Tour de force... calcistico!

 

Finalmente, un po’ di pace! Questa dovrebbe essere l’esclamazione di chi, dopo nove intensi mesi di calcio, può riposare. Campionati, coppe nazionali, coppe europee, persino il Mondiale per Club, per chi si è qualificato. La stagione 2019/20, come sempre, si trasforma per alcune squadre in un vero e proprio tour de force.

Non parliamo solo della tragicomica gestione del calendario della Serie A, pensiamo anche al Liverpool che per far fronte a tutti gli impegni in calendario è già stato costretto a schierare i giovanissimi in League Cup e nel replay di FA Cup con il Shrewsbury. Ma prima o poi, maggio arriva e la stagione termina, potremmo aggiungere. Sì, sicuramente, ma non…nel 2020.


Di riposo i calciatori quest’anno ne avranno davvero poco, considerando che ci sarà addirittura chi rischia di riprendere la prossima stagione senza aver fatto neanche un minimo di pausa. Tutta colpa di un calendario internazionale che definire sovraffollato è poco e che renderà la vita difficile soprattutto ai calciatori europei e a quelli sudamericani. Per non parlare di molti giovani, che potrebbero essere impegnati come mai finora nella vita.

Il 30 maggio, giorno in cui si giocherà la finale di Champions League a Istanbul, non segnerà la fine di un’annata faticosa, ma l’inizio di un’estate che, calcisticamente parlando, sarà torrida e impegnata come accaduto poche altre volte.


Guida alla mano, il giorno X è il 12 giugno. Alle ore 21, allo Stadio Olimpico di Roma, il match tra Italia e Turchia apre il sipario sul Campionato Europeo di calcio. La sedicesima edizione della rassegna continentale, che sarà itinerante e si svolgerà in ben 12 città, mette di fronte le migliori 24 squadre del Vecchio Continente e terrà tutti impegnati almeno per una decina di giorni.

I gironi terminano infatti tra il 22 e il 24 giugno, per poi riprendere con la fase ad eliminazione diretta. Tra il 27 e il 30 giugno ci sono gli ottavi, il 3 e il 4 luglio si giocheranno i quarti, con le vincenti che si qualificheranno alla Final Four di Londra. Le semifinali sono previste il 7 e l’8 e il 12 luglio, nella cornice di Wembley, verrà incoronata la nuova regina d’Europa. Con grandissima incertezza anche le scommesse, per chi arriva in finale, dunque, un mese in più di allenamenti e partite.


Copa America - Non che ai colleghi sudamericani vada molto meglio… Da anni si fa un gran parlare di cercare di spostare tutte le competizioni continentali negli anni che dividono il periodo tra due mondiali. E quindi per uniformare il calendario anche la Copa America, che si è disputata nel 2019 ed è stata vinta dal Brasile, si gioca di nuovo nel 2020 ed è organizzata in Argentina e Colombia. Per…par condicio, le date sono esattamente le stesse dell’Europeo.

Si inizia il 12 giugno al Monumental di Buenos Aires con Argentina-Cile e si andrà avanti fino al 12 luglio, quando all’Estadio Metropolitano Roberto Melendez di Barranquilla, Colombia, si daranno battaglia le due migliori squadre del Sudamerica. A differenza dei calciatori europei, tra l’altro, Messi e compagni sono certi di dover giocare per circa tre settimane: la struttura a due gironi della Copa America prevede ben 5 partite per ogni gruppo e chi verrà eliminato saluterà la competizione a fine giugno o il primo luglio.


Brutte notizie per chi arriverà in fondo alla Champions League, dunque, ma non è finita qui. Qualcuno rischia davvero di non avere neanche un attimo di riposo, perché il 23 luglio, neanche due settimane dopo la fine dei due campionato continentali, a Tokyo inizia il torneo di calcio della trentaduesima Olimpiade. Saranno sedici le squadre a contendersi la medaglia d’oro, con la finalissima prevista addirittura l’8 di agosto.

Torneo di calcio olimpico - E nonostante le rose possano essere composte solo da Under-23, la possibilità di portare tre fuori-quota può coinvolgere anche campionissimi di spessore assoluto. Dalle qualificazioni sudamericane escono indenni il Brasile e l’Argentina, come sempre tra le favorite assolute, che potrebbero portare Neymar o Di Maria.

Già certe di esserci anche Spagna e Germania, che potrebbero presentarsi con in campo Sergio Ramos e Neuer. Per non parlare della Francia, che può permettersi di inserire in lista uno come Mbappè anche senza dover occupare un posto da fuori-quota. E poi l’Egitto e la Corea del Sud, con probabili presenze di Salah e Son.


Dulcis in fundo, persino i calciatori dell’Oceania avranno un giugno molto impegnato. Dal 6 al 20, infatti, si giocherà l’undicesima edizione della Coppa delle nazioni oceaniane. Una competizione che forse non tocca chi gioca il campionato italiano, ma che impegnerà comunque qualche giocatore di Premier League come l'attaccante del Burnely Chris Wood.

Va invece meglio ai calciatori di altre confederazioni. Le due competizioni a cadenza biennale, la Coppa d’Africa e a Gold Cup (CONCACAF) si terranno nel 2021. Ancora più in là la Coppa d’Asia, che si gioca ogni quattro anni e che quindi tornerà nel 2023. Dunque, per europei e sudamericani, di riposo neanche a parlarne. Anche perché ad agosto, a Olimpiadi finite, i campionati dovranno pur ricominciare, ed al momento non sono previsti ritardi rispetto alle solite date.

Meglio non stupirsi quindi se alcuni calciatori arriveranno all’inizio della prossima stagione più stanchi di quando hanno finito quella in corso. La possibilità che qualcuno non faccia neanche un giorno di vacanza, in fondo, non è poi così campata in aria…

*La foto di apertura dell'articolo è di Jon Super (AP Photo).

March 2, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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I 5 indimenticabili derby inglesi in Europa!


Considerando le principali competizioni Uefa disputate dal 1960 (Coppa dei Campioni / Champions League, Coppa delle Coppe, Coppa delle Fiere, Coppa Uefa/Europa League, Supercoppa Uefa) in 22 occasioni il sorteggio ha messo di fronte due formazioni inglesi, per un totale di 41 partite, delle quali 3 in finali disputate in gara unica.

Noi di 888sport.it abbiamo raccolto per voi le 5 sfide memorabili tra formazioni inglesi in Europa.

Tottenham-Wolverhampton, Coppa Uefa 1971-72
Il primo derby inglese in una finale europea. Il 3 maggio 1972 al Molineaux di Wolverhampton, per la gara d’andata, i Wolves di Bill McGarry ospitano gli Spurs guidati da Bill Nicholson. La First Division è un trionfo per il Derby County, al suo primo titolo: il Tottenham chiuderà la stagione al sesto posto, mentre il Wolverhampton si accontenterà della nona piazza, un punto dietro al Manchester United.

I due confronti in campionato tra le due formazioni si sono conclusi con la vittoria degli Spurs per 4-1 a Londra e il pareggio 2-2 nelle West Midlands. La doppia finale di Coppa Uefa ha un andamento speculare: l’andata si conclude con il successo in trasferta per 2-1 del Tottenham, che in semifinale ha avuto la meglio sul Milan di Nereo Rocco, grazie alla doppietta di Martin Chivers, mentre il ritorno a Londra si conclude con il punteggio di 1-1 che regala agli Spurs il loro secondo trionfo europeo, dopo quello in Coppa delle Coppe del 1963.
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Manchester United-Everton, Coppa delle Fiere 1964-65
Quella tra i Red Devils di Law, Charles e Best e i Toffees guidati da Harry Catterick è il primo confronto in assoluto tra squadre inglesi nelle coppe europee. È il terzo turno della Coppa delle Fiere: lo United si è sbarazzato agevolmente, nei due turni precedenti, di Djurgarden e Borussia Dortmund, mettendo a segno 17 reti in quattro partite, mentre l’Everton ha eliminato i norvegesi del Valerenga e gli scozzesi del Kilmarnock. La doppia sfida si conclude con il successo complessivo per 3-2 del Manchester United che verrà eliminato in semifinale dal Ferencvaros.

