quanto dura una partita di tennis | durata match tennis | record di durata tennis

Quanto dura una partita di tennis? Una domanda a cui è difficile, molto difficile rispondere, se non altro perché, a differenza di altri sport, non esiste una regolamentazione temporale del match. Le variabili sono talmente tante che si può parlare di durata media, di durata probabile o possibile, di durata record, ma non di una durata predefinita, rispetto, ad esempio, a quanto dura una partita di calcio!

Quello che conta è che uno dei due tennisti (o una delle due coppie, se si parla di doppio) vinca il numero di set stabilito dalle regole dell’incontro. Quanto poi ci si metta, beh, questo è un altro paio di maniche.

Wimbledon cambia il regolamento

L'incontro più lungo della storia del tennis

Oltre 4 ore per 3 set a Londra 2012

Steffi Graf la più veloce!

Quando tennisti dal ranking importante affrontano avversari di valore inferiore, non è infatti raro vedere punteggi che sfiorano (o addirittura raggiungono) il doppio o triplo, nelle quattro prove degli  Slam maschili, 6-0, ma neanche questo dà la certezza che l’incontro sia breve, perché un game si può vincere con quattro ace, mettendoci così poco più di un minuto, ma anche a seguito di un numero di punti infinito, tra palle break e vantaggi.

Wimbledon cambia il regolamento

Se si parla di durata di un incontro, meglio dunque dedicarsi a casi che hanno scritto la storia di questo sport. Quelle partite che per durata sono state leggendarie, vuoi perché non si è fatto neanche in tempo a scendere in campo, vuoi perché l’incontro si è trasformato in una vera e propria maratona.

A guidare la lista degli incontri più lunghi di tutti i tempi è un match di un torneo del Grande Slam, per la precisione che si è giocato a Wimbledon. Il che non è una sorpresa, perché si tratta di uno dei pochi tornei che prevede di giocare al meglio dei cinque set. In più lo ricordiamo, fino al 2019, all’All England Lawn Tennis and Croquet Club il quinto set di una partita non poteva prevedere il tie-break, costringendo uno dei due contendenti a breakare l’avversario per poter chiudere i match. 

Prima sfida a "beneficiare" del cambio di regolamento con il game decisivo previsto sul risultato di 12-12?! Non poteva essere che una delle più belle finali di tutti i tempi, naturalmente...

Federer sconfitto al quinto set

L'incontro più lungo della storia del tennis

E quindi avvengono casi come la maratona Isner-Mahut dell’edizione 2010. Che con i suoi 665 minuti di durata, ovvero undici ore e cinque minuti, è con altissimo distacco il match più lungo della storia del tennis professionistico. mentre al Mbombela Stadium di Nelsprui l'Australia, nel terzo turno dei gruppi del Mondiale sudafricano di calcio, batteva a sorpresa 2-1 per i siti scommesse la Serbia di Stankovic ed Ivanovic, l’americano e il francese si affrontano al primo turno di Wimbledon.

Il 22 giugno alle 18:18 si scende in campo e si chiude per troppa oscurità alla fine del quarto set, dopo poco meno di tre ore (due ore e 54 minuti), sul risultato di 6–4, 3–6, 6–7(7), 7–6(3).

I due tennisti stremati

Il giorno dopo si fa la storia del tennis. Isner e Mahut cominciano il quinto set alle 14:07 ed escono di nuovo dal campo pochi minuti dopo le nove. Il parziale del quinto set? 59 pari, per una maratona da 424 minuti che i due impongono all’arbitro ma non ai raccattapalle, che cambiano per cinque volte. Il match è così epico che molti chiedono di spostarlo al Centrale, ma la richiesta viene negata.

Dunque ci vogliono altri 67 minuti di gioco sul campo 18, che nel frattempo è diventato il centro del mondo tennistico, affinché Isner ottenga il game finale, quello che vale il 70-68. Per capire l’assurdità della questione, basterebbe pensare che il secondo match più lungo è di “appena” 7 ore e un minuto, un doppio di Coppa Davis tra Repubblica Ceca e Svizzera. L'aneddoto più curioso? Che Isner è presente nella top ten dei match maratona anche al quarto posto, con la semifinale di Wimbledon 2018 persa contro Anderson dopo sei ore e 36 minuti.

Il parziale relativo al match di Isner nel 2018

 

Oltre 4 ore per 3 set a Londra 2012

Ma si può tranquillamente andare parecchio per le lunghe anche in un match al meglio dei tre set. A raccontarlo c’è la semifinale dei Giochi Olimpici di Londra nel 2012, che mette di fronte Roger Federer e Juan Martin del Potro. L’argentino porta a casa, a sorpresa per le quote relative alle scommesse tennis il primo set per 3-6, poi lo svizzero pareggia i conti con un 7-6(5).

Ma anche nella manifestazione a cinque cerchi l’ultimo set non ha il tie-break e quindi ci vuole parecchio per capire chi andrà ad affrontare Murray in finale. Alla fine la spunta Federer per 19-17, dopo un totale di quattro ore e 26 minuti, il singolare maschile più lungo di tutti i tempi nell’era open.

Per il gigante di Tandil un'ottimo bronzo che regala agli albiceleste la quarta medaglia olimpica e la soddisfazione di sfidare anche Re Roger, sempre nel 2012, prima alle Finals londinesi e poi in un meraviglioso match esibizione proprio a Buenos Aires!

Il podio tennistico di Londra 2012!

Steffi Graf la più veloce!

E infine c’è anche un’altra finale record, quella fatta registrare da Steffi Graf al Roland Garros 1988.

La Graf a Parigi nel 1988

La tedesca, che quell’anno realizzerà per i pronostici tennis il Grande Slam, anzi il pokerissimo perché trionferà anche alle Olimpiadi di Seul (anche qui c'è un'argentina di mezzo, la sabatini, tra l'altro compagna di doppio proprio della Graf a Parigi) fa a pezzi la russa Natasha Zvereva con un doppio 6-0 in appena 34 minuti, compresa... una breve interruzione per la pioggia!


*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

October 12, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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rugby regole | Le regole del rugby | le penalità nel rugby

Quando si parla di sport nobili, in prima fila c’è sempre il rugby. Il progenitore del calcio (ma anche ovviamente del football americano) è uno sport dalla lunghissima tradizione e che da sempre affascina anche al di fuori dalle isole britanniche, dove è nato e si è diffuso come sport principale di università e college.

In quanti si gioca a rugby

Quanto valgono i punti nel rugby

Le regole del placcaggio

Le penalità nel rugby

La touche del rugby

Nel corso degli anni il rugby si è ricavato un pubblico sempre più ampio, grazie anche all’esplosione delle nazioni non europee che una volta facevano parte dell’Impero Britannico (Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda), che hanno addirittura superato i maestri e che ora rappresentano forse il top a livello mondiale. Le nuove generazioni di tifosi, molti dei quali abituati magari più al calcio, hanno però dovuto fare i conti con le regole del gioco. Regole che sulle prime possono risultare ostiche, ma che una volta immagazzinate, sono in realtà abbastanza semplici.

In quanti si gioca a rugby

Meglio partire dalle basi. A rugby si gioca in 15 contro 15 (o 13, o 7, a seconda della tipologia) in due tempi da quaranta minuti ciascuno. Il tempo di gioco è continuato, ma in caso di interruzioni che non riguardano azioni di gioco, il cronometro viene fermato.

Una seduta di allenamento nel rugby!

Il recupero è ammesso solo finché il pallone, allo scadere del tempo regolamentare, è ancora in gioco o se il gioco viene interrotto per una penalità.

Quanto valgono i punti nel rugby

Nel rugby, vince chi fa almeno un punto in più dell’avversario. I punti si possono marcare in tre maniere diverse. Attraverso una meta (5 punti), ovvero portando il pallone al di là della linea apposita e schiacciandolo con le mani nell’area prevista, con un drop (un calcio libero spedito in mezzo ai pali e fatto lasciando prima rimbalzare il pallone a terra) e con una punizione, sempre calciata in mezzo ai pali e sopra alla traversa. Il drop e la punizione valgono entrambi tre punti.

Un drop nel rugby

C’è poi la trasformazione della meta, ovvero un calcio piazzato dai 22 metri, che una volta segnato vale due ulteriori punti. Dunque, nel rugby si gioca sia con i piedi che con le mani.

Le regole del placcaggio

C’è però qualche limite. Il passaggio del pallone può avvenire con le mani solo a condizione che avvenga all’indietro. Qualsiasi passaggio in avanti, persino casuale, avvenuto con le mani viene sanzionato. Con i piedi invece si può (anzi, si deve!) guadagnare spazio sul campo.

E poi, c’è l’elemento forse più riconoscibile del gioco, ovvero il placcaggio, che avviene quando un giocatore viene messo a terra.

Il placcatore deve comunque lasciarlo immediatamente, permettendogli di giocare il pallone, e non può intervenire se non è a sua volta in piedi. Il placcaggio è sempre regolare a meno che non avvenga da posizione di fuorigioco o che non rientri nelle casistiche di gioco pericoloso: sono vietati i placcaggi al collo, quelli particolarmente violenti o a braccio rigido, quelli in anticipo o in ritardo, o quelli nei confronti di chi sta ricevendo un calcio o di chi non ha il possesso del pallone.

