L'importanza di chiamarsi Ernesto Bronzetti!

Il 27 maggio del 2014, nel Salone d’Onore del Coni, Carlo Ancelotti fu premiato perché aveva appena vinto la mitica Decima, cioè aveva guidato il Real Madrid a conquistare la decima Champions League, spezzando una maledizione che durava da 12 anni.

Bronzetti ed il Real Madrid

20 anni di operazioni al top

I 7 Palloni d'Oro trasferiti

Quel giorno con lui, a condividere la gioia del momento, c’era Ernesto Bronzetti, considerato il numero 1 dei mediatori internazionali per aver contribuito in maniera decisiva al trasferimento di 7 (sette!) Palloni d’Oro, un record difficilmente avvicinabile.

Bronzetti ed il Real Madrid

Era stato lui, Bronzetti, a convincere il suo amico Florentino Perez, presidente del Real: “Prendi Carletto e vincerai la Decima”, gli aveva detto. Andò proprio così.

Quel giorno, al Coni, Ernesto aveva 67 anni e già lottava con un tumore che lo avrebbe portato via due anni dopo, il 2 febbraio 2016, ma si è goduto il trionfo con la soddisfazione di chi sa di aver toccato l’apice dopo una vita vissuta con intensità unica. Subito dopo la cerimonia, lui e Ancelotti furono invitati in un’altra piccola sala del Coni: c’erano tra gli altri il presidente Malagò e il direttore generale Uva, ma il mattatore fu Bronzetti. Seduto “a capotavola”, sigarettina tra le labbra e gambe incrociate, fece divertire tutti con aneddoti, barzellette, retroscena inediti di mercato. Era felice, si vedeva. Felice e forse perfino appagato, finalmente.

Portare Ancelotti al Real era un suo pallino. Ci era rimasto male quando, nel 2009, il suo amico Carlo preferì il Chelsea, nonostante la strada per Madrid fosse stata già spalancata dal lavoro ai fianchi di Bronzetti nei confronti di Perez. Quattro anni dopo, nel 2013, il matrimonio finalmente riuscì. Per strapparlo al Psg, il Real fu costretto a pagare i 7 milioni di euro previsti dalla clausola di rescissione.

D’altronde Ernesto considerava Ancelotti, con la sua capacità unica di gestire uno spogliatoio infarcito di fuoriclasse e primedonne, perfetto per il Real Madrid. Aveva ragione. Non a caso, ancora adesso Cristiano Ronaldo e Sergio Ramos sono molto legati al tecnico della Decima, e fecero di tutto per evitarne il prematuro esonero, nel maggio 2015, mai accettato dallo spogliatoio del Real.

Venti anni di operazioni mirate!

Bronzetti aveva questa capacità di capire le persone, di entrare immediatamente in sintonia con loro. Dote fondamentale nella sua professione. E poi sapeva scegliere la strategia giusta per arrivare all’obiettivo. Famoso per i suoi affari sull’asse Italia-Spagna, decise di puntare sul mercato iberico dopo due trasferimenti da lui curati: Raducioiu dal Milan all’Espanyol e Vlaovic dal Padova al Valencia.

Era l’estate del 1994, 20 anni prima del trionfo con Ancelotti e il suo Real. Ecco, quei vent’anni, cruciali nella vita di Bronzetti, li passò tra Madrid, Milano, Roma e Terni, la sua città natale, la residenza della sua famiglia: la moglie Oretta, le figlie Ellida, Elisabetta e Letizia. Quelli erano i suoi punti cardinali.

Dallo sbarco in Spagna, gli furono sufficienti tre anni per diventare un personaggio a tutto tondo del mondo del calcio: nell’estate del ’97 fu lui a “inventare” il trasferimento di Bobo Vieri dalla Juventus all’Atletico Madrid, sfruttando l’amicizia con Jesus Gil, vulcanico presidente del club spagnolo. Un’operazione da 34 miliardi che fece scalpore, attirando l’attenzione dei media su Bronzetti, che si andava affermando come il numero 1 del calciomercato.

Le interviste e la popolarità non lo cambiarono, aveva l’umiltà di ascoltare chi era più esperto di lui sulle caratteristiche dei calciatori e sapeva essere disponibile anche con quei rompiscatole dei cronisti sempre a caccia di notizie. Senza però compromettere mai l’esito di un affare solo per il gusto di regalare uno scoop o ingraziarsi un giornalista.

D’altronde non ne aveva bisogno: i suoi amici – veri, al di là del lavoro – si chiamavano Adriano Galliani e Florentino Perez, per citare i più influenti. Ma poi aiutò Sergio Cragnotti quando nel 2001 aveva bisogno di portare Mendieta, allora miglior giocatore della Champions, alla Lazio (i tifosi lo contestavano per la cessione di Nedved, che andava sostituito) e l’affare con il Valencia non si sbloccava (e per i biancocelesti sarebbe stato meglio non si fosse mai sbloccato, in realtà…).

I sette Palloni d'Oro!

E riuscì nell’impresa di mettere seduti uno di fronte all’altro Moratti e Figo, che si corteggiavano da lontano ma nessuno dei due si sbilanciava nel fare la prima mossa verso l’altro: Bronzetti accompagnò il portoghese – uno dei Palloni d’Oro - nella villa di Moratti a Forte dei Marmi, dove il presidente dell’Inter lo accolse con la maglia numero 7 nerazzurra già pronta con il suo nome.

Quando invece contribuì al trasferimento di Ronaldinho – altro Pallone d’Oro - al Milan, la sera della firma c’era lui con il fuoriclasse brasiliano ad Arcore, da Silvio Berlusconi. Era molto legato al club rossonero, Bronzetti. Uno dei momenti più felici della sua carriera fu quando Galliani gli propose un contratto triennale come “Ministro degli Esteri” del Milan: doveva occuparsi delle trattative sull’asse con la Spagna. Dal punto di vista strettamente economico, Ernesto ci avrebbe perso: ma non ci pensò due volte ad accettare proprio per l’orgoglio di poter lavorare con il Milan e con il suo amico Galliani.

Come un traguardo sognato da una vita e finalmente raggiunto. In rossonero portò – tra gli altri – anche Rivaldo e Ronaldo il Fenomeno (altri Palloni d’Oro), trattò Beckham prima del trasferimento ai Los Angeles Galaxy (tentò un blitz in extremis a Madrid per soffiare l’inglese agli americani, ma ormai era tutto fatto), partecipò all’affare con il Real Madrid per cedere e poi riprendersi Kakà, il quinto Pallone d’Oro di questa incredibile storia.

Ne abbiamo citati 5, a questo punto vi chiederete chi siano gli altri due. Accontentati: Hristo Stoichkov, dal Barcellona al Parma nel ’95, cronologicamente il primo della prestigiosa lista, e poi uno dei suoi fiori all’occhiello, il capitano dell’Italia campione del mondo 2006. Già, Fabio Cannavaro, portato al Real Madrid dalla Juve proprio quell’estate.

Il suo ultimo – di tanti, che mi commuovo ancora a elencarli nella mente – regalo per me fu l’anticipazione del passaggio di Khedira dal Real alla Juve a parametro zero. Era tutto firmato, quindi poteva dirlo, nessun rischio di far saltare l’operazione. Fino all’ultimo ha vissuto dell’adrenalina delle trattative da intrecciare, degli affari da impostare e concludere tra mille incontri e telefonate.

