Formazione Newcastle | Formazione Newcastle 2022 | Rosa Newcastle

Pressioni e stipendi da Champions League, squadra da salvezza. Forse. Questa, in pochissime parole, la situazione del Newcastle. L’acquisto da parte del glorioso club bianconero da parte del fondo saudita PIF ha portato la città e la squadra sulle prime pagine di tutti i giornali, ma non ha ovviamente ancora cambiato le carte in tavola in campo.

I portieri dei Magpies

La difesa a 3 del Newcastle

Almiron unico sicuro in mezzo

Gli attaccanti del Newcastle United

Prima del cambio di proprietà, il Newcastle era in zona retrocessione e senza poter ancora intervenire sul mercato non è che ci si potessero aspettare miracoli a breve termine. Anzi, la rosa non esattamente attrezzata potrebbe essere proprio uno dei motivi dei tanti “no” ricevuti dalle Magpies al momento di trovare un allenatore che volesse sostituire Steve Bruce. Alla fine è arrivato Eddie Howe, che in attesa che i nuovi proprietari mettano mano al portafogli già a gennaio, deve fare di necessità virtù con quello che ha a disposizione. Già, cosa dice la lista dei calciatori, non paragonabili ovviamente neanche alle riserve della formazione del Manchester City, del Newcastle…pre-sceicchi?

I portieri dei Magpies

In porta i bianconeri stanno avendo parecchia sfortuna. Nelle gerarchie il numero uno dovrebbe essere Martin Dubravka, estremo difensore titolare della Slovacchia. Peccato che un infortunio a un piede abbia costretto l’esperto portiere a un lungo periodo di recupero, dopo che già nella scorsa stagione una lesione al tallone lo ha tenuto fermo a lungo.

Martin Dubravka para un rigore a EURO2020!

A quel punto il Newcastle puntato sull’inglese Freddie Woodman, prodotto del vivaio con un passato nell’under-21 dei Tre Leoni. Per lui, dopo anni di prestiti in giro per il Regno Unito, è arrivato il momento di prendersi la porta della sua squadra. Ma anche per lui ci ha messo lo zampino la sfortuna, con un problema all’anca che lo ha costretto a perdere il posto.

Spazio dunque anche per il terzo portiere, l’inglese Karl Darlow, che cerca di non far rimpiangere i due colleghi, ma che si trova in una situazione complicata, anche vista la classifica. La speranza di Howe è dunque quella di non dover mai contare su Mark Gillespie, quarto estremo difensore, inserito in lista perché evidentemente in questo periodo non si sa mai…

La difesa a 3 del Newcastle

Il nuovo tecnico punterà sulla difesa a tre e ha abbastanza calciatori per potersi permettere anche qualche variazione nell’undici titolare.

Di certo saranno protagonisti quelli che anche con Bruce sono scesi in campo con una certa frequenza. Come Jamaal Lascelles, ormai un senatore, che dopo essersi fatto notare con il Nottingham Forest è a Newcastle dal 2015 ed è una certezza, anche in zona gol con i suoi inserimenti su palla inattiva. Un volto conosciuto per gli italiani è invece lo svizzero Schär, che con il vecchio tecnico faceva panchina ma su cui Howe ha già dimostrato di voler lavorare.

Chi non ha avuto problemi di titolarità è l’esperto irlandese Ciaran Clarke, anche lui a Newcastle ormai da una vita dopo essere cresciuto ed esploso con l’Aston Villa. A chiudere le opzioni al centro della difesa c’è l’argentino Federico Fernandez, che ha un passato in Serie A con il Napoli senza mai però rendersi protagonista. A St. James’ Park da tre stagioni, l’ex partenopeo veleggia verso le 100 presenze col club e ha anche indossato la fascia da capitano.

Federico Fernandez

Almiron unico sicuro in mezzo

Sugli esterni del sul 3-4-3 Howe ha l’imbarazzo della scelta. A sinistra con tutta probabilità il tecnico continuerà a puntare su uno dei calciatori più affidabili del club il terzino Matt Ritchie. L’esterno scozzese offre assist e gol da ormai più di cinque anni e dopo il passato comune al Bournemouth l’allenatore dovrebbe trovare in lui l’opzione migliore sulla fascia mancina, anche considerando che l’altro terzino, Paul Dummett, vede il campo con il contagocce.

A destra un’altra vecchia conoscenza della Serie A, l’ex Bologna Emil Krafth. Lo svedese si gioca la maglia da titolare con l’ex Atletico Madrid Javier Manquillo, anche se le ultime stagioni suggeriscono che la prima scelta da quel lato di campo dovrebbe essere proprio lo spagnolo.

Al centro del campo, a meno di non cambiare ruolo a qualcuno, Howe avrà parecchi problemi a far convivere tutti i suoi calciatori. A partire da Joe Willock, arrivato in estate dall’Arsenal e pagato ben 30 milioni di euro. Certo, l’inglese è adattabile come esterno destro, ma snaturarlo potrebbe essere un rischio.

Ma come lasciare fuori Miguel Almiron, mago anche di giocate che cambiano repentinamente le quote nel live scommesse? Il paraguaiano è uno dei pochi calciatori ad aver prima fatto bene in MLS e poi sfondato in Europa. Le sue doti tecniche possono garantirgli il posto come quello tecnico dei due centrali di centrocampo. Accanto a lui, chi ci va?

Miguel Almiron

A logica, Isaac Hayden, anche lui ex Arsenal. Il ventiseienne è l’unico centrocampista di interdizione a disposizione ed è difficile pensare che il Newcastle, soprattutto vista la classifica, possa essere totalmente offensivo.

