Non solo Federer e lo Slam. L’impatto della sospensione sul tennis


Nel mondo dello sport tiene banco la discussione sull’impatto che l’inevitabile rimodulazione dei calendari ATP e WTA, in particolar modo lo slittamento già annunciato del Roland Garros con inizio il 20 settembre. Particolarmente dura è stata la reazione ufficiale degli organizzatori della Laver Cup, tra i cui fondatori c’è Roger Federer, mega-torneo esibizione a squadre. I problemi reali, gli impatti più gravi e pesanti dello stop dei tornei e del post crisi, peseranno in maniera decisamente più gravosa sulle spalle dei tennisti che non occupano le posizioni di rilievo nel ranking e non partecipano ai tornei più importanti del circuito. 

Ne abbiamo parlato, in esclusiva, con Alessandro Mastroluca, giornalista di Fanpage e telecronista per Super Tennis TV.

Si parla molto dell'impatto dello stop sui grandi del tennis mondiale, ma loro guadagnano cifre talmente grandi che comunque non ne soffriranno più di tanto. Che impatto avrà, invece, su tennisti di secondo piano?
“Chiaramente l’impatto sui tennisti che non hanno la classifica per frequentare i tornei più importanti, a livello di Slam, sarà indubbiamente maggiore perché già hanno in partenza un guadagno stagionale più basso. Questo si aggiunge a un rischio più ampio per l’attività del tennis mondiale, poiché non sappiamo se in futuro i tornei minori, i Challenger o i Futures, avranno ancora le possibilità economiche per essere inseriti in calendario.

Se, per esempio, alcuni tornei venissero cancellati nel 2021, questi tennisti avrebbero meno opportunità per giocare. Va, inoltre, considerata tutta l’attività a livello nazionale, quella dei coach o dei circoli in cui i tennisti si allenano. In fondo sui tennisti ricade una serie di problematiche che sono simili a quelle dei normali lavoratori che non sono sicuri di mantenere il loro posto durante questa crisi e, soprattutto, dopo”.

 

In media, quanto guadagna un tennista di secondo piano, diciamo dalla posizione 100 in giù? Quale può essere il danno economico per questo stop?
“Se stiamo tra il numero 100 e 150 parliamo di cifre che ruotano intorno ai 200 mila dollari di montepremi di tornei l’anno: ovviamente, più si scende nella classifica e più si scende anche nella scala di guadagni. A questi soldi, però, vanno tolti le spese per l’allenatore, per lo staff e per le trasferte che, nei casi di giocatori con quella classifica, sono ingenti perché nel circuito dei Challenger o dei Futures si vanno a giocare tornei in realtà geografiche molto lontane e difficili da raggiungere pur di ottenere punti.

Parliamoci chiaro, i giocatori che riescono a stare in pari sono più o meno i primi 150 del mondo, gli altri sono sostanzialmente in perdita e, per non rimetterci, devono rinunciare a qualcosa, magari devono incordarsi le racchette da soli e non usare gli incordatori forniti dai tornei, iscriversi a tornei piccoli, andare a dormire dalle famiglie del posto per non pagarsi l’albergo e altre situazioni di questo genere. Qualora la pausa si allungasse e ci fossero conseguenze future nel numero e nella quantità di tornei rimasti in calendario quando la bufera sarà passata, le conseguenze rischiano di essere tante e per i giocatori non sarà un momento facile”.

Tutte le quote di 888sport.it per scommettere sul tennis!

Secondo te, ci potrebbe essere qualcuno costretto dalla crisi a lasciare il tennis per cercare un altro lavoro?
“Non è una prospettiva irrealistica: accade oggi ed è accaduto già prima della crisi che ci fossero giocatori che hanno preso questa decisione. Si tratta di coloro che non sono riusciti a sfondare in singolare e non neanche a riciclarsi in doppio, come tanti, invece, hanno fatto con gran successo, e hanno capito che era meglio cercarsi un’altra strada, chiudere con una carriera  in perdita.

A un certo punto il costo di una carriera ne tennis diventa obiettivamente non sostenibile e, quindi, si sceglie una strada di contenimento: si rinuncia al sogno quando si è messi di fronte a una realtà spiacevole. La contrazione economica, che ci sarà a tutti i livelli e in tutto il mondo, finirà per coinvolgere anche il tennis perché ci sarà una contrazione delle sponsorizzazioni, legate alla chiusura di alcune aziende e alla revisione dei contratti con le televisioni che non è detto paghino le stesse cifre di adesso per i diritti”.
 

*La foto di apertura dell'articolo è di Dita Alangkara (AP Photo).

March 27, 2020
Emanuele Giulianelli
Body

Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Angelo Pavia: “Alla ripresa del campionato, l’aspetto psicologico farà la differenza”

Lo sport mondiale, in generale, e il calcio, in particolare, sono fermi a causa dell'emergenza sanitaria. La FIGC, la FIFA e l'UEFA si interrogano quotidianamente sul se e quando sarà possibile riprendere l’attività calcistica, per dare almeno conclusione alla stagione in corso. Con lo slittamento di Euro 2020 all’anno successivo, c’è da capire se i campionati nazionali e le competizioni continentali potranno riprendere ed emettere i loro verdetti, o andranno annullate le varie competizioni con conseguente decisione da prendere sulla prossima stagione. 

Il Professor Angelo Pavia, nonostante abbia da poco compiuto trent’anni, ha maturato una pluriennale esperienza internazionale come preparatore atletico: dopo 5 anni come responsabile atletico del settore giovanile della Lazio, ha lavorato nello staff della nazionale maggiore del Bangladesh nelle qualificazioni ai Mondiali di Russia 2018; da ottobre 2017, dopo una parentesi di due mesi nel massimo campionato dell’Oman con l’Al Oroubah Sporting Club, lavora con la nazionali di calcio a 5 della Cina.

Lo abbiamo intervistato in esclusiva per il blog italiano di 888sport, per parlare con lui dell’impatto della sosta e del coronavirus sulla preparazione atletica nel calcio professionistico e sulla ripresa dell’attività.

Il lungo stop ai campionati è un evento a dir poco anomalo. Tu che sei un preparatore atletico di lunga esperienza e fama internazionale, cosa pensi di questo momento così strano per i calciatori?

“Per iniziare, farei subito un distinguo. In questo preciso momento storico farei un'analisi più generica su quello che sta accadendo, senza differenziazione tra sportivi/calciatori e società civile. È un problema enorme, globale, di difficile soluzione che purtroppo coinvolge tutti allo stesso modo. Ognuno deve cercare di trovare il proprio equilibrio e portare avanti i propri compiti senza danneggiare la propria salute e quella altrui.

Seguendo questa analisi, anche i calciatori devono essere bravi a spogliarsi degli abiti che indossano tutti i giorni e uniformarsi alla contingenza. Il tutto, però, con un occhio sempre vigile sulla possibile ripresa dell'attività agonistica”.

Credi all'allenamento casalingo dei calciatori in questo periodo? Se sì, che tipologia di allenamento possono svolgere?

“Certo, ci credo fortemente. In prima istanza, perché dimostra un forte senso di professionalità e attaccamento alla causa. In seconda, perché devono mantenere il più alto livello di condizione fisica possibile perché, come detto anche prima, devono essere pronti in qualsiasi momento qualora tutto tornasse a regime. Per gli sportivi di alto livello reperire attrezzature adeguate non dovrebbe essere un problema. Sono fiducioso che quindi possano svolgere un ottimo lavoro in sinergia con lo staff tecnico e lo staff medico.

Non mi aspetto miglioramenti di condizione da parte dei calciatori, sarebbe impossibile, quello che però si può fare è lavorare per mantenere il più possibile stabile la propria condizione e migliorare alcune capacità come la mobilità articolare e la propriocezione che molto spesso, per questioni di tempo, vengono messi in secondo piano”.