Il maul nel rugby!

Se un giocatore viene placcato ma non cade è possibile la formazione di una maul, in cui le due squadre si spingono per continuare ad avanzare o per bloccare chi ha il possesso della palla.

E poi dopo un placcaggio ci sono le situazioni di palla a terra, quando si creano le celebri ruck. In quel caso la questione si fa più complicata, perché entrambe le squadre hanno una linea del fuorigioco, che parte dai piedi del giocatore più arretrato della ruck.

I giocatori possono aggiungersi e spingere, cercando di liberare il pallone per la propria squadra, ma solo da dietro quella linea e non lateralmente e soprattutto rimanendo con i piedi piantati a terra. Chi cade, deve disinteressarsi dell’azione e se deve rientrare nella ruck è costretto a farlo ripartendo da dietro.

Nel contempo, c’è anche la regola che impone di lasciare il possesso del pallone quando si è a terra e che spesso porta a calci di punizione per “palla tenuta”. Quando il pallone esce dalla ruck, l’arbitro intima alla squadra che ne è in possesso di giocarlo entro cinque secondi. Se invece il pallone rimane incastrato e non c’è possibilità di giocarlo, viene assegnata una mischia.

Le penalità nel rugby

La parte che allo spettatore non esperto causa certamente più confusione è infatti quella delle penalità, che sono regolate in due maniere diverse. C’è la mischia, che punisce i falli di lieve entità, e il calcio di punizione, che invece segue le situazioni più gravi. 

La mischia prevede che otto giocatori si leghino tra di loro in tre linee e si incastrino con altrettanti avversari, andando a contatto e cercando di guadagnare terreno. Nel frattempo il mediano di mischia della squadra a cui è stata assegnata a favore deve inserire il pallone nel tunnel formato dai piedi delle prime linee.

La mischia termina quando il pallone esce, non necessariamente dalla parte della squadra che ha introdotto il pallone. La punizione può invece essere calciata direttamente tra i pali (guadagnando 3 punti), al di là della linea laterale (guadagnando una touche a favore) o rapidamente, riavviando l’azione di gioco con un tocco del piede di chi batte.

Lo Stade Toulousain è il favorito per le scommesse rugby per la vittoria della Coppa Campioni Europea!                                   

Si sistema la palle ovale

Le penalità sono diverse e di differente gravità. C’è il già citato passaggio in avanti, punito con mischia se involontario e con punizione se volontario. C’è la situazione di ostruzionismo, in cui si interviene su un giocatore non in possesso dell’ovale (punizione).

C’è anche nel rugby, come detto, il fuorigioco, che prevede che nessun giocatore che si trova davanti al compagno che porta il pallone possa intervenire nell’azione e che viene punito sempre con calcio di punizione se non in caso di intervento casuale.

La touche del rugby

Altro elemento caratteristico è la touche, il corrispettivo rugbistico del fallo laterale. Una touche viene assegnata quando il pallone termina fuori dalla linea laterale del campo, ma chi la batterà dipende da diversi fattori. Quando il pallone proviene da una punizione, la touche è a favore di chi ha calciato.

Se arriva da una situazione di gioco, invece, la rimessa la batte la squadra che non ha toccato per ultima il pallone. Si batte dal punto in cui l’ovale esce dal campo, ma con una eccezione. Se il pallone esce dopo un calcio libero, è necessario che tocchi il campo prima di superare la linea, altrimenti la rimessa si batterà dal punto del campo in cui il giocatore ha calciato, a meno che il giocatore in questione non abbia effettuato il calcio dietro la linea dei 22 metri.

Il Sudafrica rappresenterà sempre una buona opzione per le scommesse sportive per i Mondiali in Francia nel 2023!

Un momento elettrizzante del rugby!

La touche prevede che le due squadre schierino un numero uguale di giocatori e che il pallone venga lanciato dritto per almeno cinque metri. Ultima situazione particolare è quella del mark, che avviene quando un giocatore riceve al volo un calcio nei suoi 22 metri. Urlando, appunto, “mark”, il ricevitore riceve un calcio libero, il che obbliga gli avversari a concedere almeno 10 metri di spazio al momento della battuta.

Insomma, il rugby uno sport appassionante e dalle regole molto ben precise. Che, una volta conosciute e assimilate, sono anche semplici e intuitive e permettono di godersi a pieno qualsiasi partita!
 

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

October 11, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Ruoli basket | ruoli pallacanestro | quintetto basket

La tradizione e la novità. Il vecchio e il nuovo. Il concetto di ruolo che va sempre più a perdersi nel basket, specialmente nella NBA. Cerchiamo di fare un’analisi su quelli che sono i classici ruoli e le attuali interpretazioni.

Il playmaker

La guardia

L’ala piccola

L’ala grande

Il centro

Chi ha ridefinito il concetto di ruolo sul campo da basket, naturalmente, negli ultimi anni è LeBron James. Un playmaker per caratteristiche, un’ala grande per fisico, prepotenza atletica e capacità di lavorare a rimbalzo. Andiamo però con ordine cercando di definire quelli che sono i ruoli prima di parlare del “basket moderno”. 

Il playmaker

Colui che dà il via alle azioni offensive della squadra. “Il numero uno” nella descrizione dei ruoli a livello numerico. Il play solitamente è il giocatore più piccolo del quintetto, quello con più fantasia e capace di mettere in ritmo tutti i compagni. L’interpretazione del ruolo è cambiata nel corso degli anni, con i “registi” che stanno lasciando il posto agli “scorer” più puri. Anche in NBA viene rappresentata al meglio la diversità di questo ruolo, con tanti interpreti straordinari con caratteristiche diametralmente opposte.

Steph Curry idolo della California!

Da una parte la capacità di mettere in ritmo i compagni di giocatori come Chris Paul, dall’altra dei fenomenali attaccanti di uno contro uno come Steph Curry, Kyrie Irving, Damien Lillard e l’emergente Trae Young. A questi si accostano anche grandi difensori come Kyle Lowry e Jrue Holiday, quest’ultimo decisivo anche nelle NBA Finals vinte dai Milwaukee Bucks. 

La guardia

Lo “scorer”, il giocatore al quale affidarsi per vincere le partite. Tiratori, grandi attaccanti ai quali è concesso anche qualche passaggio a vuoto a livello difensivo. Soprattutto negli Anni Novanta le guardie sono state il fulcro del gioco in NBA, da Jordan a Iverson, da Bryant a McGrady, da Vince Carter a Ray Allen.

Tanti straordinari attaccanti che, attualmente, sono stati sostituiti da giocatori ancor più versatili. In NBA ora troviamo dei playmaker “travestiti” da guardie come possono essere James Harden, favorito con i suoi Nets per le scommesse NBA e Luka Doncic, oppure i sempre più desiderati 3&D.

James Harden

Giocatori in grado di fare la differenza dal perimetro e bravissimi anche a difendere come Klay Thompson, Khris Middleton e Jimmy Butler, anche se quest’ultimo è più un realizzatore dalla media distanza che un tiratore da tre punti. Tra gli esterni, comprendendo anche le ali piccole, ormai nel basket moderno si va sempre più alla ricerca della duttilità e dell’atletismo. 

L’ala piccola

Come per le guardie, anche il concetto di ala piccola si sta sempre più evolvendo in un ruolo “ibrido”. In questa posizione si va sempre più alla ricerca di atleti, giocatori capaci di fare la differenza in difesa difendendo su più ruoli e di realizzare sia da tre punti che in penetrazione.

Due dei principali interpreti del ruolo si trovano a Los Angeles, sponda Clippers, con il duo Leonard-George che risponde a tutte queste caratteristiche. Grandi difensori, grandi realizzatori sia da fuori che in penetrazione e grandi atleti.

Leonard e George, coppia di platino dei Clippers!

Diversi giovani come Siakam rispondono a queste caratteristiche, anche se alla ricerca di continuità nel tiro da tre punti per diventare delle superstar. Evoluzione che hanno avuto Jayson Tatum e Jaylen Brown, combo di ali piccole di Boston che fanno la differenza per i Celtics nonostante le difficoltà per la squadra di coach Stevens nell’ultimo anno. E per le ali piccole che peccano in atletismo e hanno qualità nel tiro da tre punti, come Danilo Gallinari, l’evoluzione del gioco ha portato a un cambio ruolo trasformandole di fatto in ali grandi. 

L’ala grande

Dalle twin towers ai “4” che aprono il campo. Il gioco è cambiato e, specialmente negli ultimi 10/15 anni, l’obiettivo è quello di aprire il campo e avere sempre più potenza di fuoco dal perimetro. A risentirne sono stati soprattutto quei “lunghi” che giocavano in posizioni intermedie all’interno dell’area. Un esempio su tutti Tim Duncan, strepitoso interprete del ruolo come tiratore dai 3-4 metri e nel gioco spalle a canestro, ma che rendeva al meglio con un altro lungo al suo fianco che potesse ricoprire il ruolo di centro.