Manchester United-Chelsea, Champions League 2007-08
Mosca, Stadio Luzhniki, 21 maggio 2008: per la prima volta nella storia due formazioni del massimo campionato inglese si scontrano nella finale della massima competizione continentale. Alex Ferguson e il suo Manchester United, che si sono appena confermati campioni in Premier League, affrontano il Chelsea, allenato dall’israeliano Avraham Grant, che a settembre aveva preso il posto di José Mourinho, esonerato da Abramovic.

Proprio a casa del presidente dei Blues, a 50 anni dalla tragedia di Monaco e a 40 dalla Coppa dei Campioni dei “Busby babes”, Ferguson conquista il suo ventottesimo trofeo alla guida dei Red Devils, in una sfida che ha tutti i toni dell’epica calcistica. I novanta minuti regolamentari si concludono sul punteggio di 1-1, grazie alle reti di Cristiano Ronaldo e Franck Lampard che porta la sfida agli inutili tempi supplementari: per decidere la cinquantatreesima finale della Coppa dei Campioni / Champions League servono, infatti, i calci di rigore.

Sbaglia Ronaldo, ma il capitano del Chelsea, John Terry, tradito dalla pioggia battente scivola sul pallone più pesante della sua carriera, sparando a lato il pallone che avrebbe potuto fargli alzare il trofeo. L’errore decisivo, nei tiri a oltranza, è di Nicolas Anelka.
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Tottenham-Liverpool, Champions League 2018-19
Il Tottenham è l’unica formazione inglese ad aver affrontato una propria connazionale in finale sia in Champions League che in Europa League (allora Coppa Uefa, come visto). Nel 2019 al Wanda Metropolitano, il prestigioso trofeo dalle grandi orecchie è conteso tra gli Spurs di Pochettino e il Liverpool di Klopp, secondi in Premier League; i primi hanno avuto la meglio in semifinale sulla sorpresa Ajax, grazie alla regola dei gol in trasferta, mentre i Reds hanno superato il Barcellona di Leo Messi, rimontando con un 4-0 ad Anfield lo 0-3 rimediato all’andata in Spagna, grazie alle doppiette di Origi e Wijnaldum.

La finale madrilena è un assolo del Liverpool, che con una prestazione sontuosa si impone sui connazionali per 2-0, con le reti di Salah e, ancora una volta, di Divock Origi: è il sesto trionfo in Champions League per i Reds.

Liverpool-Chelsea, Supercoppa Uefa 2019
Al Vodafone Park di Istanbul, stadio di casa del Besiktas, si disputa l’unica finale tutta inglese nella storia della Supercoppa Uefa: di fronte il Liverpool, vincitore della Champions League, e il Chelsea che, sotto la guida di Maurizio Sarri, ha conquistato a Baku l’Europa League nel derby londinese contro l’Arsenal.

Il Chelsea passa in vantaggio al 36’ grazie a una rete di Giroud, ma tre minuti dopo l’inizio della ripresa Sadio Mané fissa il punteggio sull’1-1 che durerà fino al novantesimo. È lo stesso Mané a ribaltare le sorti dell’incontro al 95’, ma il nazionale azzurro Jorginho pareggia i conti sei minuti più tardi, su calcio di rigore. Dal dischetto il Liverpool mette a segno tutti e cinque i propri tiri a disposizione, mentre Tammy Abraham sbaglia il quinto e decisivo penalty per il Chelsea, consegnando ai Reds la loro quarta Supercoppa.

*La foto di apertura dell'articolo è di Ivan Sekretarev (AP Photo).

February 28, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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West Ham, che confusione!


Tifato oltreoceano da celebrità del calibro di Matt Damon, Barack Obama e Katy Perry; seguito in patria da milioni di tifosi e reso celebre da un libro e daun noto film interpretato da Elijah Wood. Il West Ham è uno dei club più famosi al mondo e uno dei più tifati d’Inghilterra, ma è anche in crisi ormai perenne, finito in una spirale negativa dalla quale proprio non riesce a tirarsi
fuori.

Gli Hammers lottano per evitare la retrocessione, lo spettro del ritorno in Championship s’allunga nefasto su un club che nonostante gli investimenti, le spese importanti sul mercato, non è mai riuscito a tornare nell’élite del calcio inglese. L’ultima retrocessione è lontana dieci anni, il ritorno in Premier fu immediato sotto la guida di Sam Allardyce, ma da allora il West Ham non è mai riuscito a spiccare il volo. Il miglior risultato in campionato è il settimo posto della stagione 2015/2016 con Slaven Bilic in panchina.

Un piazzamento che consentì alla squadra di partecipare ai playoff di Europa League, nei quali venne eliminata dai romeni dell’Astra Giurgiu: pareggio (1-1) in trasferta e sconfitta interna a sancire un addio tanto clamoroso, quanto prematuro alla competizione. Parentesi amara in un mare di anonimato fatto di parte destra della classifica ed estrema difficoltà a trovare una continuità tecnica e di risultati.

Un dato esplica bene la condizione di questa nobile decaduta: dal 2012-2013 anno del ritorno nella massima serie, solo una volta (nel 15-16) sono state più le vittorie rispetto alle sconfitte in campionato. Lo scorso anno, per esempio, nonostante un tranquillo decimo posto, il West Ham ha incassato 16 rovesci in Premier League e vinto solo quindici gare. In quello precedente, invece, ben sedici k.o. e solo dieci successi intervallati da dodici pareggi.

Quello che fa impressione, poi, è il cammino interno. Da quando il West Ham ha lasciato Boleyn Ground sembra aver perso la propria anima, il proprio spirito, la vicinanza di un pubblico sempre numeroso, ma improvvisamente distante. I numeri, anche qui, aiutano a capire: da quando gli Hammers giocano all’Olympic Stadium la media punti della squadra è crollata, arrivando a toccare picchi al ribasso come gli 1,32 punti a gare del 2016/2017 e gli 1,42 della stagione successiva. In tanti rimpiangono il vecchi stadio, la sua atmosfera, la vicinanza degli spalti al campo, il clima magico che si creava nel ground di Upton Park. 

Spese folli e risultati scadenti- Pellegrini è stato esonerato dopo 19 giornate e dieci sconfitte e la media di un punto a gara. Una spirale negativa che diventa tragica se si pensa che il West Ham ha una rosa da 349 milioni di euro di valore complessivo, secondo Transfermarkt, superiore per esempio a quella della Lazio in Serie A.

Prendiamo il club biancoceleste come riferimento. Negli ultimi cinque anni, la Lazio ha centrato la qualificazione alle competizioni europee in quattro occasioni, ha vinto tre trofei ed è ormai da considerare una realtà di vertice in Serie A e presenza costante nelle manifestazioni Uefa. Risultati evidentemente diversi, diametralmente opposti. Anzi. Ed è clamoroso confrontando i numeri di questi due club.

La Lazio, per esempio, per la stagione 2019/2020, ha stanziato un monte ingaggi da 72 milioni di euro; cifre molto simili a quelle che spendono gli Hammers per pagare i propri calciatori e cioè 63 milioni di sterline che corrispondono a 73,8 milioni di euro. Il giocatore più pagato del West Ham è Yarmolenko che percepisce 6,5 milioni a stagione, quello della Lazio è Ciro Immobile che, bonus compresi, s’attesta intorno ai 3,5 milioni all’anno.

L’abisso, però, è nelle cifre investite sul mercato. I londinesi, partendo dall’estate del 2015, hanno immesso sul mercato ben 397 milioni di euro. La Lazio si è fermata a 183,  spendendo quindi 214 milioni di euro in meno. Un’infinità. E per ottenere risultati ben più importanti rispetto al club dell’est di Londra.