Se n’è andato sereno perché convinto di aver lasciato alle amate figlie quanto meritassero. Ellida, la prima, è un’affermatissima top manager televisiva, nell’ambiente dello spettacolo la considerano la migliore. Ha fondato la Red Carpet, società di produzione ed azienda leader nella gestione di stelle dello sport e dello spettacolo. Con lei lavorano le sorelle Elisabetta e Letizia. È sempre in movimento e formidabile nei rapporti: da chi avrà ripreso?

*La foto di apertura dell'articolo è di Paul White (AP Photo). Prima pubblicazione 21 aprile 2020.

January 10, 2021
Giulio
Body

Giulio è nato giornalista sportivo, anche se di professione lo fa “solo” da 30 anni. Dal 1997 è l'esperto di calciomercato del quotidiano La Repubblica.

Dal '90 segue (senza annoiarsi mai) le vicende della Lazio: collabora anche con Radiosei e dirige il sito Sololalazio.it. Calcio e giornalismo sono le sue grandi passioni. L'unico rimpianto che lo tormenta è aver smesso di dare spettacolo sui campi di calcetto.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

I numeri dei calciatori italiani in Champions!


Nostalgia Champions League. In attesa che tutto torni alla normalità, un buon esercizio per la mente e rinverdire l'orgoglio calcistico tricolore, può essere quello di andare a spulciare tra tutti i record dei calciatori italiani collezionati sin da quando la competizione era conosciuta come "Coppa dei Campioni", considerandola in una sorta di doveroso continuum.

Paolo Maldini è senz'altro il giocatore più titolato tra i connazionali: anzitutto, insieme allo spagnolo Francisco Gento, è quello che ha giocato più finali, 8. Il madridista ne ha vinte 6 (record assoluto), la bandiera rossonera 5. Il numero 3 più forte di tutti i tempi vanta inoltre il gol più veloce in una finale, con quel gol al Liverpool nel 2005, giunto dopo 51,20 secondi dal fischio d'inizio nello scontro di Istanbul terminato 3-3 e perso ai rigori. Grazie a quella segnatura, Maldini diventò anche il giocatore più anziano ad aver gonfiato la rete in un atto conclusivo della competizione, all'alba dei 37 anni (36 anni e 334 giorni, per l'esattezza).

A questo proposito, se si prende in considerazione la sola e moderna Champions League, il marcatore più anziano è Francesco Totti della Roma che, all'età di 38 anni e 59 giorni, ha realizzato un gol contro il CSKA Mosca il 25 novembre 2014. Il più anziano in assoluto, considerata la Coppa Campioni nella sua interezza, fu invece Manfred Burgsmüller del Werder Brema, che segnò all'età di 38 anni e 293 giorni contro la Dinamo Berlino l'11 ottobre 1988. 

E' italiano anche il giocatore più avanti con l'età ad aver disputato un match della coppa dalle grandi orecchie: stiamo parlando ovviamente di Marco Ballotta, della Lazio, in Real Madrid-Lazio 3-1 dell'11 dicembre 2007 all'età di 43 anni e 253 giorni. 

Tornando alle tematiche riguardanti il terzino milanista, Cesare e Paolo Maldini sono l'unica coppia padre-figlio ad aver trionfato nella manifestazione in veste di capitani della propria squadra, in entrambi i casi con la maglia del Milan: Cesare, primo capitano italiano campione d'Europa, vinse in tale ruolo nel 1962-63 e suo figlio Paolo nel 2002-03 e nel 2006-07.

I gol e le segnature multiple

Alessadro Del Piero, 44 reti totali, è l'italiano a detenere il gol più veloce tra i connazionali (20,12 secondi in Juventus, Manchester Utd-Juventus 3-2, del 1° ottobre 1997), quarto in assoluto dopo i più rapidi Roy Makaay (10"12 in Bayern Monaco, Bayern Monaco-Real Madrid 2-1, 7 marzo 2007) Jonas (10"84 in  Valencia-Bayer Leverkusen 3-1 del 1° novembre 2011) e Gilberto Silva (20"07 in PSV Eindhoven-Arsenal 0-4 del 25 settembre 2002). Capitolo "triplette più veloci": quella di Marco Simone, realizzata nel giro di 19 minuti in Rosenborg-Milan 1-4 del 25 settembre 1996, si piazza al 9° posto della classifica generale. 

L'oriundo José Altafini è uno dei 12 giocatori ad aver realizzato 5 reti in un'unica partita in un Milan-Union Luxembourg 8-0 del 14 settembre 1962. In quella edizione di Coppa Campioni "Mazzola" (come veniva soprannominato in Brasile), diventò il capocannoniere più prolifico della competizione con 14 centri complessivi.
Tra i 13 giocatori, invece, autori di un poker nella nella medesima partita della grande competizione europea, c'è invece Simone Inzaghi, scatenatosi in Lazio-Olympique Marsiglia 5-1 del 14 marzo 2000. Del fratello maggiore Filippo, ovviamente, il record assoluto di marcature in Champions: con 50 gol realizzati, Superpippo è attualmente al nono posto della classifica all time!

Attenzione anche a un altro dato molto particolare: sono 8 i giocatori ad aver realizzato una tripletta nel loro match di esordio nella competizioni. tra questo c'è Vincenzo Iaquinta, andato a segno al 28’, 73’ e 76’ nel 3-0 che l'Udinese rifilò ai greci del Panathinaikos il 14 settembre 2005. Una classifica in cui il campione del mondo 2006 è in ottima compagnia, con gente del calibro di Marco Van Basten, Faustino Asprilla, Wayne Rooney, Erling Håland...  

Per i portieri con 690 minuti senza subire reti, Gianluigi Buffon della Juventus è il secondo portiere ad aver mantenuto più a lungo la propria porta inviolata nel 2016-2017, dopo il tedesco Jens Lehmann con l'Arsenal (853 minuti nell'edizione 2004-2005).

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

April 21, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

I costi del ciclismo, la crisi e il nuovo calendario

Non è facile quantificare in modo esatto il budget di una squadra di ciclismo professionistico. Durante il Tour de France 2016, il quotidiano francese L’Equipe ha pubblicato un stima dei fondi a disposizione di ogni squadra in gara. I team in cima a questo elenco avevano un budget che andava dai € 20 ai € 35 milioni all’anno. 

Quanto guadagna un ciclista

La struttura delle squadre UCI 

Il caso EF Pro Cycling

La crisi del 2020 e l’orlo del fallimento

Il nuovo calendario del ciclismo

Negli anni il livello è cresciuto sempre più, arrivando al punto in cui gli addetti ai lavori e le aziende che sponsorizzano i team si sono chiesti quanto queste cifre siano ancora sostenibili.

Quanto guadagna un ciclista

Per avere un’idea di quale sia il guadagno di un ciclista ai massimi livelli, possiamo attingere ai dati pubblicati nel 2018 dal sito specializzato bicifi.it: anche se gli introiti di un ciclista al top della carriera non sono paragonabili a quelli di un calciatore di pari livello, è interessante osservare come le cifre in questione non siano assolutamente trascurabili: infatti, solo da contratto (escludendo quindi le sponsorizzazioni personali che gli assi del pedale hanno) Alejandro Valverde, campione del mondo su strada a Innsbruck in quella stagione, guadagnava € 1.8 milioni all’anno, contro i € 2 mln di Mark Cavendish. 