L’evoluzione ha portato invece alla ricerca di ali grandi che siano sempre più simili a delle ali piccole, come ad esempio Kevin Durant che ormai da anni gioca da numero 4. Un’evoluzione che, comunque, lascia spazio a delle eccezioni come ad esempio Zion Williamson dei New Orleans Pelicans. Non un’ala grande vecchio stile, ma un atleta straripante fisicamente che sa dominare a rimbalzo e in uno contro uno, specialmente quando si trova di fronte delle ali piccole “adattate” ad ali grandi. 

Zion Williamson

 

Il centro

Un ruolo sempre più raro da valorizzare, specialmente in NBA. La convinzione di molti addetti ai lavori è che non si possa più vincere con un grande centro nel quintetto, perché servono esterni di qualità per aprire il campo e lasciar spazio alle penetrazioni dei piccoli. Aprire il campo e giocare con cinque esterni, come fatto dai Golden State Warriors di Steve Kerr nella loro epopea vincente per le quote basket.

Anche i Lakers, che hanno un grande numero 4 come Anthony Davis, stanno cercando in tutti i modi di convincere AD a giocare da centro per aprire di più il campo. In NBA ci sono esempi di grandi centri, come Joel Embiid a Philadelphia, che però non riescono a vincere ed evidenziano problematiche in attacco a livello di spaziatura.

Joel Embiid, centro dominante in NBA

Il lungo di 2 metri e 10 che domina sotto canestro sui due lati del campo come Shaquille O’Neal faceva vent’anni fa è sempre più raro, e l’evoluzione del gioco li sta rendendo merce estremamente rara e difficile da valorizzare. 
 

October 10, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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piloti f1 2022 | piloti F1 | piloti formula uno

Nella Formula 1 conta più la vettura o il pilota? Una domanda che è un po’ quella dell’uovo o della gallina, perché se è vero che con il passare degli anni le macchine sono diventate delle vere e proprie astronavi, dall’altro lato c’è anche da pensare che i piloti devono essere sempre più bravi a gestire i bolidi che guidano.

 
All'anno €40,000,000 £34,011,400
Al mese €3,333,333 £2,834,283
Per ciascuna settimana €769,230 £654,064
Al giorno €109,589 £93,181
All'ora €4,566 £3,882
Al minuto €76 £64
Dal momento in cui hai iniziato a leggere questo contenuto, Lewis Hamilton ha incassato
 

Dunque, per quanto gli sviluppi delle vetture siano fondamentali, bisogna anche essere bravi a scegliere il guidatore adatto, quello in grado di aiutare lo sviluppo della macchina, di capire i momenti dei singoli Gran Premi e di resistere alla pressione, fisica e ambientale, che la Formula 1 impone. Quali sono state al riguardo le scelte delle scuderie per questo appassionante mondiale 2021? E quali sono i piani per il futuro, con la rivoluzionaria stagione 2022 alle porte?

5 anni di continuità per Hamilton - Bottas

La nuova coppia Red Bull

Sainz - Leclerc per la Ferrari

Che bello il duo McLaren: Ricciardo e Norris

Sebastian Vettel all’Aston Martin

Che stipendio per Fernando Alonso alla Alpine

I piloti di AlphaTauri ed Alfa Romeo

Last dance per Russell alla Williams

Mick Schumacher alla Haas

5 anni di continuità per Hamilton - Bottas

In Mercedes, il motto è stato chiaro. Squadra che vince, non si cambia. E infatti per il quinto anno consecutivo le Frecce d’Argento si sono presentate con la coppia Hamilton-Bottas. Il sette volte campione del mondo è alla sua nona stagione con la scuderia tedesca, con cui ha già conquistato il titolo sei volte, mentre il finlandese è arrivato dopo il campionato 2016, vinto da Rosberg, che poi ha lasciato. I piloti di riserva del team di Toto Wolff sono invece Vandoorne, De Vries e Hülkenberg.

Hamilton nella domenica delle 100 vittorie!

Il contratto di Hamilton per il 2021 era un annuale a 40 milioni, ma a luglio è arrivata la conferma: l’inglese continuerà in Mercedes fino al 2023, anche se dovrebbe esserci una clausola che gli permetterebbe di svincolarsi a fine 2022. Per Bottas, invece, il contratto da 10 milioni è in scadenza e non gli verrà rinnovato.

Al suo posto per la stagione 2020 arriverà George Russell, che ha già sostituito Hamilton nel 2020 quando l’inglese era…ai box, infiammando nel GP Sakhir le scommesse F1.                                                                                               . 

La nuova coppia Red Bull

Mezza rivoluzione invece per la Red Bull, alla continua ricerca di un buon numero due da affiancare a Max Verstappen. Alla fine il nuovo compagno di squadra dell’olandese, che ha un contratto fino al 2023 da 16 milioni all’anno, è stato il messicano Sergio Perez.

Tutto il talento di Max Verstappen!

A lasciargli il posto è stato Albon, che è finito nella lista dei piloti di riserva assieme a Buemi. La scelta di Perez è stata apprezzata da parte del team guidato da Chris Horner, visto che nelle scorse settimane è arrivata la conferma del messicano anche per la stagione 2022, non così scontata visto che aveva firmato un annuale da 3 milioni di euro.

Sainz - Leclerc per la Ferrari

Stessa situazione anche in Ferrari, dove la novità del 2021 è stata rappresentata dall’arrivo di Carlos Sainz. Lo spagnolo ha firmato un biennale da 6 milioni di euro ed è andato così ad affiancare Charles Leclerc. Il monegasco ha dalla sua un accordo lunghissimo, visto che il contratto scade nel 2024 e, a meno di rinnovi al rialzo, fino a quella data gli garantirà circa 10 milioni a stagione.

La Ferrari 2021!

Le riserve di Maranello sono tante e…tricolori: in lista Ferrari ci sono Giovinazzi, Fuoco, Rigon e il britannico Ilott. Per il 2022, accordi alla mano, zero sorprese e conferma della coppia attuale.

Che bello il duo McLaren: Ricciardo e Norris

La stagione del rilancio della McLaren è coincisa con l’arrivo a Woking di Daniel Ricciardo. L’australiano ha firmato un bel triennale da 15 milioni di euro e ha preso il box lasciato vuoto da Sainz accanto a Lando Norris. Il britannico invece ha un contratto fino al 2022 ed è forse il migliore della griglia in quanto a rapporto qualità/prezzo, visto che al momento guadagna appena 1,6 milioni di euro a stagione.

Lando Norris!

La scuderia britannica, in compenso, vanta la schiera di riserve più nutrita del paddock, ben cinque: Stevens, Turvey, Vandoorne, De Vries e Di Resta. Per la prossima stagione, nessun avvicendamento, anche viste le ottime prestazioni del duo Norris-Ricciardo.

Sebastian Vettel all’Aston Martin

Dopo l’addio alla Ferrari, ad aggiudicarsi il quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel è stata l’Aston Martin, diretta erede della Racing Point di Lance Stroll senior. Il canadese ha... poco sorprendentemente, anche confermato suo figlio sull’altro sedile.

Seba Vettel, sempre agguerrito!

Per Vettel è arrivato un contratto annuale da 15 milioni, mentre Stroll junior a papà Lance costa relativamente poco, 1,6 milioni a stagione. L’unica riserva registrata in casa Aston Martin è Hülkenberg. Per il 2022, a meno di un clamoroso ritiro di Vettel, la situazione dovrebbe rimanere invariata.

Che stipendio per Fernando Alonso alla Alpine

Il secondo pilota più pagato del Circus è invece alla guida di una Alpine. Il ritorno di Fernando Alonso…è costato parecchio alla scuderia francese, che ha garantito allo spagnolo un annuale da 17 milioni di euro.

Fernando Alonso

Accanto a lui c’è Ocon, che si è anche tolto la soddisfazione di vincere il GP d’Ungheria, nonostante uno stipendio molto inferiore a quello del compagno di team, 4 milioni di euro. Le riserve Alpine sono il russo Kvjat e il cinese Zhou. Per la prossima stagione i transalpini hanno già fatto sapere che non sono previsti cambiamenti. Alonso ha rinnovato fino a fino 2022, mentre Ocon ha prolungato il suo accordo addirittura fino al 2024.

I piloti di AlphaTauri ed Alfa Romeo

Line-up modificata anche in AlphaTauri, che nel 2021 schiera la coppia formata da Gasly e Tsunoda. Il francese, già anche nella Red Bull…titolare, si accontenta di 1,6 milioni di euro a stagione, mentre il rookie giapponese è uno dei meno pagati del campionato, con un contratto da poco meno di 600mila euro.

Come per la casa madre, la riserva è Albon. Nonostante una stagione molto inferiore a quella precedente, il 2022 non dovrebbe vedere rivoluzioni a Faenza. Il contratto di Gasly scade proprio l’anno prossimo, così come quello di Tsunoda, che però non è stato ancora confermato ufficialmente.

L’Alfa Romeo è una delle poche scuderie che per il 2021 ha mantenuto la stessa coppia dell’anno precedente. In pista per la scuderia italiana l’eterno Kimi Raikkonen, con un contratto da 6 milioni di euro, e il pilota più economico della Formula 1, Antonio Giovinazzi, con un accordo da appena 500mila euro.

Kimi Raikkonen con la Alfa!