Abissale è anche la differenza che c’è tra quanto incassa la Lazio dai diritti tv e quanto invece è nelle disponibilità del West Ham. Gli Hammers, per la stagione 2018/2019, hanno incassato la bellezza di 122,5 milioni di sterline, pari a 143,5 milioni di euro. La Lazio, invece, si è dovuta accontentare di una cifra poco superiore ai 68 milioni di euro. Il West Ham percepisce dalle tv più del doppio della Lazio, ma a giudicare dai risultati non si direbbe.

Un confronto... interno - Un altro parallelo può essere fatto con il Leicester, un club con un bacino d’utenza inferiore rispetto al West Ham, ma che grazie a intuizioni e programmazione, è riuscito col tempo a diventare una delle più fulgide realtà d’Inghilterra. Oggi le Foxes hanno una rosa da 501 milioni di euro (stime Transfermarkt), ma guadagnano dai diritti tv solo un milione di sterline in più rispetto agli Hammers.

Sul mercato, nelle ultime cinque stagioni, hanno immesso 447 milioni, quindi cinquanta in più del West Ham, vincendo però una Premier e conquistando l’accesso alla Champions, onorando al meglio la successiva partecipazione! 

Prospettive in questo momento inimmaginabili per i claret and blue. Programmazione vuol dire anche valorizzare il patrimonio tecnico e poi vendere per ricavare capitali da reinvestire sul mercato. Il Leicester ci è riuscito incassando 303 milioni dalle ultime cinque campagne di cessione, il West Ham si è fermato a 197, ingolfando spesso la rosa con giocatori inadatti al progetto tecnico, al campionato inglese o più semplicemente di basso livello.

La sensazione forte dunque è che manchi una società forte, una direzione sportiva capace di programmare, pianificare e mettere insieme un progetto serio e a lungo termine che possa portare il West Ham a diventare un club di prima fascia. Ai tifosi non resta che sperare di portare a casa la salvezza e poi ricominciare. Per l’ennesima volta. Sperando che i sogni possano un giorno diventare realtà e non dissolversi e morire. Come bolle nell’aria...

*La foto di apertura dell'articolo è di Frank Augstein (AP Photo).

February 28, 2020
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The 888sport blog, based at 888 Towers in the heart of London, employs an army of betting and tipping experts for your daily punting pleasure, as well as an irreverent, and occasionally opinionated, look at the absolute madness that is the world of sport.

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From Kentucky to LA, tutti i segreti di coach Vogel

Quale segreto si nasconde dietro l’ottimo rendimento dei Lakers? La squadra con il miglior record della Western Conference ha vissuto un’estate di rivoluzione. Sicuramente l’arrivo di Anthony Davis al fianco di LeBron e un maggior tasso d’esperienza ha aiutato i gialloviola. Quello che però sta facendo la differenza è il lavoro, quasi perfetto, di coach Frank Vogel.

Eppure l’ex Pacers e Magic era forse il principale punto interrogativo dei Lakers a inizio stagione. Los Angeles non aveva puntato subito sul 46enne di Waterford, ma dopo il rifiuto di Tyronn Lue i Lakers hanno fatto firmare un contratto pluriennale a Vogel. E l’impatto è stato straordinario, con i gialloviola da subito in cima alla classifica della Western Conference. 

GLI INIZI DI KENTUCKY - Dopo aver giocato per un anno per Rick Pitino a Kentucky, Vogel ha insistito con il coach dei Wildcats per diventare suo assistente. Dopo un solo anno insieme, nel ’97 Pitino passa alla guida dei Boston Celtics ma le strade dei due non si divisero. Il coach infatti lo porta con sé a Boston come head video coordinator e dopo quattro anni, nel 2001, lo promuove ad assistant head coach.

Rimase a Boston anche dopo l’addio di Pitino e l’arrivo di Jim O’Brien fino al 2004, salvo poi andare a Philadelphia sempre come assistant head coach. L’avventura a Philly andò male e Vogel decise di diventare uno scout per i Lakers prima e per i Wizards poi. 

LA SVOLTA A INDIANA - La carriera di Vogel cambia decisamente a Indiana, dove nel 2007 viene chiamato da O’Brien dopo l’avventura insieme a Boston. L’andamento dei Pacers sotto l’ex coach dei Celtics però non è mai ottimale, e soprattutto non si raggiungono i Playoff per tre anni. Durante la quarta stagione di O’Brien a Indiana, la dirigenza dei Pacers decide di esonerare l’ex coach di Boston e puntare proprio sull'allenatore di Wildwood Crest, New Jersey come interim head coach, decidendo di attendere la fine di una stagione deludente prima della rifondazione.

A sorpresa invece Indiana torna subito ai Playoff di basket in quella stagione e la dirigenza dei Pacers, guidata dall’ex leggenda dei Celtics Larry Bird, decide di assumere con un contratto pluriennale Frank Vogel. E i Pacers di lì a un paio d’anni diventano una delle certezze dell’est, tanto da andare vicinissimi alla sorpresa nelle Eastern Conference Finals contro i Miami Heat di LeBron James, Dwayne Wade e Chris Bosh. 

DIFESA LA PAROLA CHIAVE - Fin dalle prime partite a Indiana, l’impostazione difensiva di Vogel sorprese tutti. La trasformazione dei Pacers è andata avanti grazie proprio a una straordinaria difesa, guidata soprattutto da un “rim protector” di primissimo livello. In quel di Indiana fu Roy Hibbert il perno difensivo dei Pacers che sfidarono la Miami dei big three, un lungo che dopo l’addio di Vogel non è più riuscito a ritagliarsi uno spazio in NBA.

Lo stesso straordinario approccio difensivo è stato portato a Los Angeles, mentre i due anni a Orlando sono stati decisamente negativi. Vogel pensava di poter attuare il proprio sistema difensivo anche con un centro con caratteristiche diverse come Nikola Vucevic. Il montenegrino però è un gran talento offensivo, ma le sue attitudini difensive sono discutibili e anche lo stesso coach di Waterford non è riuscito a cambiare le sue caratteristiche.

Discorso ben diverso a Los Angeles, dove non ha voluto ripetere lo stesso errore commesso a Orlando. Oltre a Anthony Davis, secondo miglior stoppatore della NBA, sono arrivati in estate anche JaVale McGee e soprattutto Dwight Howard. “Superman” sembrava ormai sul viale del tramonto, invece con Vogel si è ritrovato tornando ad essere uno straordinario difensore al ferro. Tanto che i Lakers dominano la classifica delle stoppate, con un record di 20 ottenuto contro i Pistons, numeri che in NBA non si vedevano dal 2001.

Dopo aver avuto la miglior versione di Paul George a Indiana, per la prima volta Vogel si deve misurare con due Superstar del livello di LeBron James e Anthony Davis. La gestione dei due gioielli dei Lakers era un’altra grande domanda della pre-season losangelina, la risposta di Vogel è stata perfetta con i gialloviola che sembrano in controllo della Western Conference.

In attesa di una campagna Playoff che si prospetta straordinaria, con un probabile derby di Los Angeles in finale di Conference che rappresenta il sogno di tutto l’ambiente NBA, Vogel si è subito integrato in California, acquistando un meraviglioso immobile da 5 milioni di dollari!
 

*La foto di apertura dell'articolo è di Charles Rex Arbogast (AP Photo).

February 28, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Ancona, Alessandria e Napoli: le grande sorprese della Coppa Italia


La Coppa Italia non ha un Calais o un Queivilly da ricordare, formazioni delle serie inferiori giunte fino alla finale, ma è comunque ricca di belle imprese, di finaliste inaspettate e di una squadra che l’ha vinta militando in Serie B. 

Noi di 888sport.it abbiamo raccolto qui le più belle sorprese della storia della Coppa Italia.


Alessandria 2015-16
La squadra di Angelo Gregucci, militante in Lega Pro, supera brillantemente i primi tre turni, eliminando nell’ordine i dilettanti dell’Altovicentino, la Pro Vercelli (formazione di Serie B) in trasferta e la Juve Stabia prima di portare a casa il nobile scalpo del Palermo, militante nel massimo campionato, grazie al successo per 3-2 al Barbera.

