Nell’Italia dei campanili, piccole squadre alla riscossa.


Nell’Italia dei campanili, il campionato di calcio ha regalato soddisfazioni anche a cittadine di provincia: queste le dieci piazze più piccole che hanno preso parte alla Serie A ottenendone fama e gloria.

In principio fu biancoceleste, poi - in onore dello sponsor - divenne biancorossa. La città di Mantova (49mila abitanti) è nella top ten di questa speciale classifica; la sua squadra prese parte al campionato di Prima categoria della stagione 1919/1920, inserita nel girone emiliano. Apparizione fugace, non l’unica. I fasti della formazione virgiliana presero forma grazie a due grandi uomini: Edmondo Fabbri e Italo Allodi. All’inizio degli anni ’60, il Mantova diventa per tutti “il piccolo Brasile” perché è stato ingaggiato Angelo Benedicto Sormani, centravanti della Nazionale verdeoro.

Nel corso degli anni, arriveranno a vestire la maglia del Mantova anche Dino Zoff, il tedesco Karl Heinz Schnellinger, Giacomo Losi e Bruno Nicolè. La squadra resta negli annali per la stagione 1966/67 quando nell’ultima giornata - battendo l’Inter per 1-0 - consegnò lo scudetto alla Juventus.

Al nono posto c’è Empoli (48.600 abitanti); la squadra nel 1986 sfrutta la penalizzazione del Vicenza e viene promossa in Serie A. L’esordio nella massima serie è clamoroso; due successi nelle prime due giornate di campionato. Alla fine, la formazione di Salvemini si salva in extremis. Molti gli allenatori passati per Empoli e successivamente divenuti famosi: su tutti, Spalletti e Sarri.

Quella del Lecco (48.500 abitanti) è un’altra storia che appartiene agli anni sessanta. La squadra prende parte al primo campionato di Serie A nel 1960-61, e alla fine riesce a salvarsi dopo uno spareggio a tre contro Udinese e Bari grazie ai gol di Enrico Arienti, un emigrato di ritorno dalla Svizzera. L’exploit del Lecco avviene nel 1977 quando - lasciata da tempo la Serie A - vince il torneo Anglo-Italiano battendo in finale per 3-0 il Bath City.

Arrivò a un soffio dal prestigioso trofeo anche l’Ascoli (48 mila abitanti) che nel 1995 perse la finale di Wembley contro il Notts County. Ma il calcio nella cittadina picena è unito in maniera inscindibile al nome di Costantino Rozzi: grazie al costruttore marchigiano, la squadra conquista la serie A presentandosi ai nastri di partenza del campionato 1974-75 con la sapiente guida di Carlo Mazzone.

La formazione bianconera scrive pagine epiche, sfiora la qualificazione in Coppa Uefa nel 1979-80 arrivando al quarto posto alle spalle di Inter, Juventus e Torino. Nel 1987 l’Ascoli conquista la Mitropa Cup contro il Bohemians ČKD di Praga. Diversi i campioni che hanno vestito la maglia bianconera: da Felice Pulici a Bruno Giordano dal brasiliano Dirceu al suo connazionale Casagrande.

La leggenda della Pro Vercelli (46 mila abitanti) la conoscono in tanti: sette scudetti tra il 1908 e il 1922. L’ultimo tricolore conquistato - come vedremo anche in seguito - è un titolo controverso, perché la stagione 1921/22 ha un’anomalia di fondo, generata dallo scisma del calcio italiano che conta due differenti campionati: quello organizzato dalla Figc e quello organizzato dalla Confederazione Calcistica Italiana (CCI) al quale partecipano le formazioni più importanti.

La spaccatura rientrerà l’anno successivo. Ma la “Pro”, pur potendo contare successivamente su un campione del calibro di Silvio Piola, non riuscirà più a vincere il titolo.

A Frosinone (46 mila abitanti) negli ultimi anni la squadra di calcio ha rappresentato il vanto dell’intera Ciociaria: la storica promozione in Serie A risale al 2015, l’impresa porta la firma del tecnico Roberto Stellone, ma buona parte dei meriti sono da ascrivere al presidente Maurizio Stirpe, capace di scegliere un indirizzo imprenditoriale vincente.

Il calcio ha un sapore antico dalle parti di Torre Annunziata (42 mila abitanti). Il club campano partecipò al campionato di massima serie nella stagione 1923-1924, la squadra che rappresentava l’orgoglio della cittadina era il Savoia, che arrivò fino a disputare la finalissima per lo scudetto contro il Genoa; alla sconfitta per tre a uno rimediata in trasferta, seguì un onorevole pareggio casalingo.

IL PODIO

Si arriva sul podio, con le tre piazze più piccole della storia ad aver giocato nel principale campionato di calcio italiano. A dire il vero, Sassuolo (41 mila abitanti) non ha mai visto una partita di Serie A, la squadra gioca nello stadio di Reggio Emilia. L’impresa della promozione in Serie A risale al 2013 e porta la firma della famiglia Squinzi. Diversi i tecnici passati sulla panchina neroverde e successivamente divenuti famosi: Massimiliano Allegri e Stefano Pioli, ma anche Eusebio Di Francesco, artefice della prima, storica promozione in A, clamorosa per le scommesse calcio!

A Casal Monferrato (33 mila abitanti) si è scritta la storia del calcio italiano; il Casale - con Alessandria, Pro Vercelli e Novara - fece parte del “quadrilatero” all’alba del secolo scorso, quattro squadre che limitarono il sopravvento della Juventus e delle formazioni milanesi. I nerostellati vinsero lo scudetto nella stagione 1913-14, battendo nella doppia finale la Lazio.

La piazza più piccola ad aver militato in Serie A è Novi Ligure (28 mila abitanti) grazie alla Novese. La formazione biancoceleste non solo partecipò al campionato, ma nel 1921-22 vinse lo scudetto nella finale contro la Sampierdarenese. Fu un campionato anomalo perché quello fu l’anno della scissione: i club più forti fondarono una propria federazione, la C.C.I (Confederazione Calcistica Italiana), le altre continuarono a partecipare al campionato FIGC.

La Novese - insieme alla Pro Vercelli e al Casale - solo le uniche tre formazioni ad aver vinto lo scudetto, pur non essendo le loro città capoluogo di provincia. La stagione precedente alla vittoria del titolo, la Novese era nel campionato di Seconda categoria, ovvero in Serie B. E’ per questo l’unica squadra ad aver vinto lo scudetto alla sua prima partecipazione in Serie A, ma tale record non viene riconosciuto negli annali per lo scisma avvenuto proprio in quell’anno.
 

*La foto di apertura dell'articolo è di AP Photo.

April 3, 2020
simone pieretti
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Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

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I club calcistici italiani nel Mondo

Non solo Boca

Le squadre italiane nel Mondo: italiani, popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori. E, già che ci siamo, di fondatori di squadre di calcio.

Esattamente come gli inglesi, che vagando per l’Europa e per il mondo hanno creato società che sono ancora oggi eccellenze assolute in paesi che hanno poco a che fare con il Regno Unito (il Milan o il Peñarol, tanto per dirne un paio), anche il tricolore ha avuto un certa importanza nella nascita di club storici.