Le riserve dell’Alfa sono tra le più interessati del campionato, però: accanto a Kubica, che ha sostituito Raikkonen alle prese con il Covid-19, ci sono Illott e soprattutto la colombiana Tatiana Calderon. L’Alfa Romeo è sotto i riflettori per la line-up 2022, visto il ritiro di Raikkonen. Arriverà sicuramente Bottas, annunciato qualche settimana fa. Nulla di nuovo per la conferma di Giovinazzi, che vede il suo sedile insidiato da De Vries.

Last dance per Russell alla Williams

La Williams per il 2021 ha tenuto duro e ha puntato di nuovo sul talento di Russell e di Latifi. Il britannico, gestito da Toto Wolff, prende anche poco per essere considerato il nuovo fenomeno del circus: 800mila euro. Stessa cifra per il canadese, che in questa stagione si è tolto la soddisfazione di fare il primo piazzamento a punti in carriera.

George Russell!

Le riserve a disposizione dei britannici sono quattro: Aitken, Nissany, Chadwick e Ticktum. Il 2022 però porterà novità. Russell arriva finalmente in Mercedes per Bottas e la Williams al suo posto ha già annunciato il ritorno in pista di Albon. Latifi invece resterà, forte di un contratto fino alla fine della prossima stagione.

 

Mick Schumacher alla Haas

Impossibile non chiudere con la Haas, che ha lanciato il team più…sperimentale di tutta la stagione. La scuderia statunitense ha infatti lanciato Mick Schumacher e il russo Mazepin. Per loro, il budget combinato più basso del circus, con rispettivamente 600mila e 800mila euro di contratto.

Mick Schumacher con la Haas!

Una sola riserva, il brasiliano Fittipaldi, e soprattutto, zero certezze per il 2022, anche se il team dovrebbe confermarli. Il giovane Schumacher non ha ancora avuto modo di dimostrare il suo talento, ma ha un cognome che pesa. Il russo invece ha una carta in più: lo sponsor principale del team, la Uralkali, è in parte proprietà di Mazepin senior…

Insomma, tra presente e futuro, i piloti continuano ad attrarre interesse tanto quanto lo sviluppo delle vetture. E chissà che nel 2022, con la rivoluzione dei regolamenti, non torni a contare molto di più avere un campionissimo alla guida, come avviene nelle due ruote per le quote Moto GP

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 9 ottobre 2021.

December 25, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Regole del calcio | regolamento calcio | 17 regole del calcio

La legge è uguale per tutti e per le regole del calcio vale la stessa cosa. Il dischetto da rigore sarà sempre a 11 metri dalla porta e ovunque nel mondo se un calciatore spedisce il pallone fuori dalla linea laterale, l’altra squadra batterà una rimessa con le mani.

L'International Football Association Board

L'evoluzione delle regole del calcio

L'art. 3 del regolamento: il numero dei calciatori

Quanta sperimentazione di regole calcistiche

La Goal Line Technology ed il VAR

A meno che ovviamente l’IFAB, l’ente che si occupa di codificare lo sport più seguito al mondo, non decida altrimenti. Già, perché se si vuole cambiare qualche regola del gioco bisogna rivolgersi all’organismo nato nel 1882 ed integrato nella FIFA nel 1904. Ma serve davvero qualcuno che stabilisca delle norme ben precise? A vedere la storia delle regole del calcio, forse sì.

L'International Football Association Board

Tutto nasce, neanche a dirlo, all’inizio della seconda metà dell’Ottocento, quando in giro per l’Inghilterra si comincia a diffondere questo strano passatempo chiamato football. Il punto è che all’epoca ognuno il calcio lo interpreta e lo gioca come più gli aggrada. Non c’è nulla di fissato, né il numero dei calciatori, né la possibilità di prendere il pallone con le mani come nel rugby.

E quindi nel 1882 nasce l’IFAB, International Football Association Board, formato dalle quattro federazioni britanniche, che decide un regolamento internazionale e fa la prima delle sue riunioni volte ad aggiornarlo nel 1886.

Da allora sono passati oltre cento anni e il calcio è cambiato moltissimo, nonostante il sistema di decisione sia abbastanza macchinoso. Ancora oggi, nonostante l’integrazione nella FIFA, non è semplice stabilire una nuova regola. Il consiglio IFAB è infatti composto da 4 membri britannici (uno ogni federazione) e 4 scelti dalla federazione internazionale e affinché una proposta passi deve essere supportata da almeno 6 membri su 8.

L'IFAB

Logico dunque che su alterazioni fondamentali del gioco, come per esempio l’introduzione del VAR, che cambia, a sua volta l'analisi di tante quote calcio, ci siano parecchi scontri e che parecchie rivoluzioni nel corso degli anni non abbiano superato lo scoglio del voto IFAB.

L'evoluzione delle regole del calcio

Nonostante questo, però, il calcio del 2021 è molto diverso da quello degli anni Ottanta dell’ottocento, proprio grazie alle molte modifiche ai regolamenti che nel corso dei decenni sono state approvate. Si parte dal 1891, quando si stabilisce che qualsiasi fallo avvenuto nei pressi della porta verrà sanzionato con un calcio di rigore.

Paradossalmente, però, l’area di rigore viene istituita solamente nel 1902, così come il dischetto a 11 metri.

Nel 1892 viene introdotto il tempo di recupero, mentre nel 1897 si decide che si gioca in undici e per novanta minuti.

L'art. 2 regola sempre le caratteristiche del pallone da calcio. Nel 1913 si stabilisce che il portiere può toccare il pallone con le mani solo nella sua area, invece che in tutta la sua metà campo, ma la vera grande rivoluzione è targata 1925. In quell’anno, di fronte a partite sempre più scarne di gol, viene modificata la regola del fuorigioco: per essere in posizione regolare, non serve più avere davanti tre difensori (portiere compreso), ma solo due.

Cambia tutto, o quasi, perché le squadre cominciano a passare alla difesa a tre e poi a quattro e l’impatto di questa novità è talmente pesante che per oltre quarant’anni non ci saranno cambiamenti troppo imponenti neanche nel resto del regolamento.

L'art. 3 del regolamento: il numero dei calciatori

Nuovi passi arrivano infatti negli anni Sessanta, quando (dopo il mondiale del 1966) vengono introdotte le sostituzioni tattiche, ovvero non quelle dovute a infortuni dei calciatori, che nel corso degli anni passeranno da due a tre, per poi aumentare a cinque nel 2020.

AG7 lascia il campo in Francia - Germania

Sempre nel 1966 nascono i cartellini, giallo e rosso, per indicare ammonizione ed espulsione. Nel 1970, giusto prima del Mondiale in Messico, si regolamentano definitivamente i supplementari e i calci di rigore nelle competizioni a eliminazione diretta, mentre fino all’anno precedente si prendevano decisioni…con la monetine (come nel caso della semifinale europea Italia-URSS del 1988).

Poi, altri vent’anni di relativa calma, prima della tempesta degli anni Novanta. Nel 1992, per evitare le perdite di tempo e per favorire un calcio sempre più offensivo, viene impedito ai portieri di toccare il pallone con le mani se proveniente da un retropassaggio di piede dei compagni, un divieto che poi verrà esteso a ogni passaggio al portiere che avvenga con i piedi o con le mani (incluse quindi le rimesse laterali).

Quanta sperimentazione di regole calcistiche

Non mancano in questo periodo le proposte prima sperimentate e poi bocciate, come il Golden e il Silver Goal, il più celebre per le scommesse sportive online è sicuramente quello segnato da David Trezeguet all'Italia nel 2000 o gli arbitri d’area, che fanno la loro comparsa per qualche anno salvo poi finire nel dimenticatoio. Infine, gli anni Dieci del XXI secolo sono quelli dell’avvento della tecnologia in campo.

Il Golden gol della Francia ad EURO 2000

 

La Goal Line Technology ed il VAR

Prima, nel 2012, nasce la Goal Line Technology, che permette agli arbitri di sapere quando il pallone è entrato in porta, evitando i classici gol fantasma.

E poi nel 2017 la terza grande rivoluzione, quella del VAR, con la presenza di assistenti dell’arbitro che attraverso le immagini possono valutare decisioni prese dal fischietto e dare una mano al collega su alcune tipologie di episodi.

L'esito di una decisione del VAR

Nel frattempo, ci sono stati anche dei secchi no, come quello alle espulsioni temporanee, che di tanto in tanto vengono proposte, ma che finora non hanno ottenuto il placet dell’IFAB. E chissà quante altre regole verranno create o cancellate nei prossimi anni. Del resto, il calcio è una metafora della vita. E come lei, si evolve…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

October 9, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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442 | 4-4-2 | 4 4 2 | quattro quattro due

In ogni sport di squadra esiste uno schema…rassicurante. Quello a cui si ricorre quando la situazione è complicata e si vuole che i propri giocatori facciano le cose nella maniera più semplice e allo stesso tempo più efficace. E questo, nel calcio, è probabilmente riassumibile nella combinazione di tre numeri: 4-4-2.