Ma i Grigi non si fermano qui: negli ottavi di finale, infatti, l’Alessandria supera, a sorpresa per gli appassionati di calcio, per 2-1 a Marassi il Genoa, dopo i tempi supplementari, e si regala un quarto di finale contro lo Spezia, che ha eliminato la Roma. Una doppietta di Bocalon ribalta il vantaggio spezino di Calaiò e regala all’Alessandria una storica semifinale contro il Milan. Il doppio confronto, al Moccagatta e al Meazza, termina con il punteggio complessivo di 6-0 per i più blasonati rossoneri, ma l’impresa della squadra in cui esordì Gianni Rivera rimarrà nella storia della competizione.

Bari 1983-84
Precursore dell’impresa alessandrina è il Bari di Bruno Bolchi che nella stagione 1983-84, militando in Serie C1, è arrivato fino alle semifinali di Coppa Italia, eliminato con un complessivo 5-2 dal Verona di Bagnoli. Mai nessuna formazione della terza serie si era spinta così avanti nella coppa nazionale.

La formula del torneo, però, in quegli anni è diversa dall’attuale: per arrivare fino in semifinale, infatti, il Bari ha superato, insieme alla Juventus, un girone all’italiana con altre cinque formazioni, per poi eliminare clamorosamente proprio i bianconeri di Trapattoni, futuri campioni d’Italia, negli ottavi di finale e la Fiorentina nei quarti.

Palermo 1973-74 e 1978-79
Per ben due volte, negli anni ’70, i rosanero sono stati in grado di raggiungere la finale della Coppa Italia, militando nel campionato cadetto. La prima volta, nel 1973-74 sotto la guida tecnica di Corrado Viciani, il profeta del gioco corto in grado di portare la Ternana in Serie A: il Palermo porta a casa lo scalpo di Fiorentina e Juventus, prima di arrendersi, solamente ai calci di rigore, al Bologna. Nel 1978-79, invece, sulla panchina dei rosanero siede Fernando Veneranda: questa volta è la Juventus a togliere ai siciliani, dopo i tempi supplementari, l’opportunità di alzare al cielo il trofeo. 

Napoli 1961-62
Il Napoli conquista il secondo posto in classifica nel campionato cadetto, appaiato al Modena e alle spalle del Genoa dominatore incontrastato. Il 3 giugno 1962 festeggia, così, la promozione in A e il 21 dello stesso mese si trova ad affrontare in finale della coppa nazionale la Spal, che ha appena ottenuto la salvezza nel massimo campionato. I ferraresi hanno eliminato in semifinale con un sonoro 4-1 la Juventus e si presentano, perciò, alla sfida dello Stadio Olimpico di Roma come favoriti.

Il Napoli, guidato da Pesaola in panchina, però, si impone per 2-1 grazie alla rete decisiva di Ronzon al 78′, aggiudicandosi la sua prima Coppa Italia. La prima, e per ora unica, vinta da una squadra di Serie B.

Il Napoli è ancora in lizza per conquistare la Coppa Italia 2019/20: la vittoria dei partenopei si può giocare sul calcio di 888sport.it @3.25.

Padova 1966-67
Anche i biancoscudati nel 1967 sono tra i cadetti quando arrivano fino alla finale. Nel loro percorso verso la sfida per il trofeo eliminano, nell’ordine, Venezia, Palermo, Varese e Napoli, prima di superare l’Inter di Mazzola e Suarez in semifinale, grazie al 3-2 decisivo messo a segno da Carminati.

Nella finale di Roma, il 14 giugno, il Padova del tecnico argentino Humberto Rosa si trova di fronte il Milan di Rocco, che ha allenato la formazione veneta per sette stagioni, portandola a un prestigioso terzo posto in Serie A: i rossoneri possono schierare giocatori del calibro di Trapattoni, Schnellinger e Rivera, ma fanno fatica a imporsi. Vincono per 1-0 con un gol di Amarildo a inizio secondo tempo ma il Padova può recriminare per un rigore negato a Bigon sullo 0-0 e per il presunto fuorigioco in occasione del gol rossonero.

Ancona 1993-94
L’Ancona è stata retrocessa al termine della stagione precedente, la prima della sua storia in Serie A, e nell’anno del ritorno tra i cadetti si trova a ottenere i risultati migliori in Coppa Italia, più che in campionato che conclude all’ottavo posto. Vecchiola e Caccia eliminano il Giarre al primo turno, poi arriva la prima impresa: l’Ancona pareggia 0-0 al San Paolo e, al ritorno, elimina con un 3-2 il Napoli. Sempre in duplici sfide, i marchigiani di Vincenzo Guerini mettono in fila Avellino agli ottavi, Venezia ai quarti e Torino in semifinale, grazie alla rete del Condor Agostini.

Nella doppia finale, l’Ancona pareggia l’andata per 0-0 al Dorico, per poi subire un netto 6-1 a Marassi contro la Sampdoria, al suo quarto successo in Coppa Italia.

*La foto di apertura dell'articolo è di Antonio Calanni (AP Photo).
 

February 27, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Follie e sorprese, tutto sugli stipendi dei calciatori della Serie A!


C'è chi guadagna troppo rispetto al rendimento, chi perfino poco perché invece in campo vola. Di sicuro, leggere gli ingaggi (netti) dei calciatori di Serie A è una full immersion intrigante nel dorato mondo del pallone. Con tante conferme e molte sorprese.

Non lo è, una sorpresa, lo stipendio di Cristiano Ronaldo, al top della classifica con i suoi ormai mitici 31 milioni netti all'anno che gli garantisce la Juve. Un ingaggio da marziano, proprio, tanto più se si nota che chi è sul podio in questa graduatoria è distante una ventina di milioni, praticamente una voragine: si tratta, praticamente a pari merito, di due top player dell'Inter, Lukaku e il nuovo arrivato Eriksen. Entrambi, con bonus facili, arrivano a 10 milioni netti a stagione.

Sorpresa subito sotto il podio - Appena sotto il podio, i nababbi della Juve. Normale, per la squadra che ha il fatturato nettamente più alto della Serie A: di conseguenza, è il più alto anche il monte ingaggi, a quota 294 milioni, mentre l'Inter è a 139. Il più pagato, dopo CR7, è Rabiot: 7 milioni di base fissa più 2 di bonus agevoli, più 10 milioni intascati già al momento della firma. Erano necessari per soddisfare le pretese della madre-agente del centrocampista ex Psg.

Il rendimento, per ora, non è assolutamente adeguato alla busta paga, anche se il francese negli ultimi tempi ha mostrato progressi e infatti è stato schierato da titolare più volte rispetto a inizio stagione. Poi, sempre per la Juve, ancora favorita per le scommesse Serie A c'è il difensore centrale corteggiato da mezza Europa, l'olandese De Ligt: 7,5 milioni netti per lui, scivolato tra le riserve prima che Demiral si infortunasse. Sullo stesso piano dell'ex Ajax c'è Higuain, subito sotto Dybala con 7,3. E poi il gallese Ramsey con 7 milioni: c'è da considerare che quest'ultimo e Rabiot sono arrivati a parametro zero, da qui lo stipendio faraonico (altissime anche le commissioni, però).

Salary cup a Begamo - Scorrendo l'elenco degli stipendi, si intuisce uno dei segreti dell'Atalanta dei Percassi: gli ingaggi dei calciatori nerazzurri sono quasi tutti sullo stesso livello, cosa che sicuramente non crea invidie nello spogliatoio e favorisce un clima sereno nella squadra. Nessuno tra i bergamaschi supera i 2 milioni, cifra toccata da Ilicic grazie al rinnovo dello scorso autunno.

I vari Zapata, Gomez e Muriel guadagnano 1,8 milioni, il resto della formazione titolare galleggia tra gli 800mila euro e 1,5 milioni netti a stagione. Un equilibrio che i Percassi cercheranno di mantenere nonostante i super incassi della Champions League.