Continuando a scorrere i nomi di questa speciale classifica, troviamo Kittel con € 2.3 mln, Quintana con € 2.5 mln, Gerain Thomas con € 3 mln e il nostro Fabio Aru con € 3.2 mln. Sul gradino più basso del podio degli introiti 2018 c’è Vincenzo Nibali, al quale il contratto con il vecchio team Bahrain Merida garantiva € 4 mln all’anno, seguito da Chris Froome con € 5.5 mln e dal tre volte campione del mondo su strada Peter Sagan con a quota € 6 mln annui.

La struttura delle squadre UCI 

L'ottenimento della licenza UCI World Tour è indispensabile per permettere alle squadre di partecipare ai principali eventi del circuito internazionale, che garantiscono visibilità agli sponsor e ricchi premi in denaro.

Cinque sono i criteri che i team devono rispettare per ottenere la licenza: sportivi, etici, finanziari, amministrativi e organizzativi. Gli UCI WorldTeam versano all'Unione Ciclistica Internazionale una quota annuale di 85.500 euro, a cui si aggiunge un contributo di 129.540 euro da riconoscere alla Cycling Anti-Doping Foundation (CADF), come riportato dal quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore.

Ciclismo che passione!

Le squadre del World Tour, per regolamento, devono avere nel loro libro paga almeno 23 ciclisti, 4 direttori sportivi e altri 10 membri dello staff (allenatori, medici e meccanici). I Professional Continental Team, squadre con licenza di gradino inferiore rispetto alla UCI World Tour, invece, tra i propri tesserati contano almeno 16 ciclisti, 3 ds ed altre 5 figure. Per le squadre Professional la quota annuale richiesta dall'UCI è di 20 mila euro, mentre alla CADF vanno pagati 86.700 euro.

Tutte le quote per scommettere sul Cyclying con 888sport.it!

Il caso EF Pro Cycling

Per dare un’idea di quanto i costi di gestione di un team pro siano lievitati enormemente negli anni, con tutti i problemi derivanti e connessi per chi gestisce le squadre e cerca di mantenere alto il livello di competitività, o almeno di non perdere la licenza UCI World Tour (il massimo livello del ciclismo mondiale), è interessante analizzare il caso della EF Pro Cycling. Il team statunitense fondato da Jonathan Vaughters nel 2003 ha avuto il suo più grande successo, come Cannondale-Drapac, grazie al corridore canadese Ryder Hesjedal che si è aggiudicato il Giro d’Italia 2012.

Altre importanti vittorie sono state anche quella alla Parigi-Roubaix 2011 con il belga Johan Vansummeren, alla Liegi-Bastogne-Liegi 2013, al Giro di Lombardia 2014 con l'irlandese Daniel Martin e al Giro delle Fiandre 2019 con l’italiano Alberto Bettiol. Il loro budget da $ 15 mln, nel periodo d’oro una vera fortuna che permetteva alla formazione di Vaughters di primeggiare, oggi non è più competitivo a confronto con le grandi formazioni leader del circuito professionistico mondiale. 

Per fare un confronto, il Team Sky, nel 2016 ha potuto contare su risorse pari a € 35,5 mln. Dagli sponsor Sky, Sky Italia e 21st Century Fox, il team britannico ha ricevuto € 26.79 mln.

Non essendo finanziati da società quotate in borsa, questi super team non sono legati ai tradizionali modelli di ritorno sull’investimento e sono liberi di spendere quantità sproporzionate di denaro per le loro squadre. L'improvviso aumento del livello degli stipendi per le stelle del ciclismo ha creato un sostanziale abisso tra chi ha e chi non ha.

La crisi del 2020 e l’orlo del fallimento

Il blocco dell’attività internazionale e di quella di base per il 2020, con lo stravolgimento del calendario e l’incertezza sull’effettiva ripresa, sta portando il ciclismo mondiale sull’orlo del fallimento. Le principali formazioni del World Tour sono in ginocchio per gravi problemi di bilancio, come riportato da La Stampa: molte hanno già ufficializzato la riduzione degli stipendi ai corridori e il licenziamento di parte del personale.

Lo sloveno Tadej Pogacar

Il quotidiano torinese ha ospitato il grido d’allarme lanciato da Alvaro Crespi, financial manager del team australiano Mitchelton-Scott: "Se quest'anno non si disputeranno i grandi giri, nel 2021 su 19 squadre World Tour ne potrebbero sopravvivere solo 5 o 6 perché senza correre gli sponsor, che sono l'unica nostra fonte di ricavi, ci stanno voltando le spalle. A me dispiace per i corridori, ma i loro ingaggi rappresentano l'80% delle spese, quindi è praticamente l'unica voce in cui si possono fare dei tagli".

Il nuovo calendario del ciclismo

A seguito della decisione dell’UCI di prolungare la sospensione di tutte le attività agoniste fino al 1° di agosto, è sempre più complicato fissare un calendario alternativo per l’attuale stagione 2020, costretta allo stop quando era ancora agli inizi. 

Una corsa ciclistica

Per l’UCI è prioritaria la disputa dei vari Campionati Nazionali, fissati per il 21-28 agosto e dei Mondiali, che rimangono in calendario per il 20-27 settembre. Il Tour de France è stato già ricollocato dal 29 agosto al 20 settembre: va quindi trovato spazio per il Giro d’Italia e la Vuelta, due eventi che rischiano addirittura di sovrapporsi, vista l’esigenza di non chiudere la stagione troppo in là. Un periodo plausibile per la corsa in rosa, da svolgersi solamente sul territorio nazionale, è dal 3 al 25 ottobre.

Nel mezzo, sono da calendarizzare le classiche monumento, molte delle quali dovranno per forza svolgersi in contemporanea alle corse a tappe. 

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 20 aprile 2020.

October 10, 2021
Emanuele Giulianelli
Body

Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Tutte le declinazioni del Fantacalcio nel mondo!

Il fantacalcio manca tantissimo in questo periodo, anche per le sue funzioni di socialità. E, diciamocelo, le chat di whatsapp delle varie fantaleghe, in questo periodo sono risultate fondamentali nel tenerci compagnia. Si sa, il fantacalcio è un vero e proprio made in Italy; si è stimato che tra Milano e Palermo i fantallenatori siano poco più di 6 milioni (più dei 4 milioni che “praticano” calcio).

Il gioco fu inventato da Riccardo Albini che, ispirandosi a un passatempo USA basato sul baseball (Fantasy Baseball), lo pubblicò per la prima volta in Italia nel 1990 tramite le Edizioni Studio Vit. Alla stesura della versione definitiva del regolamento contribuirono anche Alberto Rossetti e Diego Antonelli. 


Le notti insonni all'asta, tra rilanci e fiumi di birra. Le urla di gioia, gli insulti affettuosi tra amici per essersi aggiudicati gli attaccanti più prolifici, in particolare tra la clamorosa lista di quelli il cui cognome inizia per la lettera I, sempre quotati come primi marcatori da 888sport

Brevemente, in Italia, si costruiscono squadre da 3 portieri, 8 difensori, 8 centrocampisti e 6 attaccanti attraverso l'asta, per l'appunto. Poi, attraverso le votazioni di ogni singolo giocatore, tenendo conto anche dei bonus e malus (+3 per il gol, +1 per l'assist per le leghe che lo contemplano, -1 per i cartellini rossi, -0,5 per quelli gialli, solo per citarne qualcuno) si determina il punteggio complessivo della squadra, che poi corrisponde al computo dei gol. A partire da 66 un gol, 72 due gol (70 con la formula c.d. "over"), 78 tre (74 con l'over) e così via.