Lo schema di gioco classico

L'importanza della seconda punta nel 4-4-2

Arrigo Sacchi cambia il calcio

L'impresa delle imprese: il Leicester di Ranieri

442: tra rombo e trequartista

Un modulo allo stesso tempo semplice e complesso, che spesso viene utilizzato da formazioni più deboli quando affrontano una big, ma che allo stesso tempo ha contribuito a forgiare alcuni dei team più vincenti di tutti i tempi. Ma da dove nasce il 4-4-2

Lo schema di gioco classico

Uno schema così tipico che qualcuno lo ha addirittura definito “il classico”, che prevede tre linee di calciatori e soprattutto movimenti corali e precisi. La difesa a zona, la grande novità del 4-4-2, necessita di automatismi vicini alla perfezione e tutto lo svolgimento del gioco, sia in difesa che in attacco, si basa sulla capacità dei calciatori di aiutare il compagno e di offrire linee di passaggio e sovrapposizioni.

Non per niente a soffrire il 4-4-2, recentemente rispolverato dalla Juve di Allegri non più favorita per le quote serie A sono particolarmente i calciatori d’estro, che si ritrovano un po’ ingabbiati in un sistema che lascia poco all’immaginazione.

Roberto Baggio in Nazionale

Di contro, un modulo così semplice fa la fortuna di calciatori magari poco dotati tecnicamente ma capaci di interpretare alla perfezione i compiti. In particolare diventa fondamentale il pressing, che permette di recuperare un alto numero di palloni costringendo gli avversari all’errore, così come le distanze tra i reparti, che devono essere le più corte possibile, per permettere di sviluppare entrambe le fasi di gioco nella maniera migliore. 

L'importanza della seconda punta nel 4-4-2

Certo, un 4-4-2 scolastico a volte è facilmente leggibile da parte dell’avversario e se i calciatori offensivi non si preoccupano anche dei loro compiti difensivi, il rischio è quello di rimanere scoperti. Vista una certa rigidità tattica, il modo migliore per creare grattacapi a un 4-4-2 è quello di giocare tra le linee, visto che costringere i calciatori a non rispettare il dettame tattico per occuparsi di un uomo nello spazio è il modo migliore per scardinare l’intero sistema.

Il ruolo più caratteristico è certamente quello della seconda punta, che invece di giocare a ridosso dell’area di rigore accanto al centravanti, svaria su tutto il fronte offensivo, offrendo al compagno di reparto la possibilità di dialogare, ma anche andando a sfruttare il lavoro delle catene composte da terzini e ali. Anche gli esterni sono fondamentali, in quanto il loro interscambio con continue sovrapposizioni (derivato dal Calcio Totale olandese) è importantissimo per ottenere la superiorità numerica.

Arrigo Sacchi cambia il calcio

A fare la fortuna del 4-4-2 è una serie di squadre che tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del nuovo millennio vincono tutto il vincibile. L’alfiere principale del modulo è certamente Arrigo Sacchi, che lo studia a Parma e poi lo applica alla perfezione al Milan, che sotto la sua guida diventa la squadra degli Immortali. La coppia d’attacco rossonera, composta da Van Basten come centravanti e Gullit da seconda punta, diventa immediatamente il punto di riferimento tattico di tutti quelli che improvvisamente si…convertono al 4-4-2.

La coppia di platino del calcio olandese!

Lo fa persino il Brasile, che vince i mondiali del 1994 con Romario e Bebeto, così come la Sampdoria di Boskov (Vialli e Mancini) e il Milan di Capello, che all’eredità di Sacchi aggiunge l’estro di Savicevic compensato dalla duttilità tattica di Massaro. 

E poi ancora, lo United di Ferguson, che però preferisce giocarsela un po’ più all’inglese sfruttando i precisi cross di Beckham e Giggs, facendo comunque il Treble. Infine, nel XXI secolo arrivano due veri e propri miracoli. Prima il Chievo di Delneri prende di sorpresa la Serie A, mantenendo a lungo la vetta con le frecce Luciano e Manfredini a innescare Corradi e Marazzina.

L'impresa delle imprese: il Leicester di Ranieri

E poi, quindici anni dopo, Claudio Ranieri riesce in un’impresa pazzesca per le scommesse calcio e con il Leicester City si prende la Premier League con un calcio semplice che però le altre squadre inglesi non riescono a interpretare, complice l’estro di Mahrez (nel ruolo di esterno destro a piede invertito) e la rapidità di Vardy.

Ranieri festeggia il titolo!

 

442: tra rombo e trequartista

In Italia c’è anche Ancelotti, che predilige la versione a rombo per il suo Milan che vince due Champions League e che diventa famoso per il centrocampo Pirlo-Gattuso-Seedorf-Rui Costa, che lancia Inzaghi e Shevchenko ma viene coperto da Nesta e Maldini…

Senza poi dimenticare una versione ancora differente, il 4-4-1-1 che viene impiegato per esempio dall’Italia campione del mondo nel 2006. In quel caso la punta centrale (che nella competizione iridata era Toni) rimane quasi isolata, mentre la seconda punta diventa un vero e proprio trequartista (staffetta tra Totti e Del Piero per Lippi) che funge sia da rampa di lancio per il numero 9 che come appoggio agli esterni Camoranesi e Perrotta, specializzati nell’inserimento senza palla).

Rui Costa in maglia rossonera

Insomma, per essere un modulo che solitamente viene associato a squadre molto organizzate ma poco talentuose, il 4-4-2 quando si parla di trofei si difende molto bene. Del resto, è una delle sue caratteristiche principali, no?

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

October 9, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Alcione Calcio | Alcione Milano | Alcione Serie D

Quante squadre ha una grande metropoli? Dipende, perché i casi sono molti e disparati. Basterebbe pensare a Londra, che solo in Premier League nella stagione 2021/2022 ha ben sei rappresentanti (Arsenal, Brentford, Chelsea, Crystal Palace, Tottenham, West Ham) e altre sette sparse tra Championship, League One e League Two.

La terza squadra di calcio di Milano

L'Alcione Calcio e la promozione in D

Pellegrini dall'Alcione... All'Inter

Che settore giovanile all'Alcione!

Alcione, un futuro importante!

Se poi si scende ancora più in basso nella piramide del pallone di Sua Maestà (evitando comunque i campionati locali!) si arriva addirittura a quarantanove.

La terza squadra di calcio di Milano

Ma ci sono tanti esempi opposti, con grandi città che spesso hanno avuto difficoltà a portare due squadre nello stesso campionato per periodi prolungati di tempo. In situazioni in cui non c’è il campanilismo calcistico locale che si riscontra nel Regno Unito e in cui ci sono grandi club pronti a fagocitare l’interesse, giocando costantemente le massime divisioni nazionali, è difficile che le piccole società possano emergere.

Ma la domanda, evidentemente, resta, soprattutto quando a competersi il primato in città ci sono due club: qual è la terza squadra di Roma, di Milano o di Torino?

Di parametri possono essercene anche troppi e non propriamente valutabili, quindi tanto vale prendere l’unico davvero incontrovertibile: la posizione nella gerarchia calcistica nazionale.

E guardando in particolare a Milano oggi protagonista con Inter e Milan tra le favorite per le quote scudetto, a prendersi l’ambito titolo è l’Alcione. Anzi, l’Associazione Sportiva Dilettantistica Alcione, nata nell’ormai lontano 1952 e che nel corso della sua storia non ha mai mancato di iscriversi ai campionati federali a livello provinciale e regionale.

L'Alcione Calcio e la promozione in D

Ed è proprio nell’Eccellenza lombarda 2020/21 che l’Alcione si è guadagnato il titolo di terza forza milanese, vincendo il girone B del campionato (che si è disputato in forma ridotta a causa delle restrizioni, sapientemente gestite dal Presidente Tavecchio) e prendendosi la promozione in Serie D.

A settembre 2021 la formazione meneghina è stata inserita nel girone D, che comprende squadre lombarde, toscane ed emiliano-romagnole. L’esordio non è stato positivo, una sconfitta in casa contro il Forlì, ma sono già arrivati i primi punti già nella seconda giornata, con la vittoria in casa del Prato.

Un altro evento storico per l’Alcione, che comunque ha già parecchio nei suoi annali di cui parlare.

Pellegrini dall'Alcione... All'Inter

Come per esempio due dei presidenti che si sono alternati alla guida della società. Diventare numero uno dell’Alcione è infatti stata l’esperienza che ha poi portato Ernesto Pellegrini ad acquisire la proprietà dell’Inter da Ivanoe Fraizzoli nel 1984. Pellegrini, come ricorda con un certo orgoglio il sito ufficiale del club, è stato uno dei presidenti che si sono succeduti alla guida della compagine sociale dopo che nel 1972 è terminata l’era di Ennio Di Ponzio, uno dei fondatori e primo presidente per i primi vent’anni di vita della squadra.

Il Presidente Pellegrini con Nicola Berti

Un qualcosa che Pellegrini non manca mai di sottolineare come quando il leggendario Dino Viola ricordava dei suoi trascorsi a Palestrina, visto che ha spiegato in diverse interviste quanto quel periodo sia stato importante. In una società non certo di primo livello, in cui, parole sue, mancava tutto, ma con tantissima passione e soprattutto un vivaio importante.

Che settore giovanile all'Alcione!

Già, il vivaio, uno dei fiori all’occhiello dell’Alcione. Del resto, mica tutti possono vantare di aver fatto crescere nella propria squadra un campione del mondo. E invece Beppe Dossena, milanese purosangue, vincitore del Mondiale 1982 e con una carriera che lo ha visto giocare con le maglie di Torino e Sampdoria, è cresciuto proprio nella società meneghina.