Cosa pensi del ventilato rischio di molti infortuni alla ripresa?

“Penso che anche questo aspetto vada analizzato più nel dettaglio. Questo stop forzato ha sicuramente azzerato quanto è stato fatto fino a ora e le relative programmazioni.

Quando riprenderanno gli allenamenti, per i calciatori sarà come affrontare nuovamente una pre-season con tutti i rischi e benefici che un periodo del genere comporta. Penso che il ragguardevole rischio infortuni dipenda dalla quantità di partite ravvicinate, e i relativi spostamenti, che i calciatori si troveranno ad affrontare. Questo a mio avviso sarà sicuramente il pericolo più grande. A tal proposito, sono molto curioso di quando e come verranno stilati i nuovi calendari”. 

C'è poi il tema dei calciatori positivi. Sicuramente dopo la quarantena saranno più debilitati di altri. La ripresa agonistica di un positivo sarà molto più lunga di uno che non ha mai contratto il virus?

“Questo è un tema molto delicato. Non vorrei sbilanciarmi in previsioni che, ancora oggi, i più grandi virologi e medici fanno fatica a fare. Leggendo le varie notizie e i giornali mi sembra di capire che i ragazzi colpiti siano fortunatamente in buone condizioni. Sono sicuro che tutti gli staff medici diano loro la giusta assistenza. Così come sono sicuro che, quando avranno il via libera per ricominciare l'attività, saranno in grado di seguire e svolgere i compiti che il preparatore fornirà loro. Da questo punto di vista, se posso permettermi, sono molto ottimista”. 

Al via libera per la ripresa degli allenamenti, quale sarà un tempo congruo di allenamento in campo da concedere ai giocatori prima della ripresa delle partite?

“In una condizione ideale, quasi utopica, spero che venga concesso un preavviso di almeno trenta giorni prima della ripresa delle gare ufficiali. Questo lasso di tempo permetterebbe di dilazionare i carichi e svolgere un buon lavoro, condizionando gli atleti e riducendo il più possibile il rischio infortuni. Purtroppo penso che questa eventualità non possa essere praticata per ovvi motivi “.

In Cina come stanno affrontando la problematica relativa al calcio e allo sport in genere, per la ripresa?

“Questa è una bella domanda. Per quello che posso dire, la parte sportiva è stata messa subito in secondo piano appena scoppiata l'emergenza. Avevano problemi molto più grandi da gestire, basti pensare al danno socio economico. Inutile soffermarsi sulla parte sanitaria perché, purtroppo è stata sotto gli occhi di tutti. Penso che questa sia stata una scelta corretta.

Sono sempre in contatto con tutti i ragazzi della Nazionale che alleno e con i manager della federazione cinese ma ancora oggi non abbiamo notizie certe per quanto riguarda la ripresa delle attività. Ci tengo a ringraziare per gli aggiornamenti costanti in loco il fisioterapista della prima squadra Shijiazhang Ever Bright F.C., militante nella massima serie cinese, Andrea Magini che quotidianamente condivide con me la maggior parte delle notizie sulla situazione attuale del calcio professionistico cinese.

Andrea, conoscendo il paese molto bene, è quasi convinto che, appena possibile, non esisteranno un attimo a dare il via libera alle principali attività sportive in tutta sicurezza. Lo sport per loro è un patrimonio importante da difendere, coltivare e ostentare. Tutte le città stanno tornando alla normalità. Questa è sicuramente una buona notizia”. 

Scommetti live sul calcio mondiale e su tutti i principali eventi sportivi con 888sport.it!

Quali consigli ti sentiresti di dare a un calciatore professionista in questo momento?

“Forse il più banale di tutti. Continuare a fare il calciatore, a 360 gradi. Partendo dall'allenamento, come abbiamo detto anche prima, lavorando per mantenere il più possibile la propria condizione e insistendo su esercizi di mobilità dinamica attiva e lavori di propriocezione, balance e posturali. Passando ad un’alimentazione ipocalorica e, per finire, concedersi ore di sonno adeguate, minimo 8 ore al giorno. Non possono permettersi di trascurare questi aspetti, altrimenti alla ripresa pagheranno un conto salato”.

Ultima domanda: la quarantena può incidere sull'aspetto psicologico di un atleta?

“Sì, decisamente. È l'aspetto più delicato e penso che sia quello che poi, perlomeno nella prima fase della ripresa, farà la differenza. Tanti fattori si intersecano in questo momento.

La preoccupazione della salute propria e quella dei familiari, l'incertezza sulla data della ripresa, un nuovo stile di vita, un flusso di notizie incessante, condizioni di allenamento nuove, spesso solitudine forzata. In tutto questo è enormemente difficile rimanere concentrati su se stessi, il proprio lavoro e i propri obiettivi ma come in quasi tutte le sfide che ti si presentano, indipendentemente dalla situazione, puoi sempre decidere come stare. Essere psicologicamente forti aiuterà molto. Lavorare su questo aspetto potrebbe essere determinante. Chi riuscirà a farlo sarà sicuramente un gradino sopra agli altri”.

March 26, 2020
Emanuele Giulianelli
Body

Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Stefano Ravaglia: vi racconto il Liverpool 1990!

 

Sembra ieri, ma sono passati già trent’anni dall’ultima volta che il Liverpool si è laureato campione d’Inghilterra. La formazione guidata da Kenny Dalglish conquistò il suo diciottesimo titolo in quella che ancora si chiamava First Division, visto che la Premier League nel formato tutt’ora in vigore è nata nel 1992, con 79 punti, davanti all’Aston Villa con 70 e al Tottenham del capocannoniere Lineker con 63.

Il giornalista Stefano Ravaglia è uno dei massimi esperti italiani sui Reds di Anfield, ai quali ha dedicato il libro “Lettere da Liverpool”, in uscita nella prossime settimane: lo abbiamo intervistato per farci raccontare di quella squadra, dei suoi uomini, e dell’Inghilterra che si affacciava agli anni Novanta, in esclusiva per il blog italiano di 888sport.

Ci racconti a grande linee com'era quella squadra che vinse il campionato nel 1990? 

“Sostanzialmente non era cambiata molto dalla stagione precedente, quella che sfociò in un finale amarissimo sportivamente e non. Il Liverpool aveva vinto la FA Cup ma perso il campionato nella leggendaria partita con l'Arsenal ad Anfield, e soprattutto aveva dovuto assistere al disastro di Hillsborough dove persero la vita 96 tifosi. Era sempre il Liverpool del grande ciclo anni Ottanta, condotto da Dalglish in panchina, che dopo l'Heysel aveva preso in mano il club al posto di Joe Fagan facendo l'allenatore-giocatore.

In quegli anni Liverpool era costantemente ai vertici dopo l'opera grandiosa di Shankly e Paisley nei decenni precedenti: con l'esclusione delle coppe dopo i fatti di Bruxelles, nelle competizioni nazionali era una battaglia molto spesso con l'Everton, contro il quale vinse proprio quella FA Cup nel 1989”.

Quali furono le mosse sul mercato e le scelte dell'allenatore che portarono a una stagione vincente?

“Sul mercato il movimento più importante fu in uscita, con il passaggio di John Aldridge in Spagna, al Real Sociedad dopo soli due anni in rosso. Era poi arrivato un difensore svedese che si era messo in luce nel Goteborg con Eriksson (aveva vinto la Uefa nel 1982), si chiamava Glenn Hysen e veniva dall'Italia, dalla Fiorentina. Fu un buon innesto. Per il resto, sempre Grobbelaar tra i pali, Ronnie Whelan e la sua tecnica in mezzo al campo, e davanti un John Barnes ispiratissimo insieme a Rush, tornato dalla Juventus già la stagione precedente. John Aldrige era venuto proprio al suo posto due anni prima”.