Queste scelte però taglierebbero le gambe a Sean Longstaff, uno dei calciatori più amati dal pubblico in quanto nativo di Newcastle e cresciuto nelle giovanili. Il  ventiquattrenne è abbastanza poliedrico da rubare il posto proprio ad Hayden, ma è evidente che Howe, considerando anche che in panchina, oltre all’irlandese Jeff Hendrick, c’è un calciatore esperto come l’ex Liverpool Jonjo Shelvey, che da regista può ancora dire la sua, dovrà calibrare bene la sua mediana.

Gli attaccanti del Newcastle United

In avanti, invece, parecchie certezze. Nel tridente del nuovo tecnico non può certamente mancare Allan Saint-Maximin. L’esterno francese è una delle stelle della squadra e la sua caratteristica fascia in testa non è mai mancata in stagione, garantendo estro e imprevedibilità a una squadra che di fantasia ha parecchio bisogno.

Dal centro dell’attacco, poi, complicato togliere Joelinton. Il brasiliano, costato 44 milioni, è l’acquisto (finora!) più costoso della storia del club e quindi, anche solo per ammortizzare la spesa, è in cima alla lista di Howe.

Il brasiliano Joelinton

Anche perché potrebbe giocare da esterno offensivo, liberando il posto centrale per Callum Wilson. L’inglese è quello che con il nuovo tecnico ha visto aumentare a dismisura le sue possibilità di scendere in campo, considerando che era il terminale offensivo del Bournemouth dei miracoli di Howe.

I cambi in attacco però non sono dello stesso livello dei titolari. Gli esterni Ryan Fraser e Jacob Murphy e la punta Dwight Gale non sembrano esattamente i calciatori su cui puntare in caso di assenza di una delle tre punte. Insomma, Howe si è preso un lavoro per nulla semplice. E prima di poter fare mercato, l’allenatore dovrà convivere con le pressioni di una piazza già molto appassionata di suo, ma che ora da una parte sogna di essere protagonista per le quote calcio con i petrodollari e dall’altra trema all’idea di riuscire a retrocedere subito dopo l’acquisto del club da parte degli sceicchi!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 27 novembre 2021.

December 23, 2021
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Stipendi Newcastle | Stipendi Newcastle 2022 | Ingaggi Newcastle

A Newcastle arrivano gli sceicchi e la tifoseria, comprensibilmente, impazzisce. Del resto, se Manchester City prima e Paris Saint-Germain poi insegnano qualcosa, la presenza di una proprietà che fa capo a un fondo sovrano non è certezza di vittoria, ma di acquisti importanti sì.

Gli ingaggi top dei Magpies

Gli stipendi da 5 milioni del Newcastle

Il contratto del capitano Lascelles

Longstaff da rinnovare e gli altri

Anche perché spesso e volentieri si possono offrire stipendi da sogno, se proprio i calciatori non sono così convinti di sposare il progetto per motivazioni strettamente calcistiche. Non che le Magpies, anche prima dell’avvento del fondo PIF, lesinassero sugli ingaggi.

Eppure le spese per gli stipendi della formazione del Newcastle non rispecchiano finora le prestazioni in campo. Il Newcastle è in piena zona retrocessione nonostante il suo monte ingaggi la proietti esattamente a metà classifica, visto che a St. James’ Park già ora si spende di più di quanto non facciano club come i Wolves. E a chi vanno questi soldi?

Gli ingaggi top dei Magpies

Il calciatore meglio pagato della rosa, almeno fino al mercato di gennaio, è il francese Allan Saint-Maximin. L’esterno è la stella della squadra e un anno fa ha rinnovato il suo contratto con un bell’adeguamento rispetto a quello firmato nel 2019. Per il transalpino c’è un accordo fino al 2026 da circa 5,7 milioni a stagione.

L'attaccante Allan Saint-Maximin

Segue a non troppa distanza il compagno di reparto Callum Wilson. Il centravanti, ottima opzione di marcatore per le quote calcio acquistato dal Bournemouth per 22 milioni nella scorsa stagione, ha messo la sua firma su un contratto da 5 milioni di euro a stagione fino al 2024. Stessa identica cifra per due dei calciatori più costosi della storia del Newcastle (o almeno, di quella prima che arrivassero gli sceicchi). Il brasiliano Joelinton si è legato al club fino al 2025, mentre l’acquisto top della scorsa estate, l’ex Arsenal Joe Willock, ha un contratto che scadrà addirittura nel 2027.

Gli stipendi da 5 milioni del Newcastle

Scendendo sotto i cinque milioni, arriva un altro dei giocatori chiave del Newcastle. Il paraguaiano Miguel Almirón è arrivato dalla MLS, ma questo non gli ha impedito di ottenere uno stipendio coi fiocchi. Il suo accordo con il club bianconero dura fino al 2024 e gli permette di guadagnare 4,5 milioni di euro a stagione.

Poco più sotto nelle gerarchie economiche c’è Jonjo Shelvey. Il centrocampista inglese si ferma a 4,3 milioni di euro a stagione fino al 2023, beneficiando del fatto di essere arrivato a Newcastle in tempi in cui la crisi del 2020 era assai lontana e stipendi del genere in Premier League erano la norma…

La grinta di Jonjo Shelvey!

Un altro che per l’utilizzo attuale guadagna molto è Ryan Fraser, che sfiora i 4 milioni di euro con un contratto fino al 2025. Ma lo scozzese può tranquillizzarsi, considerando che è arrivato il suo ex allenatore Howe, che certamente saprà come sfruttarlo al meglio anche sulle rive del Tyne.

