spazi: un campione era appena nato.

Solo che il Pirlo di inizio carriera era la mezzapunta ideale (il termine "trequartista" non era ancora contemplato), l'erede designato di Roberto Baggio. Era opinione comune pensarla così, ai tempi. Anche quando l'Inter lo acquistò nell'estate 1998: incredibilmente è proprio qui che Andrea rincontrò Mircea Lucescu nel più che discusso avvicendamento con Gigi Simoni. Diciotto presenze, la maggior parte delle quali dalla panchina e la sensazione che servisse ancora un paio d'anni in provincia, per completare l'opera.

Nell'ordine, l'esperienza alla Reggina gli fa ritrovare il "gemello" Roberto Baronio (in prestito dalla Lazio) e con un altro ex nerazzurro, bomber Mohamed Kallon, fa sognare gli amaranto dello stretto, con sei gol realizzati e una Reggina presa per mano e trascinata al dodicesimo posto. Tornato all'Inter, si ritrova in mezzo alla burrasca che travolge Marcello Lippi e, a stagione inoltrata, dopo 4 presenze, torna in prestito al Brescia. Quella, però, si trattò di una scelta decisamente miope da parte del club nerazzurro, come del resto si era abituati, in una Serie A in cui i miliardi di lire a cascata, annebbiavano completamente gli sguardi al futuro.

LA SECONDA VITA CALCISTICA

Brescia che, nel frattempo, aveva messo sotto contratto un certo Roberto Baggio. "Come fare a farli coesistere?" Si chiese mister Carlo Mazzone. "Semplice, disegno un centrocampo a rombo e sposto Andrea Pirlo davanti alla difesa". Fu l'uovo di Colombo: Pirlo è il metronomo del centrocampo e Roberto Baggio, con le maglie delle Rondinelle, vive una seconda giovinezza, libero di agire alle spalle dell'attacco. Risultato: il Brescia arriva a qualificarsi per l'Intertoto. In estate, la qualificazione alla Coppa Uefa sfuma solo in finale con un doppio pareggio contro Il Paris Saint-Germain. Che non era certo quello degli sceicchi di oggi, ma aveva comunque il suo bel blasone.

L'Inter, nel frattempo, fu ancora più miope nel cederlo ai rivali cittadini del Milan nell'estate 2001 per 35 miliardi di lire. In rossonero, Pirlo resterà dieci anni. E' proprio da qui che nacque la parabola del Maestro, il quale s'inventò, nel tempo "La Maledetta", calcio di punizione con palla che - colpita sulla "valvola" - prende un effetto tale in modo da ingannare il portiere e scendere repentinamente sotto la traversa; oppure il perfezionamento del "no look", passaggio di prima girando la testa dalla parte opposta alla traiettoria (caratterizzante lo stile di Ronaldinho), che nel 2006 ci fece vincere un Mondiale con l'assist a Fabio Grosso nella semifinale con la Germania.  

Un palmarès pazzesco: oltre alla Coppa del Mondo, anche un Europeo Under 21 (nel 2000) con l'Italia, tra i tanti trofei alzati, anche due Champions League (entrambe col Milan) e sei campionati, quattro dei quali con la Juventus, in cui il "Maestro" arriva nel 2011, considerato prematuramente "bollito" da Adriano Galliani. Qui "fa pace" con Massimiliano Allegri e fa innamorare anche il tifo bianconero, prima di andare a insegnare calcio al di là dell'Oceano, in MLS, nel New York City. Oggi, il Maestro è pronto alla carriera da allenatore. 

*La foto di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

April 28, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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Daniel Bereznay: “Ho iniziato a 7 anni, battendo mio padre al pc. Ora sono un pilota dell’Alfa Romeo”


Non ha ancora compiuto vent’anni, ma l’ungherese Daniel Bereznay è già un pilota di Formula 1 affermato nel mondo degli eSports: noto con il nickname di FormulaDani, è un pilota ufficiale della scuderia Alfa Romeo Racing. L’abbiamo intervistato in esclusiva per il blog italiano di 888sport.

Come hai iniziato la tua carriera come pilota di Formula 1 eSports?
“La mia carriera è iniziata presto, quando all’età di 7 anni mio padre ha acquistato un gioco di rally per il nostro computer. All’inizio giocavamo con la tastiera e io, con le mie dita piccole e la rapidità di reazione, l’ho presto battuto. Quindi ha comprato un volante, perché pensava che, usando lo steso tipo di dispositivo con cui si guida una macchina vera (e lui guida molto nella vita reale) avrebbe vinto nella nostra rivalità. Mi sono abituato abbastanza rapidamente, mi appassionava l’idea di poter vivere ogni momento di qualsiasi esperienza di guida e ho sconfitto di nuovo mio padre...

Ero motivato, il gioco mi attraeva così tanto che ho iniziato a cercare nuovi amici online con i quali ho organizzato un paio di campionati che sono stati il primo passo verso il gioco competitivo. Ogni fine settimana correvamo una gara per la quale tutti ci eravamo allenati. Non c’era alcun premio in palio, solo la gloria e l’orgoglio, ma era più che sufficiente per dei veri piloti, come ci sentivamo noi.