Kenny Dalglish, una leggenda per Liverpool: ci puoi fare un suo breve ritratto come allenatore e raccontarci quale fu il suo ruolo in quella vittoria?

“Era uno scozzese di grande temperamento e di grande qualità. Diceva sempre che nella sua vita voleva cambiare solo due cose: Heysel e Hillsborough. Aveva dovuto ingoiare due bocconi molto amari in pochi anni, così come tutto il mondo Liverpool. Pensate che aveva sostenuto un provino già quando c'era Shankly: fu scartato, tra l'ira dell'allenatore che non aveva deciso in prima persona. Veniva dalla periferia di Glasgow, zona portuale, un po' come Alex Ferguson.

Era un attaccante opportunista, e da manager fu la naturale prosecuzione di una dinastia: Shankly, Pasley, Fagan, erano già tutti nello staff del club. E infatti lui pretese che restassero due di quei collaboratori, Roy Evans e Ronnie Moran. La cosiddetta "Boot room", la stanza degli scarpini, dal nome del luogo spartano dove tutti questi membri dello stato maggiore del club si riunivano”.

Liverpool: che città era nel 1990?

“Margareth Thatcher sarebbe uscita da Downing Street quell'anno, dopo undici anni da primo ministro. Liverpool l'ha letteralmente odiata. La città è da sempre tradizionalmente rossa e aveva avuto una crisi molto grave in quegli anni, un po' come in quasi tutta l'Inghilterra. Essendo una città di porto, ne risentì ulteriormente con disoccupazione e violenze, un humus che contribuì all'inclinazione violenta degli hooligans di quegli anni. Ed inoltre era stata offesa e ferita dalle speculazioni su Hillsborough, con notizie e accuse totalmente infondate”.

Scommetti sulla Premier League con le quote calcio di 888sport.it!

Secondo te, chi sono stati i giocatori chiave?

“Uno su tutti, John Barnes, diventato un simbolo del club. Giamaicano che era arrivato dal Watford, quell'anno fra lui e Rush misero insieme 54 reti in campionato. Un altro ruolo importante lo ebbe Peter Beardsley, almeno fin quando non si infortunò nel finale di stagione saltando 7 partite”. 

Le partite più belle di quella stagione del Liverpool? 

“Salta all'occhio il 9-0 al Crystal Palace del 12 settembre, una vittoria record. Fu anche la partita dell'ultimo gol di Aldridge prima di andarsene al Real Sociedad. Era un Liverpool che segnava molti gol: 5-2 al Chelsea in dicembre, 8-0 anche in Coppa di Lega allo Swansea. Le ultime partite di quella cavalcate furono esaltanti, con il gran finale del 6-1 in casa del Coventry”. 

Quando il Liverpool capì che poteva vincere? Ci sono stati, invece, momenti difficili nella stagione?

“Se la prima parte di stagione fu un po' incerta, la seconda fece maturare una lotta serrata continua contro una sorprendente rivale: l'Aston Villa. Entrambe le sfide dirette erano finite in parità, e in marzo quando il Liverpool perse in casa del Tottenham i Villans erano davanti di tre punti. Da quel momento, proprio grazie al grande finale di stagione, il Liverpool innestò la quarta e portò a compimento il titolo”. 

Ultima domanda: sono passati trent'anni e il Liverpool, ormai quasi matematicamente, tornerà a vincere, quando riprenderanno i campionati. Sarà la sua prima Premier League nonostante sia la seconda squadra che ha più vittorie in campionato. Da grande esperto, perché i Reds hanno dovuto attendere tutto questo tempo, nonostante tanti successi in Europa, per tornare a dominare in patria?

“Credo sia dovuto proprio alla maggior vocazione internazionale del Liverpool, ma anche ad altri fattori. Subito dopo il titolo arrivò la gestione non positiva di Graeme Souness in panchina, poi il pasticcio del duopolio Houllier-Evans, quando era chiaro che sarebbe dovuto essere solo il manager francese a dover mettersi alla testa del club, come infatti avvenne.

Da quel momento il Liverpool ha ripreso la sua vocazione internazionale: dal 2001 al 2007 sono stati anni in cui è stata fatta incetta di trofei europei, pur con qualche coppa domestica. E in più dobbiamo metterci anche il grande ciclo dello United di Ferguson: proprio in quel 1990 il manager scozzese vinse il suo primo trofeo, la FA Cup, e iniziò un grande ciclo. E poi una bella dose di sfortuna, come nel 2014 con Brendan Rodgers in panchina e il titolo dello scorso anno perso per un solo punto”.

*L'immagine di apertura è di Foggia (AP Photo).

March 25, 2020
Emanuele Giulianelli
Body

Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Viola, che vivaio!

“Il nostro obiettivo è quello di promuovere lo sviluppo dei talenti dei vivai” quante volte nell’ultimo decennio abbiamo sentito pronunciare queste parole in Italia. Ma poi i fatti? Non sempre le parole si sono trasformate in realtà ed anzi gli ultimi dieci anni hanno rappresentato uno dei periodi più bui per il calcio italiano, culminato con la mancata qualificazione della nazionale a Russia 2018.

Ci sono, però, realtà nostrane che da sempre sono andate controcorrente, una fra tutte la Fiorentina che da anni fa dello sviluppo del proprio vivaio una delle politiche chiave della propria gestione.

Nel vivaio della Fiorentina, il radicamento territoriale è forte;: circa l’80% dei 288 tesserati viola dai Pulcini alla Primavera sono toscani. Lo scouting è strutturato di modo che il club rappresenti il centro di approdo dei migliori giocatori della regione. In un'intervista del 2011 il D.S. dell'epoca Corvino ne parlava così: «Il nostro lavoro parte da una selezione per capire se in casa abbiamo risorse tecniche da valorizzare. Poi vediamo dietro l'angolo, e se non ce ne sono dietro l'angolo guardiamo alla regione, e così via».

Un ruolo, quello di punto di riferimento regionale, conteso in parte con l’Empoli, altro club notoriamente dedito alla cura del vivaio, ma che la Fiorentina ha fatto suo in una dimensione chiaramente più competitiva.

Partendo da questa analisi e gettando un occhio alle ultime convocazioni del C.T. azzurro Roberto Mancini, ci accorgiamo del gran numero di calciatori provenienti dalla Fiorentina nella relative liste: oltre ai vari Gollini, Piccini, Mancini, D’Ambrosio, tra tutti spiccano alcune delle punte di diamante del calcio italiano ovvero Bernardeschi, Zaniolo e Chiesa.

Ciascuno degli azzurri di formazione viola ha vissuto a Firenze quasi tutto il proprio percorso giovanile – si va dai sei anni di Zaniolo fino ai dieci di Bernardeschi. Inutile sottolineare come questo aspetto rivesta un significato centrale per un club di medio livello, a maggior ragione se l’attenzione rivolta al settore giovanile è stata complementare, nell’ultimo biennio, a un lavoro altrettanto certosino sul ringiovanimento della prima squadra – tanto che nella scorsa stagione soprattutto, la rosa gigliata si è distinta per avere l’età media più bassa tra i cinque maggiori campionati europei. 

Proviamo a mettere in campo con il 4-3-3 questo undici tutto canterano, evidenziando le intuizioni positive dei responsabili del club toscano, ma anche un errore nelle scelte che rasenta la follia calcistica!

Tra i pali Pierluigi Gollini (’95), portato alla Fiorentina da Corvino, nel marzo del 2012 passa al Manchester Utd, suscitando le ire del D.S. viola; efficace anche alla prima esperienza in Champions, oggi è diventato uno dei punti fermi dell’Atalanta delle meraviglie di Gasperini ed uno dei portieri della nazionale maggiore.