Il contratto del capitano Lascelles

Il punto debole del Newcastle finora è stata la difesa. E dire che la retroguardia bianconera non è che se la passi poi così male dal punto di vista economico. Basterebbe pensare che il capitano del club Jamaal Lascelles ha un contratto da 3,3 milioni di euro fino al 2024 e che il nordirlandese Jamal Lewis in questa stagione (e fino al 2025) riceverà 3,2 milioni di euro pur sedendosi praticamente sempre in panchina.

Per Jamaal Lascelles oltre 3 milioni l'anno

Stessa cifra per un irlandese…del sud, il centrocampista Jeff Hendrick, che però esattamente come il compagno di squadra gioca pochissimo. Il che però non gli impedirà di percepire lo stipendio fino al 2024. A 3,1 milioni c’è lo svizzero Fabian Schär, un altro di quelli il cui minutaggio non è poi così proporzionale all’ingaggio. L’elvetico ha un contratto fino a giugno 2022 e non ci sono ancora indicazioni su un prossimo rinnovo.

Sempre in difesa guadagna 2,8 milioni di euro fino al 2023 l’ex Napoli Federico Fernández, mentre il portiere titolare, lo slovacco Martin Dubravka e il terzino sinistro scozzese Matt Ritchie si accontentano di 2,7 milioni, rispettivamente fino al 2025 e al 2023.

Longstaff​​​​​​​ da rinnovare e gli altri

Le spese difensive continuano anche scendendo ulteriormente con le cifre. L’irlandese Ciaran Clark che intasca 2,5 milioni fino al 2023. Ingaggio simile anche per il mediano Isaac Hayden, sotto contratto fino al 2024, per il terzino spagnolo Javi Manquillo (accordo fino al 2024 anche per lui), per il laterale sinistro Paul Dummett (che è in scadenza a giugno 2022) e per l’ex Bologna Emil Krafth, legato al club fino al 2023. Si torna in attacco con Dwight Gayle, per cui il club spende 2,2 milioni di euro fino al 2024. Poco più basso (2,1 milioni)  è lo stipendio dell’ala Jacob Murphy, che però ha da poco rinnovato addirittura fino al 2027.

A 1,8 milioni (fino a giugno 2025) c’è il portiere di riserva Karl Darlow e poi arriva il vero problema del Newcastle: Sean Longstaff. Il centrocampista è un prodotto del vivaio, nonché uno dei calciatori più futuribili del club, ma va in scadenza nel 2022.

Sean Longstaff

I bianconeri gli hanno aumentato l’ingaggio fino a 1,5 milioni all’anno, parecchio in più rispetto al contratto precedente, con cifre da calciatore delle giovanili, ma la speranza dei tifosi è che la nuova ricchissima proprietà riesca a convincerlo a rinnovare e a legarsi al club della sua città per molto a lungo. Chiudono la lista gli altri membri della rosa, che pure non guadagnano poco. Il portiere Freddie Woodman, in teoria il numero 22, arriva a 1 milioni di euro e ha un accordo fino al 2023, così come il quarto estremo difensore della lista, Mark Gillespie, che però si ferma a 450mila euro.

Insomma, la situazione dalle parti di St. James’ Park è parecchio variegata. La nuova società si è ritrovata in rosa giocatori importanti, come Saint-Maximin o Almiron, che rispetto alle cifre che girano in Premier League hanno ingaggi più che accettabili, ma anche parecchi calciatori che per l’apporto alla squadra guadagnano troppo e sono troppo, troppo discontinui: difficile, infatti, pronosticare l'esito finale per le scommesse sport di un match dei Magpies.

Ragionando a medio periodo, le spese non rappresenteranno un problema per il fondo saudita, ma è logico che quando cominceranno ad arrivare gli acquisti pesanti, i primi a lasciar loro spazio saranno le riserve attuali.

E alle Magpies un piccolo problema si pone: chi se le prende, con questi stipendi? Una delle domande a cui il nuovo corso bianconero dovrà rispondere con più urgenza…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 27 novembre 2021.

December 23, 2021
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Mondiali vinti Italia | Mondiali vinti dall'Italia | Italia Mondiali vinti

Non sarà il Brasile, presente a tutte le edizioni della Coppa del Mondo e quattro volte vincitore della competizione, ma anche l’Italia quando si parla di Mondiali si difende bene. Gli Azzurri sono mancati solamente tre volte, nel 1930 per questioni logistiche (l’Uruguay era troppo complicato da raggiungere) e nel 1958 e nel 2018 per mancata qualificazione.

La Coppa Rimet del 1934 in Italia

Il bis Mondiale in Francia nel 1938

Pablito e Spagna '82

Sei la Nazionale del 2006!

Ma spesso la nazionale tricolore ha fatto bene, come dimostrano le quattro stelle sul petto. Considerando che l’Italia è arrivata in finale sei volte e ha vinto per quattro, non c’è decisamente da lamentarsi. Ma come sono andati i mondiali vinti dall’Italia?

La Coppa Rimet del 1934 in Italia

Il primo, quello del 1934, è quello casalingo. Si gioca proprio nel Belpaese, anche se l’essere la nazione ospitante non garantisce la partecipazione. Nelle qualificazioni gli Azzurri devono affrontare la Grecia, che viene regolata per 4-0 all’andata e al ritorno non si presenta. All’epoca la fase finale non è a gruppi, ma semplicemente a eliminazione diretta. Dunque, il cammino della squadra di Vittorio Pozzo verso la finalissima di Roma è fatto di tre tappe.