Anno dopo anno, sono cresciuto di livello e ho iniziato a disputare alcune competizioni internazionali; nel 2018 ho vinto il più importante campionato di Formula 1 dell’epoca, l’Apex Online Racing. In quello stesso periodo, F1 e Liberty Media hanno lanciato la loro propria serie ufficiale di ESports e io sono stato più che felice di firmare. Quando sono arrivato ai Pro Draft ero già un pilota abbastanza affermato online, perciò la Mercedes ha avuto la possibilità di scegliermi tenendo in considerazione tutte le mie prestazioni.

Ora sto correndo per l’Alfa Romeo Racing: è proprio come nella vita reale, i team si contendono a colpi di offerte sempre più importanti i migliori pilori e sono contento di avere un secondo e un terzo posto al Mondiale nella mia personale bacheca”.

Ci racconti com’è la giornata tipo del pilota di F1 eSports?
“La nostra tipica giornata può essere più interessante di ciò che pensa la gente. Sicuramente ci esercitiamo molto, tra le 30 e le 40 ore settimanali di gioco. Dobbiamo anche allenarci fisicamente per mantenere la resistenza e mangiare sano, poiché in un corpo sano c'è una mente sana. Inoltre amiamo molto interagire con i nostri spettatori: quindi la creazione di contenuti, la registrazione e l'editing di video sono anch’esse parti importanti della mia vita, per mostrare questo segmento di motorsport il meglio che possiamo. Poiché tutti lo amiamo”.

Cosa significa essere un pilota eSports professionista?
“Esserlo, specialmente in Formula 1, per me significa moltissimo. Ho sempre ammirato questo sport e ho sempre voluto far parte della sua grande famiglia. Se non si ha la passione e non si inizia molto presto non è possibile diventare un vero pilota. Volevo diventare un ingegnere: ho studiato la matematica e la fisica ad alto livello in tutte le scuole che ho frequentato. Ma sembra che io sia addirittura più dotato di talento nel guidare i simulatori: quindi ho deciso di intraprendere questo percorso ed eccomi qui! Sono davvero felice di aver raggiunto tutto questo e non voglio rinunciarci: voglio rimanere qui il più a lungo possibile”.

Come ti trovi con il team Alfa Romeo?
“Attualmente sto guidando per l’Alfa Romeo Racing poiché sono stati quelli che mi hanno offerto il contratto che ho trovato più convincente. Le auto nel gioco sono assolutamente uguali, solamente la livrea è diversa: spetta, perciò, ai piloti mostrare il loro talento. Questa è una grande famiglia, con grandi eventi e bellissime macchine da corsa reali: sono fortunato a trovarmi qui”.

 

Qual è stato il momento più bello della tua carriera, finora?

“Probabilmente vincere la mia prima gara ufficiale in assoluto, Spa 2018. Un altro momento memorabile è stato quando abbiamo vinto il campionato mondiale costruttori con la Mercedes. È stata la più grande impresa di squadra della mia vita”.

Molti piloti di Formula 1 stanno partecipando ai GP eSports: stai diventando importante per loro? Ti chiedono suggerimenti? E chi è il migliore di loro?
“È vero: molti piloti dei motori hanno iniziato a correre nel mondo virtuale e spesso capita che ci chiedano alcuni consigli. Non c'è nulla di cui vergognarsi per loro, dato che giocare a questo gioco è il nostro lavoro, quindi naturalmente lo conosciamo meglio. Se ci trasferissimo alla vita reale, sarebbe sicuramente il contrario. Ma la maggior parte di loro mostra il loro talento piuttosto rapidamente: Giovinazzi, Leclerc e Norris sono già a un livello piuttosto competitivo, nonostante la poca esperienza”.

Com'è il tuo rapporto con la vera F1?
“Sono un grande fan della Formula 1, la seguo da 10 anni che è più della metà della mia vita. Sono un fan di Sebastian Vettel, poiché ha iniziato a correre nello stesso periodo in cui io stavo iniziando a seguire questo sport in televisione. Ho trovato nello stesso momento in cui ho iniziato a guardare lo sport, quindi ho trovato simile il nostro percorso”.

*La foto dell'articolo è di Aaron Favila (AP Photo).

April 27, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Ibrahimovic e la Coppa mai vinta!!!

Leggendo le dichiarazioni di un Campione come Paolo Maldini che, analizzando la sua carriera, si autodefinisce come il calciatore più perdente della storia, cerchiamo di analizzare, attraverso i numeri relativi alle prestazioni europee, il percorso di chi, rispetto al supercapitano rossonero, si presenta solo come un vincitore...

Proprio con Paolo Maldini alla guida tecnica, Ibra... ci ha riprovato sicuramente non da favorito per i pronostici Champions in un girone, quello con Liverpool, Atletico e Porto!

In Champions con il Milan

La prima partecipazione di Zlatan in Europa

Ibra in Champions con le italiane

In Champions con il Milan

Valutiamo le stagioni di Zlatan Ibrahimovic in Champions, centravanti del Milan in due periodi calcistici completamente diversi e vincitore seriale di campionati a tutte le latitudini. Della Coppa dalle Grande Orecchie, però, neanche l’ombra di qualche minuto in finale...