La Buenos Aires italiana

Le squadre italiane in Brasile

Le squadre italiane in Cile, USA, Australia

Al punto che quasi quasi si potrebbe pensare a un…campionato italiano all’estero. E tra le squadre partecipanti ci sarebbero parecchi nomi altisonanti e conosciutissimi.

La Buenos Aires italiana

Non sorprende certo che in un paese ad altissima discendenza italiana come l’Argentina, i nostri compatrioti emigrati abbiano avuto un ruolo importante nella fondazione di parecchi club.

E se i colori del River Plate, il bianco e il rosso, sono quelli della città di Genova vista l’ascendenza ligure di alcuni dei fondatori, è assai più celebre (e celebrato) l’ascendente tricolore sul Boca Juniors. Il mito degli Xeneizes (i genovesi) nasce dall’idea di un gruppo di ragazzi di origini italiane che vivono nel quartiere de La Boca.

E poco importa che invece i colori sociali siano stati presi dalla bandiera svedese, perché la storia del club, con i tanti oriundi forniti alla nostra nazionale nel corso dei decenni non fa altro che confermare l’anima tricolore dei 34 volte campioni d’Argentina e 6 volte padroni del Sudamerica.


L’Italia fa anche capolino altrove, come nella storia del San Lorenzo de Almagro prende il nome dal prete salesiano Lorenzo Massa, figlio di un torinese.

Le squadre italiane nel Mondo

Ma per trovare un’altra squadra davvero tricolore bisogna fare un salto al quartiere Liniers, dove alcuni italiani contribuiscono a fondare una squadra destinata a diventare celebre: il Velez Sarsfield, ora celebre per la sua V rovesciata, ma che un centinaio di anni fa vestiva bianco, rosso e verde. Un passato che di recente è stato ricordato con una terza maglia celebrativa.

Chi invece rende le sue origini molto chiare è il Deportivo Italiano, che nasce come selezione dei migliori giocatori di un torneo amatoriale tra emigrati e che nel 1978 si toglie addirittura lo sfizio di giocare contro la Nazionale di Bearzot, in Argentina per il Mondiale. Finisce 1-0 con gol di Bettega per gli…azzurri originali.


Il tricolore in Brasile

Anche l’altro gigante del Sudamerica non può però farsi mancare l’influsso italiano. Al punto che di gloriosi club che si chiamavano Palestra Italia ce ne sono addirittura…due. Il primo è il Palmeiras, che nasce nel 1914 proprio come squadra delle comunità italiana di San Paolo.

Quando però nella seconda guerra mondiale il Brasile e l’Italia si ritrovano su fronti opposti, il club è costretto a cambiare nome e stemma, togliendo la “I” rossa e diventando biancoverde, come lo conosciamo al giorno d’oggi.

Luiz Adriano e compagni Campioni contro il Santos, da favoriti per le scommesse sportive, nella finale tutta brasiliana di Libertadores 2020 al Maraca di RJ!

Le squadre italiane nel Mondo

Una storia simile è quella del Cruzeiro. Anche a Belo Horizonte, ispirati dai connazionali di San Paolo, nel 1921 gli italiani creano la loro Palestra, permettendo l’iscrizione solamente a atleti di provata discendenza tricolore.

Il nome attuale, preso anch’esso nel 1942, deriva dalla Croce del Sud, la costellazione dell’emisfero australe. I colori del club cambiano, ma il riferimento all’Italia, volontario o no, non sparisce del tutto visto che da bianco rossi e verdi i membri della Palestra diventano comunque…blu. E se non è azzurro, poco ci manca. 


Azzurro, con scudo sabaudo, è invece lo Sport Club Savoia, la prima squadra italiana fondata in Brasile a fine Ottocento, che con la Palestra Italia gioca il primo derby tricolore all’estero nel 1915.

Il Fluminense è la squadra italiana di Rio

C’è poi un’altra big “italiana” che così poi italiana non è. Il Fluminense è la squadra della comunità tricolore di Rio de Janeiro, nonostante le sue origini siano inglesi.

Ma il fatto che il club utilizzi i colori della nostra bandiera e sia gemellato con il Velez lo rende il più tifato dai discendenti degli italiani che vivono nella cidade maravilhosa. Il Fluminense nel giugno 2014, ha ospitato la nazionale Azzurra per l'ultima amichevole prima dell'inizio dei Mondiali.

Nomi e colori, del resto, creano strane associazioni in Brasile. Dove c’è una Juventus granata. Confusione? Neanche troppo. Il Club Atletico Juventus nasce nel 1924 in onore dell’industriale del cotone Rodolfo Crespi, grande tifoso bianconero. Il problema è che in Brasile di maglie bianconere ce ne sono anche troppo, quindi la scelta cade sui colori dell’altra squadra torinese.

Di conseguenza ne scaturisce qualche storia abbastanza particolare, come l’avviso allo stadio che spiega che le maglie bianconere sono vietate. Nessun conflitto per quello che riguarda il Napoli Esporte Club, nato nel 1979 nei pressi di San Paolo e parecchio ispirato a club che al San Paolo…ci gioca.

Azzurri e con la N sul petto, tutto perfetto Giusto il simbolo cambia, perché al posto del classico ciuccio il Napoli verdeoro preferisce la raposa, la volpe. 

Squadre in Cile, USA, Australia


Non solo Brasile e Argentina, però. Anche il Cile ha la sua squadra tricolore: l’Audax Italiano. Il club è stato fondato da italiani emigrati a Santiago, il 30 novembre 1910 con il nome di Audax Club Ciclista Italiano, per poi diventare club sportivo negli anni Venti.

E nel 2007 il tricolore sul petto dei cileni ha anche preso parte alla Libertadores. Non sono certo ad alti livelli i Brooklyn Italians, che giocano nelle serie minori statunitensi ma indossano orgogliosamente l’azzurro dal 1949, quando hanno deciso di rappresentare gli abitanti di Little Italy appassionati di football. Anzi, di soccer.

E persino in Australia il calcio è stato esportato (anche) dagli italiani. Un giovanissimo Bobo Vieri prima di rientrare in Italy ha difeso i colori del Marconi Sydney, che ha vinto quattro volte il campionato prima che si trasformasse nella Australian Football League.

Anche l’ex laziale Paul Okon, amico di Bobo, ha mosso i primi passi nel club nato nel 1956 e che nel corso degli anni ha alternato una divisa azzurra a una tricolore.

E da quelle parti c’è addirittura chi ha avuto sul petto l’Etna: il Balcatta Football Club, nato da immigrati siciliani, che hanno voluto immortalare un simbolo della loro terra d’origine nello stemma del club. Insomma, tutto il mondo è paese. E spesso, tutto il calcio è italiano.

*La foto di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo); la seconda di Andre Penner (AP Photo). Prima pubblicazione 2 aprile 2020.

 
August 5, 2025
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Tatuaggi calcio - Storie di simboli e passioni!

Dipingere la passione, legarsi per sempre a ciò che si ama. Il calcio è fede, è amore incondizionato, è irrazionale palpito, inspiegabile moto che spinge il tifoso a compiere gesti all’apparenza senza senso per chi, invece, quel fuoco dentro non ce l’ha.