La prima è la più semplice di tutte, perché l’Italia fa il suo esordio mondiale il 27 maggio 1934 negli ottavi di finale contro gli Stati Uniti. Gli americani sono poca cosa e vengono schiantati con un perentorio 7-1 grazie a una tripletta di Schiavio e a una doppietta dell’oriundo Orsi.

Più complicati i quarti, visto che davanti c’è la Spagna di Zamora. La partita è dura, durissima e i giornali di tutto il mondo non fanno nulla per nasconderlo. Ma un vincitore non c’è, perché dopo i supplementari, tra calci e polemiche, si resta sul risultato di 1-1. È necessaria la ripetizione, che il celebre portiere spagnolo non giocherà, forse per infortunio, forse per protesta. E alla fine hanno la meglio gli azzurri con un gol di Meazza.

La semifinale mette di fronte all’Italia forse l’avversario più pericoloso: l’Austria, il Wunderteam di Hugo Meisl e di Mathias Sindelar. La partita è molto complicata, ma alla fine basta un contestato gol di Guaita per arrivare all’ultimo atto.

A Roma c’è la Cecoslovacchia, altra rappresentante del calcio danubiano. Al minuto 71, lo stadio nazionale del PNF viene ammutolito da Puč, che segna il vantaggio cecoslovacco, ma a pochi minuti dalla fine ci pensa Orsi a spedire la partita ai supplementari. E all’overtime bastano cinque minuti a Schiavio per segnare la rete che regala la prima Coppa Rimet all’Italia.

Il bis Mondiale in Francia nel 1938

Quattro anni dopo, in Francia, l’Italia si presenta da detentrice e da favorita, ma anche da ospite sgradito. La situazione politica crea attorno alla squadra di Pozzo un ambiente ostile, che si evidenzia a partire dal primo match, quello con la Norvegia a Marsiglia. Il saluto romano viene accolto da una selva di fischi e la partita, che dovrebbe essere semplice, si complica parecchio.

L’Italia va in vantaggio con Ferraris, ma la Norvegia prima pareggia e poi si vede annullare il gol vittoria. Si arriva ai supplementari, con Piola che risolve la pratica.

La partita successiva, dal punto di vista ambientale, è anche peggiore. Si gioca a Colombes contro la Francia padrona di casa e gli Azzurri, su ordine di Mussolini arrabbiato per i fischi con la Norvegia, scendono in campo con un completo totalmente nero. Il primo tempo finisce 1-1, ma nella ripresa è il solito Piola con una doppietta a spedire l’Italia in semifinale.

Ad attenderla c’è un vero e proprio spauracchio, il Brasile di Leônidas. Che però non scende in campo, visto che i verdeoro sono totalmente convinti di vincere, al punto da far riposare alcuni dei migliori e di aver già prenotato l’albergo a Parigi per la finale. Non andrà così, perché a giocarsi la Coppa Rimet ci va l’Italia, che nella ripresa passa in vantaggio con Colaussi e chiude i conti con il celebre rigore di Meazza, che Peppin calcia tenendosi i calzoncini a cui si era appena rotto l’elastico, rendendo inutile il gol brasiliano del 2-1.

In finale c’è l’ennesima squadra danubiana, l’Ungheria, che ha fatto un ottimo percorso guidata da Alfréd Schaffer, futuro allenatore anche in Italia. Il match però è quasi a senso unico. Nei primi minuti le squadre si colpiscono a vicenda, ma l’Italia va all’intervallo sul 3-1. I magiari accorciano al minuto 70, ma il secondo gol nel match di Piola chiude i conti e la Coppa resta in Italia.

Pablito e Spagna '82

Ci vorranno oltre quarant’anni per vincere di nuovo. E dire che l’Italia di Bearzot si presenta ai mondiali del 1982 in Spagna in condizioni non proprio ottimali, tra una forma pessima ed alcune convocazioni (come quella di Paolo Rossi, reduce dalla squalifica) parecchio contestate. La base della formazione capitana da Zoff è ottima, come aveva dimostrato il Mondiale precedente in Argentina e nel 1982 il campionato è equilibrato e pieno di giocatori italiani di talento come testimoniano i titoli di capocannonieri per le quote scommesse Serie A.

Il primo girone conferma i timori: gli Azzurri passano per miracolo, grazie ai gol fatti dopo tre scialbi pareggi (0-0 con la Polonia, 1-1 con Perù e Camerun). Le critiche sono così feroci che la squadra decide per il primo storico silenzio stampa.

La marcatura su Diego in Spagna!

Il sorteggio del secondo girone fa paura, perché ci sono l’Argentina di Maradona e il Brasile di Falcao, Zico e Socrates. Ma in quelle due partite arriva il miracolo inatteso. L’Italia si sveglia e regola l’Albiceleste per 2-1.

Il match con il Brasile è quindi decisivo. Alla Seleçao basta il pareggio, ma i verdeoro vogliono stravincere. Peccato che non abbiano fatto i conti con Paolo Rossi. Pablito, fino a quel momento evanescente, esplode. Segna il gol del’1-0, poi pareggiato da Socrates. Poi fa anche il 2-1, che nel secondo tempo viene reso inutile da Falcao. E infine segna il gol del 3-2, che qualifica gli Azzurri alla semifinale.

Il gol di Pablito!

Di fronte c’è la Polonia, già affrontata nel girone, ma con un Rossi in stato di grazia, nulla è precluso. Pablito segna una doppietta e l’Italia torna in finale 12 anni dopo la sconfitta con il Brasile a Messico ’70.