Dopo l'ultima giornata di campionato disputata, in testa con la Fantamedia migliore, Ciro Immobile, 9.96 in 26 gare giocate! Vediamo adesso le peculiarità delle altre fantaleghe in giro per il mondo!

La "Fantasy Premier League" inglese

In Inghilterra, invece, la "Fantasy Premier League" La rosa di ciascuna fantasquadra è "ridotta" a 15 calciatori: 2 portieri, 5 difensori, 5 centrocampisti e 3 attaccanti. Le singole gare di campionato sono giocate da una fantasquadra formata da 11 titolari (più 4 riserve), suddivisi nei rispettivi ruoli in base ai moduli (4-4-2, 4-3-3, 5-3-2, 5-4-1, 3-3-4, 4-2-4 e così via, come nel modello italiano). Sono possibili tutte le formazioni, a condizione che presentino almeno 1 attaccante e al minimo 3 difensori.

Fondamentale, nel computo dei punteggi finali è il concetto di tempo trascorso dal fantagiocatore sul rettangolo verde: tale fattore prende il posto del voto italiano, assegnato dal giornalista inviato!

Le fantasquadre quindi si affrontano in una serie di partite, il cui esito è determinato dal punteggio accumulato in base al tempo passato sul campo di gara da parte di un giocatore senza subire reti, gol, assist, ammonizioni, espulsioni e autogol: +1 punto per ogni giocatore che ha giocato almeno 1 minuto di gara; +2 punti per ogni giocatore che ha giocato almeno 60 minuti di gara; +6 punti per ogni gol dei difensori; +5 punti per ogni gol dei centrocampisti; +4 punti per ogni gol degli attaccanti; +3 punti per ogni assist; +4 punti per un portiere o un difensore che ha giocato almeno 60 minuti di gara e la cui squadra non ha subito reti durante questo periodo di tempo;.

Il modello europeo e quello "svizzero"

A livello europeo vi sono due fantacalcio gestiti della UEFA, legati alle due maggiori competizioni continentali per club, la UEFA Champions League (Uefa Champions League Fantasy Football Game) e la UEFA Europa League (UEFA Europa League Fantasy Football Game). In entrambe le regole sono simili a quella della Fantasy Premier League, salvo per il fatto che i portieri delle squadre che non subiscono reti ricevono 2 punti e non 4.

Papu Gomez, re degli assist in Champions!

Ma esiste anche un "modello svizzero" che introduce il concetto di bonus collettivo. La rosa di ciascuna fantasquadra consiste in 23 calciatori: 1 portiere, 8 difensori, 8 centrocampisti, 6 attaccanti. Le singole gare di campionato sono giocate da una fantasquadra formata da 11 titolari (più 4 riserve), suddivisi nei rispettivi ruoli in base ai moduli (4-4-2, 4-3-3, 5-3-2, 5-4-1 e via discorrendo). Le fantasquadre si affrontano in una serie di partite, il cui esito è determinato dal tempo sul campo di gara da parte di un giocatore, gol, assist, ammonizioni, espulsioni, bonus, ed altro.

Ecco come vengono calcolati i punteggi dei vari giocatori: +10 punti gol, +5 punti assist, -5 punti espulsione, -2 punti ammonizione, -5 punti autogol, -3 punti per ogni rete incassata dal portiere, +20 punti "hat-trick" (tripletta). Bonus giocatori: +3 punti per i difensori che incassano 0/1 gol, +3 punti per i centrocampisti e gli attaccanti la cui squadra segna 2 o più gol. Bonus tattica: +10 punti se tutti i difensori schierati fanno il bonus giocatori, +10 punti se tutti i centrocampisti schierati fanno il bonus giocatori, +10 punti se tutti gli attaccanti schierati fanno il bonus giocatori. 

"Comunio" in Spagna e la "Cartola" brasiliana

In Spagna si chiama Comunio, che ben definisce il concetto di comunità. Qui non ci sono aste: i giocatori - come in una sorta di draft - vengono assegnati da un computer "cervellone", che penserà a come "equilibrare le forze" delle squadre di una fantalega distribuendo un complessivo di si ricevono 2 portieri, 4 difensori, 6 centrocampisti e 3 attaccanti. 

In Brasile, tanto per citare un'altro esempio curioso, il Fantacalcio viene chiamato Cartola ed è stato lanciato dal gigantesco portale Globo.com. Tra le varianti più suggestive, c'è senz'altro quella relativa alla scelta del capitano, che nei conteggi raddoppierà il punteggio ottenuto al netto dei bonus e dei malus. In sede di asta ogni fantallenatore a inizio stagione riceverà un bottino di 100 "Cartoletas". Infine, un'ulteriore "pillola": in Germania, il Fantacalcio è pressoché inesistente.

*Le immagini dell'articolo, entrambe distribuite da AP Photo sono, in ordine di pubblicazione, di Andrew Medichini e Luca Bruno.

April 19, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

I calciatori italiani più pagati all'estero!


Non esiste giorno che la sempre efficace pagina facebook "Calciatori italiani all'estero" non ci informi di nuove esperienze oltreconfine di connazionali. Alcuni di alti livello, la maggior parte partiti per lidi non ordinari, talvolta esotici, sparsi per il mondo. In questo caso, trattasi di vere e proprie esperienze di vita: i soldi non contano, o meglio, importano relativamente, passando in secondo piano rispetto a curriculum vitae e "voglia di altrove".

Per chi fa veramente sul serio, tuttavia, lo stipendio - non giriamoci intorno - è la prima voce presa in considerazione tra le clausole del contratto: lo sapevate, ad esempio che dei 10 calciatori italiani più pagati al mondo, ben 6 non giocano in Serie A? Il caso più eclatante, è decisamente quello di Graziano Pellé ma, senza anticipare nulla e analizzando i dati raccolti nell'arco del 2019, andiamo ad esaminarli tutti, in ordine di... "bonifici":

Altra premessa: 3 di questi 6 "paperoni italiani in calzoncini" si sono esponenzialmente arricchiti grazie al calcio cinese. Si tratta di ottimi giocatori, oggettivamente non di fuoriclasse.

6. EDER (Jiangsu Suning, Cina)

Il primo esempio è quello di Eder: l'attaccante di origini brasiliane ex Empoli, Frosinone, Cesena, Brescia, Sampdoria e Inter ha ingrassato il proprio patrimonio nel Jiangsu Suning, "alter ego" del club nerazzurro del paese asiatico: 5,2 annui per un contratto di tre stagioni sottoscritto il 13 luglio 2018 con scadenza prevista il 30 giugno 2021. Un'esperienza fin qui proficua per l'ex seconda punta della nazionale italiana a Euro 2016: nel torneo asiatico, 40 presenze e 23 gol.

5. JORGINHO (Chelsea, Inghilterra)

I tempi della gavetta in Serie C alla Sambonifacese sono decisamente lontani per il centrocampista degli Azzurri di Roberto Mancini, nato in Brasile ma cresciuto in quel di Verona. Esploso a Napoli, a partire dall'estate 2018 è stato metronomo di Maurizio Sarri anche al Chelsea, in cui gioca tuttora anche dopo l'approdo del tecnico di Bagnoli alla Juventus. Per il rigorista infallibile, classe 1991 di Imbituba, il contratto coi Blues - quinquennale, fino al 30 giugno 2023 - vale 5,5 milioni a stagione.