Sfortuna? Squadre non all'altezza delle avversarie più forti? Probabilmente una semplice assenza di... tempismo!

Ibrahimovic contro il Porto

LA PRIMA PARTECIPAZIONE

Con la maglia dell’Ajax, Zlatan è protagonista di un'ottima campagna europea nel 2002/2003: i lancieri usciranno ai quarti solo contro il Milan (non sarà l’unico dispiacere che il gigante svedese riceverà dal suo passato/futuro in Champions) ed il gigante svedese raggiungerà il cospicuo bottino di 5 reti.

La formula è quella del doppio girone: nel primo, l’Ajax passa al secondo posto. Memorabile la partita contro l’Inter: Zlatan, schierato da Koeman al centro dell’attacco, non può nulla contro il clamoroso stato di forma di Hernan Crespo, autore di una doppietta ad Amsterdam.
Il secondo raggruppamento si presenta equilibratissimo per le scommesse e quote Champions League: oltre gli olandesi ne fanno parte Valencia, Roma ed Arsenal. L’Ajax non perde mai, addirittura 5 pareggi in 6 incontri e, nell’unica vittoria contro la Roma, è naturalmente il giovanissimo attaccante ad aprire le marcature, sfruttando un errore di Antonioli.

Nella fase ad eliminazione diretta, il sorteggio per i ragazzi capitanati da Chivu non è fortunatissimo: c'è da superare un Milan, pieno di stelle! Dopo lo 0-0 all’andata, a San Siro la gara di ritorno è davvero epica. Milan in vantaggio con Inzaghi nel primo tempo; nella ripresa, l’Ajax prima sfiora il gol con Ibra che anticipa Dida con un colpo di testa che termina di poco a lato, poi trova il pari con il neoentrato Jari Litmanen.

Non passano neanche due minuti e Sheva riporta subito il risultato sul 2-1. L’Ajax raggiunge il 2-2 con Pienaar che varrebbe una clamorosa qualificazione alle semifinali. Il gol del 3-2 dai rossoneri con quel tocco di Inzaghi “sporcato” sulla linea da Tomasson gela gli olandesi e rimanda i sogni di gloria europei di Ibra!

LA CHAMPIONS CON LE ITALIANE

Dopo il clamoroso gol di tacco all'Italia ad Euro 2004, lo svedese passa alla Juventus. Ibra, senza mai incidere in termini realizzativi, raggiunge per due volte i quarti in Champions, sempre eliminato da squadre inglesi: il Liverpool, poi vittorioso, nel 2005 e l’Arsenal, che sarà sconfitto solo dal Barcellona nella finale di Parigi, nell’edizione successiva.

Ibra con la Juve!

Anche all’Inter i numeri ed i successi non coincidono mai tra campionato e Champions. Con la formula passata ad un solo girone, nel 2008/2009, i nerazzurri passano in anticipo il gruppo B, totalizzando, però, solo un punto nelle ultime 3 gare del raggruppamento.

L’abbinamento, così, per gli Ottavi è con lo United: dopo lo 0-0 a San Siro, al ritorno, nello stadio dei sogni, Zlatan è in serata, soprattutto nel primo tempo, colpisce una traversa con un colpo di testa sullo 1-0 per i Red Devils (altra sua futura squadra), lancia a rete due volte Stankovic, sfiora il gol con un diagonale chirurgico, ma alla fine è Cristiano Ronaldo ad andare a segno e Zlatan è nuovamente eliminato!

Quello che accade l’estate successiva è emblematico del rapporto dello svedese con la Coppa: fa il diavolo a quattro per lasciare l’inter per il Barcellona campione in carica, arriva a La Masia e, naturalmente, esce, a sorpresa per le scommesse calcio, in semifinale proprio con l’Inter nella stagione del Triplete!

Ibra con la maglia del Milan

Probabilmente terminerà la sua carriera senza aver disputato una finale di Champions, ma Ibrahimovic ha scritto anche alcuni record incredibili nella competizione: è stato il primo ad averla disputata con 7 maglie diverse, clamorosi i suoi 10 gol con il PSG nel 2013/2014, eliminato solo dal guizzo di Demba Ba a Londra. La partita più bella, forse, con la maglia n. 11 del Milan negli Ottavi contro l’Arsenal!

*La immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 26 aprile 2020.

October 21, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Marco Osio ed il linguaggio universale del calcio!


Gli appassionati di calcio della mia generazione, quelli nati tra la fine degli anni Settanta e gli Ottanta, sono cresciuti guardando il cartone animato di Holly e Benji, che oggi conosciamo con il nome originale di Captain Tsubasa. Oliver Hutton, stella del calcio giovanile nipponico e protagonista del cartone, aveva un sogno nel cassetto: diventare un campione e andare in Brasile a giocare, seguendo le orme del grande Roberto Sedinho, il fuoriclasse verdeoro che ha dovuto, suo malgrado, interrompere la sua carriera a seguito di un distacco della retina e, dopo varie traversie si ritrova a casa Hutton ed erudisce il piccolo Holly sui segreti del calcio.