I tatuaggi dei calciatori e quelli più richiesti dai tifosi

I tatuaggi per le squadre di provincia

Come tatuarsi e imprimere in eterno sulla propria pelle un riferimento alla propria squadra, al proprio campione preferito. Un’arte, quella del tatuaggio, che in Italia ha preso sempre più piede negli ultimi anni, sconfiggendo antichi pregiudizi e diventando una vera e propria questione di stile. Lo sa bene Francesco Cuomo, art director dell’Eternal City Tattoo insieme a Massimo “Disegnello”, Daniele Caminati e Andrea Salvitti.

Lavorano nel loro studio di Roma e si dividono tra laziali e romanisti (biancocelesti i primi tre e giallorosso il quarto) perché va bene la fede, ma la professionalità è sacra e non si discute: si sono sicuramente affermati tra i migliori tatuatori d’Italia!

Scorrendo le pagine social dedicata all’attività è un continuo imbattersi in piccole-grandi opere d’arte a tema calcistico. Il ritratto di un campione come Signori, Del Piero, De Rossi, Crujiff, Milito o Gattuso; crest di tutte le squadre di Serie A e riproduzioni di scenografie ideate dalle varie curve. Gemme che si stagliano sulla pelle del tifoso e che lì rimarranno per sempre, veri e proprio tocchi d’artista che servono a ribadire l’amore che si prova per un club o per un calciatore che ha segnato la vita di chi decide di rendergli così omaggio. 

Con la collaborazione di Marco Valerio Bava intervistiamo per il blog di 888sport Francesco Cuomo.

Ciao Francesco, il calcio è fede ed è un legame viscerale che si instaura con la propria squadra del cuore. Quanti sono i tifosi che vengono da voi a chiedere un tatuaggio a tema calcistico?

“Direi che la statistica è ormai oltre il 100% rispetto a 20 anni fa, quando ho iniziato a tatuare. E anche il lavoro richiesto si è evoluto tantissimo. Anni fa, ai miei inizi, le richieste erano piuttosto basiche: lo stemma della squadra tifata che fosse ufficiale o stilizzato, tatuaggi inerenti ai gruppi ultras e niente di più. La domanda insomma era standard. Oggi, invece, è cambiato tutto e i lavori sono molto più sviluppati ed elaborati. Merito anche dei clienti che hanno molta fantasia.

Magari vedono il tatuaggio sulla mia pagina Instagram e poi vengono da me con delle modifiche che lo rendono ancora più accattivante. Poi cambia il genere rispetto alla tifoseria. Se mi concentro solo sull’ambiente di Roma, dove lavoriamo, i laziali chiedono tatuaggi relativi alla tradizione, alla maglia; mentre i tifosi della Roma nella maggioranza richiedono cose inerenti all’idolo che può essere Totti o De Rossi o alla città come un Colosseo con lo sfondo giallorosso tanto per dirne una”. 

Quanti calciatori sono venuti da te per un tatuaggio? Qual è il tatuaggio più particolare o che ti è rimasto più impresso fatto a un giocatore?

“L’aquila sulla schiena di Paolo Di Canio resta sicuramente un bel ricordo e un lavoro al quale sono rimasto legato. Un tatuaggio importante anche a livello di dimensioni. Il mio collega, Daniele, ha fatto tatuaggi a Milinkovic-Savic. Gli altri miei colleghi stanno tatuando Murgia e Cataldi. Io personalmente ho tatuato anche Fabio Firmani e Dejan Stankovic. Andrea Salvitti ha tatuato Amato Ciceretti”. 

Chi sono invece i giocatori più richiesti dai tifosi?

“Se parliamo di Roma, allora ti dico che i laziali sono molto legati a Chinaglia, Di Canio, Nesta, Gascoigne e ad argentini del passato come Veron, Simeone, Almeyda. I romanisti invece ovviamente a Totti e De Rossi, ma anche ad Agostino di Bartolomei. Poi ci sono anche tifosi delle altre squadre e la richiesta è per idoli come Del Piero, Pippo Inzaghi, Zanetti, Maradona. Ma anche giocatori del passato come Best o Crujiff”. 

Il tatuaggio di Tyson Casiraghi!

Non solo calcio di Serie A. La passione è fatta anche di radicamento sul territorio e amore per realtà meno note. Quanti sono i tatuaggi fatti legati a squadre “piccole” o di provincia?

“Tantissimi ed è un aspetto che mi affascina molto. Io partecipo a molti raduni e convention e ormai il mio lavoro è legato al calcio quasi per il 90%. Ho tatuato recentemente su un ragazzo lo stendardo del Sulmona. Ma ho lavorato anche con tanti ragazzi che seguono l’Avezzano, il Legnano. Le storie che escono dai loro racconti sono bellissime, domeniche passate con un manipolo di amici, in trasferta nei paesi o nelle città vicine, dove il campanilismo è ancora fortissimo.

Passando ore in una stanza solo con loro il discorso inevitabilmente verte sul calcio e sulla loro passione e ti rendi conto quanto attaccamento c’è e quanto il calcio moderno abbia inficiato certe realtà. Quando ero io un ragazzo gli stadi erano pieni anche in Serie C, oggi molte squadre invece rischiano di fallire e dopo questa emergenza  tante realtà sono destinate a sparire portandosi via la passione di uomini e donne che sono legati al loro territorio e alla squadra che lo rappresenta”. 

Da tatuatore hai dovuto combattere anche con il pregiudizio?

“Quando ho iniziato era molto complicato e chi tatuava non veniva visto come un vero lavoratore. Il mio sembrava un hobby e invece è un lavoro vero. Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate. Dipingere sulla pelle è difficilissimo, parliamo di una superficie imperfetta, con il sangue che esce di continuo, senza contare i movimenti che una persona, consciamente o inconsciamente, può fare. Il tatuatore è un vero artista”. 

Segui le scommesse calcio di 888sport!


*L'immagine di apertura è di Rodrigo Abd (AP Photo). Prima pubblicazione dell'articolo, 1 aprile 2020.

January 27, 2021
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Alberto Monguidi: “Il 9 aprile partirà il campionato eSport della Serie BKT”

Nonostante lo stop alle attività sportive, BeSports non si ferma, come recita il comunicato ufficiale pubblicato sul sito della Lega. Dieci tornei qualifier online hanno selezionato nelle ultime settimane settimane i giocatori che disputeranno dal 9 aprile il campionato ufficiale su Pes 2020 della Lega B. 

I numeri ottenuti durante la fase delle qualificazioni sono impressionanti: 1693 partecipanti, 2534 partite giocate per un evento che ricalca quello della Serie BKT, che non si disputa sui campi ma su Pes 2020, licenziatario esclusivo dei diritti della Serie BKT nel mondo dei videogiochi per la stagione 2019/20. E l’emozione non ci rimette, garantisce la Lega della seconda divisione italiana. 

Il prossimo passo sarà l’abbinamento di due player per squadra, attraverso un’estrazione. Il totale dei partecipanti al campionato, che si concluderà il 21 maggio dopo 38 giornate online prima dei playoff, è di 40 giocatori, trenta qualificati più dieci pro-player già al servizio di altrettanti club della Serie B

Ne abbiamo parlato, in esclusiva, con Alberto Monguidi, Responsabile Comunicazione della Lega Serie B, con un occhio rivolto anche all’eventuale ripresa dell’attività sportiva, tema molto dibattuto negli ultimi giorni.