Terzino destro Cristiano Piccini (’92), dopo tutta la trafila delle giovanili viola, viene ceduto nel 2015 a titolo definitivo per 1,5 milioni di euro al Betis Siviglia. Successivamente, dopo una stagione allo Sporting Lisbona, torna in Liga: è acquistato, infatti, dal Valencia per 10 milioni di euro, firmando un contratto quadriennale con clausola da 80 milioni.

Nella coppia di difensori centrali, la prima scelta la spendiamo per Gianluca Mancini (’96), anche lui dopo tutta la trafila nel settore giovanile viola, viene ceduto nel 2016 al Perugia. Atalanta e Roma le tappe successive che lo stanno consacrando come uno degli interpreti più interessanti del ruolo, anche in fase di costruzione.

L'altro centrale è Luca Ranieri (’99), una delle poche pianticelle viola ad essere ancora sotto contratto a Firenze; dopo essere stato uno dei protagonisti al Mondiale under 20, nell'estate del 2019 viene aggregato alla prima squadra della Fiorentina, sotto la guida di Vincenzo Montella, esordendo in serie A il 1° settembre 2019; a gennaio è stato mandato in prestito in serie B ad Ascoli per proseguire il suo percorso di crescita.

Terzino sinistro Danilo D’Ambrosio (’88), dopo alcuni anni nelle giovanili viola, nell’estate del 2008 viene ceduto in comproprietà alla Juve Stabia; da lì in poi un continuo crescendo, passando per Torino e fino all’Inter ed alla nazionale azzurra. In alternativa nel ruolo Lorenzo Venuti (’95), che, dopo una serie di esperienze in prestito, è attualmente in rosa con la Fiorentina.

A centrocampo in cabina di regia Jacopo Petriccione (’95), l’ex capitano della primavera viola, è oggi il volante del Lecce che dopo la promozione in A, sta guidando con fosforo anche nella massima serie agli ordini di mister Liverani, uno che di registi se ne intendo davvero.

Interno di destra Niccolò Zaniolo (’99) astro nascente del panorama nostrano, colonna della Roma e sicuro protagonista degli Europei nel 2021. La Fiorentina, dopo sei anni di giovanili in maglia viola, l'ha svincolato.

Interno di sinistra l’altro golden boy ovvero Gaetano Castrovilli (’97), uno dei pochi giovani mandato in prestito e fatto rientrare alla base dalla società gigliata: il centrocampista a giugno 2021 farà sicuramente parte dell'Italia, favorita per le quote calcio nelle partite di Roma del girone A!

In attacco sulla fascia destra Federico Bernardeschi (’94). Da possibile nuovo Antognoni, per sempre a Firenze ad un altro Baggio, ovvero talento purissimo in viola, campione (forse) in altre piazze.

Al centro c’è l’imbarazzo della scelta, ma la scelta ricade su Kouma Babacar (’93) attuale centravanti del Lecce; dopo una vita in viola, da crack giovanile e da bomba pronta ad esplodere dopo gli esordi, la viola ha deciso di puntare su altriattaccanti.

Completa lo Starting Eleven dei campioncini cresciuti ai "campini" naturalmente Federico Chiesa, straordinario esterno offensivo; il figlio d'arte è valutato 60 milioni di euro dal sito specializzato transfermarkt!

*La foto di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).

March 25, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Gabriele Tarquini: “Mercedes favorita per il Mondiale, vale la pena puntare sulla Ferrari”

Anche il calendario del Mondiale di Formula 1 è stato stravolto. La prima prova prevista in Australia è stata cancellata e le successive sei gare in calendario (Bahrain, Vietnam, Cina, Paesi Bassi, Spagna e Baku) sono stati rinviate a data da destinarsi; il 19 marzo, inoltre, è arrivata la notizia della cancellazione dello storico Gran Premio di Monaco. La FIA ha, inoltre, deciso che le modifiche regolamentari previste per quest’anno sono rimandate al 2022.

Abbiamo intervistato in esclusiva Gabriele Tarquini, ex pilota che ha corso 78 gran premi in Formula 1 con Osella, Coloni, AGS, Fondmetal e Tyrrel, per presentare con lui la stagione, i protagonisti, le sorprese ed i numeri per scommettere con 888sport.it.

Divampa la polemica sulla Ferrari, con alcuni piloti e addetti ai lavori che addirittura invocano la squalifica della Rossa: che opinione ti sei fatto sulla vicenda?

“È difficile farsi un’idea di quello che è successo lo scorso anno: evidentemente, la federazione ha trovato qualcosa che non andava nel motore Ferrari e il compromesso trovato non è andato bene alle altre scuderie. Vedremo quali saranno i prossimi sviluppi sulla vicenda”.

Mondiale 2020: che stagione ci aspetta?

“Guardando solo i risultati dei test che si sono svolti a Barcellona, non si capisce granchè delle reali forze in campo. La Ferrari sembrerebbe un po’ più indietro rispetto allo scorso anno, ma sappiamo che i test non hanno lo stesso valore di una gara. Mi auguro che nel trio di testa, insieme a Red Bull e Mercedes, che ovviamente parte favorita, ci sia sempre la Rossa di Maranello”.

Scommetti con le quote motori di 888sport.it!

Quali saranno i GP decisivi?

“In un campionato così lungo come il Mondiale di Formula, tutti gran premi lo saranno . Chiaramente, per giocarsi il titolo specialmente se ci sarà un testa a testa tra due piloti, i gran premi che decideranno la stagione saranno gli ultimi, ma non ci sono corse che valgono più di altre. Ogni gran premio porta  gli stessi punti: quello che conta è la superiorità nella singola corsa, accumulare punti gara dopo gara”.

La Mercedes sembra un gradino avanti a tutte, con la Red Bull a inseguire: che progressi hanno fatto le due scuderie?

“Come ho già accennato, la Mercedes parte coi favori del pronostico, ma la Red Bull non è troppo distante. Nei test di Barcellona, tutte le scuderie hanno avuto qualche problema di motore: in Mercedes hanno sicuramente tolto potenza, soprattutto nelle ultime giornate, mentre la Red Bull invece ha lavorato molto sul suo propulsore.

Il motore Honda, adesso, è affidabile e potente, non  so se ancora a livello di quello Ferrari dello scorso anno o di quello Mercedes, ma secondo me daranno filo da torcere ai campioni del mondo in carica speriamo che Vettel e Leclerc riescano a inserirsi tra le due scuderie contendenti”.

Capitolo Ferrari: cosa manca alla Rossa per tornare a vincere?

“Sulla carta, alla Ferrari hanno tutto per vincere, a partire dai due piloti, uno esperto e l’altro giovane, esuberante e molto veloce. La loro storia è nelle radici della Formula 1, hanno gli uomini giusti: negli ultimi anni hanno commesso qualche errore nelle scelte dal punto di vista strategico, ma la macchina è sempre stata molto vicina alla Mercedes.

Di fatto, la Ferrari è stata l’unica capace di dare del filo da torcere alle Frecce d’argento: manca l’ultimo step. Quello di Binotto, che racchiude il capo del team e il capo tecnico in un’unica persona, è un lavoro molto pesante e importante all’interno della squadra: speriamo che riesca a svolgerlo nel migliore dei modi”.

Tu hai gareggiato in pista con grandi campioni come Senna, Prost e Schumacher: Lewis Hamilton è al livello dei più grandi di sempre?