Hutton, nonostante gli importanti successi ottenuti con la nazionale giovanile del Giappone, non prenderà mai quel volo per il Sudamerica. Passando dalla fantasia alla realtà, c’è una persona la cui vicenda calcistica mi ha sempre appassionato, al punto da aver scritto insieme a lui un libro sulla sua vita e la sua carriera: si tratta di Marco Osio, il fantasista dai capelli lunghi e i calzettoni abbassati che è diventato una delle icone del Parma di Nevio Scala che, all’inizio degli anni Novanta, raggiunse la Serie A per la prima volta nella storia e collezionò importanti allori nazionali ed europei, primo tra tutti la Coppa delle Coppe vinta nel 1993 a Wembley contro l’Anversa.

Osio quell’aereo l’ha preso e ha fatto bene, come direbbe De Gregori: un volo che sovverte l’ordine naturale delle cose nel mondo che calcio che hanno sempre visto i brasiliani andare a giocare in Italia e non il contrario. Fine settembre 1995: Marco è senza squadra, dopo il poco fortunato ritorno al Torino (squadra con cui aveva iniziato a giocare) e si allena con i dilettanti del Noceto a Parma, in attesa di una chiamata.

Il telefono squilla, un giorno, e il contenuto della telefonata è il più bizzarro che Osio si possa aspettare: “Marco, verresti a giocare in Brasile?”, gli chiede il presidente della Parmalat del paese sudamericano; e lui accetta. Firma con il Palmeiras, dove si è appena liberato un posto per un calciatore straniero, perché il colombiano Freddy Rincon, di ritorno dal Napoli, si è accasato al Real Madrid. I giornali, le televisioni e i media in generale si interessano subito alla notizia dell’emigrante del pallone, dello Zico alla rovescia, come racconto nel libro.

Non è un caso che la squadra brasiliana che ingaggia Osio sia il Palmeiras: la squadra dei Verdão, così soprannominati per via della loro maglia a strisce verticali bianche e verdi, è stata fondata nel 1914 da immigrati italiani, dopo la tournée in Brasile di Torino e Pro Vercelli, con il nome di “Palestra Italia”. L’organico del Palmeiras per quella stagione è di tutto rispetto: in rosa ci sono giocatori come Rivaldo, Cafu, l’ex torinista Muller, Amaràl, Antonio Carlos Zago, futuro campione d’Italia con la Roma, e molti altri. Una squadra costruita per vincere.

“L’impatto è stato abbastanza violento – mi racconta Marco nel libro -, quando decidi di andare a vivere in un Paese completamente diverso, di cui non conoscevo la lingua, le tradizioni, gli usi, i costumi e il calcio specialmente. Anche se io ho sempre detto che il calcio parla una lingua sola: se sei bravo a giocare, puoi farlo in Italia, in Belgio o in Thailandia, dove vuoi, non devi per forza saper parlare la lingua. Sì, puoi avere difficoltà nelle interviste, ma in campo, bene o male, ti capisci.”

L'ESORDIO

L’esordio ufficiale di Marco con la maglia verdão avviene il 12 ottobre 1995. Lo stesso giorno in cui, più di cinquecento anni prima, un italiano sbarcava per la prima volta sul continente americano, un altro italiano calca per la prima volta nella storia il campo da calcio di una squadra della massima serie brasiliana.

Carlos Alberto Silva, con lo squadrone che ha in mano, non riesce a vincere il Brasilerao 1995 e viene esonerato dalla dirigenza. Al suo posto arriva Vanderlei Luxemburgo, dal Flamengo, e con lui si vede subito che la musica, per Marco, è cambiata, rispetto alla precedente gestione in cui faticava a trovare spazio. A gennaio del 1996, agli inizi della nuova stagione, Marco viene schierato titolare in una delle vittorie storiche del Palmeiras: all’Estádio Plácido Aderaldo Castelo, Castelão di Fortaleza, il 22 del mese, l’avversario di turno sono i Campioni di Germania del Borussia Dortmund che 18 mesi dopo batteranno la Juventus in finale di Champions, per il trofeo amichevole Coppa Euro-America.

Curiosità: la partita si disputa alle 22.45, un orario decisamente inconsueto. Il motivo è semplice: in Brasile chi determina i palinsesti televisivi sono le telenovelas. Se c’è in programma una puntata di uno sceneggiato televisivo, la partita viene spostata a dopo la fine della trasmissione. Strano ma vero.

Il Campionato Paulista 1996 si tramuta in una marcia inarrestabile per i ragazzi di Luxemburgo; una squadra troppo più forte dei suoi avversari, che non sono minimamente in grado di competere con una formazione di tale livello. Il Palmeiras di Marco Osio trionfa battendo tutti i record: realizza ottantatré punti su novanta disponibili, segnando centodue reti e subendone appena diciannove. Il campionato vinto da Marco è il risultato di calcio migliore di tutti i tempi ottenuto da una squadra nel Paulista.

“Una serie incredibile di successi; è stata una cavalcata! – ricorda Marco - Abbiamo vinto con più di venti punti di vantaggio sulla seconda. Certo, bisogna dire che la qualità del campionato era bassa; ricorda molto quello spagnolo di qualche anno fa in cui ci sono Real Madrid e Barcellona e dietro di loro poco altro. Una bella esperienza, vincente, con il titolo statale vinto e la finale della Coppa del Brasile.”