Si è molto parlato della vostra iniziativa del campionato eSport della Serie BKT. Ci puoi spiegare come nasce l'idea?

“Dall’incontro fra le esigenze di tanti giovani tifosi, che ci chiedevano di poter giocare con la loro squadra del cuore attraverso una console, e la volontà della Lega B e soprattutto del presidente Balata di essere presenti e all’avanguardia in tutte quelle tecnologie che possono portare benefici alla Serie BKT. Da qui l’accordo con Konami, che ha subito creduto nella nostra categoria attraverso Pes 2020”.

Come la sviluppate? Qual è la peculiarità del vostro campionato?

“Noi siamo un campionato di giovani per giovani e strettamente connesso con i territori e la propria gente. Per questo abbiamo organizzato dieci tornei nelle scorse settimane che hanno coinvolto 1693 partecipanti in 2534 partite. Ora i qualifier inizieranno il campionato vero e proprio, il 9 aprile, su Pes 2020 che durerà 38 giornate come il campionato reale e si concluderà con i playoff. Il progetto è stato sviluppato dalle aree marketing e digital della Lega B grazie al supporto di A.C.M.E e MKERS, società rispettivamente esperte nell’organizzazione di eventi e nelle attività del settore eSport”.

Qual è, nel vostro progetto e nella vostra idea, il rapporto tra calcio virtuale e reale?

“Il calcio virtuale è uno strumento per fidelizzare al nostro campionato le nuove generazioni che hanno esigenze diverse rispetto al tifoso di dieci, vent’anni fa. Quindi è indispensabile dialogare con loro anche attraverso queste piattaforme. Allo stesso modo uscire su Pes 2020 significa entrare nelle case di appassionati e player di tutto il mondo, migliorando l’esposizione del nostro brand. Tutto questo, non dimentichiamolo, è possibile perché c’è un campionato reale alle spalle che rimane il principio da cui non poter prescindere”.   

Gli eSports sono in grande crescita in questo periodo. Cosa ne pensi?

“In questi momenti mi viene in mente il dibattito sulla tecnologia, se è vero che migliora o se invece peggiora le nostre vite. In questo caso permette a molte persone di rimanere in contatto giocando e divertendosi anche solo per qualche minuto. E’ una grande opportunità e non è un caso che i nostri tornei siano andati avanti nelle modalità ovviamente previste dai decreti, senza cioè meeting ma con gare online. In questo modo la Serie BKT in un certo senso è rimasta nelle abitudini di molte persone nonostante il campionato reale sia in questo momento fermo”.  

Scommetti sugli eSports con 888sport.it!

Una domanda sul calcio reale: che ripresa prevedete per il campionato di Serie B? E in caso di annullamento del campionato, cosa si farà con promozioni e retrocessioni?

“Il presidente Balata e tutte le società sono determinate a concludere il campionato quando le autorità preposte lo consentiranno in tutta sicurezza. Ulteriori ipotesi non sono al momento prospettabili”.

*La foto di apertura dell'articolo è di Martin Meissner (AP Photo).

April 1, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Partite di addio per grandi campioni!

La partita a cui nessun calciatore vorrebbe mai pensare? Ovviamente, l’ultima. Spesso l’addio al calcio giocato arriva su grandi palcoscenici, come nel caso di Zidane addirittura nella finalissima mondiale. Altre volte il passo finale è in un match di poco conto, perché così ha voluto il calendario dell’ultima stagione da calciatore. E c’è anche chi, come Montolivo, l’ultimo match ufficiale lo gioca parecchio tempo prima del ritiro effettivo, perché ormai fa coppia fissa con la panchina o con la tribuna.

Ma per molti c’è ancora un’occasione per indossare di nuovo gli scarpini e fare felici i tifosi che per anni li hanno sostenuti: la partita d’addio. Un rito ormai, almeno per i grandissimi campioni. Che spesso dopo aver calcato per l’ultima volta il campo da professionisti, decidono di farsi…una sgambata con gli amici e gli avversari di sempre.

Molti match di addio diventano addirittura degli eventi mediatici, come nel caso de La Notte del Maestro, la partita organizzata da Andrea Pirlo per salutare per sempre il calcio giocato. A vedere le rose in campo, tra campioni del mondo, Palloni d’Oro e vecchie glorie, non c’è da sorprendersi se a San Siro sono giunte cinquantamila persone per onorare la carriera del regista bresciano: un livello tecnico da talmente alto da pensare quasi di inserire per la serata le scommesse e quote per la Serie A!


Già, il pubblico. Una volta era davvero importante che ci fossero i tifosi, anche perché la partita d’addio nasceva con un senso abbastanza diverso da quello a cui siamo abituati. Quando il calcio non permetteva di arricchirsi troppo, terminare la carriera significava per tantissimi giocatori doversi immergere nel mondo reale, magari senza avere idea di cosa fare dopo.

TESTIOMONIAL MATCH A MANCHESTER

Per non parlare dei molti che, come Brian Clough, avevano visto una promettente carriera andare in fumo per un infortunio imprevisto. E quindi il club a cui spesso si sacrificava tutta la carriera decideva di organizzare un match di addio. Anzi, un testimonial. Una vera e propria “testimonianza” di affetto, ma anche economica, perché l’incasso dei match era utilizzato come buonuscita per chi lasciava il calcio, o addirittura soltanto il club. Per le vere icone, quelli che avevano rappresentato una squadra per molti anni, non era raro salutare il proprio pubblico (con o senza ritorno economico) pur non abbandonando il calcio in assoluto.

Il passaggio di consegne tra Evans e Ferdinand nella partita di addio del leggendario Rio!

L’esempio di Wayne Rooney allo United è quello più calzante: Wazza organizza un match tra i Red Devils e il “suo” Everton. Proprio la squadra con cui si accorderà qualche giorno dopo… 


Dunque, il testimonial è nato come modo per il calciatore che si ritira di incassare qualche soldo, magari da investire in un’attività post-calcio. Con gli stipendi attuali offerti dal mondo del calcio, il problema non si pone più e quindi gli incassi finiscono spesso in beneficienza. Quello che in teoria non dovrebbe succedere è che il calciatore a cui viene fatto l’onore ci rimetta.

Ma può accadere anche questo, come insegna il caso di Lundekvam, che nel 2008 dopo un gravissimo infortunio saluta il Southampton con un’amichevole contro il Celtic al St Mary’s Stadium. Peccato che il match alla fine costi 100mila sterline al norvegese, che per colpa di un concerto di Bon Jovi qualche giorno prima deve rizollare il terreno di gioco a sue spese se proprio vuole giocare. I biglietti dei 18mila presenti coprono a malapena le spese…


Altra regola delle partite d’addio? Il match è rigorosamente amichevole. Qualcosa che devono aver dimenticato di dire a chi si è presentato al testimonial di Julian Dicks, che nel 2000 lascia il West Ham. Considerando che di fronte agli Hammers per l’occasione ci sono i baschi dell’Athletic Bilbao, la partita è prevedibilmente maschia. Anzi, forse un po’ troppo, perché alla fine ne scaturisce una rissa, con protagonisti 17 dei 22 giocatori in campo. E all’arbitro, strano ma vero, tocca costringere i due allenatori a sostituire i capitani, rei di non aver saputo controllare i propri compagni.