“Hamilton è indubbiamente uno dei piloti che hanno fatto e faranno la storia della Formula 1 per i titoli vinti, per quello che ha rappresentato e per quello che è riuscito a portare. Un grosso numero di appassionati segue questo sport soprattutto per lui.  È difficile fare dei paragoni con il passato, soprattutto se parliamo di nomi come Senna e Schumacher, ma Hamilton ha un posto di tutto rispetto ai vertici della Formula 1 di tutti i tempi”

Per le nostre scommesse motori, le quote per il Mondiale costruttori vedono Mercedes @1.22, Red Bull @5.50 e Ferrari @6.00: condividi?

“In linea di massima condivido le vostre quote, ma spero che la Ferrari sia un po’ più avanti. Personalmente, qualche euro lo punterei sulla Ferrari. Nonostante quello che ha detto Binotto per smorzare un po’ le attese, speriamo che riesca a sorprendere un po’ tutti”.

Per quanto riguarda il Mondiale piloti, invece, le nostre quote sono: Hamilton @1.50, Verstappen @5.50, Bottas @6.00, Leclerc @7.50: che ne pensi?

“Hamilton parte favorito, ma non escluderei Bottas dalla corsa al titolo: non ha le stesse chance di vincerlo del campione del mondo, ma siede come lui sulla Mercedes che penso sia la macchina da battere anche quest’anno. Verstappen lo vedo vincente in tre o quattro gran premi, ma mi sembra fuori dalla corsa al titolo. Leclerc ci sarà per la vittoria in qualche gara e, speriamo, vicino alla lotta per il titolo: Vettel lo metterei con le stesse chance del suo compagno di squadra”.

Infine, chi possono essere le sorprese della stagione?

“Non me ne aspetto molte. Fra tutte, Racing Point,  Renault e McLaren penso possano dare grandi soddisfazioni ai loro tifosi. Tutte le altre  saranno nelle posizioni di rincalzo da metà classifica in giù”.

*La foto di apertura dell'articolo è di Joan Monfort (AP Photo).

March 23, 2020
Emanuele Giulianelli
Body

Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Il taglio degli stipendi ai tempi della crisi


I club di Serie A hanno proposto il taglio degli stipendi ai calciatori, il Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori Damiano Tommasi al momento ha buttato la palla in tribuna in attesa di scrutare un orizzonte impercettibile; proprio lui che si autoridusse la busta paga, accontentandosi del minimo salariale, dopo un brutto infortunio!

Ci fu un tempo in cui calciatori e società trovavano l’accordo senza la mediazione del sindacato. La memoria istintivamente porta al famigerato “Piano Baraldi" adottato dalla Lazio nel lontano 2003 per uscire da una crisi economica significativa, ascrivibile più agli stessi dirigenti reggenti imposti dalle banche piuttosto che alla gestione cragnottiana. L’accordo collettivo trovato dai dirigenti e dai calciatori portò alla conversione del 45% degli ingaggi in azioni del club, mentre il restante 55% venne regolarmente pagato.

Andando indietro nel tempo, la storia ci porta sempre in casa Lazio - un’altra storica negoziazione risale all’estate del 1986, quando i fratelli Giorgio e Gianmarco Calleri - appoggiati dal finanziere romano Renato Bocchi - intervennero per salvare le sorti del club; la società rischiava di dover portare i libri in tribunale, il club a quel punto propose ai giocatori un taglio del 30% dei salari trattando con i senatori di quella formazione: il tavolo della trattativa vedeva da una parte il presidente Gianmarco Calleri e il direttore sportivo Carlo Regalia, dall’altra Mimmo Caso e Giuliano Fiorini. I protagonisti della negoziazione trovarono un accordo quadro, la Lazio trovò una doppia salvezza: finanziaria e calcistica.

Un’altra riduzione dello stipendio auto imposta riguardò i calciatori dell’Inter nell’estate del 2002, con Vieri, Recoba e Ronaldo pronti a tagliarsi lo stipendio pur di vedere la propria squadra ulteriormente rafforzata; sul piatto della bilancia c’era l’acquisto di Nesta, poi finito al Milan. Alla fine dell’estate, dopo aver vinto il Mondiale, Ronaldo - in rotta con l’allenatore Hector Cuper - finì al Real Madrid, l’Inter acquistò il paraguaiano Carlos Gamarra, non proprio un ministro della difesa.

Nel corso degli anni, ci sono stati giocatori che - pur di vestire la maglia con i colori del cuore - hanno deciso di tagliere il proprio stipendio; l’ultimo in ordine di tempo è stato Gianluigi Buffon, che ha rinunciato a oltre alla metà dell’ingaggio pur di tornare alla Juventus; a Parigi guadagnava 4 milioni a stagione, nell’attuale il suo stipendio è di 1,5 milioni più bonus. Nell’estate del 2004, una mossa simile la fece Paolo Di Canio, in forza al Charlton Atletic: pur di tornare alla Lazio, l’ex fantasista strappò un contratto pluriennale da 1,5 milioni per tornare a vestire la maglia biancoceleste, con un ingaggio da 500 mila euro.

Le cifre della Serie A - Il monte ingaggi dei 20 club di Serie A in questa stagione calcistica ammonta a un miliardo e 360 milioni (al lordo) il 33% in più rispetto alla stagione 2018-2019. Il taglio del 15% sulle buste paga dei calciatori consentirebbe alle società un risparmio di 204 milioni di euro, una cifra vicina alla perdita ipotizzata degli economisti (200 milioni ndr) qualora il campionato - tra mille difficoltà - dovesse ripartire con la Juventus leggermente favorita per le quote calcio. Qualora il torneo fosse sospeso il dissesto economico sarebbe quantizzato in 750 milioni di euro.

La Juventus, club che ha il monte ingaggi più alto di tutta la Serie A, qualora la proposta della Lega venisse accettata, andrebbe a risparmiare 44 milioni, l’Inter 20,85 milioni, la Roma 18,75 milioni. Significativa anche la cifra di Milan (17,25 milioni), Napoli (15,45 milioni) e Lazio (10,8 milioni). Ma il momento, l’Assocalciatori non intende negoziare, e quindi ai club non resterà che aprire un tavolo di trattativa con ogni singolo calciatore. In Germania e Francia i club hanno già iniziato a porre rimedio alla crisi economica delle società; in Ligue1, ingaggi tagliati del 30% e disoccupazione parziale, certificata il 16 marzo dal Governo di Parigi.

All'estero - I calciatori del Borussia Dortmund hanno deciso autonomamente di ridursi gli ingaggi. In Spagna, il Barcellona ha trovato un accordo collettivo con i propri giocatori per la riduzione degli ingaggi, e nei prossimi giorni il presidente catalano Bartomeu vorrebbe programmare un incontro tra rappresentanti dell’ECA, della UEFA e di alcuni membri delle altre leghe europee per trovare un accordo comune sul fronte ingaggi.

In Brasile il taglio degli ingaggi ai calciatori arriva direttamente dal Presidente della Repubblica, Jair Bolsonaro che nelle ultime ore ha varato una misura provvisoria che permette di sospendere i contratti dei lavoratori per quattro mesi. Calciatori in ferie forzate per il prossimo mese, poi ingaggi tagliati del 50%. I calciatori sono già in rivolta, ma il Governo - qualora l’emergenza non si dovesse risolvere entro un paio di mesi - arriverebbe alla sospensione totale degli ingaggi. Il pallone si è sgonfiato, servirà diverso tempo per riempire i polmoni e gonfiarlo di nuovo.

*La foto di apertura dell'articolo è di Plinio Lepri (AP Photo).

March 23, 2020
simone pieretti
Body

Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

La Sardegna saluta Rombo di Tuono

Ricordiamo l'immenso Gigi Riva, scomparso il 22 gennaio 2023, con il racconto della sua straordinaria storia in terra sarda e di uno scudetto strameritato!