4. MARCO VERRATTI (PSG, Francia)

Tra i più ricchi calciatori italiani sin dal 2012, anno in cui il PSG lo prelevò per 12 milioni di euro dal Pescara (squadra della sua città natale) di Zdenek Zeman, vincitore, non da favorito per le scommesse e quote serie B, di quel campionato cadetto. Verratti, incredibile ma vero, non ha mai disputato una singola partita in Serie A, ma col PSG ha già da tempo sfondato le 200 presenze e arrivato a guadagnare ben 6 milioni all'anno.

3. SEBASTIAN GIOVINCO (Al-Hilal, Arabia Saudita)

Meglio "star" ricca (anzi, ricchissima) nei campionati di secondo profilo, che comprimario alla Juventus. Una scelta "di campo", che la Formica Atomica prese già all'età di 28 anni, quando - nel 2015 - si accordò col Toronto, club della Major League Soccer: 3 anni per 5,6 milioni a stagione. Da inizio 2019 Giovinco gioca in Arabia Saudita, nell'Al-Hilal, in cui è arrivato a percepire la bellezza di 10 milioni di euro. Cifre impensabili, se non in Arabia Saudita, a 33 anni suonati...

2. STEPHAN EL SHAARAWY (Shanghai Shenhua, Cina)

Tra i giocatori più attesi ma mai propriamente "esploso". Sono state probabilmente le troppe aspettative a bloccarlo al Milan. Per le scommesse Serie A, Roma agrodolce, tra numeri eccezionali e nuovi blackout. Dal 2019 il Faraone gioca in Cina, allo Shanghai Shenhua. E lo fa per una cifra record di 13 milioni. Subentrato a metà della scorsa stagione (che in Cina segue l'anno solare) il talento savonese ha segnato un solo gol in 10 presenze.

1. GRAZIANO PELLE' (Shandong Luneng, Cina)

Si diceva, il caso più eclatante. Resta il calciatore italiano più ricco coi suoi 15 milioni a stagione che incassa dai cinesi dello Shandong Luneng, club che lo ha messo sotto contratto subito dopo quell'inguardabile cucchiaio sfoderato nella lotteria dei calci di rigore contro la Germania a Euro 2016. Bomber di razza pura e senza fronzoli, ottimo colpitore di testa, Pellè è sbocciato proprio all'estero, con gli olandesi dell'AZ Alkmaar, prima di mettere a segno la bellezza di 50 reti in 57 partite di Eredivsie con quella del Feyenoord.

Poi, 23 gol in campionato con gli inglesi del Southampton e il successivo approdo in Cina, in cui segna a mitraglietta (45 centri, fin qui, nel massimo campionato di Pechino). I fuoriclasse sono altri, si diceva. A giudicare dal portafogli, però...

Segui tutto il calcio, anche la Serie D, con 888sport!

*La foto di apertura dell'articolo è di Czarek Sokolowski (AP Photo).

April 18, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Un nuovo milionario in Premier!

Chi di noi non ha mai acquistato un prodotto di abbigliamento sportivo nel gigantesco magazzino online di Mike Ashley? L’imprenditore inglese sta per concludere la cessione del Newcastle con un fondo che fa capo al principe ereditario dell’Arabia Saudita. Il probabile cambio di proprietà dei Magpies ci consente di condividere una serie di riflessioni sul panorama calcistico europeo, ancor più interessanti, probabilmente, in queste settimane di astinenza dal football! 

Non è questa, naturalmente, la sede per parlare di diritti umani e di approcci alla vita mediorientali, soffermiamoci, invece, sul potenziale impatto di un nuovo proprietario straniero nella Premier.

LA PREMIER ATTUALE

Solo il Tottenham, tra le squadre di vertice, ha una proprietà inglese. Più che paragonarli ad altre realtà calcistiche, per fotografare l'esatta dimensione di società come quelle di prima fascia della Premier, il termine di confronto più appropriato è lo sport professionistico americano. Non è un caso, ad esempio, che tra le società controllate da Stanley Kroenke, azionista di riferimento dell’Arsenal, ci siano anche i Los Angeles Rams o i Denver Nuggets. 

Il mercato inglese tiene, anche con il campionato fermo, e la quotazione che sembra attribuita al Newcastle, già con Ashley tra le ultime ad aver cambiato proprietà, di circa 350 milioni di euro, lo conferma, una volta di più! Come sopra indicato, il paragone con altri campionati non regge: Commisso ha pagato la Fiorentina meno della metà e, seppur in assenza di uno stadio di proprietà, nell’organico viola mai troppo valorizzato nelle ultime stagioni, ci sono almeno due potenziali campioni come Chiesa e Castrovilli dei quali a Darsley Park non c’è traccia...

Quindi dobbiamo andare oltre l’aspetto meramente sportivo: il football d’oltremanica è entertainment puro, con diritti televisivi sempre alle stelle (“ultimo” arrivato tra i players Amazon...), oltre 120 milioni di pounds per i Mapies nell’ultima distribuzione, stadi pieni e floride royalties da merchandasing (nel caso specifico la Puma veste il Newcastle da oltre un lustro).

IL FUTURO DEI MAGPIES

Dopo la clamorosa retrocessione del maggio 2016 nonostante la presenza di un campione come Georginio Wijnaldum, dal rientro in Premier, negli ultimi tre anni, la squadra, prima di Benitez ed oggi di Steve Bruce è stata assolutamente constante... nella mediocrità! Metà bassa classifica e praticamente stessa posizione in classifica per tre anni consecutivi.

Si parla di Pochettino o di Allegri sulla panchina del St James' Park, ma la realtà, oltre alle indiscutibili possibilità economiche della nuova proprietà, è che per tornare davvero competitivi serviranno anni. La distanza con le prime è abissale, non solo in termini di punti. L’attacco bianconero è tra i meno prolifici in assoluto e per giocarsi i primi posti in Premier come all’inizio degli anni 2000 non servirà un acquisto per ruolo, ma una vera e propria rivoluzione.

Il Newcastle, unica squadra prima dell’Atalanta, per le scommesse Champions ad aver superato un girone della massima competizione continetale dopo aver perso le prime tre partite, una a Torino con la Juventus, manca in Europa dalla sconfitta con il Benfica nei quarti di Europa League del 2013.

La nuova proprietà porterà agli appassionati un’altra squadra da seguire con interesse nella prossima stagione, ma per tornare al secondo posto che è il miglior risultato di sempre dalla riforma del professionismo del calcio inglese, servirà scovare nei prossimi anni un nuovo Alan Shearer e spendere, in sede di mercato, molto di più di quanto pagato per il pacchetto azionario. Fair play finanziario permettendo, naturalmente, ma questa è un’altra storia...
 

*La foto di apertura dell'articolo è di Scott Heppell (AP Photo).

April 17, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Nessuno come Pietro Vierchowod!

Campione d’Italia, d’Europa e del Mondo. Il premio “Gaetano Scirea” per la Carriera Esemplare, il rispetto di tantissimi tifosi in giro per lo stivale e persino una candidatura a sindaco. Eppure, strano a dirsi, Pietro Vierchowod è sottovalutato.