*Molti brani di questa storia sono tratti dal libro “Marco Osio, il Sindaco” di Emanuele Giulianelli; Ed. Officine Gutenberg. La foto dell'articolo è di Andre Penner (AP Photo).

April 25, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Milinkovic: tacco, suola e nuova grinta!!!

Era un trequartista dalla collocazione complicata, è diventato una mezzala di eccezionale qualità, capace di interpretare al meglio un ruolo che nella sua evoluzione moderna è sempre più complesso perché bisogna saper fare tutto, in fase offensiva e difensiva. È Sergej Milinkovic, il tuttocampista della Lazio.

 Del serbo, stagione dopo stagione, Simone Inzaghi ha saputo contenere la predisposizione alle finezze “tacco & suola” – irritanti, se il contesto in campo era di “guerra” - a beneficio della concretezza, di una solidità straordinariamente efficace per la crescita del giocatore e i risultati della Lazio. Da potenziale numero 10, Milinkovic ha dunque cambiato mentalità e atteggiamento in campo.

Merito di Inzaghi che ha trovato gli strumenti dialettici, tattici, motivazionali per convincerlo; bravo lui, Sergej, ad aprire la mente, ad allargare i suoi orizzonti rendendosi disponibile alla trasformazione. “Devo ringraziarlo per questo”, ha ripetuto spesso l’allenatore della Lazio. Non da tutti, davvero, sacrificarsi alternando con naturalezza – nell’arco della stessa partita – giocate da stella che fanno parte del suo repertorio (assist, gol, dribbling, lanci, blitz in area, delizie tecniche assortite) ad altre da gregario di lusso, da mediano capace di recuperare mille palloni al limite della sua area, di rincorrere l’avversario, di aiutare i compagni nel lavoro di copertura e poi di transizione.

Due numeri ne indicano chiaramente l’evoluzione tecnico-tattica: è il giocatore che ha commesso più falli – 52 - nella Serie A 2019-2020. Pensate che strano, un calciatore così tecnico ed elegante in testa alla classifica dei “cattivi”. Poi è anche l’uomo che ha affrontato più duelli a terra o aerei, addirittura 384. Sembrano le statistiche di un grande interditore, davvero. Che poi i duelli aerei, grazie al combinato disposto di altezza (1,91), potenza fisica ed elevazione, li vince quasi tutti lui. Così, per le scommesse Serie A, dalla quota antepost @101, la Lazio è diventata la seconda favorita per lo scudetto...

Di sicuro ha vinto la Lazio a prenderlo nell’estate 2015, grazie a un lungo pressing del ds Tare nei confronti del suo agente Kezman. Il padre aveva parlato anche con la Fiorentina, tant’è che il ragazzo serbo si presentò a Firenze, nella sede del club viola, il 6 agosto di quella torrida estate e sembrava stesse per firmare. Colpo di scena: il giorno dopo, Sergej Milinkovic tenne fede alla promessa fatta alla Lazio e firmò il contratto con i biancocelesti. Pradè, allora ds della Fiorentina, ci rimase malissimo, ma questo è il mercato: i colpi di scena fanno parte del “gioco”. Alla Lazio capitò con il compianto Astori, ad esempio: sembrava preso, invece in extremis scelse la Roma.

LE CIFRE DEL COLPO 

Milinkovic aveva 20 anni e un futuro già scritto da stella del calcio internazionale. La società biancoceleste lo pagò 4,9 milioni più 1 milione di bonus. Nel contratto con il Genk fu inserita una clausola: per evitare che al club belga andasse il 50% della futura rivendita, entro due anni la Lazio avrebbe dovuto versare altri 9 milioni. Cifra che Lotito si affrettò entro i tempi stabiliti a versare nelle casse del Genk: in pratica, investendo 15 milioni, la Lazio ha acquistato senza più condizioni un fuoriclasse che ora ne costa almeno 100.

La sua quotazione era scesa dopo il deludente Mondiale 2018, con conseguente flessione anche nei primi mesi della stagione successiva. Ma dopo questo campionato da fenomeno, il valore del “Sergente” – come lo chiamano i tifosi della Lazio – ha di nuovo raggiunto livelli da super star del pallone. Non a caso, per lui è tornato alla carica Leonardo: lo voleva al Milan nell’estate 2018, lo vorrebbe ora che è diventato il direttore sportivo del Paris Saint Germain. Altri corteggiatori seriali sono Manchester United, Real Madrid e Juventus, tutti top club convinti che il serbo a 25 anni abbia ormai raggiunto la definitiva maturazione.

Nel frattempo, Milinkovic – rinnovo dopo rinnovo – è diventato il calciatore più pagato della Lazio: contratto fino al 2024 da 3 milioni netti a stagione, ma con i bonus tocca agevolmente quota 3,5. Soldi ben spesi, se si considera che Milinkovic è stato tra i protagonisti della vittoria in Supercoppa contro la Juve e soprattutto della strepitosa cavalcata dei biancocelesti in campionato.