I Campioni del Mondo a Madrid!

Come lui, anche altri colleghi hanno cominciato a dare calci a un pallone con la maglia dell’Alcione per poi diventare giocatori di Serie A, addirittura con importanti esperienze all’estero. È il caso di Alessandro Pistone, che dal Vicenza dei miracoli è passato all’Inter e poi ha indossato il bianconero del Newcastle, o di Andrea Caracciolo, che al Brescia è diventato una delle leggende del club e che in Serie A si è meritato il soprannome di Airone.

Tra gli ex Alcione che giocano attualmente ad alto livello c’è Lorenzo Dickmann, che nella stagione 2018/19 ha esordito nella massima serie con la Spal e che ora è uno dei titolarissimi di Pep Clotet in B.

Lorenzo Dickmann con la maglia della SPAL

Ma non solo Ernesto Pellegrini è transitato attraverso la periferia ovest milanese nel suo percorso verso la fama. Tra i presidenti che si sono alternati alla guida dell’Alcione spuntano altri due nomi abbastanza celebri delle parti di Milano. Il primo è quello di Carlo Tognoli, che per dieci anni è stato sindaco della città e poi più volte parlamentare, ministro e deputato europeo.

Un legame con la squadra che è rimasto e che è stato confermato nel marzo 2021, quando l’ex Primo Cittadino è venuto a mancare e il club non ha mai mancato di ricordare uno dei suoi numeri uno del passato. E anche uno degli assessori milanesi degli anni Ottanta, Bruno Falconieri, ha avuto il suo periodo alla guida del club, dimostrando quanto l’Alcione sia profondamente radicato non solo nella sua porzione di città, ma anche tra i personaggi più in vista sotto la Madonnina.

Alcione, un futuro importante!

Cosa riserverà dunque il futuro a quella che ormai è a tutti gli effetti la terza squadra di Milano? Difficile a dirsi. Intanto sono arrivati riconoscimenti importanti, come un’amichevole precampionato contro il Milan di Mihajlovic nel 2015, con doppietta di Niang per le scommesse serie A.

Per quello che dirà il campo, però, impossibile fare previsioni perché la Serie D è complicata. Ma con programmazione e impegno, che dalle parti del campo Kennedy 2 non sono mai mancati, non è detto che l’Alcione non riesca a fare il grande salto e a raggiungere il professionismo. Sarebbe un traguardo storico, perché la Serie C non ha mai conosciuto una squadra puramente milanese, considerando che al massimo il Milan ha giocato due campionati di B e l’Inter nella sua storia non è mai retrocessa.

E una eventuale promozione permetterebbe anche all’Alcione di “liberarsi” della sua concorrente più pericolosa per il posto di terza forza cittadina, il Brera Football Club, che forte dell’impatto mediatico della sua nascita a inizio millennio (quando sulla panchina c’è stato anche l’ex Inter e Sampdoria Walter Zenga) per molti anni si è fregiata del titolo di terzo club milanese. Del resto, non potendo ancora rivaleggiare con Milan e Inter, un nemico giurato bisogna pur avercelo…

*Le tre immagini all'interno del contenuto sono distribuite da AP Photo.

October 7, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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Al Rihla è il pallone Adidas dei Mondiali in Qatar

Cosa sarebbe il calcio senza un pallone? Un compendio di discipline diverse, probabilmente, perché in campo si può correre, saltare, si può anche lottare, ma senza quel qualcosa che rotola è difficile chiamarlo calcio.

Del resto, non serve neanche un campo per fare una partita. Basta, appunto, un pallone, come quello creato dalla Puma per la Serie Ae qualcosa che riesca più o meno a delimitare un terreno di gioco. Insomma, senza sua maestà, a calcio non si gioca mica.

Il pallone dei Mondiali di calcio 2022

Il pallone Nike per la Premier

Le regole per il pallone

La leggenda della sfera del 1930

La tradizione dei palloni Adidas

La palla Macron per l'Europa League

Il bonus di benvenuto di 888sport

Il pallone dei Mondiali di calcio 2022

Eppure i palloni sono tra gli elementi meno considerati quando si va a studiare l’evoluzione dello sport più amato e seguito al mondo. Sulle divise e sugli altri accessori, dagli scarpini ai guanti per i portieri, esiste una vera e propria letteratura. Ma quando si tratta del pallone, il pensiero sembra sempre darlo per scontato.

Eppure anche lui ha una storia affascinante e che in qualche maniera ha avuto la sua influenza in quello che il calcio è diventato e in quello che diventerà in futuro.

Al Rihla, ovvero “viaggio”. Questo il nome del pallone che accompagnerà le trentadue nazionali che si giocano la Coppa del Mondo in Qatar. Per la quattordicesima volta tocca all’Adidas produrre l’elemento…fondamentale del torneo, dopo che nel corso dei decenni alcuni dei palloni ideati dall’azienda tedesca hanno scritto la storia, trovando una diffusione incredibile (come per esempio avvenuto con il leggendario Tango).

l’Al Rihla, spiega l’Adidas, grazie alla sua superficie termosaldata senza cuciture e alla camera d'aria in gomma butilica, è il pallone più veloce della storia dei Mondiali e anche quello che si muove in aria più rapidamente di tutti. Ma non è questo l’unico “viaggio” a cui è ispirato il nome. L’obiettivo è infatti quello di favorire l’inclusione e l’uguaglianza nella comunità sportiva, un percorso che la FIFA intende sottolineare con questa manifestazione.

Chiaramente, non possono mancare i richiami al Qatar, che ospita questa edizione della Coppa del Mondo. Il disegno e i motivi che caratterizzano l’Al Rihla sono infatti ispirati alle classiche architetture arabe, alle imbarcazioni tipiche del paese del Golfo Persico e alla cultura locale. Anche i colori derivano da ciò che gravita attorno al Qatar, con quelli della bandiera nazionale in primo piano, affiancati però da quelli dei tradizionali abiti arabi.  

Il pallone Nike per la Premier

La Nike fornisce i palloni per la Premier; abbiamo già scritto di quando il pallone non era unico Il pallone deve essere sferico, con la sua circonferenza tra i 68 e i 70 cm; deve pesare tra i 410 e i 450 g; la pressione è compresa tra 0,6 e 1,1 atm! in campionato, approfondiamo gli aspetti storici e regolamentari!

Acerbi e Abraham si contendono il Pallone Nike

La struttura tipica per molto tempo è stata quella di una camera d’aria in gomma, ricoperta da diverse strisce di cuoio cucite dall’interno. Una tra le prime aziende a darsi alla produzione industriale dei palloni è state la Mitre, in Italia utilizzato dalla Samp, e finito nel 2017 al centro di una polemica alimentata da Guardiola dopo un match pareggiato in casa a sorpresa 0-0 per le quote calcio.

Altra società che ha investito da subito nel settore è stata la Thomlinson, che, nel corso degli anni, ha introdotto diverse novità, soprattutto per quello che riguardava la struttura delle strisce, il loro numero e il modo in cui si intersecavano.

Il problema dei palloni di una volta era che, soprattutto in condizioni meteo avverse, colpire di testa era costantemente un rischio. Un vecchio pallone di cuoio fradicio si appesantiva parecchio, soprattutto quelli fatti con cuoio di scarsa qualità. E poi c’era la necessità costante di…gonfiare il pallone, che spesso e volentieri cedeva durante le partite, costringendo le aziende a dotarlo di un’apertura attraverso cui, all’occorrenza, si potesse procedere all’operazione.

Le regole per il pallone

Per quanto riguarda i regolamenti ufficiali, però, non ci sono mai state indicazioni poi così precise per quello che riguarda la struttura del pallone in una partita. A partire dalla codificazione avvenuta negli anni Sessanta dell’Ottocento, basta che sia sferico, che la sua circonferenza sia compresa tra i 68 e i 70 cm, che pesi tra i 410 e i 450 g e che la pressione sia compresa tra 0,6 e 1,1 atm.

E che, ovviamente, sia rivestito di cuoio o di altro materiale ritenuto idoneo. Per il resto, libero sfogo alla fantasia, anche per quello che riguarda il colore. Basterebbe considerare che il classico pallone bianco è esistito sin dalla fine del diciannovesimo secolo, ma che ha preso particolarmente piede solamente dopo la seconda guerra mondiale, quando si è cominciato più spesso a giocare sotto i riflettori e il bianco era molto più visibile al pubblico rispetto alle altre tipologie di pallone.

Questa mancanza di regole ben precise significa che per molto tempo ognuno ha giocato con il suo pallone preferito, con caratteristiche che più si adattavano al modo di affrontare la partita della propria squadra.

La leggenda della sfera del 1930

A dimostrarlo c’è il caso limite del Mondiale 1930. A giocarsi la finalissima ci sono Uruguay e Argentina, che ovviamente, prima del match, decidono di litigare al riguardo. La narrativa ci tramanda che sia Nasazzi, capitano della Celeste, che Ferreira, leader degli argentini, pretendono di utilizzare il proprio pallone per la partita, uno come padrone di casa e l’altro in quanto ospite.