A Madrid c’è la Germania Ovest e la partita è subito complicata. Graziani esce per infortunio dopo sette minuti e Cabrini verso il quarto d’ora sbaglia un calcio di rigore. Ma è destino che si sventoli il tricolore: il vantaggio è del solito Rossi, rapace in area avversaria, il 2-0 è il celeberrimo tiro dal limite di Tardelli (con tanto di urlo che passa alla storia) e il 3-0 di Altobelli rende totalmente inutile il gol di Breitner due minuti dopo. L’Italia è campione del mondo per la terza volta.

Sei la Nazionale del 2006!

L’ultimo trionfo è quello più recente, nel 2006 in Germania. Anche in quel caso l’Italia si presenta in un momento complicato: Calciopoli si è appena abbattuta sulla Serie A e l’atmosfera alla partenza non è delle migliori.

Ma ci pensa la squadra di Lippi a far dimenticare cosa sta succedendo in patria. Nel girone gli Azzurri battono il Ghana (2-1), pareggiano con gli USA (1-1) e vincono con la Repubblica Ceca (2-0).

Gli ottavi di finale con l’Australia sono uno scoglio durissimo: in dieci per l’espulsione di Materazzi, all’Italia serve un rigore realizzato a tempo scaduto per avere la meglio sugli avversari.

Molto più semplice il quarto di finale contro l’Ucraina, regolata con un netto 3-0. In semifinale c’è la Germania padrona di casa, che trascina gli azzurri ai supplementari. L’uno-due firmato Grosso-Del Piero a pochi minuti dalla fine spedisce gli Azzurri, sfavoriti per le scommesse Italia, a Berlino.

Il gol di Del Piero alla Germania

Di fronte c’è la Francia, per la vendetta di Euro 2000. Le cose si mettono male quando Zidane porta avanti i transalpini su rigore, ma ci pensa Materazzi a ristabilire la parità. Si arriva ai supplementari, quando Zizou dà una testata a Matrix e vede il rosso.

L'esultanza di Grosso!

Ai rigori sbaglia Trezeguet e Grosso diventa ancora di più eroe nazionale rendendo il cielo ancora più azzurro sopra Berlino.

In attesa magari di arrivare in Qatar…

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo.

November 26, 2021
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Con il campionato 2024, L'Inter arriva a 20 scudetti

La squadra che nella prossima stagione giocherà con lo Scudetto sul petto è l’Inter che ha dominato la stagione ancor più del Napoli di Osimhen nello scorso campionato!

Prima del titolo dei ragazzi di Simone Inzaghi, la Serie A 2020/21, nel campionato che, dopo nove anni di dominio consecutivo non è stata vinto dalla Juventus, aveva visto la squadra guidata da Antonio Conte, imporsi con quattro giornate ancora da giocare dopo una cavalcata in vetta cominciata all’inizio del girone del ritorno.

Il primo scudetto dell'Inter

I titoli dell'Ambrosiana

Il ciclo di Helenio Herrera

I successi di Massimo Moratti

Per le quote Serie A, quello della stagione 2023/2024 è il ventesimo titolo di una storia cominciata oltre cento anni fa.

Il primo scudetto dell'Inter

E l’Inter è stata parecchio precoce, perché pur essendo nata nel 1908 si è già potuta fregiare del titolo di campione d’Italia nella stagione 1909/10.

È un’annata particolare in molti sensi, perché si tratta del primo campionato con la formula del girone unico, che poi sarà accantonata per un’altra ventina d’anni. I nerazzurri partono male, ma poi inanellano 11 vittorie di fila, compresi i due derby con il Milan (ottenendo anche la prima storica vittoria nella stracittadina).

A fine girone, però, dopo 16 partite Inter e Pro Vercelli arrivano alla pari. È necessario giocare uno spareggio, che diventa una questione di stato: i piemontesi non accettano le date proposte dalla Federazione e alla fine, il 24 aprile, schierano per protesta una squadra di ragazzini.

L’Inter invece si presenta con la formazione migliore, vince 10-3 e porta a casa il primo titolo della sua storia.

I titoli dell'Ambrosiana

Per quello successivo bisognerà aspettare dieci anni. Il primo torneo post-bellico si tiene con la formula dei campionati regionali con fasi finali miste, che portano a una sfida tra la vincitrice del torneo del nord e quella del torneo del centro-sud. Alla fine a giocarsi il titolo è proprio l’Inter, che dopo un triangolare contro Juventus e Genoa si ritrova di fronte il Livorno. A Bologna nel giugno 1920 si impongono i nerazzurri per 3-2.

Il terzo, il quarto e il quinto titolo arrivano invece con due nomi diversi. Nel 1928 il regime fascista decide la fusione dell’Inter con la US Milanese in un club che viene denominato Società Sportiva Ambrosiana e che cambia anche lo stemma, visto che “Internazionale” poteva richiamare al socialismo.

Un anno dopo il nome viene mutato in Associazione Sportiva Ambrosiana ed è proprio con questa denominazione che i nerazzurri vincono il primo campionato di Serie A a girone unico.

Con in campo Meazza (capocannoniere con 31 gol) e in panchina l’ungherese Arpad Weisz, l’Ambrosiana vince lo scudetto con due giornate d’anticipo battendo la Juventus per 2-0, impedendo sia ai bianconeri che al Genoa qualsiasi possibilità di rimonta.

Ma per tutti la squadra resta comunque l’Inter e infatti nel 1932 arriva un nuovo cambio di nome, stavolta definitivo durante il periodo fascista: il club diventa l’Associazione Sportiva Ambrosiana-Inter, che vince altri due titoli di campione d’Italia. Il quarto della sua storia arriva nella stagione 1937/38.