Mezzo secolo in un respiro: leggero e sottile come un soffio di vento, come la tramontana che arriva da nord a mitigare il caldo insopportabile di una torrida estate isolana. Più che altro un sibilo. Puoi sentirlo in lontananza, se tendi l’orecchio. Arriva. Sempre più forte, sempre più vicino, come il suono di un treno che marcia a regime, regolare nel battito degli assi sulle rotaie. O forse di un tuono. Di un Rombo di Tuono.

Indossa una maglia bianca, con il colletto bordato di rosso e di blu; sul petto quattro mori e la croce di San Giorgio, tra i piedi un pallone a pentagoni neri. Corre sempre più veloce, la forza che sprigiona il suo incedere dà la sensazione di creargli il vuoto intorno. Nessuno è in grado di fermare quell’esplosione di potenza, il tuono con il suo rombo che lo annuncia. Nessuno è in grado di fermare Gigi Riva.

Ventisei anni, una forza della natura: capocannoniere degli ultimi due campionati di Serie A (compreso questo) con la maglia del Cagliari.

Nato a Leggiuno, sulle rive del Lago Maggiore, è arrivato nel 1963 in Sardegna, dopo la sua prima stagione in Serie C con  i lilla del Legnano, in una terra povera di soddisfazioni per chi si spacca la schiena a lavorarla o chi penetra nelle sue viscere per rubare dal Tartaro il carbone ai Titani, una nazione più che una regione di un’Italia che, da qui, sembra così lontana nello spazio e nel tempo.

Puoi scommettere sul Cagliari con le quote calcio di 888sport.it!

Un arrivo silenzioso quello del giovane attaccante, quando il Casteddu è in Serie B.

Riva riporta il Cagliari in Serie A

Una scalata rapida, a suon di gol: la prima promozione in A della storia della squadra sarda, i campionati disputati da protagonista, la prima classifica dei marcatori vinta nel 1967, la maglia azzurra e il titolo di campione d’Europa, conquistato nel 1968 contro la Jugoslavia a Roma, sotto la guida di Ferruccio Valcareggi.

La figurina di Gigi Riva

Riva realizza la rete del titolo

L’apice del climax, il gol più importante per Gigi, per Cagliari e per la Sardegna intera, arriva il 12 aprile 1970, è quello del vantaggio casalingo contro il Bari.

Quello che significa scudetto: la Juventus, infatti, perde per 2-0 a Roma contro la Lazio ed è matematicamente fuori dai giochi per il titolo di campione d’Italia che, per la prima volta, viene conquistato da una squadra del Sud. Al gol di Riva fa seguito quello del suo compagno d’attacco Sergio Gori, per il più classico dei risultati che dà inizio ai festeggiamenti.

Il Cagliari più amato dai sardi!

L’Amsicora, che prende il nome dal guerriero che nel 215 a.C. guidò il popolo sardo nella rivolta contro il dominio di Roma. Quello del Cagliari campione d’Italia è un miracolo costruito con pazienza e grande competenza sin dalla Serie B, da quella promozione del 1964, passando per il secondo posto del 1968-69, alle spalle della Fiorentina. Evidentemente una sorta di prova generale.

Il mercato estivo, con la cessione di Boninsegna all’Inter in cambio di Poli, Gori e, soprattutto, Domenghini, ha messo in mano a Scopigno, con cui il nostro calcio sarà per sempre in debito, un mosaico perfetto di qualità e carattere, geometrie e velocità, potenza e classe: una squadra capace di incutere timore a tutte le grandi del campionato e, soprattutto, capace di vincere. Già, Manlio Scopigno, il pittore del quadro cagliaritano, il regista del film dei sogni, il pragmatico uomo di pensiero e di campo, il filosofo come è stato sempre chiamato.

La sua squadra pratica un calcio arioso, nuovo, agli antipodi rispetto al gioco all’italiana che va per la maggiore: palla a terra, tanto gioco a centrocampo e lanci in profondità per sfruttare i tagli del Rombo di Tuono (come lo battezza Gianni Brera, inizialmente critico nei suoi confronti, ma poi convertitosi sulla via di Damasco), Gigi Riva.

Velocissimo, imprendibile, corre, aggancia il pallone e tira in diagonale. E, quasi sempre, segna. Tra le mura domestiche dell’Amsicora, Riva è capace di orientarsi dalla semplice osservazione dei cartelloni pubblicitari che circondano il perimetro di gioco, il che gli consente di prepararsi a calciare a rete anche quando si trova spalle alla porta.

Scommetti live sulla Serie A con 888sport.it!

Ma un grande attacco non può essere vincente, da solo, senza il contributo determinante di una solida difesa. E quella del Cagliari scudettato 1969-70 incassa solamente 11 gol in tutto il campionato, due dei quali nelle uniche sconfitte stagionali, alla dodicesima a Palermo e alla ventunesima a Milano contro l’Inter.

Scopigno impernia il suo reparto arretrato sul libero Tomasini, in marcatura Comunardo Niccolai (la cui fama per le spettacolari autoreti non gli rende minimamente giustizia) e l’insuperabile Mario Martiradonna con Zignoli e Mancin ad alternarsi nel ruolo di fluidificante.

In porta c’è una vera e propria sicurezza, Ricky Albertosi, estremo difensore della nazionale italiana. A centrocampo Brugnera, il brasiliano Nenè (compagno di Pelé al Santos), il regista Greatti, al quale i genitori hanno messo il nome Ricciotti come il figlio di Garibaldi, e Angelo Domingo Domenghini, campione di tutto con l’Inter di Helenio Herrera, a fare scorribande sulla fascia.

Le parole del Maestro Brera su Gigi Riva

Il campionato del Cagliari tricolore è stato una marcia trionfale, senza interruzioni. Il suo successo ha un’eco clamorosa in tutta Italia. Le parole di Gianni Brera, in tal senso, sono inequivocabili: “Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia.

Riva con la maglia della Nazionale!

Fu l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano. Questa regione rappresentava fino agli anni Sessanta un’altra galassia. Per venirci, bisognava prendere l’aereo e gli italiani avevano una paura atavica di questo mezzo di trasporto.

La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso.

La Sardegna era fino ad allora nota per la brigata Sassari, ma le sue vicende furono un massacro”. Un trionfo nel segno del tuono, il riscatto per una regione e per un popolo intero.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da Alamy. Prima pubblicazione 23 marzo 2020.

January 23, 2024
Emanuele Giulianelli
Body

Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

L'arte dei mancini!

L’arte dei mancini illumina il calcio da sempre. Hanno qualcosa di speciale, nel piede. Una diversità che incanta. Non a caso, l’infinito dibattito tra i calciatori più forti di sempre coinvolge Maradona per il passato, Messi per il presente.

Due tipi che con il sinistro hanno scritto la storia del pallone. Nei discorsi degli appassionati, Diego e la Pulce sfidano due destri – ma abilissimi anche con l’altro piede – come Pelé e Cristiano Ronaldo..

I tifosi si dividono nel confronto impossibile tra artisti. Maradona e Messi più tecnici, gli altri due più potenti: come scegli, scegli bene. La particolarità è che il mancino di solito è un grande specialista delle punizioni, proprio perché con quel piede la palla la mette dove vuole, nonostante la barriera.

La punizione più bella

Sfida da palla inattiva

Non solo "camisa 10" 

La punizione più bella

Tra le migliori di tutti i tempi è considerata quella di Maradona, indiretta dentro l'area, nel leggendario Napoli-Juve del 3 novembre 1985: punizione appena toccata da Pecci e Diego con un tocco francamente inconcepibile piazzò la palla alle spalle della barriera – vicinissima – e soprattutto di Tacconi, sotto l’incrocio dei pali. Il San Paolo impazzì, la chiamarono “punizione divina”.

Una capriola di Diego!