Lazio in crescita costante - Un passo in avanti lo ha fatto la Lazio di Lotito, che progressivamente – anno dopo anno – ha alzato il tetto massimo degli stipendi. Mossa necessaria per trattenere i migliori. Ora è arrivato a 3 milioni, la somma guadagnata dai due top player, Immobile e Milinkovic. Luis Alberto è ancora a 1,8, ma è in corso la trattativa per il rinnovo. Ad alta quota, intorno ai 2,3-2,5 milioni ci sono altri giocatori importanti come Leiva e Correa. Adeguamento in vista per Acerbi: ingaggio da “solo” 1,5 milioni per uno dei pilastri della squadra.

Fiorentina, Cagliari e Milan - Poi ci sono le rose che presentano un giocatore con uno stipendio decisamente superiore agli altri componenti dell'organico: è il caso di Ribery, trattato molto bene dalla Fiorentina. Il francese guadagna 4 milioni, al secondo posto della classifica viola c'è il tormentato Chiesa con 1,7. Una distanza notevole.

Stesso discorso per Nainggolan: il Cagliari gli assicura 4,5 milioni, visto che il campione belga – in prestito dall'Inter che non lo ha voluto - ha preferito la “sua” Sardegna a squadre più prestigiose. Alle spalle del Ninja, il più pagato dal presidente Giuliani è Pavoletti, peraltro infortunato, con 1,8 milioni. A differenza di Ribery, ancora in infermeria, Nainggolan sta davvero facendo la differenza per la squadra di Maran.

Differenza netta, ma per questioni “pregresse”, anche nel Milan: Donnarumma ha una busta paga monstre da 6 milioni all'anno, frutto del contratto fino al 2021 sottoscritto nella famosa estate – era il luglio 2017 - del duo Fassone-Mirabelli. Il secondo nella classifica degli ingaggi rossoneri è Romagnoli, che guadagna poco più della metà del suo compagno portiere: 3,5 milioni. Lo supererà Ibrahimovic, se deciderà di restare anche nella prossima stagione: in quel caso, per Zlatan scatterà lo stipendio da 4,5 milioni.

Un altro esempio c'è nella Roma: Edin Dzeko, a quota 7,5 più bonus, guadagna molto più del secondo in graduatoria, cioè Pastore (4,5), peraltro ospite fisso dell'infermeria. Livellati invece, ma a livelli molto alti, gli stipendi del Napoli, dai 6 milioni di Koulibaly ai 4,6 di Insigne, dai 4,5 di Lozano ai 4 di Manolas. E 6 milioni guadagnava Balotelli ai tempi del Liverpool: dopo una serie di flop, ora il centravanti ex Milan deve accontentarsi, si fa per dire, della metà: il Brescia gli garantisce un contratto fino al 2022 da 3 milioni netti a stagione.

Al club lombardo, al lordo, grazie alle agevolazioni fiscali stabilite dal Decreto Crescita, Balotelli costerà 4,56 milioni il primo anno e 3,8 gli altri due anni. Pensate la differenza con i suoi compagni: i più pagati – l'attaccante Donnarumma e il jolly Romulo - non vanno oltre i 600mila euro.

Intuizioni incredibili - La vera sorpresa arriva da chi guadagna poco, a volte pochissimo, e finora ha avuto un rendimento eccellente. È il caso del Verona di Juric, la rivelazione del campionato. Un talento come Amrabat, già acquistato dalla Fiorentina per la prossima stagione, in questa percepisce appena 300mila euro. Stesso stipendio del bravissimo difensore Rrahmani, che andrà al Napoli, del laterale Faraoni, del portiere Silvestri (miracoloso a Roma contro la Lazio). Il regista Veloso e il fantasista Verre arrivano a 400mila.

Massimo risultato con il minimo sforzo (economico): per il Verona – ultimo nella classifica dei monte ingaggi e dato già per retrocesso ad inizio stagione per le scommesse Serie A - è il caso di dirlo.

Applausi per la società scaligera - e per il Sassuolo, che spende 400mila euro per un attaccante da urlo e sempre decisivo come Boga, tra le rivelazioni di questa Serie A - e fischi, invece, per chi è a metà di quella graduatoria e invece lotta (disperatamente) per non retrocedere, come Genoa (undicesimo con 40 milioni di stipendi) e Sampdoria, dodicesima con 36. Cioè la stessa somma totale pagata ai suoi giocatori dall'Atalanta, una squadra che “rischia” concretamente di qualificarsi ai quarti di Champions League...

*La foto di apertura dell'articolo è di Marco Vasini (AP Photo).

February 27, 2020
Giulio
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Giulio è nato giornalista sportivo, anche se di professione lo fa “solo” da 30 anni. Dal 1997 è l'esperto di calciomercato del quotidiano La Repubblica.

Dal '90 segue (senza annoiarsi mai) le vicende della Lazio: collabora anche con Radiosei e dirige il sito Sololalazio.it. Calcio e giornalismo sono le sue grandi passioni. L'unico rimpianto che lo tormenta è aver smesso di dare spettacolo sui campi di calcetto.

 

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Stadi a porte chiuse, non è una novità!

Partita a porte chiuse. Senza pubblico, solo le squadre e gli arbitri in campo. Una situazione surreale, che più di qualche protagonista ha ritenuto innaturale per il gioco del calcio. Eppure l’epidemia di coronavirus che ha colpito alcune regioni d’Italia consiglia prudenza, che come da detto popolare non è mai troppa.. 

Campo neutro

In Europa

Le due Coree

Dunque si giocheranno senza pubblico Inter-Ludogorets di Europa League, ma anche alcune delle sfide della ventiseiesima giornata di campionato. Un weekend anomalo per la Serie A, ma in fondo neanche troppo. Ci sono stati parecchi casi di partite giocate a porte chiuse e per i motivi più disparati.

Campo neutro

In principio era il campo neutro, con le squadre costrette ad andare a giocare altrove per la squalifica del proprio stadio. Poi arrivò il campo neutro a porte chiuse, come quella del 1993 tra Fiorentina e Cagliari, con i viola squalificati per una bomba carta contro la Juventus. Oppure, in tempi più recenti, il match tra Roma e Cagliari del 2006, disputato a Rieti a porte chiuse. 

Il decreto Pisanu del 2005 viene rivisto e prevede, tra le altre cose, la disputa di partite a porte chiuse anche per gli impianti non a norma. Il calcio si ferma per una settimana dopo i fatti di Catania, ma quando riprende molte squadre giocano senza pubblico. La giornata dell’11 febbraio 2007 vede giocarsi a porte chiuse ben quattro partite di calcio: Fiorentina-Udinese, Atalanta Lazio, Chievo Verona-Inter e Messina-Catania.

Altri casi di partite a porte chiuse hanno ragioni diverse. Il match del 2010 tra Genoa e Milan di disputa senza tifosi per ragioni di ordine pubblico, nel timore di ritorsioni tra le tifoserie per il quindicesimo anniversario della morte del tifoso genoano, Spagnolo. E nel 2013 il Cagliari, dopo aver abbandonato il Sant’Elia per parziale inagibilità, può giocare a Is Arenas solo 13 delle 19 partite previste perché l’impianto di Quartu Sant’Elena non è a norma. 

Il match con la Roma non si gioca, alcuni vengono disputati a Parma e Trieste e altre partite addirittura a porte chiuse o con chiusure di parte degli spalti.

In Europa

Anche le coppe europee, come insegna Inter-Ludogorets, non sono immuni dai problemi. Ora, poi, si puniscono più i settori che le tifoserie intere, ma le storie particolari non mancano. 

L’esempio più assurdo è quello dell’Aston Villa: dopo incidenti nella semifinale a Bruxelles, l’UEFA decide che impedire ai Villans di assistere alla finale di Rotterdam di Coppa Campioni 1981/82 contro il Bayern sarebbe impossibile e quindi la partita a porte chiuse è la prima da campioni d’Europa in carica, quella contro il Besiktas. Che, tra le altre cose, viene addirittura giocata alle 14:30 di pomeriggio, per evitare problemi di ordine pubblico. 