Chi può vantarsi di essere stato “espulso” durante un testimonial? Due campioni…anche di personalità: Joseba Exteberria e Paolo Di Canio. Almeno da quel caos Dicks ci guadagna 200mila sterline…


E poi c’è anche qualche storia decisamente più a lieto fine. Come quella di Tony Hibbert, leggenda dell’Everton. Che dopo una carriera passata a cercare di segnare, realizza il suo sogno nel 2012 al suo testimonial. Hibbo si incarica di una punizione che, miracolo, trafigge il portiere dell’AEK Atene e manda in delirio anche gli appassionati delle scommesse calcio. Ed è subito invasione di campo da parte dei tifosi, che abbracciano il difensore. Chissà se Hibbert ha dovuto pagare qualche multa. Quel che è certo è che a fine match ha dovuto immediatamente prepararsi per l’inizio del campionato.

Già, perché non è la sua vera partita d’addio, considerando che giocherà con i Toffees fino al 2016. E a questo punto, la domanda di 888sport viene spontanea: ma gliel’avranno mica organizzata…per farlo segnare?

*Entrambe le immagini sono state scattate da Jon Super (AP Photo). 

April 1, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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MilaNazionale: storia di un destino comune

 

Diciotto titoli internazionali, prima squadra italiana a vincere una Coppa dei Campioni e primatista italiana nel numero di vittorie nella massima competizione continentale. La storia di cui può fregiarsi il Milan in campo internazionale, pur riconoscendo il buio caratterizzante larga parte dell’ultimo decennio, è imponente.

Squadra che ha fatto la storia anche all'interno dei confini nazionali con i suoi diciotto scudetti, il Milan ha messo a disposizione della Nazionale calciatori di immenso talento. Oltre i ‘blocchi juventini’, a volte inamovibili per anni, molti calciatori hanno militato nel Milan e, contestualmente, hanno scritto pagine importanti di calcio con l’Italia.

Colui che ha timbrato più presenze da milanista è Paolo Maldini, figlio d’arte di Cesare: la bandiera rossonera ha collezionato, infatti, ben centoventisei presenze - gran parte di queste da capitano - siglando sette reti. Numeri che lo consegnano al podio della classifica delle presenze all-time della Nazionale maggiore. Quattordici anni di onorato servizio conditi da svariate delusioni, come il Mondiale perso ai rigori contro il Brasile nell’edizione USA ‘94 ed il cocente golden gol di Trezeguet in Euro2000 subito contro la Francia. Paolo, tuttavia, è ritenuto all’unanimità uno dei grandi protagonisti dei cicli tecnicamente più validi della storia della Nazionale.

Sei anni dopo la finale europea di Rotterdam, diversa - in positivo - fu la sorte di una folta schiera di suoi compagni di squadra: Andrea Pirlo, Gennaro Gattuso, Alessandro Nesta, Alberto Gilardino, Massimo Oddo e Filippo Inzaghi. I primi due erano titolari inamovibili della squadra capitanata da Marcello Lippi, ma l’apporto degli altri fu altrettanto importante.

Gennaro Gattuso, cuore del centrocampo azzurro Campione del Mondo!

L’altra bandiera del Milan, Franco Baresi, invece ha portato a casa il titolo iridato in Spagna ‘82. Il difensore, nativo di Travagliato, risulta insieme a Fulvio Collovati - passato all’Inter proprio in quell’estate - uno dei due milanisti iscritti all’elenco dei convocati del CT Bearzot. Due pedine niente male per una squadra che, all'epoca, si avviava ad aprire il ciclo epocale targato Arrigo Sacchi (passato alla guida della Nazionale nel ‘91 proprio dopo l’esperienza all’ombra della Madonnina).

Il Milan è risultato il club più ‘presente’ nella Nazionale del primo ed unico europeo vinto, quello del 1968, con ben cinque componenti: Anquilletti, Lodetti, Prati, Rosato e Rivera.

Soltanto una invece la presenza nel primissimo Mondiale vinto dalla Nazionale nell’edizione del 1934. Quel Paolo Arcari che vestì la maglia del Milan per ben sei stagioni (dal ‘30 al ‘36), mettendo a segno settanta gol in centottantasei presenze.

E poi ancora tanti altri, tra i quali spiccano Alessandro ‘Billy’ Costacurta, che ha totalizzato cinquantanove presenze in azzurro, e Demetrio Albertini, che a Milano ha trascorso più di dieci anni, presenziando in Nazionale in ben settantanove occasioni. O come uno dei centrocampisti del grande Milan degli olandesi, vale a dire Roberto Donadoni, che ha fatto parte della spedizione di Italia ‘90 (conclusasi con il terzo posto finale) e che ha totalizzato sessantatre presenze.

L'ULTIMO DECENNIO

Nel decadentismo post scudetto del 2011 e nell'anno dello scudetto perso, con non poche polemiche, ossia il 2012, l’apporto del Diavolo alla maglia azzurra non è cambiato poi di molto. Proprio dopo la delusione subita otto anni prima, furono tre i milanisti che, tra gli altri, portarono l’Italia alla finale di Euro2012, persa poi miseramente con un sonoro 4-0 contro la Spagna. In particolare Antonio Cassano - che insieme ad Antonio Nocerino ed Ignazio Abate formavano il ‘blocco Milan’ - è stato il partner di Mario Balotelli (altro ex Milan), in un attacco che regalò al CT Prandelli non poche soddisfazioni.

Dal passato al presente che, al netto di un'attualità in chiaroscuro, offre buone speranze alla Nazionale di oggi e a quella di domani. L’attuale portiere numero uno indiscusso è, infatti, Gianluigi Donnarumma che, a soli 21 anni, ha già collezionato sedici presenze, garantendosi una titolarità che potrebbe rivelarsi addirittura ventennale, ‘parando’ in maniera magistrale la pesante eredità di Gigi Buffon.

Nell’eredità del blocco difensivo juventino di quest’ultimo decennio composto da Bonucci e Chiellini, oltre che ovviamente all’estremo difensore precedentemente citato, verrà sicuramente coinvolto l’attuale capitano dei rossoneri, Alessio Romagnoli. L’ex Roma è il maggior indiziato per comporre la difesa del prossimo futuro, con un reparto che, dopo anni di bianconero, potrebbe tornare ad avere non poche tinte milaniste.

D’altronde è questo quanto ha mostrato il Milan al nostro calcio: una squadra che negli anni ha stravinto in giro per il Mondo, basando il proprio brand sui successi in campo internazionale, e che ha regalato alla Nazionale calciatori di altissimo livello.Ed è così che, tra tinte rossonere, si intravedono sfumature d’azzurro, colore di una delle Nazionali più titolate al mondo.