Quando si stilano le classiche graduatorie che premiano i migliori calciatori di una determinata epoca, lo Zar non fa spesso capolino quanto dovrebbe. Forse perché nella sua lunghissima avventura, cominciata a sedici anni con la Romanese e terminata quando ne aveva 41 a Piacenza, di epoche Vierchowod ne ha vissute anche troppe. “Ho giocato contro Boninsegna e contro Shevchenko”, ha spiegato più volte. E contro entrambi ha messo bene in chiaro perché lo chiamassero lo Zar.

Per le origini ucraine, vero. Ma non è solo la storia familiare a validare un soprannome che è nella storia del calcio italiano. Come ogni Zar che si rispetti, in campo Vierchowod regnava eccome. Comandava la difesa, da buon figlio di soldato. E soprattutto imponeva la sua legge, quella del più forte (ma anche del più rapido) contro qualsiasi avversario si trovasse davanti. E poco importa che la carta di identità segnasse sedici o quaranta primavere, chi lo ha affrontato se lo ricorda benissimo.


Platini, Maradona, Van Basten, Ronaldo il Fenomeno. Questo il valore di chi domenica dopo domenica cercava di superare Vierchowod. E non sempre ci riusciva, anzi. Già ai tempi del Como, che lo acquista nel 1976, si capisce che quel ragazzo ha qualcosa di speciale. La squadra lombarda, anche grazie a lui, parte dalla C1 e arriva fino alla Serie A.

Ad ammirarlo c’è un grandissimo intenditore di calcio, Paolo Mantovani, che lo vuole per la sua Sampdoria. Il problema è che i blucerchiati in quel momento sono in Serie B, quindi il presidente, dopo averlo comprato, lo gira in prestito. Nella stagione 1981/82 è alla Fiorentina, che non per caso arriva seconda, contendendo lo Scudetto alla Juventus fino all’ultima giornata. In quella successiva si rifà, vincendo il tricolore da protagonista con la Roma di Liedholm, uno che il talento sa riconoscerlo molto bene. E nel frattempo, seppure da riserva, lo Zar sale sul tetto del mondo con la nazionale di Bearzot.

UNA COLONNA NELLA SAMP


Nel 1983 però la Samp decide che non è più il momento dei prestiti e lo richiama alla base. Della Doria diventa una vera e propria bandiera, passando in blucerchiato dodici stagioni e giocando praticamente sempre. Non per niente, lo Zar è secondo solo a un’altra leggenda del club, Roberto Mancini, come presenze: 493 tra campionato e Coppe Europee. Già, le coppe. Lo Zar decide che, visto che il campionato italiano e quello del mondo l’ha già vinto, è il caso di dedicarsi all’Europa. La Samp, del resto, vince nella sua storia quattro volte la Coppa Italia proprio nei dodici anni di militanza di Vierchowod.

La vecchia Coppa delle Coppe, dunque, diventa una seconda casa e il difensore la porta a casa nel 1990, vincendo la finalissima contro l’Anderlecht, dopo che nella stagione precedente i blucerchiati erano stati fermati solo all’ultimo atto dal Barcellona di Cruijff.


A quella Samp manca quindi solo l’affermazione casalinga, che non tarda ad arrivare. Il campionato 1990/91 è leggendario, perché tra il Milan degli olandesi, l’Inter dei tedeschi e il Napoli di Maradona, lo Scudetto lo vince… la Sampdoria di Boskov. E di Vialli, Mancini, Pagliuca, Katanec, Lombardo, Cerezo. Senza dimenticare Vierchowod, che è sempre stato un difensore con il vizio del gol, ma che stavolta ne fa tre e tutti a fine campionato. La rete alla “sua” Roma alla ventinovesima giornata è una pietra fondamentale del trionfo dei doriani.

L’apoteosi potrebbe esserci a Wembley, un anno più tardi. Ma il Barcellona si conferma bestia nera per la Sampdoria, che si arrende in finale di Coppa dei Campioni solo ai supplementari, quando un missile terra-aria di Ronald Koeman spedisce il trofeo in Catalogna.

ALTRE PIAZZE, ALTRI SUCCESSI


Quando nel 1995 si interrompe la storia d’amore con i blucerchiati, si potrebbe pensare che la carriera dello Zar stia volgendo al termine. La carta di identità segna 36 primavere, ma questo non conta nulla per Vierchowod, che riceve una chiamata importante: quella della Juventus di Lippi. In bianconero il centrale resta una sola stagione, si adatta rapidamente ad un sistema difensivo diverso, e porta a casa il gioiello che manca alla collezione: la Champions League, vinta da protagonista nella finale di Roma contro l’Ajax.

La Signora lo lascia libero e il difensore si accorda con il Perugia, ma visti i dissidi con Galeone rescinde immediatamente il contratto e firma con il Milan per sostituire l’infortunato Baresi. Potrebbe finire qui, ma c’è ancora il colpo di coda. A quasi trentotto anni, lo Zar si regala l’ultima esperienza, quella a Piacenza. Tre stagioni in cui, contro i ragazzini terribili (Ronaldo, Vieri, Totti, Inzaghi) il grande vecchio difende e si difende ancora benissimo. Al suo ritiro, è il secondo calciatore per presenze in Serie A, con 562 partite.


Sottovalutato, dunque? Sì, perchè l’abbondanza di vincitori fortissimi lo ha sempre un po’ messo in ombra, come dimostra l’esperienza in nazionale. Per lui 45 presenze, non poche, ma neanche molte in relazione al valore e alla carriera. In Spagna nel 1982 ha davanti Scirea e Gentile, in Messico nel 1986 è tra i titolari, ma la nazionale di Bearzot crolla e Vicini non lo convocherà per quattro anni.

Torna in azzurro nel 1990, in tempo per partecipare alla World Cup casalinga, ma anche in quel caso la difesa è blindata da Baresi e Ferri e allo Zar non resta che fermare Lineker nella finalina di Bari. Vierchowod paga parecchio il dualismo con Kaiser Franco, che potrebbe sostituire nel 1994 quando il milanista si fa male nella fase a gironi. Ma Pietro negli USA non c’è, perchè non voleva sperare negli infortuni altrui per essere protagonista. Il che dice tutto: se non può regnare, uno Zar non è se stesso…

April 17, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Le statistiche delle ultime 20 finali di Champions!

Analizziamo i numeri delle ultime 20 finali di Champions League, dal colpo di testa di Morientes con il quale il Real sbloccò, in avvio di gare, la finale di Parigi del 1999/2000 contro il Valencia, al diagonale di Origi a Madrid che chiuse la sfida tutta inglese con il Tottenham.

Inutile elencare i trionfi di CR7 e ripetere le statistiche pubblicate dal sempre aggiornato sito della UEFA, cerchiamo qualche dato sfuggito ai più...

LE SEDI

Turnazione metodica delle città ospitanti, con l’eccezione di Londra, in particolare di Wembley, teatro di due finali in tre anni tra 2011 e 2013, nella scelta della sede per la finalissima. L’Italia ha ospitato l’atto conclusivo tre volte negli ultimi venti anni: in due occasioni, sempre a San Siro, la Coppa dalle grandi orecchie è stata assegnata solo ai calci di rigore. Successo netto, più del risultato di 2-0, del Barcellona sul Manchester United (finale che si ripeterà con lo stesso esito solo 24 mesi più tardi) all’Olimpico di Roma.