Ma succede anche altrove di non vedere il pubblico sugli spalti. Nel 2017 a rimanere desolatamente vuoto è stato il Camp Nou di Barcellona. A causa dei disordini avvenuti in città nel giorno del referendum per l’indipendenza della Catalogna, il match di calcio tra i blaugrana e il Las Palmas rischia il rinvio perché la squadra di casa non vuole giocare. La LFP però si impone: se non si presenta, il Barça perde il match a tavolino e anche sei punti in classifica Alla fine si opta per giocare, ma per la prima volta nella sua storia l’impianto catalano resta chiuso ai tifosi. 

Problemi anche in Olanda, dove il match tra Ajax e AZ della coppa d’Olanda 2011/12 viene giocato a porte chiuse. Anzi, rigiocato, perché la partita era stata precedentemente sospesa quando un tifoso aveva invaso il campo colpendo con un calcio da karateka il portiere dell’AZ, che aveva risposto all’attacco ed era stato espulso per aver reagito nei confronti dell’invasore. L’AZ a quel punto aveva abbandonato il campo, ma qualche giorno dopo la federazione decide di far ripartire da capo la partita, senza però la presenza del pubblico.

Anche il continente americano non può mancare. In Messico e Brasile nel 2009 si ha un caso simile a quello del coronavirus: la penultima giornata di Liga MX e due partite della Serie D verdeoro si giocano a porte chiuse per l’emergenza sanitaria legata all’H1N1, la cosiddetta febbre suina. 

Nelle zone del Messico particolarmente colpite, anche la settimana successiva si è giocato senza pubblico. In Brasile, poi, nel 2014 è a porte chiuse addirittura un intero torneo: due gironi del Campionato Catarinense di seconda divisione si giocano senza pubblico perché gli stadi non rispettano gli standard di sicurezza.

 

Le due Coree

Chiudendo con le nazionali, impossibile non farsi venire in mente la partita…che non ha visto nessuno, quella tra le due Coree. Ottobre 2019, Nord e Sud si affrontano a Pyongyang in un match valido per le Qualificazioni ai Mondiali del 2022. Si tratta del primo incontro ufficiale tre le due nazionali dopo il 1990, ma ad assistere ci sono un totale di settanta persone, nonostante lo stadio Kim Il-sung possa contenerne 70mila. 

Tra i fortunati spettatori, il presidente della FIFA Infantino, gli staff delle due nazionali, i rappresentanti del regime nordcoreano e alcuni diplomatici. Nessuno si perde nulla, comunque, visto che il match termina con uno scialbo 0-0.

*La foto di apertura dell'articolo è di Manu Fernandez (AP Photo). Prima pubblicazione, 27 febbraio 2020.

February 3, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Numeri stellari per il confronto tra Real Madrid e Barcellona!

Real Madrid contro Barcellona, un classico del calcio europeo. Anzi, il Clasico, per utilizzare il soprannome con cui è nota in tutto il mondo la sfida tra le due squadre. Mondi opposti, rette parallele destinate a non toccarsi mai. Monarchici contro repubblicani, il governo centrale di Madrid contro le pulsioni indipendentiste della Catalogna.

E ancora, nel corso degli anni, Di Stefano contro Suarez, Netzer contro Cruijff, Hierro contro Guardiola e Cristiano Ronaldo contro Messi. Insomma, una sfida ricchissima di contenuti, ma non solo. Ricchissima anche per quello che riguarda le disponibilità economiche dei due club, per il monte ingaggi e per tante altre ragioni.


Partendo da quella più ovvia, il valore delle rose. Al momento attuale, secondo i dati di Transfermarkt, Real e Barça occupano il terzo e il quarto posto della classifica delle squadre con i cartellini più pesanti, dietro a Manchester City e Liverpool, ma davanti a PSG, Bayern e a tutti gli altri colossi del calcio mondiale.

Tra i Blancos il calciatore con il valore di mercato più alto è Eden Hazard, acquistato per 100 milioni la scorsa estate e che ora ne vale 120. Al Barcellona, neanche a dirlo, il gioiello della corona è Leo Messi, che a quasi 33 anni vale ancora 140 milioni di euro. Ma anche Griezmann se la cava abbastanza bene, considerando un valore di 120 milioni.


Anche per quello che riguarda il monte ingaggi, la battaglia è serrata. Secondo i dati di Fox Sports, il Real Madrid spende 640 milioni di euro lordi per pagare i suoi calciatori nella stagione attuale, senza contare gli acquisti del mercato di gennaio come il giovanissimo Reinier. I due calciatori che percepiscono lo stipendio più alto sono Hazard e Bale, che al netto delle tasse intascano 15 milioni di euro netti a stagione.

Con gli acquisti stagionali, però, vince il Barcellona, che aggiungendo Griezmann e de Jong alla rosa porta la sua spesa per gli stipendi a 671 milioni. Ovviamente, anche in questo caso, l’ingaggio netto più alto ce l’ha Leo Messi, che guadagna circa 40 milioni a stagione.


I record del calciomercato ed i ricavi - Non sorprende dunque che nella lista degli acquisti più costosi di sempre ci siano spesso e volentieri i nomi del Real e del Barcellona. I Blancos hanno detenuto per ben quattro volte (consecutive) il primato per il giocatore più caro di tutti i tempi. Prima Luis Figo, pagato circa 70 milioni. Poi, nel 2002, Zinedine Zidane, che ne costa 75. Nel 2009 arriva CR7, per cui il Real sborsa 94 milioni. E infine nel 2013 all’ultimo giorno di mercato si presenta al Bernabeu Bale, il primo calciatore a essere pagato più di 100 milioni di euro.

Il Barça si difende con due primati, ma dai nomi importanti. Il primo acquisto record è quello di Diego Armando Maradona, pagato un corrispettivo equivalente a 6 milioni di euro nel 1982, mentre il secondo è quello di Ronaldo il Fenomeno, per cui nel 1996 i blaugrana sborsano la clausola rescissoria di 28 milioni di euro al PSV Eindhoven. Il calciatore più costoso della storia del Real è ancora il gallese, mentre il Barça non avrà battuto il record mondiale, ma ha sborsato 145 milioni per far arrivare in Liga Coutinho nel gennaio 2018.


Real e Barça, dunque, spendono e spandono. Ma possono decisamente permetterselo, visti gli incassi. Secondo il recentissimo report del Deloitte Money Football, le due spagnole sono i club che hanno più ricavi al mondo. Per la prima volta in vetta alla classifica c’è il Barcellona, che lo scorso anno ha avuto introiti per 840,8 milioni di euro. Segue a distanza, ma neanche troppo, il Real Madrid, fermo a 757,3 milioni ma saldamente avanti al Manchester United, l’unico altro club a sforare il tetto dei 700 milioni.


Ma dove li prendono tutti questi soldi i Blancos e i blaugrana? Beh, intanto basta vedere le sponsorizzazioni per capire che i due club sono a un livello superiore rispetto a tutte le altre concorrenti. Per madrileni e catalani primo e secondo posto della classifica delle squadre che monetizzano di più dalla maglia da gioco, considerando sponsor tecnico e main sponsor.

Sponsor e diritti tv - Il Barcellona, riceve dalla Nike una cifra variabile tra 105 e 155 milioni di euro e che per indossare il marchio dell'azienda di commercio elettronico giapponese Rakuten ne incassa altri 55, per un totale di almeno 160 milioni a stagione. Senza calcolare i bonus, vince il Real Madrid, che incassa 190 milioni di euro distribuiti tra i 120 provenienti dall'Adidas e i restanti 70 dalla Emirates Airlines.