Destini, in un certo qual modo, collegati: i gloriosi anni ‘80, ‘90 e 2000 con conseguente calo negli anni 2010. Una storia di speranza comune: quella di ritornare ai fasti di un tempo e di ricominciare a vincere. Così come il Milan e la Nazionale Italiana hanno saputo fare nel corso dei propri trascorsi. - Le Bombe Di Vlad

*La foto di apertura dell'articolo è di Ed Wray (AP Photo); la seconda di Andrew Medichini (AP Photo).

April 1, 2020
888sport
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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Riccardo Guglielmetti: “In MotoGP sarà ancora Marquez contro tutti!”


Ricordiamo che, per validare il campionato mondiale, servono 13 gare. Nelle ultime settimane, gli organismi direttivi del Motomondiale hanno lavorato anche a quello che è stato definito “decreto Cura Motomondiale”, che prevede un pagamento una tantum da parte del promotore Dorna, al fine di garantire la sopravvivenza dei team che stanno perdendo cospicue entrate.

Per il blog italiano di 888sport abbiamo intervistato in esclusiva Riccardo Guglielmetti, giornalista del Corriere dello Sport, per parlare dell’aspetto sportivo del nuovo Mondiale in MotoGP, presentando i protagonisti, le possibili sorprese e le moto.

Parte la stagione in MotoGP. Come ci arrivano le principali scuderie? Chi ha fatto vedere cose migliori nei test?
“Yamaha e Suzuki arrivano nei migliori dei modi, avendo fatto importanti passi avanti per quanto riguarda l'aerodinamica e, soprattutto, la potenza del motore. In particolare, il propulsore della Yamaha è più competitivo rispetto all’M1 dell’anno scorso. La nuova gomma introdotta da Michelin consente alla Yamaha di sfruttare al massimo il proprio potenziale, mentre la Suzuki trova grande fiducia nella curva in percorrenza, aspetto nel quale la Ducati sta ancora faticando, per quanto visto finora.

Ricordiamo sempre, però, che i veri valori in campo  li scopriremo solo quando il motomondiale arriverà in Europa: le prime gare, come visto in passato, sono un po’ da prendere con le molle. In questo inizio di 2020 la Honda è sembrata un po’ in  chiaroscuro, non è sembrata la moto che soddisfava in pieno Marquez, il quale però è riuscito a trovare la quadra nell’ultimo periodo di prove.”

Sarà ancora Marquez contro tutti?
“Penso di sì. Nell’ultima stagione, Marquez ha vinto il mondiale con ben quattro gare di anticipo, ma il mondiale sarebbe finito già ad Aragon se non avesse avuto un problema ad Austin. La Honda non è ancora al top come evoluzione, ma ha un pilota che lei dà una marcia in più in termini di competitività  e i numeri mostrano a tutti quello che è il potenziale del pilota campione del mondo”.

Chi vedi come possibile avversario principale di Marc?
“Secondo me è Dovizioso, che negli ultimi anni ha mostrato di essere l’unico pilota in grado di contrastare l’iberico. Ovviamente spero che ci sia più concorrenza: Viñales, pur avendo vinto alcune gare negli ultimi anni (mi viene in mente Assen, per esempio) purtroppo è un pilota non ha mostrato quella costanza che Dovizioso ha avuto nella lotta con Marquez.

Dovizioso è, quindi, il principale favorito  per contrastare Marquez, in attesa di vedere come si comporta Quartararo, un pilota sicuramente giovane, forte, ambizioso con tanta voglia di mettersi in mostra che, però, è alla sua seconda stagione di motomondiale. Lo scorso anno è arrivato quinto, aveva solo da guadagnarci: adesso ha grande pressione, c’è grande attesa nei suoi confronti e, di conseguenza, l’asticella si deve alzare. Vediamo se è già pronto per essere un pilota in lotta per il mondiale: questa stagione sarà, per lui, una grande prova”.

Dovizioso ha dichiarato: "Vorrei vedere Marquez su un'altra moto". Provocazione? O la differenza tra i due piloti è solamente il mezzo?
“Sono convinto che se mettiamo Marquez su una Ducati, una Yamaha o una Suzuki, lui vince comunque, perché è un pilota fantastico che ha saputo adattarsi a una moto difficile come la Honda cadendo.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: c’è solamente una Honda che va ed è quella di Marquez, perché tutti gli altri stanno faticando e per questo penso che Marquez su qualsiasi moto sarebbe fortissimo  e sono convinto che vincerebbe. Marquez è un pilota che alza l’asticella: gli altri piloti faticano ad arrivare a quel livello. La Ducati è una moto molto competitiva, forse la più evoluta, ma Marquez, a differenza dei suoi compagni, ha saputo tirare fuori il meglio dalla Honda”.

C'è curiosità per la presenza del fratello di Marc. Che ne pensi?
“Alex è andato nel box peggiore possibile, perché si trova con un campione del mondo, con  un fenomeno come Marc che ha costretto Pedrosa e Lorenzo e ha fatto fuori Stoner ai tempi in cui era collaudatore con la HRC. Tutti  coloro che sono andati nel box con Marquez sono durati poco. Ovviamente, essendo Alex suo fratello, ci sarà tra loro uno scambio di informazioni, ma per Alex sarà una prova molto difficile: lo attende un campionato in salita”.


Dove può arrivare Marquez? È davvero imbattibile? Quale può essere, se c'è, un suo punto debole?
“Senza dubbio Marquez parte con tutti i favori del pronostico, ma non è imbattibile. È un pilota che si può battere, lo abbiamo visto durante l’ultima stagione: Dovizioso ci è riuscito in più occasioni, penso all’Austria o al Qatar. La chiave per vincere contro di lui è una sola: ci vuole costanza, che è proprio il cavallo di battaglia di Marquez. Lo scorso anno, infatti, a parte l’episodio di Austin, è salito sempre sul podio: questo è ciò che manca a tutti i suoi rivali”.

Stagione particolare per Valentino Rossi. Cosa possiamo aspettarci dal Dottore?
“Questa è una stagione decisiva per Valentino: più che particolare, direi fondamentale: come lui stesso ha spiegato, se riuscirà a far bene nelle prime gare, se riuscirà ad arrivare nei primi cinque e giocarsi il podio, sono sicuro che deciderà di rimanere in MotoGP. In caso contrario, se dovesse collezionare gare come quelle della nella seconda parte della stagione scorsa, quando è sempre stato a 20 secondi dal primo, in lotta per l’ottavo posto, non avrebbe più senso.

Mi aspetto un Rossi sicuramente più competitivo, la Yamaha è cresciuta: vediamo quanto Valentino riuscirà a tirare fuori da una moto che, come lui ha detto, sembra essere un passo avanti rispetto a quella dello scorso anno”.

Chi sarà la possibile sorpresa, il nome inaspettato della stagione?
“Vorrei dirti Miller, ma è un po’ incostante. Spero possa essere anche l’anno di Petrucci: Danilo è un bravissimo ragazzo che tutti volevano sulla Ducati e poi, dopo le prime gare dello scorso anno,  lo volevano già tutti fuori”.

Tutte le quote di 888sport.it per scommettere sulla MotoGP!

 

*La foto di apertura dell'articolo è di Jose Breton (AP Photo).

March 29, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Questione di... centimetri!