Il gol decisivo del 7 dicembre 2019 all’Olimpico proprio contro i bianconeri, stop di destro al volo e diagonale di sinistro all’angolo, è tra le perle della stagione. Meno spettacolare ma comunque determinante il perfido piatto sinistro, dopo un controllo di suola, per il 2-1 sull’Inter la sera del 16 febbraio. E la stagione precedente l’aveva chiusa segnando di testa il gol spaccapartita all’Atalanta, in finale di Coppa Italia.

Impressiona, adesso, ricordare un giudizio di Tare quando lo acquistò 5 anni fa: “Diventerà uno dei più forti centrocampisti d’Europa”. Se Milinkovic saprà imporsi anche in Champions League, allora scatterà la standing ovation per il ds della Lazio: pronostico indovinato.

*La foto di apertura dell'articolo è di Andrew Medichini (AP Photo).

 

 
April 23, 2020
Giulio
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Giulio è nato giornalista sportivo, anche se di professione lo fa “solo” da 30 anni. Dal 1997 è l'esperto di calciomercato del quotidiano La Repubblica.

Dal '90 segue (senza annoiarsi mai) le vicende della Lazio: collabora anche con Radiosei e dirige il sito Sololalazio.it. Calcio e giornalismo sono le sue grandi passioni. L'unico rimpianto che lo tormenta è aver smesso di dare spettacolo sui campi di calcetto.

 

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Juventus: il secondo patrimonio, tra U23 e prestiti!

 

"Siamo partiti da un pensiero elementare: Juventus = calcio. E partendo da qui abbiamo costruito tutto il resto". Parola di Andrea Agnelli, da 10 anni, 19 maggio 2010, alla guida della società bianconera. Un decennio in cui il calcio, dopo gli anni difficili del post Calciopoli, è stato rimesso al centro del progetto.
Dire che la Juventus sia soltanto una società sportiva è limitato. Quanto fatto in termini di crescita economica e tecnica, infatti, mostra quale sia la dimensione reale. 

I bianconeri, oltre ad avere, rispetto alla prima squadra, una rosa di livello superiore rispetto alle altre dirette concorrenti, vantano una struttura tecnico - societaria avanzata, rappresentando una realtà virtuosa, oltre che vincente, del calcio italiano.
La dimensione Juventus  risulta essere all’avanguardia dal punto di vista delle strutture, con i vari ‘JMedical’, ‘JHotel’, la Continassa e, ovviamente, l’Allianz Stadium che rappresentano i fiori all’occhiello della famiglia Agnelli. Altra realtà consolidata è ormai anche la squadra femminile che, così come la prima squadra, domina la sua categoria fin dal primo anno della sua fondazione.

Ma, ancor più legata alla prima squadra, risulta la Juventus U23, guidata da Fabio Pecchia. La realtà delle squadre B è ancora semi-inesplorata dal calcio italiano, ma la Juventus ha deciso di intraprenderla fin dagli albori per dare spazio ai propri giovani. Certo, i risultati non ricordano quelli del ‘Team A’, essendo questa una squadra che naviga nel centro classifica, ma l'obiettivo è chiaramente quello di puntare alla crescita dei giovani talentini.

Per loro, la realtà della Serie C risulta difficile, essendo ricca di insidie, considerato che sono presenti compagini comunque importanti. Ma questo non può che rappresentare una buona scuola per chi aspira a posizionarsi e stabilizzarsi a livelli alti del calcio. Basti pensare che, anche a causa dei termini restrittivi riguardanti le seconde squadre, i bianconeri hanno, anche per ragioni di regolamento, la rosa con l’età media più bassa del girone (21,3). Ed è difficile, per una squadra così giovane, chiedere una certa costanza di rendimento. La volontà di credere in questa realtà però è visibile a tutti, nella speranza che qualche calciatore cresca con la gestione dell'ex centrocampista!

In attesa di valutare il possibile riscatto di Rolando Mandragora dall'Udinese, la società pone attenzione anche ai prestiti per sostituire qualche partenza o per cercare di fare plusvalenze, in un mercato, come il prossimo, che sarà, inevitabilmente, più di idee che di bonifici!

I PRESTITI

È già un tesserato della Juventus Dejan Kulusevski: l’attaccante del Parma, prelevato nella scorsa sessione di mercato per una cifra di quaranta milioni, è pronto a giocarsi le proprie carte nella speranza di ritagliarsi un posto importante nelle gerarchie di mister Sarri. Non è completamente esclusa per lui, però, un’altra stagione in prestito, magari proprio al Parma, realtà in cui l’ex Primavera dell’Atalanta è esploso.

Altro calciatore interessante, momentaneamente altrove, è il terzino Luca Pellegrini. Quest’ultimo è riconosciuto come uno dei terzini più promettenti del panorama calcistico italiano, ha già all'attivo trentacinque presenze in Serie A e ha già mostrato qualità importanti. Arrivato a Torino nello scambio con la Roma, che ha visto Leonardo Spinazzola fare il percorso inverso, il classe ‘99 è attualmente nelle fila del Cagliari. Il DS Paratici da Torino lo scruta, tant’è che non è utopica l’ipotesi di ‘promozione’ in bianconero.