Anche per quello che riguarda i diritti TV entrambi i club non se la passano certo male. Quando a dicembre 2019 la Liga ha comunicato la spartizione dei proventi dei diritti della scorsa stagione, è emerso che i Blancos e i blaugrana ricevono assieme il 22% degli incassi dei diritti audiovisivi. I club che ha ricevuto di più è il Barcellona, con 166,5 milioni di euro. Dietro c’è il Real Madrid (155,3 milioni di euro).

Per non parlare poi delle altre fonti di guadagno. Diritti di immagine, merchandising e le competizioni europee (che con il sistema del ranking decennale garantiscono introiti ancora più costanti alle due big). Insomma, una sfida ricca di contenuti. Ma anche ricca…in generale.

*La foto di apertura dell'articolo è di Joan Monfort (AP Photo).

February 25, 2020
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Le 5 più belle dell’Inter in Europa secondo Cristiano Carriero


Inter-Lazio 3-0 (Coppa Uefa 1997-98)
Lo scenario è quello del Parco dei Principi di Parigi: Inter e Lazio si contendono la Coppa Uefa nella prima finale della competizione disputata in gara unica. La sfida tutta italiana tra i nerazzurri di Luigi Simoni e i biancocelesti di Sven-Göran Eriksson vede un unico dominatore in campo, Luis Nazario da Lima, meglio conosciuto come Ronaldo, come ricorda perfettamente Cristiano Carriero, giornalista e autore: “Inter Lazio è la finale perfetta.

Quella sbloccata dopo pochissimi minuti grazie ad un gol di Zamorano, contro una Lazio forte, fortissima, in una stagione difficile, perché poteva essere tutto ma poteva diventare nulla. Poi il suggello di Javier Zanetti con un tiro da fuori all'incrocio dei pali, un gol che lo ha consacrato e che per lui ha rappresentato una sorta di svolta tra il prima (buon giocatore prima, bandiera dopo). Ma fu il tre a zero il momento indimenticabile di quella partita.

Il gioco di gambe di Ronaldo su Marchegiani in uscita. Il dribbling perfetto, il movimento da rivedere mille volte, da qualunque angolazione, da provare ne campetti di provincia. Quel gol è il Fenomeno che si materializza tra noi, una fotografia che anche Marchegiani secondo me custodisce gelosamente”.

Inter-Aston Villa 3-0 (Coppa Uefa 1990-91)
Sedicesimi di finale. L’Inter dei tre tedeschi Brehme, Klinsmann e Matthäus, allenata da Giovanni Trapattoni, dopo aver eliminato il Rapid Vienna al primo turno, perde 2-0 a Birmingham contro l’Aston Villa. Al ritorno, però, i nerazzurri giocano una delle loro partite più memorabili. “Inter-Aston Villa è la rimonta perfetta – racconta Carriero -. Se in quegli anni perdevi con due gol di scarto e senza segnare in trasferta, ribaltarla era quasi impossibile. Soprattutto con una squadra inglese.

L'andata era stato il match che aveva consacrato all'attenzione degli appassionati il talento di David Platt. L'Inter deve sbloccarla subito, e ad aiutarla ci sono 80.000 spettatori. Passano sette minuti: lancio di Battistini da dietro la metà campo, Jürgen Klinsmann si incunea nella difesa avversaria e dopo aver subito una carica dal difensore, cade riuscendo però a battere a rete. Uno a zero. Sembra in discesa, ma ci vorranno altri 60 minuti per pareggiare i conti. Lothar Matthäus batte una punizione dalla destra dell’area, il pallone è indirizzato sul primo palo: Pizzi prolunga di testa sul secondo per Berti che segna il 2 a 0.

Il programma perfetto prevede che adesso si vada ai supplementari, ma al 74′, Brehme lancia sulla fascia Stringara che indirizza un pallone quasi uscito sul fondo verso Alessandro Bianchi, il quale incrocia di destro al volo e batte ancora una volta Spink. Tre a zero, delirio di San Siro e rimonta completata per l'Inter che a maggio vincerà La Coppa Uefa”.

Bayern Monaco-Inter 0-2 (Coppa Uefa 1988-89)
Andata degli ottavi di finale: l’Inter pesca i temibili tedeschi occidentali, dopo aver eliminato due squadre svedesi (Brage e Malmö) nei turni precedenti. La squadra di Trapattoni compie una grande impresa a Monaco di Baviera: peccato che sarà, poi, vanificata da un ko al ritorno. Ce la siamo fatti raccontare da Cristiano: “Bayern Monaco-Inter è una delle prime partite di coppa che ho visto. Di fatto, di quella gara, ricordo pochissimo.

La maglia bianca vintage dell'Inter, la neve a bordo campo, le bandiere rosse dei tifosi, gli italiani di Germania in trasferta. Poi poco altro. Mio padre, milanista, che tifava Inter perché a quei tempi era sempre Germania - Italia e poco importava se fosse Juventus, Milan o Inter. Alcune partite si ricordano per degli episodi e Bayern - Inter fu quella della cavalcata di Berti. Una sorta di epifania per me che entravo ed uscivo dalla stanza dove mio padre guardava il mercoledì di coppa.

Però fu impossibile non entrare mentre mio padre diceva "Vai, vai, tira, tira", mentre Bruno Pizzul gridava "Berti, Berti, Siiiiii". Se non fu la mia prima esultanza, poco ci manca. Ho rimosso il ritorno, credo non si sia mai giocato”.


Inter-Casino Salisburgo 1-0 (Coppa Uefa 1993-94)
L’Inter dei mai apprezzati due olandesi Bergkamp e Jonk supera il Cagliari in semifinale e si va a giocare il trofeo nella doppia sfida contro gli austriaci, in una folle stagione, come ricorda Carriero: “L'Inter arriva alla finale di Coppa Uefa del 1994 lottando per la salvezza. Di fatto la raggiungerà all'ultima giornata. In panchina c'è Gianpiero Marini che ha sostituito Osvaldo Bagnoli, in campo i due olandesi che avrebbero dovuto avvicinare l'Inter alle imprese del Milan e invece fanno fatica, soprattutto Bergkamp, a inserirsi.

A San Siro, come sempre, lo stadio trabocca di amore ed entusiasmo. Per una sera la contestazione si placa. L'Inter ha vinto 1 a 0 a Salisburgo con un gol di Berti, ma a Milano non è una passeggiata. La salvezza ancora da raggiungere, il clima di contestazione, l'addio già dichiarato di alcune bandiere come Zenga non aiutano. Gli austriaci provano a fare la partita e ci riescono. L'Inter non la sblocca e quindi tutto resta aperto.

Ci pensa Zenga, con alcune parate sensazionali a tenere la partita in parità. Il gol dell'Inter lo segna Wim Jonk con un pallonetto dolce al termine di un’azione tutta olandese. In Europa, i due giocano in maniera diversa. Sono un valore aggiunto, sono belli di notte. L'Inter resiste, Zenga evita ulteriori sofferenze e poi ai microfoni sfogherà tutta la sua rabbia contro chi non lo vuole più all'Inter: ‘Me ne frego, oggi mi godo la Coppa’. Una Coppa strana, un successo europeo in una stagione quasi maledetta. Una Coppa bellissima”.

Barcellona-Inter 1-0 (Champions League 2009-10)
È curioso che tra le cinque partite memorabili dell’Inter in Europa ci sia una sconfitta. Contestualizziamo. L’Inter di Mourinho ha eliminato nei quarti di Champions League il CSKA Mosca con un doppio 1-0, con gol di Milito in casa e Sneijder fuori: ad attendere i nerazzurri in semifinale c’è il temibile Barcellona di Pep Guardiola che si è sbarazzato, con un complessivo 6-2, dell’Arsenal. Dopo aver vinto per 3-1 in rimonta a San Siro, l’Inter di Mourinho resiste, in dieci per oltre 60 minuti, agli attacchi dei catalani guidati da Messi.