Un campionato clamorosamente aperto arriva all’ultima giornata con addirittura cinque squadre con la possibilità di vincere lo scudetto. L’unica a imporsi nell’ultima giornata è proprio l’Inter, che porta a casa il titolo vincendo a Bari. Molte meno contendenti presenta la stagione 1939/40, in cui l’Inter deve rinunciare a Meazza per un infortunio al piede.

L’ultima giornata mette di fronte proprio prima e seconda e il match tra Inter e Bologna diventa un vero e proprio spareggio. Ai nerazzurri basterebbe un pareggio, ma alla fine vincono partita e Scudetto con tre punti di vantaggio sui felsinei.

Il ciclo di Helenio Herrera

Poi di mezzo c’è la guerra e nel 1945 il club torna a chiamarsi F.C. Internazionale e ci vogliono un po’ di anni per tornare a trionfare. Il sesto e il settimo scudetto dei nerazzurri sono però consecutivi e arrivano nelle stagioni 1952/53 e 1953/54.

A guidare in panchina la squadra c’è Alfredo Foni, mentre in campo a fare la differenza sono il centravanti Nyers e il centrocampista svedese Skoglund.

Herrera con Mazzola

Il primo titolo dopo tredici anni arriva dopo che l’Inter è prima in classifica da sola fin dall’ottava giornata e con ben tre giornate di anticipo. Il fatto che pur perdendo tutte le successive partite i nerazzurri vincano comunque di tre lunghezze sulla Juventus la dice lunga… La stagione seguente è assai più complicata e vede l’Inter in una lunga lotta contro la Juventus. I nerazzurri effettuano il sorpasso a due stagioni dalla fine e portano a casa il titolo solo di una lunghezza.

Neanche dieci anni dopo, l’Inter apre il primo dei due grandi cicli della sua storia. Il presidente Angelo Moratti chiama a Milano Helenio Herrera, il Mago che aveva fatto grandissime cose in Spagna.

Il tecnico, coadiuvato da campioni che ancora oggi tutti ricordano come una filastrocca (Sarti; Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair; Mazzola, Peiró, Suárez, Corso), crea la Grande Inter, che tra il 1963 e il 1966 riesce a vincere tre volte il campionato, due volte la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale.

E dire che nell’anno dello scudetto numero otto, la stagione 1962/63, Moratti sta per esonerare Herrera. Non lo fa e il Mago…tira fuori il tricolore dal cilindro davanti alla Juventus e al Milan campione d’Europa.

La stagione successiva niente Scudetto, perso nello spareggio contro il Bologna, ma in compenso arriva la prima delle due Coppe dei Campioni consecutive. Nella stagione 1964/65 arriva invece un clamoroso double, con sia il titolo italiano che quello continentale. E dire che per la maggior parte del campionato in vetta c’è il Milan, che però viene superato a quattro giornate dalla fine e lasciato a tre punti.

Il capolavoro di Herrera si conclude nella stagione 1965/66, quella dello Scudetto della stella. Nonostante più di qualche passo falso, i nerazzurri portano a casa il titolo alla penultima giornata.

Poi per l’Inter inizia un periodo particolare, con uno scudetto…ogni nove anni. L’undicesimo titolo è clamoroso: nella stagione 1970/71 la squadra, che ormai ha pochi reduci della Grande Inter, inizia malissimo e costringe il nuovo presidente Fraizzoli a esonerare l’altro Herrera, Heriberto.

I successi di Massimo Moratti

Al suo posto arriva Giovanni Invernizzi, all’epoca tecnico della Primavera, che fa il miracolo, portando i nerazzurri al titolo anche grazie alle reti di Boninsegna, capocannoniere del torneo.

Per lo scudetto numero 12 bisogna aspettare la stagione 1979/80, con l’Inter di Altobelli e Beccalossi, stimolata dallo scudetto del Milan, che si prende la vetta alla prima giornata e non la lascia più, suggellando il titolo alla terzultima giornata.

Per un’altra Inter vincente ci vorrà un decennio, quando Trapattoni porta i nerazzurri allo Scudetto dei record della stagione 1988/89. Guidata dai tedeschi Matthäus e Brehme e dall’argentino Diaz, l’Inter frantuma qualsiasi primato, vincendo il tredicesimo scudetto con 58 punti e con Aldo Serena miglior marcatore.

È l’ultima gioia per oltre quindici anni, quando si apre il secondo grande ciclo, quello firmato da Massimo Moratti, figlio del grande Angelo.

La seconda Grande Inter vince lo scudetto numero 14 in circostanze molto controverse, visto che se lo vede assegnare d’ufficio dopo la sentenza di Calciopoli al termine della stagione 2005/06. È l’inizio di un dominio che porterà altri quattro titoli in altrettante stagioni.

I primi due portano la firma di Roberto Mancini, che nel 2006/07 colleziona 97 punti, punteggio record in casa nerazzurra e per le relative scommesse sportive, conseguendo un vantaggio abissale sulla Roma seconda.

Il campionato 2007/08 risulta più combattuto e per avere ragione dei giallorossi la squadra nerazzurra deve aspettare l’ultima giornata.

Moratti con Javier Zanetti

Ma Moratti vuole imitare suo padre in tutto e per tutto e per vincere la Champions League chiama Josè Mourinho.

Lo Special One compie la missione e già che c’è vince anche due scudetti. Quello della stagione 2008/09 è un’altra cavalcata solitaria, mentre il numero 18, quello dell’anno del Triplete, è molto più complicato, con la solita Roma a dare fastidio fino all’ultima giornata ai nerazzurri.

E poi, dopo i… classici 10 anni, arriva Conte che porta i nerazzurri a quota 19, a un passo dalla seconda stella.