Christian Romero è un altro tesserato bianconero che ancora deve fare il suo debutto con la maglia dei campioni d’Italia. Nello scorso anno è stato acquistato a titolo definitivo dalla Juventus per ventisei milioni di euro e successivamente girato nuovamente in prestito annuale al Genoa con premi a favore dei liguri per un massimo di 5,3 milioni di euro. Per lui, al momento, appare complicato un posto stabile in squadra, vista la folta concorrenza del pacchetto arretrato a disposizione dei bianconeri, ma nulla è precluso.

Due giocatori che invece si sono visti costretti ad andare via per cercare uno spazio di visibilità maggiore sono Mattia Perin e Marko Pjaca. Il primo, in prestito al Genoa così come Romero, è tornato in Liguria per cercare di ritrovare la titolarità, considerata la presenza stabile tra i pali di Szczesny. L’attaccante croato invece, complici anche i numerosi guai fisici, non si è mai realmente inserito nel mondo Juventus, che lo ha mandato in prestito all’Anderlecht per cercare quantomeno di non svalutare il valore del cartellino.

Tante quindi le potenziali soluzioni interne che la società bianconera ha a disposizione per continuare a crescere. E in tempi come questi, in cui le garanzie economiche sono ai minimi storici, questo fattore potrebbe essere di non poco conto.
Tra giovani e calciatori in prestito, la Juventus ha tante risorse e non solo in prima squadra.

*Il testo dell'articolo è stato curato da Le Bombe Di Vlad; l'immagine è di Claude Paris (AP Photo).

April 22, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Alessandro Nizegorodcew e la nuova scuola del tennis italiano


È trascorsa un’era geologica dal giorno il Corriere della Sera titolava “Camporese locomotiva d’Italia”, quando Omar, sconfiggendo Goran Ivanisevic in finale a Milano il 9 febbraio 1992, si posizionava al numero 18 della classifica ATP; lo stesso ranking è stato raggiunto, in tempi più recenti, prima da Andrea Gaudenzi e poi da Andreas Seppi. 

Poi, il 4 giugno 2019 Fabio Fognini è entrato nei top ten, 41 anni dopo Corrado Barazzutti: più di un’era geologica nello sport. E da lì è stato un trionfo. Matteo Berrettini, che avevamo indicato come uno degli sportivi italiani più attesi nel 2020, ha seguito le orme del Fogna da Arma di Taggia: alla sua terza stagione nel circuito ATP raggiunge la posizione numero 8 in classifica, si qualifica per le Finals di Londra e diventa anche il primo azzurro a vincere un match nel prestigioso appuntamento di chiusura del calendario del tennis mondiale. E Jannik Sinner? Per il diciottenne di San Candido, già numero 68 del mondo, si prospetta un futuro da vincitore di Slam.

Abbiamo parlato di questa vera e proprio golden age del tennis maschile italiano con Alessandro Nizegorodcew, telecronista di Super Tennis TV, in esclusiva per il blog italiano di 888sport.

Berrettini, Sinner, ma anche Sonego e i recenti successi di Mager. Sembra una nuova età d'oro per il tennis maschile italiano. Dove nasce, secondo te? È frutto di un progetto o è causale, per la disponibilità di una generazione di talenti?

“È corretto parlare, per il tennis maschile italiano, di una nuova età dell’oro. Secondo me, nasce da diversi fattori. In parte è casuale, nel senso che, come avvenuto negli anni passati nel tennis femminile, ci sono tanti giocatori forti che escono fuori nello stesso periodo. Da questo discorso escludiamo, ovviamente, Fognini che è a quel livello da molti anni e, quindi, non fa parte di questa generazione, anche se in questo momento è ancora lì.

Parlando quindi dei talenti di cui mi chiedevi, un fattore è stata la consapevolezza acquisita dopo la semifinale raggiunta da Cecchinato a Parigi nel 2018 che ha fatto capire a tutti come, con il lavoro e la determinazione, raggiungere traguardi così importanti non è impossibile. Un’altra componente fondamentale, in questo processo di crescita, è la presenza di una schiera di allenatori italiani che, in questo momento, fa invidia al mondo intero”.

Per anni si è polemizzato sui rapporti tra circoli, allenatori privati dei tennisti e la federazione: che momento è? I successi sono frutto anche di una sorta di pax?

“In passato non c’era grande collaborazione tra FIT e team privati. Soprattutto da quando, però, è arrivato Umberto Rianna al progetto federale per gli Under 18 si è cominciato a creare un ottimo rapporto con tutti i team privati. Addirittura, lo stesso Rianna, accompagnato da Filippo Volandri, è entrato nei team privati come federale con Berrettini, Sonego e anche altri ragazzi più giovani.

Dalla ripresa dell’attività tennistica, seguirà Musetti e Zeppieri, oltre ai loro team: si è, quindi, creata una sinergia importante a livello tecnico tra la federazione e i coach privati, che seguono i tennisti nel corso di tutto l’anno. Oltretutto, con questa collaborazione è stato stabilito anche un supporto economico federale che, soprattutto per i giovani, è molto importante questo step degli ultimi anni. Finalmente, insomma, la FIT sta dando una bella mano!”