 

Nel ricordare le finali sui 180 minuti, un capitolo a parte merita l’edizione 1991-1992 della Coppa Uefa. Tra le 64 partecipanti ai nastri di partenza, la FIGC presenta 3 squadre: l’Inter, subito eliminata dal Boavista e due affascinanti realtà che scriveranno, proprio in quella stagione, le pagine più belle delle serate europee di Genoa e Torino, con gli attaccanti sudamericani Aguilera e Casagrande sugli scudi!

Dei ragazzi guidati dall’indimenticabile capitan Signorini rimane nella storia e nella memoria dei tifosi la meravigliosa serata di Anfield, prima di essere superati dall’Ajax ad un passo dalla doppia finalissima. 

Il Toro, invece, “mata” in semifinale il Real Madrid. Erano i granata di Emiliano Mondonico e della sua sedia alzata. Una formazione da sogno coi vari Martín Vázquez, Gianluigi Lentini, Walter Casagrande, Enzo Scifo, Enrico Annoni e tanti altri, risorta dalle ceneri della Serie B, affrontata appena due anni prima. Di fronte, una fucina di giovani campioni, quella dell'Ajax di Louis van Gaal, in un'epoca in cui i club italiani dominavano la scena calcistica continentale.

L'andata - Primo atto al "Delle Alpi" fresco di costruzione, dopo aver ospitato le gare del Brasile ai Mondiali ’90 nel capoluogo piemontese; si gioca davanti a 70.000 tifosi granata, più tifosi, quindi, della semifinale Germania-Inghilterra! Gli olandesi, sbarazzini, passano in vantaggio al quarto d'ora con un gran destro di Wim Jonk che sorprende Marchegiani. La seconda frazione si apre con un Torino più votato all'attacco e che trova la rete del pareggio con Walter Casagrande, che ribadisce in rete la respinta difettosa di Stanley Menzo sulla conclusione di Vincenzino Scifo.

Passano poco più di dieci minuti e Silvano Benedetti si fa ipnotizzare da una finta a rientrare di Dennis Bergkamp che ottiene con tecnica ed astuzia la massima punizione: dagli 11 metri Stefan Pettersson realizza con freddezza, spiazzando Marchegiani, già nel giro della Nazionale. Cinque minuti prima del fischio finale, ci pensa ancora Casagrande, imbeccato da una giocata in verticale di Lentini a superare con la forza di un intero stadio Blind e Menzo. Con il gol del definitivo 2-2, le speranze del Toro restano accese in vista del ritorno, ma, con la regola dei gol in trasferta, solo una vittoria o un pareggio dal 3-3 in avanti sarebbero utili!

 

L'incontro di ritorno - Allo Stadio Olimpico di Amsterdam, dopo 14 giorni, la squadra di van Gaal, priva del genio Bergkamp, sceglie una tattica più difensiva, limitandosi al controllo di palla e puntando solo raramente la porta avversaria difesa da Marchegiani con Pettersson e Brian Roy, che solo qualche mese dopo sbarcherà in A per rinforzare il Foggia, in quella che a distanza di quasi 30 anni è ancora ricordata come la prima operazione del  genio del mercato Mino Raiola. La stessa Ajax, solo 3 anni più tardi, conquisterà una clamorosa vittoria in Champions, superando il Milan, contro ogni pronostico di scommesse calcio.

Il Mondo, rispetto alla partita di andata, recupera Policano sulla sinistra e conferma nel blocco dei titolari il tridente di stranieri di qualità: Martín Vázquez, Scifo e Casao. Massima libertà di svariare alle spalle dell’eclettico centravanti paulista per Gigi Lentini, astro nascente del calcio italiano e prossimo protagonista di un nuovo caso Baggio tra Milan e Juventus, stavolta risolto in favore dei rossoneri. Ancora troppo acerbo, per un incontro del genere, il diciottenne Bobo Vieri, in panchina per tutto l'incontro.

Alla fine a fare la differenza nell’assegnazione del trofeo che completerà la formidabile bacheca delle leggende olandesi saranno alcuni... centimetri! Il Toro ci mette cuore e spirito battagliero, ma le conclusioni di Casagrandre, Roberto Mussi e Gianluca Sordo vengono ribattute, rispettivamente, due volte dal palo ed una dalla traversa. Tra un episodio e l'altro, un rigore netto su Roberto Cravero, non fischiato dall'arbitro jugoslavo Zoran Petrović e che, come segno di protesta, fece alzare al cielo da mister Mondonico, una sedia trovata a bordo campo.

Il segno di protesta  divenne in qualche modo simbolo del Dna granata, un'ulteriore declinazione del "tremendismo", di cui il Mondo era il principale esponente. Quella sedia viene, ancora oggi, ricordata più della coppa sollevata. 

*La foto di apertura dell'articolo è di Luca Bruno (AP Photo).

March 29, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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SUNDERLAND 'TIL I DIE

 

Gli ultimissimi anni di Premier League sono quelli, ovviamente, nei quali è circolato maggior denaro, in ragione dei diritti televisivi venduti in maniera sempre più onerosa ai quattro angoli del globo. Società più ricche dopo la ripartizioni dei proventi ma, non per questo, dirigenti capaci di far fruttare l'abbondante tesoretto da gestire all'interno di casse societarie sempre più pingui. Il calcio inglese, in questo senso, ha vissuto un'epoca dell'oro in campo internazionale.

L'altro lato della medaglia, tuttavia, parla di retrocessioni sempre più rovinose, devastanti da gestire l'anno successivo in Championship. Giocatori difficili da (s)vendere a causa di ingaggi troppo alti, ratei di spese pazze (operate l'anno prima) che pulsano in un campionato in cui gli stati vanno gradualmente svuotandosi, proventi infinitamente inferiori rispetto alla Premier. Abbiamo esaminato le vicende sportive del Fulham, difficilissimo risalire al primo colpo: in alcuni casi, però, addirittura il doppio salto mortale all'indietro, in terza serie (la Legue One) è in agguato...


E' il caso del Sunderland e della sua caduta nel vuoto, cominciata a partire dalla stagione 2016-2017. I Black Cats dei quali ricordiamo una straordinaria salvezza nel 2013 con Paolo Di Canio alla guida della squadra, ancora oggi, stanno facendo i conti con la stagione disastrosa agli ordini di David Moyes in Premier League, di cui sembravano, sino a quel momento, ormai essere diventati "presenza fissa". 

La rosa a disposizione del tecnico scozzese con Borini e Defoe in attacco, subito in gol nell'esordio con il City, l'estro di Januzaj sulla fascia e l'esperienza di John O'Shea in mezzo alla retroguardia sembrava meglio attrezzata rispetto a quella che aveva ottenuto una complicata salvezza, solo 12 mesi prima: i numeri, però, evidenziano, impietosi, scelte fallimentari con appena 6 vittorie in campionato e l'ultimo posto, solitario, in classifica!

La docuserie - Incredibile ciò che accadde l'anno successivo in Championship: Netflix volle sperimentare una docustory (dal titolo "Sunderland 'til I die") che documentasse l'immediato ritorno in Premier della squadra del nord inglese. Risultato? Solo 7 vittorie sul campo, un altro ultimo posto in graduatoria, nonostante i milioni di pounds garantiti dal paracadute e retrocessione immediata in League One! Metta terza serie inglese oggi alla sospensione dopo 34 giornate disputate, i biancorossi - dopo aver perso lo spareggio di Wembley della scorsa stagione contro il Charlton Athletic - gigioneggiano appena fuori dalla zona playoff in una posizione che certo non può essere considerata soddisfacente per una piazza con certi numeri ed ambizioni.