Per risolvere la questione serve un accordo: il primo tempo si giocherà con il pallone degli argentini, il secondo con quello degli uruguaiani. I primi 45 minuti, quelli con in campo la “Pelota Argentina” terminano con l’Albiceleste in vantaggio per 2-1.

Ma nella ripresa, quando si gioca con il “Modelo T”, realizzato con un cuoio più pesante, Nasazzi e compagni prendono il controllo e vincono il match per 4-2, tra le proteste degli argentini.

La tradizione dei palloni Adidas

Per evitare di questi problemi, la FIFA decide che a partire dal mondiale successivo, quello che si gioca in Italia nel 1934, ci sarà un pallone uguale per tutti, che dagli anni Settanta è creato dall’Adidas.

Dagli anni Cinquanta e per molto tempo, la forma classica del pallone è stata quella che viene definita Buckminster Ball, in onore dell’architetto inglese che ha creato il modello della cupola geodetica, che è la base su cui è stato realizzato il tipico pallone con 32 pannelli, dei quali 12 pentagonali (che di norma erano neri) e 20 esagonali.

Dopo che la Select ha commercializzato il primo pallone del genere, la Buckyball si è diffusa in tutta Europa ed è stata la base per tutti i palloni prodotti dalla Adidas per le fasi finali dei mondiali, a partire dal Telstar, per continuare con il celeberrimo Tango o l’Azteca, il primo pallone di un mondiale interamente realizzato in materiale sintetico.

Già, perché l’evoluzione non si è fermata e si è andati avanti anche attraverso studi sui diversi materiali, che hanno portato all’abbandono del cuoio naturale e anche, all’inizio del nuovo Millennio, anche all’addio alla classica struttura a 32 pannelli. Il Teamgeist, il pallone con cui l’Italia vince il mondiale 2006, è per esempio composto da 14 pannelli curvi, che sono termosaldati per evitare le cuciture e garantire una forma sempre più effettivamente sferica al pallone.

Il pallone Jabulani per il Mondiale del 2010!

Per non parlare dello Jabulani, il pallone di Sudafrica 2010 vinto dalla Spagna dopo la clamorosa sconfitta all'esordio per le scommesse online contro la Svizzera di Ottmar Hitzfeld, criticassimo dai portieri perché la sua particolare struttura permetteva ai calciatori di imprimere alla sfera traiettorie che diventavano assolutamente illeggibili.

La palla Macron per l'Europa League

Ma a parte questi incidenti di percorso, che di tanto in tanto spuntano fuori quando viene presentato questo o quel pallone, gli studi delle aziende e quelli della FIFA che ha il compito di approvare il pallone, dopo una serie di test, hanno un unico obiettivo: la creazione di palloni che siano resistenti all’acqua, che abbiano traiettorie precise, che non facciano perdere forza al tiro e che non siano pericolosi da colpire di testa, visto l’insorgere della demenza, non ai livelli degli sport americani, in molti ex calciatori che nei decenni passati giocavano con palloni troppo duri.

Il pallone Macron

E in fondo, non stupisce mica tutta questa attenzione al pallone. Del resto, senza di lui in campo…non si può mica giocare.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 6 ottobre 2021.

 
November 1, 2022
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

ruoli calcio | i ruoli del calcio | le posizioni in campo nel calcio

A prima vista, il calcio sembra uno sport semplice, a partire dai nomi dei ruoli. Il portiere para, i difensori difendono, gli attaccanti attaccano e i centrocampisti… danno una mano un po’ a tutti, nelle due fasi di gioco.

Il portiere regista

Il difensore centrale tocca più palloni

Da centrocampista a tuttocampista

Gli esterni nel calcio

Il centravanti non solo finalizzatore

Quanto conta il cervello in campo

Un ragionamento che però forse ha funzionato esclusivamente nei primi cinquant’anni della storia di questo sport, quando le principali differenze tattiche erano rappresentate dal gioco di passaggi tanto caro agli scozzesi e da quello molto più fisico all’inglese. Poi però il pallone è cambiato e anche i singoli ruoli si sono evoluti. Al punto che ormai le vecchie etichette, legate alla posizione in campo, sono diventate in alcuni casi davvero obsolete...

Il portiere regista

Persino l'estremo difensore, che in fondo ha un compito molto più preciso degli altri colleghi, non è più il semplice l’estremo difensore di una volta. Per molti tecnici è anche il primo attaccante, incaricato della costruzione del gioco dal basso.

Reina inizia l'azione d'attacco

E poi negli ultimi decenni è nato il portiere-libero, la cui posizione media non è più all’interno della sua area di rigore, ma parecchio più avanti, con il compito di anticipare gli attaccanti che sfuggono a tentativi di fuorigioco con linee difensive sempre più alte.

Il difensore centrale tocca più palloni

A proposito della difesa, quando si giocava con il 2-3-5 c’erano due semplici difensori. Poi Chapman elabora la difesa a tre e, ancora, la scuola danubiana aggiunge addirittura un altro calciatore alla retroguardia, bisogna cominciare a fare qualche differenza.

Dunque, gli esterni di una difesa diventano i terzini e gli altri, neanche a dirlo…i centrali. Per entrambi però arriveranno parecchie evoluzioni. I terzini una volta erano semplici marcatori, che si occupavano di coprire gli attaccanti avversari. Questo tipo di esterni ora è conosciuto come terzino “bloccato”, a differenza del “fluidificante”, che invece ha compiti parecchio offensivi.

Al centro invece si è sviluppata una differenza tra il centrale di marcatura e quello di copertura, con il primo che si occupa del centravanti e il secondo incaricato di controllare gli inserimenti altrui. Un po’ in disuso ma sempre nel cuore degli appassionati è invece il libero, che come suggerisce il nome era svincolato da compiti di marcatura, giocava qualche metro dietro alla linea e doveva gestire la difesa ed intervenire, raddoppiando, su chi sfuggiva ai compagni di reparto.

Il gol di Bonucci in finale a Wembley!

L’impossibilità di attuare il fuorigioco, però, ha reso quello del libero un ruolo quasi anacronistico e i suoi vecchi compiti ora se li dividono le nuove tipologie di difensori (come il centrale di impostazione) e persino il portiere.

Evidenziamo come nel calcio attuale, nella durata dei 90 minuti di gioco, il difensore centrale è quello che tocca più palloni nella partita.

Da centrocampista a tuttocampista

Ma se c’è un settore del campo dove i ruoli sono molteplici, a volte intercambiabili e spesso forieri di confusione, quello è il centrocampo. Non è raro vedere due squadre giocare con lo stesso modulo, ma con centrocampisti con compiti totalmente diversi da loro. Ed è meglio partire dalla posizione in campo per evitare confusione.

Rispetto a quando giocavano tutti in linea, ora come ora i centrocampisti centrali si possono piazzare idealmente in tre zone: davanti alla difesa, nel bel mezzo del modulo e nella trequarti.

Chi va a fare compagnia ai difensori è spesso un mediano, con compiti quasi esclusivamente difensivi e di supporto, e meno di frequente un regista arretrato, che fa partire l’azione della squadra.

Il regista però può anche giocare nel mezzo del campo e se contribuisce anche alla fase difensiva viene più comunemente detto centrale: occhio ai cartellini gialli prima di effettuare le scommesse sportive online!

In moduli che prevedono tre centrali di centrocampo, i due che sono accanto al centrale (o davanti al mediano/regista arretrato) sono le mezzali, che svolgono il ruolo più dinamico.

Manuel Locatelli, tuttocampista di Juventus e Nazionale!

Il fatto che gli inglesi definiscano questo calciatore box-to-box, ovvero “da un’area all’altra” rende bene l’idea di quali siano i compiti richiesti. E poi c’è il trequartista, il centrocampista più offensivo, che si piazza tra la difesa e il centrocampo avversario con il compito di orchestrare l’azione delle punte con passaggi illuminanti o, in una versione più moderna, di inserirsi senza palla e offrire opzioni di scarico ai compagni.

Gli esterni nel calcio

L’evoluzione principale a centrocampo però ce l’hanno certamente avuta gli esterni. Che nei primi moduli non esistevano neanche, ma che pian piano sono diventati fondamentali, soprattutto visto il successo del 4-4-2 a partire dagli anni Sessanta.

All’epoca si parlava di ali, anche loro già un evoluzione degli esterni d’attacco.

Il centrocampista esterno, che qualcuno chiamava “ala tornante” aveva il compito di allargarsi sui lati del campo e arrivare sul fondo, per sfornare cross per gli attaccanti tra un dribbling fulmineo e un dribbling ubriacante.

Leao, straordinario sulla fascia sinistra!

Ora come ora, di esterni di centrocampo veri e propri non ce ne sono quasi più, se non quelli delle difese a tre.

I celebri “quinti” (che si chiamano così presupponendo un 3-5-2) o meglio ancora “terzini a tutta fascia” sono calciatori che giocano in sistemi che non prevedono esterni offensivi e che all’occorrenza diventano due difensori o due attaccanti in più, ma senza allargarsi ulteriormente, anzi, preferendo accentrarsi per chiudere verso la porta palloni che arrivano dal collega che gioca sull'altra fascia: Gosens e gli altri sono sempre ottime opzioni come primi marcatori per le quote calcio!

Il centravanti non solo finalizzatore

Le buone vecchie ali ora sono…esterni offensivi, come quelli delle formazioni di un tempo, ma senza (quasi) mai accompagnare più di un centravanti.