Che a Milano da favoriti per le scommesse calcio hanno conquistato in modo ancor più netto rispetto allo Scudo di Lukaku e Hakimi.

Lo scudetto della seconda stella nerazzurra

L’atteso Scudetto della seconda stella Inter arriva al termine di un inedito derby di lunedì sera.

L’Inter di Simone Inzaghi ha dominato il campionato 2023/2024 con il matematico primo posto che arriva, addirittura, a 5 turni dalla fine della stagione.

Nel terzo anno di gestione tecnica dell’allenatore piacentino, il 3-5-2 si è decisamente evoluto ed offre, oltre ai gol del capocannoniere Lautaro Martinez, tante soluzioni tattiche importanti.

Dagli inserimenti di Pavard e Bastoni, più centrocampisti aggiunti che braccetti difensivi, al piede sinistro fatato di Federico Dimarco, non solo quinto con il vizio di trovare la porta avversari anche da centrocampo, ma, al momento dell’aggiornamento dell’articolo, il più forte, per distacco, calciatore italiano di movimento.

Federico Dimarco

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da Alamy. Prima pubblicazione 26 novembre 2021.

May 11, 2024
Body

Francesco vive di sport, di storia e di storie di sport. Dai Giochi Olimpici antichi a quelli moderni, dalle corse dei carri a Bisanzio all'Olanda di Cruijff, se c'è competizione o si tiene un punteggio, lui si appassiona sempre e spesso e volentieri ne scrive.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Quanti scudetti ha vinto il Milan | Quanti scudetti ha il Milan | trofei Milan

Una squadra di diavoli, rossa come il fuoco e nera come la paura da fare agli avversari. Questa l’idea del Milan di uno dei suoi fondatori, l’inglese Herbert Kilpin. Quello che i gentiluomini che nel 1899 creano il Milan Football & Cricket Club non sanno è che la squadra diventerà una delle più vincenti al mondo.

Il palmares internazionale dei rossoneri è incredibile, con 7 Champions League, 2 Coppe delle Coppe, 5 Supercoppe Europee, 3 Coppe Intercontinentali e un Mondiale per club.

I primi tre scudetti rossoneri

Negli anni '50 altri 4 titoli

Gli scudetti di Nereo Rocco

Lo scudetto della Stella

I trionfi con Berlusconi

Ma anche quando si guarda all’Italia, il Diavolo ci sa fare eccome, nonostante sia “solamente” terzo nella classifica per titoli vinti. Il Milan ha infatti in bacheca 18 scudetti, che ha iniziato a vincere…appena nato.

I primi tre scudetti rossoneri

Il primo titolo di campione d’Italia il club milanese lo vince addirittura a poco più di un anno dalla sua fondazione, tradizionalmente datata al dicembre 1899. Il 5 maggio 1901 il Milan interrompe infatti il predominio del Genoa, che fino a quel momento aveva vinto tutti e tre i campionati disputati.

I rossoneri arrivano alla finale vincendo a Torino contro la Juventus e nel match decisivo non lasciano scampo ai rossoblù: lo 0-3 finale regala così il primo scudetto al Milan.

Per il bis e per il tris non c’è bisogno di aspettare troppo tempo. Il campionato 1905/06 si decide allo spareggio, perché nel girone finale il Milan e la Juventus arrivano entrambe a cinque punti e si devono dunque incontrare di nuovo. Al Velodromo Umberto II la partita finisce 0-0 dopo i supplementari, ma la ripetizione è contestata: la Juventus non vuole giocare sul campo della US Milanese e non si presenta, regalando di conseguenza il secondo titolo al Milan.

Nella stagione successiva allo stemma rossonero tocca dimostrare di saper vincere anche sul campo e la conferma arriva senza colpo ferire. Nel girone finale del campionato 1906/07 il Milan vince entrambe le partite contro l’Andrea Doria e ai meneghini bastano due pareggi con il neonato Torino per portare a casa il terzo Scudetto. Che però resterà l’ultimo per un bel po’.

Negli anni '50 altri 4 titoli

Per rivedere i rossoneri in cima al calcio italiano ci vorranno infatti quasi cinquant’anni. Nel primo dopoguerra il Milan delude e solo nella stagione 1950/51 riesce a prendersi il quarto scudetto. Grazie al leggendario terzetto svedese Gre-No-Li (Gren, Nordhal e Liedholm), la squadra guidata dall’ungherese Lajos Czeizler si aggiudica (Nordhal mette a segno 34 reti) il titolo alla penultima giornata, quando una sconfitta dell’Inter, unica inseguitrice, rende ininfluente il tonfo dei rossoneri contro la Lazio.

È l’inizio di un periodo molto positivo per il Milan, che in capo a meno di dieci anni riesce a vincere il titolo altre tre volte. Il quinto trionfo è quello del 1954/55, quando la squadra, ormai orfana di Gren ma sempre con un Nordhal in gran forma (27 reti), vince tranquillamente lo Scudetto con un turno di anticipo, diventando così la prima squadra italiana a qualificarsi per la Coppa dei Campioni.

Due anni dopo, nella stagione 1956/57, anche Nordhal se n’è andato, ma in compenso la squadra può contare su Liedholm e su un campionissimo come Juan Alberto Schiaffino, nonché su un tecnico che farà la storia del club, Gipo Viani. Nonostante alcuni problemi (come alcuni membri della rosa colpiti dal tifo), i rossoneri vincono agevolmente anche il sesto titolo, con sei punti di vantaggio sulla Fiorentina campione d’Italia in carica.

Il capitano Liedholm contro la Juve!