I RISULTATI FINALI

Per sette volte si è dovuto fare ricorso ai supplementari; sei volte di queste sette anche ai calci di rigore. L’unica squadra che ha trionfato al termine dei 120 minuti è stato il Real a Lisbona contro un Atletico, distrutto nella testa e nelle gambe, dal pari subito nel recupero del secondo tempo.
Per le scommesse calcio in cinque occasioni delle ultime venti finali disputate, il risultato al termine dei tempi regolamentari è stato di 1-1, quattro sono stati i 2-1, tre volte 2-0. Solo uno lo 0-0, quello di Manchester tra Milan e Juve naturalmente.

UNDER/OVER

Equilibrio negli Under/Over 2.5: per 9 volte la partita più importante della stagiona calcistica è terminata con meno di 3 gol. Prima della finale di Madrid, per otto anni consecutivi entrambe le squadre protagoniste avevano segnato almeno una rete: gli Spurs, ipnotizzati dalla saracinesca Alisson, fanno compagnia ad altre compagini che non sono riuscite ad andare in gol: oltre naturalmente lo 0-0 della finalissima tutta italiana del 2003, il Valencia nel 2000, il Monaco nel 2004, lo United a Roma nel 2009, il Bayern a Madrid nell’anno del triplete nerazzurro.

PRIMO MARCATORE

Spesso ad aprire le segnature è stato un campione assoluto, il calciatore, quindi, per le scommesse Champions con la quota da favorito per il primo marcatore: due volte Cristiano Ronaldo (a Mosca con il Manchester e a Cardiff contro la Juve), Samuel Eto'o all’Olimpico di Roma, Super Mario Mandžukić nella finale tutta tedesca contro il Borussia, Raul a Glasgow contro le Aspirine del Bayer. In ben quattro occasioni, però, ad iscrivere il proprio nome per primo sul tabellino è stato un difensore: Maldini, Sol Campbell a Parigi, Godin a Lisbona, e Sergio Ramos a Milano nella seconda finale stracitaddina madrilena.

Non ha mai segnato per primo Leo Messi.

Dei 19 primi marcatori, uno merita un paragrafo a parte: lo Special One trionfa con il Porto nel 2004, dopo aver centrato l’Europa League nella stagione precedente. Nelle finale vinta 3-0, il primo a superare il portiere italiano Flavio Roma del Monaco fu Carlos Alberto, centrocampista offensivo carioca, classe ’84. In quel momento, il talento brasiliano cresciuto nel Fluminense sembrava destinato ad una carriera importante; oggi è probabilmente il meno famoso tra i calciatori decisivi in Champions e lo si ricorda solo per un siparietto a mezzo stampa con Mourinho!

Il gol di Carlos Alberto al Monaco!

Nessuna tripletta nelle finali di Champions. Hanno realizzato una doppietta CR7 alla Juve, Milito nella magica notte di Madrid, Crespo ed Inzaghi al Liverpool e Gareth Bale, seppur con la clamorosa complicità di Karius, al Liverpool nella serata di Kiev!

*Le foto dell'articolo sono di Victor R. Caivano e Martin Meissner, entrambe distribuite da AP Photo.

April 16, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il modello calcistico del Sassuolo!


Da quasi dieci anni, un nome nuovo è entrato di prepotenza in Serie A. Una squadra che si è presentata in punta di piedi e che non se n’è mai più andata, prendendosi il lusso di battere le big e persino di assicurarsi un posto in Europa. Una società moderna, che punta a svilupparsi ancora di più seguendo (e a volte anticipando) i trend gestionali e sportivi del momento. Un piccolo grande miracolo di programmazione e competenza che veste neroverde. Il Sassuolo, un vero e proprio modello di gestione virtuosa che mostra come, con le giuste capacità, si possa crescere in maniera esponenziale.

Anche perché quando nel 2002 Giorgio Squinzi, presidente della Mapei, decide di entrare ufficialmente in società come patron, dopo essere precedentemente sponsor del club emiliano, il Sassuolo è in Serie C2, mentre una manciata di anni prima il club era addirittura tra i dilettanti. La scalata al successo è lunga e tortuosa, perché nonostante alle spalle ci sia un colosso industriale, le spese del Sassuolo non sono faraoniche. Al momento di decidere come affrontare la sfida, la società preferisce una crescita costante, senza scossoni, che permetta di gettare le fondamenta di un club capace, all’occorrenza, anche di autofinanziarsi.

I PRIMI SUCCESSI

E pian piano, i risultati sportivi arrivano, nonostante qualche delusione iniziale. La prima promozione dell’era Mapei risale alla stagione 2005/06. Quell’anno il Sassuolo, guidato da Gian Marco Remondina, arriva secondo nel girone B di Serie C2 e vince la finale playoff contro il Sansovino. L’annata successiva è positiva, con un secondo posto nel girone A di C1, ma non basta per la promozione in B, visto che i neroverdi perdono la semifinale playoff contro il Sassuolo.

Nel 2007/08 ci vuole un allenatore emergente, un certo Massimiliano Allegri, per centrare la seconda promozione in tre stagioni. Della B il Sassuolo diventa presto protagonista, vedendo sulla panchina anche Stefano Pioli, ma per il capolavoro ci vuole Eusebio Di Francesco. L’abruzzese, ingaggiato nella stagione 2012/13, centra la promozione in A vincendo il campionato cadetto.


Dunque, il Sassuolo è nella massima serie dalla stagione 2013/14 e, escludendo l’anno dell’esordio, si è sempre distinto positivamente. La prima annata in A è accidentata e porta a un breve esonero di Di Francesco, sostituito per cinque giornate da Malesani. L’ex Parma e Fiorentina però infila altrettante sconfitte e il tecnico della promozione torna in tempo per salvare la squadra. Di Francesco resta a guidare i neroverdi fino alla stagione 2016/17, al termine della quale viene ingaggiato dalla Roma.

Nel frattempo, nel campionato 2015/16, la squadra arriva sesta in campionato e guadagna una storica ed inaspettata qualificazione in Europa League per le scommesse e quote per il calcio. Al posto dell’abruzzese arrivano prima Bucchi (sostituito di Iachini) e poi De Zerbi, che conferma il Sassuolo come grande scuola per i tecnici emergenti.


Ma se la parola chiave è continuità, lo si deve anche ai calciatori. E il simbolo della scalata del Sassuolo non può essere che Domenico Berardi. L’attaccante classe 1994 viene acquistato dal Cosenza e termina l’attività giovanile nel Sassuolo. Nella stagione 2012/13 è uno dei grandi protagonisti della promozione, segnando 11 reti in Serie B e guadagnandosi l’interesse della Juventus, che lo acquista in comproprietà. L’impatto con la massima serie non è problematico, anzi. Berardi si dimostra un calciatore che in A può decisamente dire la sua, segnando 31 reti nelle prime due stagioni.

La Juventus decide di non riscattare la metà, lasciandolo al Sassuolo, di cui diventa vicecapitano e miglior marcatore di sempre. Per lui arriva anche la nazionale (5 presenze), anche se per il grande salto al ragazzo di Cariati manca la continuità. Dopo i grandi exploit iniziali, Berardi non riesce più a raggiungere la doppia cifra a causa di alcuni infortuni e dell’addio del suo mentore Di Francesco. Nella stagione 2019/2020, però, il ventiseienne è già a quota nove, dimostrazione che quando il carattere un po' fumantino e un fisico che a volte fa scherzi vengono tenuti a bada, il talento c'è eccome.