Sfida da palla inattiva

Lionel Messi non è da meno: indimenticabili alcune perle su calcio piazzato, come quella al Liverpool l’anno scorso in Champions League. Tra i mancini implacabili su palla inattiva c’è Sinisa Mihajlovic, ovviamente: lui e Pirlo (destro) comandano la classifica dei cannonieri su punizione in Serie A. Una volta, quando era alla Lazio, il serbo di gol così ne segnò addirittura 3 (alla Samp di un incredulo Ferron), record assoluto. L’ultimo da 35 metri.

E Roberto Carlos? Mitiche le sue traiettorie impossibili e da lontanissimo, con il Brasile e con il Real Madrid e nel torneo Paulista, anche da calcio d'angolo. Potenza e tecnica perfettamente miscelate, dinamite nei piedi, un incubo per i portieri.

Roberto Carlos calcia in porta!

Un altro brasiliano che calciava meravigliosamente le punizioni di sinistro era Rivelino, uno dei protagonisti della Seleçao che nel 1970 dominò l’Italia nella finale dei Mondiali messicani. In quella formazione azzurra giocava uno dei più forti mancini del nostro calcio, Gigi Riva: la potenza del suo tiro era proverbiale, piegava le mani ai portieri e una volta spezzò un braccio a un raccattapalle incautamente piazzato dietro la porta.

Prima di “Rombo di tuono”, raffinato il sinistro di Corso: la “foglia morta” del fuoriclasse dell’Inter di Herrera scavalcava la barriera e si depositava felice in porta. Tanti anni dopo, la San Siro nerazzurra si ritrovò ad applaudire un altro giocatore bravo sui calci da fermo, l’uruguaiano Recoba, pupillo del presidente Moratti. Segnava con tiri da distanze siderali.

“Rivera (destro, ndr) più Corso = Dolso”, lo striscione che campeggiava allo stadio Olimpico quando giocava il genietto incompreso e irrisolto della Lazio, Arrigo Dolso, nella seconda metà degli Anni 60. Ancora oggi, molti tifosi biancocelesti lo ricordano come calciatore di classe sopraffina, i calzettoni calati alla Corso ma la testa matta. Viveva di tunnel e di dribbling come quel fenomeno di Sivori, il gaucho dal sinistro fatato che giocava anche lui con i calzettoni calati quasi a provocare i difensori.

“El Gran Zurdo”, il grande mancino, era uno dei soprannomi del funambolo argentino che tra il ’57 e il ’68 ha fatto impazzire prima i tifosi della Juve e poi quelli del Napoli. D’altronde il mancino è sempre stato il numero 10 per eccellenza, da Maradona a Messi, da Rivelino alla stella rumena Hagi, dal brasiliano Rivaldo allo stesso Sivori.

Non solo "camisa 10" 

Ma formidabili con il sinistro pure tanti attaccanti. Era il piede preferito di Bobo Vieri, per esempio, che però ha segnato in tutti i modi, anche di destro e soprattutto di testa. L’erede di Gigi Riva, davvero. E che dire di Beppe Signori? Calciava solo col mancino, in pratica, ma è stato tre volte capocannoniere del campionato con la Lazio dopo aver dato spettacolo a Zemanlandia, cioè Foggia.

E ha dato spettacolo per anni, soprattutto in Bundesliga con il Bayern e nella sua nazionale, l’ala olandese Arjen Robben: faceva sempre la stessa finta, per rientrare appunto sul sinistro e calciare a giro, ma non lo prendevano mai lo stesso.

Di questa categoria fa parte Salah, l’egiziano ex Roma che l’anno scorso ha vinto la Champions League con il Liverpool.

Salah in Champions contro l'Atletico

Sinistro con dinamite incorporata per Gareth Bale, jolly offensivo del Real Madrid, protagonista di due gol del 2-1 nelle finali di Champions che hanno chiuso le rispettive scommesse live. Tecnica speciale anche quella del suo connazionale Ryan Giggs, simbolo di un Manchester United – ci ha giocato per 24 anni! - che vinceva e incantava.

E tra i centrocampisti di classe che toccavano la palla soprattutto con il sinistro, un posto di rilievo merita Fernando Redondo, due Coppe dei Campioni vinte con il Real Madrid, regista illuminato. Adesso che anche i portieri devono essere bravi a fraseggiare con i compagni, ce n’è uno che potrebbe tranquillamente giocare a centrocampo: Ederson del City. Piede preferito? Il sinistro, naturalmente. 

Ederson in allenamento con il Brasile!


*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 21 marzo 2020.

October 21, 2021
Giulio
Body

Giulio è nato giornalista sportivo, anche se di professione lo fa “solo” da 30 anni. Dal 1997 è l'esperto di calciomercato del quotidiano La Repubblica.

Dal '90 segue (senza annoiarsi mai) le vicende della Lazio: collabora anche con Radiosei e dirige il sito Sololalazio.it. Calcio e giornalismo sono le sue grandi passioni. L'unico rimpianto che lo tormenta è aver smesso di dare spettacolo sui campi di calcetto.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Quando smetto... mi compro il pallone


Fuoriclasse in campo, e presidente dietro la scrivania. Negli ultimi anni, molti dei calciatori che hanno abbandonato la carriera agonistica, hanno intrapreso quella dirigenziale, investendo le loro fortune, acquisite con gli scarpini ai piedi, per reinvestirle in un club.

Non persone alla Giampiero Boniperti, tanto per intenderci, reggente della dinastia Juventus, presidente stipendiato per gestire il club della proprietà della famiglia Agnelli. Ma persone che - una volta appesi gli scarpini al chiodo, hanno deciso di metter mano al portafoglio per diventare proprietari e presidenti di una squadra. Al cuor non si comanda, e non potrebbe essere altrimenti pensando alla storia di Giorgio Chinaglia, uomo simbolo di una Lazio bella e dannata, ma allo stesso tempo uomo con il pallino del business.

Dopo aver conquistato lo scudetto con la squadra di Maestrelli, decise di chiudere la carriera ai Cosmos di New York. E qui, scoprì un nuovo mondo, fatto di stadi di proprietà, merchandising, marcheting, sponsor, royalties, tv via cavo, diritti tv. L’acquisto della Lazio nell’estate del 1983 non si rivelò un buon affare, né per lui, né per lo stesso club; Long John aveva una visione del calcio futuristica, arrivò con vent’anni di anticipo e se ne andò lasciando la società sull’orlo del fallimento, non prima di aver acquistato Giuliano Fiorini e Fabio Poli, i due giocatori che salvarono la squadra sul campo.

Spesso il campione fatica a restare nel mondo del calcio come comparsa, è una figura abituata a essere adulata, venerata, accetta ordini obtorto collo, perché non ha mai ricevuto ordini. E allora, si mette in proprio.

E’ il caso di Luis Nazario da Lima, meglio conosciuto come Ronaldo: il “Fenomeno” brasiliano, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo. ha acquistato il Valladolid: la squadra biancoviola gioca nella Liga, e ha buone possibilità di conquistare la permanenza nella massima divisione spagnola. Percorso simile per un altro fuoriclasse del passato come David Beckham; l’ex centrocampista di Manchester United e Real Madrid è il proprietario dell’Inter Miami, club acquistato nel 2018.

I fuoriclasse del recente passato hanno investito a livello calcistico molto più dei campioni di un tempo, anche perché i contratti multi milionari hanno consentito loro un margine di manovra più ampio.

Lo juventino Alex Del Piero dopo aver concluso la brillante carriera da giocatore, nel 2018 ha acquistato il club "LA 10 FC”, piccola società di Los Angeles che milita nella terza serie americana: la squadra è terza in classifica e punta ad accedere ai play off per giocarsi la promozione nel campionato statunitense di seconda serie. Ha investito nel calcio anche il francese Didier Droga, protagonista con il Chelsea di una delle finali più clamorose per le scommesse online, che è diventato azionista di maggioranza del Phoenix Rising, club nel quale ha giocato prima di appendere gli scarpini al chiodo.