Centravanti che ha subito, come esaminato per la maglia 9 Azzurra anche lui parecchie mutazioni da quando esistevano l’ariete, l’attaccante fisicamente straripante che colpiva con la forza, e il bomber da area di rigore, quello con il fiuto del gol che gli permette di essere sempre al posto giusto al momento giusto.

Negli anni cinquanta nasce il centravanti di manovra, che arretra attirando il marcatore e aprendo spazio per i colleghi di reparto. Ora poi c’è il centravanti moderno, il cui compito è anche e soprattutto pressare gli avversari appena prendono palla, per permettere recuperi e capovolgimenti di fronte immediati.

Ferran Torres, gioiello spagnolo del City!

Meno frequente l’utilizzo della seconda punta, le cui caratteristiche da calciatore che svariava su tutto il fronte d’attacco sono state assorbite in parte dal falso nueve, altra interpretazione del ruolo molto in voga che richiede un calciatore dall’alto tasso tecnico e una buona finalizzazione, in parte dal trequartista.

Quanto conta il cervello in campo

E poi? E poi il calcio continua a cambiare e nascono sempre più interpretazioni dei ruoli “classici”, ma anche tipologie di calciatori difficilmente catalogabili con le vecchie metodologie. Come il raumdeuter, che in tedesco significa il cercatore di spazi, un calciatore che gioca prevalentemente senza il pallone e che è specialista negli inserimenti.

Muller, cervello di Bayern e Germania!

Come Thomas Müller, che ha coniato il termine e che è, ovviamente, il miglior interprete del ruolo, e, probabilmente, il calciatore più intelligente del mondo in campo. Ma l’evoluzione porterà sempre nuove idee tattiche. Perché una cosa da 150 anni a questa parte è cambiata in maniera irreversibile: la tecnica, da sola, non basta davvero più.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

October 5, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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quanto dura una partita di calcio | durata incontro calcio | 90 minuti tempo regolamentare

Si fa presto a dire che una partita di calcio dura novanta minuti, ma solo se e quando si introdurrà il tempo di gioco effettivo si potrà utilizzare questo luogo comune con una certa precisione. Perché in fondo una partita non dura mai 90 minuti precisi.

La durata delle partite nelle giovanili

Il primo recupero della storia del calcio

L'introduzione del tabellone di recupero

I recuperi record nel calcio

Tra interruzioni e recupero, il tempo che si trascorre effettivamente giocando difficilmente supera i 70 minuti, mentre quello del cronometro dell’arbitro non si ferma mai esattamente a 90. Men che mai nelle categorie giovanili, perché solamente per la Under 19, ex juniores, e per la Primavera la durata delle partite diventa uguale a quella dei “grandi”.

La durata delle partite nelle giovanili

Una regola che però è stata modificata all’inizio della stagione 2020, quando è stata introdotta la durata di 45 minuti anche per le partite degli Allievi A, gli under-17. Per il resto, le tabelle di gioco della FIGC parlano chiaro e stabiliscono con precisione la durata dei tempi (e a volte anche il numero) di ogni partita a seconda della categoria. Gli Allievi B under-16 continuano quindi a giocare due tempi da 40 minuti, che diventano 35 per i Giovanissimi under-15.

Scendendo ancora con l’età, aumenta invece il numero dei tempi di gioco, che diventano tre, ma mai superiori ai 20 minuti. Insomma, parlare di 90 minuti nel calcio di base è decisamente sbagliato.

La finale di Euro 2020 termina 1-1 dopo i primi novanta minuti!

Ma non è che le partite siano sempre durate un’ora e mezza. Agli inizi, quando le regole del calcio erano state codificate ma ognuno aveva il suo set da applicare in casa propria, non era affatto raro vedere le squadre accordarsi sulla durata dei tempi, oltre che sul numero dei calciatori presenti in campo.

Il primo accordo sui novanta minuti arriva nel lontano 1866, quando una squadra della Football Association, che voleva giocare con le Association Rules, che non prevedevano una durata precisa della partita, contro lo Sheffield FC, che invece aveva il proprio set di regole, le Sheffield Rules, che prevedevano due tempi da un’ora. Alla fine si decise di giocare dalle 15 alle 16:30 di pomeriggio, senza però specificare nulla riguardo un eventuale intervallo. 

Il primo recupero della storia del calcio

Bisognerà aspettare le FA Rules del 1877 per un accordo generale al riguardo della durata, che però viene fissata nelle regole inglesi solamente vent’anni dopo. Già da prima, però, il fatto che una partita potesse durare esattamente 90 minuti era pura utopia.

Basterebbe pensare che il primo recupero riscontrabile in una cronaca risale al 1891, quando un match tra Stoke e Aston Villa rischiava di terminare con i Potters impossibilitati a calciare un rigore per le perdite di tempo dei Villans. A quel punto l’arbitro decide che i secondi trascorsi senza poter calciare…andavano recuperati, creando un precedente destinato a fare la storia. Storia che continua fino ai giorni nostri. 

Una sfida tra Aston Villa e Stoke!

Una volta, però, la questione era molto meno…trasparente. La concessione del recupero, data a insindacabile giudizio dell’arbitro, ha sempre causato polemiche, se non altro perché i calciatori non sapevano quando il direttore di gara avrebbe dato il fischio finale.

Alcuni fischietti avevano l’abitudine di mostrare ai giocatori e al pubblico quanto avrebbero recuperato, ma c’è un paese in cui le polemiche sono state talmente forti da costringere a inaugurare una novità che poi verrà presto copiata in tutto il mondo: neanche a dirlo, il paese in questione è l’Italia.

L'introduzione del tabellone di recupero

Nel febbraio 1996 il designatore Casarin decide che il tempo di recupero va comunicato a tutti quanti in maniera inequivocabile. E non c’è modo migliore che utilizzare i tabelloni elettronici delle sostituzioni, in modo che chiunque, tanto allo stadio quanto a casa, possa sapere con certezza quanto verrà aggiunto ai canonici 90 minuti. Certo, poi c’è anche…il recupero del recupero, che invece è ancora impossibile segnalare. Ma almeno ora quello di base è abbastanza certo.

Per gli appassionati di scommesse sportive online è di Diego Fuser che, con un clamoroso destro da fuori area, firma il pari della Lazio ad Udine, la prima rete in A, realizzata dopo la segnalazione dei minuti di recupero!

Anche perché, oramai, dopo oltre un secolo e mezzo di approssimazione, il tempo di recupero è quasi codificato. Il “quasi” ovviamente è legato a episodi particolari o a perdite di tempo che non possono essere quantificate e che vanno stabilite dall’arbitro, ma per quanto riguarda le sostituzioni si è giunti al concetto condiviso che ogni slot di cambi vale trenta secondi.

Il tabellone di recupero

Dunque, un tempo con sei sostituzioni in momenti diversi, avrà immancabilmente almeno tre minuti di recupero. Per non parlare dell’ultima delle modernità, le interruzioni a causa del VAR. Anche quelle vanno inserite nel computo e ormai non è assolutamente una rarità vedere un recupero ampiamente superiore ai cinque minuti, che una volta erano il massimo (tranne rare eccezioni) che capitava di veder giocare.

I recuperi record nel calcio

Basterebbe pensare che il recupero massimo (finora) in Serie A è di 12 minuti, in un Parma-Cagliari del 2019, a causa di troppi interventi della tecnologia sugli episodi in campo. Ma la storia del calcio, anche prima dell’introduzione del VAR, racconta di recuperi quasi interminabili, dovuti a sospensioni per incidenti o per infortuni gravi in campo.

Difficile però forse fare peggio di quanto avvenuto nel settembre 2019 durante il match di Carabao Cup tra Burton Albion e Bournemouth. I riflettori dello stadio del Burton hanno smesso di funzionare non una, bensì tre volte, costringendo ogni volta a interrompere il gioco in attesa che la situazione si normalizzasse.

E quindi, alla fine del secondo tempo, i tifosi si sono trovati davanti a una scena particolarmente inattesa e che forse non vedranno mai più: il quarto uomo che alza il tabellone del recupero segnando ben 28 minuti ancora da giocare.

Per niente male neanche il match tra Nautico e Gremio nel 2005, che vale la promozione alla prima serie del campionato brasiliano. Tra espulsioni, rigori contestatissimi e parati e una serie di discussioni quasi infinite, il recupero è di 23 minuti. E Anderson, che poi giocherà al Manchester United e alla Fiorentina, segna la rete decisiva al minuto 106, con il Gremio, favoritissimo per le quote calcio che deve resistere gli ultimi sette giri di lancette in sette uomini.

Assai più difficile stabilire invece la partita più corta di sempre, perché non è così raro che nel primo tempo non ci sia recupero. E nella ripresa, quando un match è parecchio squilibrato, a volte l’arbitro ha…pietà per la squadra che sta perdendo ed evita direttamente di concedere altri umilianti minuti di gioco. In quei casi, ma solo ed esclusivamente in quelli, si può dire che davvero una partita è durata 90 minuti. Ma dire che sono molto pochi…è quasi essere ottimisti.

*Le prime tre immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

October 2, 2021
Ermanno Pansa
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Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

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