IL MAPEI STADIUM

Un altro elemento fondamentale nello sviluppo del Sassuolo è certamente il Mapei Stadium di Reggio Emilia - Città del Tricolore. L’ex Stadio Giglio è il primo stadio di proprietà della storia del calcio italiano ed è stato costruito negli anni Novanta dalla Reggiana. Dopo una serie di problematiche economiche del club granata, nel 2013 è stato rilevato dalla Mapei che lo ha trasformato nella casa del club neroverde.

Nel corso degli anni l’impianto è stato utilizzato anche per le partite della nazionale, oltre che per le partite europee del Sassuolo e dell’Atalanta, che lo ha utilizzato per l’Europa League nel periodo in cui stava ristrutturando l’Atleti Azzurri d’Italia. Tra le strutture della Mapei, che si è sempre occupata anche di ciclismo, c’è inoltre il centro studi e ricerche, un laboratorio all’avanguardia per quello che riguarda la medicina sportiva.


Nell’ottobre 2019, il Sassuolo e tutto il calcio italiano sono stati colpiti dalla morte di Giorgio Squinzi, ma come ha spiegato il DS Carnevali, protagonista della "fenomenata" Boga sul mercato, i tifosi neroverdi non devono preoccuparsi. I due figli del Patron, Marco (laureato in chimica industriale) e Veronica (laureata in scienze politiche), garantiranno la continuità aziendale.

Il Sassuolo, del resto, ha anche imparato a camminare con le proprie gambe. Il club è una società modello e nel corso degli anni, attraverso la valorizzazione del parco giocatori e una gestione virtuosa, è riuscito a creare un modello vincente e positivo per tutto il calcio tricolore. L’ultimo regalo di Giorgio Squinzi, nato con il cuore rossonero (era un grandissimo tifoso del Milan) ma che è diventato un simbolo neroverde.

April 16, 2020
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Che rivalità in Serie C!

Non è prerogativa esclusiva di Serie A, B o del calcio internazionale assistere alle grandi sfide calcistiche, quelle per le quali l'attesa e il fervore possono durare un anno intero. Di "derby calienti" la C è letteralmente colma e, qui di seguito, proponiamo una selezione delle sfide tra realtà separate da un fiume, da una manciata di chilometri da "cugini che si guardano in cagnesco", sempre restando tuttavia nel recinto della parabola sportiva. Sono sfide che riempiono ancora gli stadi e che fanno ancora divertire!

GIRONE A - PRO VERCELLI NOVARA

Separate dal fiume Sesia lungo il Piemonte Orientale, Vercelli e Novara hanno parecchi aspetti in comune: anzitutto Silvio Piola, che dà il nome agli stadi di entrambi i club, il cannoniere più prolifico della storia del calcio italiano, cresciuto tra le Bianche Casacche, squadra della sua città e congedatosi dal calcio dopo numerose stagioni all'ombra di San Gaudenzio, passando per Lazio e Juventus, oltreché campione del mondo con l'Italia nel 1938 con tanto di doppietta nella finale di Parigi contro l'Ungheria, vinta 4-2.

Entrambe le città sono circondate dalle risaie, le cui spighe producono i chicchi del riso più apprezzato al mondo per qualità e prelibatezza. Sono separate dal fiume Sesia, si diceva: Vercelli a ovest, Novara a est. A separare i due capoluoghi, appena 22 chilometri. Ma ci sono anche alcune differenze basilari: Vercelli rappresenta la storia del calcio italiano anche nel palmarès, con la bellezza di 7 scudetti, conquistati dai "Leoni" dalla Pro tra il 1908 e il 1922. Novara - 104mila residenti - ha più del doppio degli abitanti di Vercelli.

I primi "guardano in direzione Milano" e rimproverano agli eusebiani uno stile di vita, a loro dire, eccessivamente contadino. Ma le caratteristiche di questi due "biasimi", in questo senso, sono perfettamente vicendevoli. Le due città (in cui a zanzare e umidità si dà del tu ogni giorno) fanno parte del "Quadrilatero" storico del calcio piemontese (e, ai tempi, italiano) che vede come altri due vertici Alessandria (sempre in Serie C girone A) e Casale (oggi in D).

Il caso ha voluto che l'emergenza Covid-19 bloccasse il campionato proprio alla vigilia del duello di ritorno tra Bianchi e Azzurri, che si sarebbe dovuto giocare al "Piola" vercellese. Nella sfida di andata, curiosità, la Pro - allenata da Alberto Gilardino - si impose 1-0 con un gol giunto dopo appena 9 secondi di gioco grazie a un colpo di testa vincente di Gianmario Comi, figlio peraltro di Antonio Comi, ex giocatore e attuale direttore generale del Torino. Nell'attuale girone A di Serie C, un altro derby da tenere in seria considerazione è naturalmente quello tra Como e Lecco.

GIRONE B - L'EMILIA E LA ROMAGNA

Il derby Modena-Reggiana è anche denominato Derby del Secchia, dall'omonimo fiume che segna il confine tra la provincia di Modena e quella di Reggio Emilia. Anche questa storica rivalità è molto sentita dalle due tifoserie e dalle due città in qualsiasi ambito (le province sono confinanti e le città estremamente vicine). Le due tifoserie sono riuscite a riempire i rispettivi impianti anche l'anno scorso quando entrambi i club erano impegnati a togliersi dalle secche post fallimento della Serie D, categoria che certo non rappresenta al meglio la storicità di Modena e Reggiana (oggi Reggio Audace, che freme storicamente anche per il confronto col Parma).

Furono i granata ad aggiudicarsi - per 1-0 - il match disputato in trasferta al "Braglia" con rete dell'esperto attaccante Stefano Scappini.

D'accordo, di mezzo c'è anche il Ravenna, ma il derby più caldo della Romagna nel girone B dell'attuale Serie C, ci sentiamo di riservarlo a Cesena-Rimini. I primi si attribuiscono l'invenzione della piadina, i riminesi sostengono di farla più buona rimproverando ai cugini dell'entroterra l'eccessivo spessore nella consistenza. Una diatriba sfociata anche sugli strisconi da stadio.  Lo scorso 20 ottobre finì 1-1 allo stadio "Romeo Neri": botta e risposta Karlo Butic (su rigore)-Scott Arlotti.

GIRONE C - REGGINA-CATANZARO

C'è il Bari (un pesce fuor d'acqua a queste latitudini calcistiche) e le altre realtà pugliesi, c'è lo scontro caldissimo con l'Avellino, che proprio derby non è. C'è Avellino-Casertana e Cavese-Paganese per la Campania. Ma c'è, soprattutto, Reggina-Catanzaro, "U Classicu", come viene chiamato da quelle parti.

Formalmente il "Derby della Calabria" è quello che oppone i giallorossi al Cosenza (oggi in Serie B), ma altrettanto uniche sono le suggestioni che fornisce il confronto il capoluogo di regione e la città affacciata sullo Stretto. Per le scommesse e quote per il calcio già disputate le due "bollenti" partite stagionali, entrambe vinte 1-0 dalla Reggina schiacciasassi, primissima nel raggruppamento meridionale e destinata al ritorno in Serie B in attesa delle disposizioni della FIGC.

Una curiosità storica, tutta a favore del Catanzaro: i giallorossi vantano infatti la vittoria con maggiori reti di scarto: 5-0 in casa, il 29 marzo del 1953 nel campionato di Quarta serie.

*L'immagine di apertura dell'articolo è di Ivan Benedetto, fotografo ufficiale della Pro Vercelli. 

April 16, 2020
Stefano Fonsato
Body

Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off