Francesco Totti, ben prima di chiudere la propria carriera, ha fondato la Totti Soccer, e nel giro di pochi anni è riuscito a radicalizzare sul territorio un club tanto giovane quanto ambizioso. L’ex bomber dell’Udinese Totò Di Natale è diventato presidente della Donatello calcio, società satellite dell’Inter che opera alle porte di Udine.

I calciatori ancora in attività - Ci sono campioni che non hanno ancora chiuso la loro carriera sportiva, ma hanno già intrapreso quella dirigenziale; è il caso di Gerard Piquè, azionista di maggioranza dell'Andorra Fc, club della terza spagnola, e di Andrè Iniesta, già proprietario dell’Albacete che milita in Segunda Division. Zlatan Ibrahimovic non poteva essere da meno, e due anni fa è diventato azionista di minoranza dell’Hammarby, club della massima divisione svedese.

Ma chi batte tutti - anche per egocentrismo - è l’ex calciatore dell’Inter Mohammed Kallon che ha acquistato il club Sierra Ficheries, in Sierra Leone, cambiando il nome della società che da qualche anno si chiama Kallon FC. In quanto a protagonismo, non è da meno l’ex milanista Keisuke Honda: il calciatore giapponese - ancora in attività con i brasiliani del Botafogo, è allo stesso tempo allenatore della Nazionale della Cambogia e presidente dell'SV Horn, club di seconda divisione austriaca.

Non tutti gli ex calciatori investono in club affermati, alcuni seguono le proprie orme riavvolgendo il nastro all’indietro, superando le piccole società che a inizio carriera li hanno lanciati verso il grande calcio. Fabio Liverani, attuale allenatore del Lecce ha acquistato da qualche anno la società del Tor Tre Teste, uno dei tanti club di Roma che nel giro di poco tempo è diventato un fiore all’occhiello per quanto riguarda il settore giovanile. L’ex romanista Alberto Aquilani ha fatto un’operazione simile, acquistando le quote di maggioranza della Spes Montesacro, altra società della Capitale.

*La foto di apertura dell'articolo è di Alvaro Barrientos (AP Photo).

March 19, 2020
simone pieretti
Body

Giornalista, scrittore, innamorato di futbol. Scrive per trasmettere emozioni e alimentare sogni. Il calcio è una scienza imperfetta: è arte, è musica, è poesia. E' un viaggio nel tempo che ci fa tornare bambini ogni qual volta diamo un calcio a un pallone.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Ad Atene vincono gli uomini, non gli schemi...

Il confronto tra “giochisti” e “risultatisti” continua. Dopo il primo articolo e l'analisi della competizione a tutto campo tra Trap ed Arrigo Sacchi, esaminiamo un'altra sfida clamorosa, successiva solo di qualche anno, tra due maestri che vedono il gioco più bello del mondo in modo davvero diverso!

Il Milan è a fine ciclo, i metodi di Sacchi hanno logorato la rosa, si dice che i senatori chiedano un cambio di allenatore a Berlusconi e Galliani. Il Cavaliere aveva voluto Arrigo, l’aveva difeso, ma si convince che forse sia arrivato il momento di una sterzata. Fabio Capello è un ex grande giocatore, lavora in Publitalia e l’intuizione è sempre di Berlusconi. Lo chiama e gli affida il Milan. Capello da subito fa capire al gruppo che disciplina e dedizione alla causa sono ingredienti principali per un professionista. Insomma niente notti brave, in allenamento bisogna andare al 100% perché poi in partita si replica quanto fatto durante la settimana.

I 4+1 difensori più forti del calcio moderno - È un insegnamento che Capello ha ricevuto alla Roma, quando era un giocatore di Herrera, un precetto che non abbandonerà mai più. Il Milan di Capello è una squadra solida, tosta, che concede poco o nulla agli avversari. La difesa è il punto di forza di un Milan che per quattro stagione, tra il 1992 e 1996, avrà la miglior retroguardia del campionato: in annate senza bookmakers per le scommesse, le giocate consigliate sarebbero state semplicemente la vittoria del Milan, senza subire reti.

Capello imposta la squadra diversamente da Sacchi, la pressione ossessiva che voleva il tecnico romagnolo viene abbandonata, la squadra deve affidarsi alle prerogative dei propri giocatori e quel Milan è prima di tutto un team formato da eccellenti difensori, forse unici, come Costacurta, Maldini, Baresi e Tassotti.

Il pragmatismo dell’allenatore friulano è noto, si gioca per esaltare le qualità dei giocatori a disposizione e non per piegarli alle idee di chi sta in panchina. Capello è un sergente di ferro, ma anche un uomo pratico: “Non credo che si possa giocare con un solo schema. Dipende dai giocatori a disposizione. Bisogna trovare la formazione che fa rendere al meglio i tuoi giocatori. Un allenatore deve capire il potenziale della propria squadra”, disse in un’intervista al sito dell’UEFA. Capello gioca con il 4-4-2 o con il 4-5-1 e adatta Desailly, centrale difensivo, a schermo davanti alla difesa, in modo da dare protezione ulteriore alla retroguardia e avere comunque un giocatore qualitativo per uscire da dietro.

Capello è probabilmente il re dei “risultatisti” e con la sua filosofia riuscì a vincere anche una storica Coppa dei Campioni, nel 1994, ad Atene. Un successo clamoroso nelle proporzioni (4-0), contro un avversario stratosferico come il Barcellona di Romario, Guardiola e Stoichkov e anche perché ottenuto contro forse il suo opposto. Se Capello è lo Zenit, dall’altra parte c’è il Nadir Johan Cruijff. Uno “risultatista” puro, l’altro figlio prediletto, erede naturale dell’Arancia Meccanica di Michels, dell’Ajax che aveva incantato il mondo.

Si vince solo sul campo, non a parole - Cruijff, prima della partita, si lascia andare a dichiarazioni arroganti: “I tifosi del Milan si godano questo Barcellona: agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra”, frecciata diretta proprio a Capello. Ma non solo, l’olandese non ha dubbi: “Non vedo come potremmo perderla questa coppa”. Si narra che Johan abbia già fatto le foto col trofeo, che abbia organizzato la festa. Il Milan, dal canto suo, arriva a quella finale in difficoltà, mancheranno Baresi e Costacurta, al loro posto ci sono Galli e il 21enne Panucci.

Capello, quando gli chiedono delle assenze, di Cruijff che parla di “Milan malandato” dice: “Per me è un bene, abbiamo un vantaggio psicologico”. Il Milan stravince quella finale tatticamente e mentalmente. In effetti. I rossoneri sono più cattivi, feroci, vincono i duelli, corrono di più e meglio. Ma soprattutto sanno leggere i momenti della partita, fanno pressione nei primi minuti, dominano il gioco, lasciando incredulo Cruijff e una volta in vantaggio si ritraggono, stanano il Barça e lo colpiscono in contropiede.

A fine partita, contro ogni pronostico delle scommesse è 4-0, Cruijff è incredulo, quasi non realizza ciò che è appena successo, come se a perdere sia stato il calcio e non il Barcellona. Ma forse il calcio non è uno. Non conosce un’unica via. E le idee sono sempre idee, anche quando non piacciono, anche quando sembrano “solo” gestione di risorse. Poco spettacolare forse questa via, poco entusiasmante, poco cool. Ma pur sempre una via.

*La foto di apertura dell'articolo è di Carlo Fumagalli (AP Photo).

March 19, 2020
888sport
Body

The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off