Non solo: dalle parti dello "Stadium of Light" è in atto una vera e propria contestazione. Il documentario televisivo di cui sopra si concludeva con la vendita del club da parte dello storico presidente Ellis Short a Donald Stewart. Ex ambizioso patron dell'Eastleigh di National League, il nuovo patron era sbarcato tra l'entusiasmo dei tifosi, desiderosi di un pronto rientro nel calcio di alto livello. Proprio di questi giorni, invece, la notizia relativa alla prematura volontà da parte di Stewart di passare la mano in segno di risposta alle numerose critiche avanzate da un gruppo di sostenitore.

Le accuse? Mancanza di investimenti nelle infrastrutture e di un piano a lungo termine per la squadra. Una crisi senza fine, insomma., imprevedibile anche per i maggiori esperti di quote Premier League!
 

*La foto di apertura dell'articolo è di Matt Dunham (AP Photo).

 
March 28, 2020
Stefano Fonsato
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Stefano collabora da anni come giornalista freelance per il portale web di Eurosport Italia, per il quotidiano La Stampa e con la casa editrice NuiNui per la quale è stato coautore dei libri "I 100 momenti magici del calcio" e "I 100 momenti magici delle Olimpiadi".

E' amante delle storie, dei reportage e del giornalismo documentaristico, ma il suo "pallino" resta, su tutti, il calcio d'Oltremanica.

 

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I talenti bruciati dal Chelsea!

Essere una società ricca, con un proprietario che può permettersi spese pazze, non significa per forza di cose dover investire senza criterio sul mercato. Le grandi squadre sono tali anche perchè, oltre che pensare al presente, lanciano sempre un occhio al futuro. E persino il Chelsea, che all’arrivo di Abramovich si era presentato alla Premier come un perfetto e vincente instant-team, nel corso degli anni ha puntato sempre di più ad accaparrarsi giovani talenti da far crescere e sbocciare a Stamford Bridge.

L’ultima nidiata, quella che con Lampard in panchina ha portato in pianta stabile, causa anche blocco di mercato, tra i titolari Abraham, Hudson-Odoi, Mount e Tomori, promette davvero bene. Ma attenzione, perché non sempre i Blues sanno riconoscere i talenti. Anzi, a volte li bruciano e li lasciano andare troppo presto.

L’ultimo esempio in ordine di tempo è una delle nuove stelle della Serie A. Jeremie Boga è cresciuto nella Academy del club londinese, ma non è mai stato considerato un potenziale calciatore da Chelsea. La società lo ha spedito in prestito in Francia (Rennes) e Spagna (Granada), per poi mandarlo al Birmingham City e infine cederlo definitivamente al Sassuolo.

In neroverde il francese naturalizzato dalla Costa d’Avorio è arrivato nel 2018 per una cifra poco superiore ai tre milioni, ma le sue prestazioni nel campionato italiano hanno fatto drizzare le antenne a molti club. Chelsea compreso, che stavolta, memore delle esperienze passate, ha inserito una clausola di recompra quando ha deciso di lasciarlo andare. Riportarlo a Londra potrebbe costare parecchio, ma almeno non si corre il rischio di perdere definitivamente un talento.

La coppia belga - Come è invece avvenuto con uno dei calciatori più importanti del nostro torneo. Romelu Lukaku è stato portato in Inghilterra ancora giovanissimo, quando gli scout del Chelsea hanno notato un ragazzone di sedici anni che con la maglia dell’Anderlecht spaccava già le porte. Lukaku è stato a lungo considerato il centravanti del futuro dei Blues, ma le cose non sono andate come si pensava. Dopo una prima stagione, il belga finisce in prestito al WBA, dove si mette in luce. Ma l’anno dopo Mourinho, appena tornato a Stamford Bridge, lo spedisce di nuovo in prestito, stavolta all’Everton, che nel 2014 dopo lo acquista per 28 milioni di sterline.

Qualche anno dopo Conte sta per spenderne 75 per riportarlo indietro, ma Lukaku opta per lo United. E adesso se lo gode l’Inter, che per portarlo in Serie A ha dovuto sborsare 65 milioni di euro ai Red Devils.

La stagione 2013/14 è anche quella che segna il destino di un campione conclamato del calcio mondiale. Un altro belga che non convince per nulla Mourinho. Kevin De Bruyne viene acquistato dal Genk per 8 milioni di euro, ma non rientra nelle grazie del portoghese. Che, in maniera abbastanza sincera, gli spiega che nelle sue gerarchie il centrocampista è il sesto del reparto. Dunque, meglio lasciare il Chelsea e cercare fortuna altrove dopo appena sei mesi.

Missione decisamente compiuta, perché De Bruyne passa appena una stagione e mezza al Wolfsburg, che lo paga 16 milioni e ne riceve 78 dal Manchester City. Vista l’importanza del belga nell’economia dei Citizens, un affare per il club mancuniano. E uno spreco clamoroso per il Chelsea, che ha lasciato andare un talento incredibile per pochi milioni.

Il campione che non ti aspetti - A Stamford Bridge, però, sembrano davvero non imparare mai. Nel 2014 arriva a Londra un ragazzo egiziano veloce come un fulmine e dal sinistro d’oro. Momo Salah viene acquistato dal Basilea per 15 milioni di euro, ma non è ancora il calciatore devastante e sicuro di sé degli ultimi anni. Mourinho lo giudica troppo debole caratterialmente e lo lascia prima andare in prestito alla Fiorentina e poi ne avalla la cessione definitiva alla Roma.

In giallorosso l’egiziano si afferma e nel 2017 passa al Liverpool per 50 milioni di euro. Un acquisto che cambia il volto della squadra di Klopp, con cui vince per le quote calcio la Champions 2018/19 e si aggiudica due volte il Pallone d’Oro africano, sfiorando quello mondiale. Non male per chi non aveva personalità sufficiente per essere da Chelsea.

In mezzo a giocatori di livello internazionale, sembra quasi blasfemo nominarlo, ma anche Nathan Akè rientra perfettamente nel gruppo dei talenti bruciati dal Chelsea. Il difensore (ma anche centrocampista) olandese viene prelevato dalle giovanili del Feyenoord nel 2011 e sembra destinato a guidare la retroguardia dei Blues.

Il riccioluto classe 1995, però, non riesce mai a giocare con continuità a Stamford Bridge e nel 2017, dopo parecchi prestiti, viene ceduto a titolo definitivo al Bournemouth, dove si afferma come uno dei migliori giovani della Premier League. Al punto che, neanche a dirlo, Abramovich potrebbe essere costretto a spendere quasi cinquanta milioni per… riportarlo a casa! Un altro piccolo grande esempio delle valutazioni a volte poco lungimiranti da parte del club londinese…

*La foto di apertura dell'articolo è di Kirsty Wigglesworth (AP Photo).

March 27, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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