Poco importa se, a sei minuti dal termine Piqué realizza l’inutile gol per il Barcellona. “Barcellona-Inter è sofferenza, interismo puro – racconta Cristiano Carriero -. Qualcuno parla di capolavoro di Mou, ma sinceramente io non ricordo nulla di tattico. Ricordo una partita lunghissima, durata tipo 10 anni. Negli ultimi 5 minuti mi sono passate davanti tutte le delusioni interiste, pronte a palesarsi come spettri.

Pensare che in quella partita ci siano state anche imprese lucidissime, come la parata di Julio Cesar su Messi, una delle più belle di sempre, o il sacrificio di Eto'o che ha giocato da terzino, per non parlare di Samuel che ha forse disputato la miglior partita della sua vita, è letteratura. Tanto che penso di essermene accorto, come tutti gli interisti, solo anni dopo”.

*La foto di apertura dell'articolo è di Massimo Pinca (AP Photo).

February 25, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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Maradona e i suoi anni a Barcellona


È il 1978 quando il Barcellona commissiona a Cesar Luis Menotti, detto El Flaco, selezionatore della nazionale argentina che conquista la Coppa del mondo in casa, un report su un diciassettenne di Lanus, nella provincia di Buenos Aires, del quale si inizia a parlare in Europa e che i catalani potrebbero essere interessati ad acquistare. Si tratta di Diego Armando Maradona, al suo secondo anno da professionista con la maglia dell’Argentinos Juniors. 

Menotti lo inserisce nella lista dei quaranta preconvocati per il Mondiale, ma lo lascia fuori dalla lista definitiva dei 22 che si laureeranno campioni del mondo nella finale del Monumental contro l’Olanda del calcio totale: Maradona è frustrato e arrabbiato per l’esclusione, come racconterà anni dopo Gianni Di Marzio che va a osservare personalmente l’incredibile talento argentino segnalatogli dall’agente Settimio Aloisio, ma avrà tempo di rifarsi, abbondantemente.

Il report di Menotti - Questo il report compilato dal Flaco Menotti su Diego Maradona nel 1978.
RAPPORTO DEL GIOCATORE: Diego Armando Maradona 
VALUTAZIONE: Molto buono, straordinario. Velocità 9.5. Velocità iniziale 9.5. Con la palla 9.1. Senza palla 9.5. Agilità 9.5. Potenza nel salto 8. 
CONDIZIONE GENERALE: forza mentale 10. Capacità di sofferenza 10. Concentrazione 10. Egoista 0. Personalità 10. 
TECNICA GENERALE: imbattibile 
TECNICA SPECIFICA: Straordinario ed efficace dribbling. Potenza eccellente. Coraggio straordinario. Efficienza straordinaria. Ottimo tiro. Grande passaggio. Precisione totale. Visione completa. Colpo di testa nella media. Buona leadership. Ottimo potere di trattenere la palla. Straordinaria protezione della palla. 
TATTICHE INDIVIDUALI: completa intelligenza nel calcio. Senso completo per il calcio. Buona visione. Ottima velocità in termini di efficacia. 
CONCLUSIONI GENERALI: Giovane. È nato il 30/10/1960. Ha prodigiose qualità tecniche, facile dribbling. Ha una visione lineare di fronte alla porta, ma sa come liberarsi della palla per il compagno di squadra meglio piazzato. Riflessi straordinari. Protegge molto bene la palla per giocarla immediatamente con grande efficacia. I suoi passaggi e tiri corti sono pura meraviglia. Prodigiosi cambi di ritmo.

L’arrivo a Barcellona - Il trasferimento di Maradona al Barcellona, però, si concretizza solamente quattro anni dopo, durante i Mondiali di Spagna, in cui Diego e la sua Argentina si fermano nella seconda fase a gironi, dietro l’Italia di Bearzot e il Brasile. Il 5 giugno, il presidente blaugrana, Josep Lluís Núñez, ufficializza di aver acquistato Maradona dall’Argentinos Juniors per la considerevole cifra di 1 miliardo e 200 milioni di pesetas spagnole. 

L’esordio di Maradona con il Barcellona avviene il 4 settembre 1982, al Mestalla, contro il Valencia: nonostante il suo gol del vantaggio, messo a segno nel primo tempo, il Barcellona perde 2-1. Questo l’undici schierato da Udo Lattek nel giorno del debutto di Diego, per l’occasione con il numero 11 sulla schiena: Artola, Gerardo, Migueli, Alexanco, Manolo, Urbano, Schuster, Víctor Muñoz, Marcos, Quini, Maradona.

L’epatite e di nuovo Menotti - Dopo 13 partite di Liga e 6 gol all’attivo, gli viene diagnosticata un’epatite che lo costringe a rimanere lontano dal campo per tre mesi. Quando torna a disposizione, il Barcellona viene eliminato dalla Coppa delle Coppe nei quarti di finale per mano dell’Austria Vienna, nonostante la sua presenza nella partita di ritorno e il club decide di esonerare il tecnico tedesco Udo Lattek, con cui Maradona non ha un buon rapporto.

Al suo posto, sulla panchina dei catalani, arriva una vecchia conoscenza di Diego, quel Cesar Menotti che nel 1978 lo estromise dalla rosa dei Mondiali, ma compilò un rapporto lusinghiero su di lui proprio per la dirigenza del Barcellona.
A fine anno, il Barça ottiene il quarto posto nella Liga, a sei punti dall’Athletic Bilbao campione, ma porta a casa la Coppa del Re, superando il Real Madrid nella finale di Saragozza per 2-1, e la Coppa de La Liga, sempre contro i blancos.

Secondo e ultimo atto - La stagione 1983-84 di Maradona a Barcellona, sotto la guida di Menotti, parte molto bene: all’esordio in Coppa delle Coppe contro i tedeschi orientali del Magdeburgo, l’argentino mette a segno una tripletta nel successo per 5-1 dei catalani.

Ma alla quarta giornata di campionato, nella sfida contro l’Athletic Bilbao campione di Spagna, al cinquantanovesimo minuto sul 4-0 per il Barcellona, il difensore basco Andoni Goikoetxea Olaskoaga è autore di una brutta entrata su Diego che si infortuna gravemente: rientrerà solamente all’inizio del 1984, grazie alle sapienti cure del suo medico di fiducia, Ruben Dario Oliva. In sua assenza, la squadra si aggiudicherà, comunque, la Supercoppa di Spagna.

L’8 gennaio è di nuovo in campo contro il Siviglia e mette a segno due reti nel successo per 3-1: la situazione in classifica, però, in una stagione in cui il Barcellona avrebbe dovuto lottare per il titolo, si è compromessa durante l’assenza di Maradona e i blaugrana terminano al terzo posto. Diego disputa solamente 16 partite nella Liga, mettendo a segno 11 reti: riesce anche a vendicarsi di Goikoetxea, con il quale si riappacificherà dopo un intervento pubblico con re Juan Carlos.

Tutto è pronto per il suo addio al Barcellona e per lo sbarco nel luogo al quale sarà per sempre legato a doppio filo, nella squadra che porterà a due scudetti e ai traguardi più impensabili della sua storia: Napoli. Ma questa è un’altra storia.

Barcellona favorito sul Napoli per le scommesse calcio!

*La foto di apertura dell'articolo è di  Ron Frehm (AP Photo).

February 22, 2020
Emanuele Giulianelli
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Scrittore e giornalista freelance, collabora regolarmente con il Corriere della Sera, con La Gazzetta dello Sport, con Extra Time, Rivista Undici, Guerin Sportivo e con varie testate internazionali come Four Four Two, Panenka e Tribal Football. Scrive per B-Magazine, la rivista ufficiale della Lega Serie B.


I suoi articoli di calcio internazionale e geopolitica sono stati pubblicati, tra gli altri, su FIFA Weekly, il magazine ufficiale della federazione internazionale, su The Guardian, The Independent e su Eurasianet. Ha lavorato come corrispondente sportivo dall’Italia per Reuters.


Ha pubblicato tre libri, l'ultimo dei quali, "Qarabag. La squadra senza città alla conquista dell'Europa" edito da Ultra Sport, è uscito nel 2018.
 

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