Tutte le quote per scommettere sul tennis con 888sport.it!

Non sappiamo quando il tennis potrà ripartire, ma che stagione ti aspetti per Matteo Berrettini dopo gli enormi exploit del 2019? C'è rischio di perdere molti punti, secondo te, o ormai ha trovato un posto stabile nei top 10?

“Molto dipenderà dal discorso dei punti congelati per l’interruzione, quando si riprenderà. Secondo me, a questo punto, Berrettini spera che si riparta dopo New York, almeno non dovrà difendere quei punti: è molto difficile, comunque, capire quello che potrà succedere, non essendo chiaro quando si ricomincerà a giocare. Matteo ha la possibilità di rimanere nei top ten, anche perché ha tutte le qualità tennistiche e, soprattutto, mentali per farlo: si abituerà presto a quel tipo di livello”.

Per Jannik Sinner si prospetta un futuro da top, da potenziale vincitore di tornei dello Slam: quanto e, soprattutto, cosa gli manca dal tuo punto di vista?

“Sinner ha sicuramente potenzialità da top, da vincitore di uno Slam, ma gli manca ancora tanto.  È giovanissimo e gli manca esperienza, anche semplicemente giocare un certo tipo di partite, tanti match tre su cinque, perché poi è negli Slam che si fa davvero la differenza. Sta lavorando tantissimo sul gioco di volo, che è ancora quasi totalmente assente, ma è fondamentale per il modo di giocare di questi anni: ormai, per vincere i grandi match bisogna andare a chiudere i punti a rete.

Dal punto di vista tecnico da fondo, il dritto può essere ancora migliorato, mentre il rovescio è meraviglioso. Il ritmo che imprime allo scambio è devastante già oggi, quindi per l’altoatesino è solo una questione di migliorarsi sotto tutti i punti di vista giocando. Più giochi, più ti alleni e migliori: è una conseguenza abbastanza naturale, tipica per tutti i grandi tennisti”.

L'era dei magnifici 3 sta per finire, o comunque non sarà eterna: il posto tra i futuri re del tennis mondiale potrà essere di un italiano?

“Dopo l’era di Federer, Djokovic e Nadal, secondo me per le scommesse e quote per il tennis ci sarà un momento privo di dominatori assoluti, un po’ come quando c’era gente come Hewitt, Roddick e altri che si alternavano in vetta alla classifica. Ci saranno grandi giocatori che vinceranno più di altri, come Auger-Aliassime che, secondo e, vincerà uno Slam, Zverev o Tsitsipas; e un paio di Roland Garros a Thiem penso non li toglierà nessuno, quando smetterà Nadal. Lo stesso Shapovalov, più costruito e ordinato, potrà andare a vincere uno Slam, come Wimbledon o Melbourne che vedo adatto alle sue caratteristiche. Ci sarà, insomma, tanto ricambio e tanti vincitori diversi nei tornei dello Slam, dopo i fab three”.

La Coppa Davis manca all’Italia dallo storico successo di Santiago del Cile nel 1976: potrebbe essere il momento giusto per vincere di nuovo?

“Con la nuova formula a gironi, è tutto diverso. Se quest’anno si disputerà la Davis, il sorteggio per l’Italia è favorevole: la Colombia non è una squadra irresistibile, per quanto ostica e con un doppio fortissimo formato da Cabal e Farah. Abbiamo grandi possibilità di andare avanti: la Davis è qualcosa che si spera, a prescindere dalla formula, l'Italia possa portare a casa prima o poi”.

Paradossalmente, il momento top del nostro tennis maschile coincide con un periodo non facile per quello femminile: come te lo spieghi? E chi c'è, tra le ragazze, da tenere d'occhio?

“In parte, come detto per quello maschile, anche per il momento del tennis femminile la motivazione è dovuta al caso: com’è stato un caso fortunato avere tante giocatrici fortissime contemporaneamente nel recente passato, ora c’è un po’ di sfortuna. Le ciclicità sono inevitabili in tutti gli sport, ma nel tennis in particolare. Qualcosa si sta comunque muovendo dalle parti delle giovani: per esempio, Delai e Pigato sono due 2003 molto interessanti. Nel centro di Formia, guidato da Tatiana Garbin e Vittorio Magnelli, stanno lavorando molto bene.

Dobbiamo, quindi, solamente avere pazienza: forse aspetteremo tre o quattro anni prima di vedere risultati importanti; non come il tennis maschile attuale, ma mi aspetto quattro o cinque giocatrici tra le prime cento al mondo. Mi pare uno scenario plausibile. Comunque c’è Camila Giorgi che, per quanto molto criticata, salva sicuramente la baracca. Elisabetta Cocciaretto può arrivare tra le prime cinquanta al mondo nel giro di un paio d’anni; Paolini e Treves sono brave giocatrici in grado di raggiungere buoni risultati, ripetendo un po’ in piccolo quello che è successo con Cecchinato in campo maschile”.
 

*La foto di apertura dell'articolo è di Luca Bruno (AP Photo).

April 22, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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