Il trionfo successivo è ancora a distanza di due anni, quando nella stagione 1958/59 Viani e i suoi scoprono il talento di Josè Altafini, che con 28 reti porta i rossoneri in vetta al campionato alla fine del girone di andata. La lotta con la Fiorentina è lunga e piena di polemiche, ma alla fine il Milan vince comunque il settimo titolo della sua storia con una giornata d’anticipo, di nuovo davanti alla Viola. 

Gli scudetti di Nereo Rocco

Nella stagione 1961/62 arriva a Milano un altro personaggio destinato a segnare la storia rossonera. Ad affiancare Viani (che fa il direttore tecnico) arriva Nereo Rocco. E il Paron, re del Catenaccio organizzato con Triestina e Novara, fa capire subito di che pasta è fatto.

Alla sua prima annata al Milan, arriva immediatamente lo scudetto, l’ottavo per la società, nonostante dopo oltre dieci anni ci sia l’addio di Liedholm. In una stagione in cui in vetta si alternano anche l’Inter di Herrera e la solita Fiorentina, i rossoneri portano a casa il titolo con una giornata di anticipo, grazie ai gol del solito Altafini (capocannoniere con 22 marcature), e si qualificano per la Coppa dei Campioni che vinceranno nella stagione successiva.

Dopo un periodo di dominio dell’Inter, ci vuole il ritorno in panchina di Rocco (che nel frattempo aveva accettato l’offerta del Torino) per vedere il nono scudetto milanista.

Nereo Rocco

L’annata 1967/68 è trionfale, visto che gli uomini del Paron e di Gianni Rivera vincono il titolo con un distacco per l’epoca abissale, nove punti sul Napoli secondo, facendo presagire il secondo trionfo continentale che arriverà nella stagione successiva.

Lo scudetto della Stella

Per appuntarsi la stella sul petto, però, dovranno passare altri undici anni, con in mezzo il trionfo sfumato nel 1973 nella “fatal Verona”.

Il decimo Scudetto è quello che chiude l’era Rivera. Il capitano rossonero lascia il calcio guidando la squadra di Nils Liedholm al titolo in una stagione piena di sorprese, considerando che ad arrivare secondo è il Perugia di Castagner, che chiude il campionato da imbattuto. 

Gianni Rivera

 

I trionfi con Berlusconi

E poi…beh, poi arriva Silvio. Gli altri nove scudetti della storia rossonera sono tutti targati Berlusconi, che nel 1986 acquista la società e rivoluziona il calcio italiano e quello mondiale. Il Cavaliere porta in panchina Arrigo Sacchi e soprattutto acquista campioni come Gullit, Van Basten e Rijkaard, portando di nuovo il Milan a primeggiare in Italia e in Europa.

Paradossalmente, il Milan degli Immortali vince un solo scudetto, quello della stagione 1987/88, dopo una clamorosa rimonta nei confronti del Napoli di Maradona, campione d’Italia in carica, suggellata dalla vittoria al San Paolo per 2-3 nella terzultima giornata.

Più fortuna, almeno per scudetti vinti, avrà Fabio Capello, che prende il testimone di Sacchi e incamera quattro titoli in cinque stagioni. Nella stagione 1991/92, il Milan termina il campionato da imbattuto e vince il suo dodicesimo scudetto (con Van Basten capocannoniere) con otto punti di vantaggio sulla Juventus.

L’annata successiva, con gli innesti di Papin e Savicevic e un Van Basten a mezzo servizio, a finire seconda e a vedere il tredicesimo titolo dei cugini è l’Inter, che approfitta di un calo rossonero e arriva 4 punti di distacco, quando a marzo le lunghezze di distacco erano addirittura 11.

Il tris arriva nella stagione 1993/94, in cui il Milan vince quasi per inerzia e grazie a una difesa impenetrabile, che permette a Sebastiano Rossi di prendersi il primato di imbattibilità in Serie A, non subendo gol per 929 minuti; in quegli anni di puntate solo tramite scommesse online nessuno avrebbe azzardato il gol su una partita dei rossoneri!

Dopo un anno di difficoltà, Capello firma il suo poker con il quindicesimo titolo rossonero, quello del 1995/96, firmato da Roberto Baggio e soprattutto da George Weah, nuova stella milanista dopo il ritiro ufficiale di Van Basten a inizio stagione.

Weah con la maglia con lo Scudo!

Gli anni Novanta si chiudono col botto per i rossoneri, che in maniera rocambolesca vincono il sedicesimo scudetto nella stagione 1998/99, con una clamorosa rimonta. A subirla è la Lazio, che riesce a guadagnare fino a 7 punti sulla squadra guidata da Zaccheroni, per poi crollare a poche giornate dal traguardo. Il sorpasso si concretizza alla penultima, quando i biancocelesti pareggiano con la Fiorentina e si vedono passare avanti dal Milan, che vince a Perugia all’ultima giornata e porta a casa un titolo decisamente inatteso.

Per tornare a imporsi, poi, bisogna attendere il 2003/04, la stagione dell’unico scudetto dell’era Ancelotti (segnata però da due Champions). Quell’anno la rivale principale è la Roma, che viene agganciata a fine gennaio e poi staccata con un’accelerazione che alla fine porterà Shevchenko (capocannoniere con 24 gol) e compagni vincere il titolo numero 17 con ben 11 punti di vantaggio sui capitolini.

Il diciottesimo è invece firmato Allegri, che nella stagione 2010/11, con un Ibrahimovic in forma smagliante, strappa il titolo all’Inter dopo cinque anni precedendo i reduci del Triplete di sei punti.

E adesso grazie a Pioli il Milan ha raggiunto i cugini a quota 19,impedendo a Simone Inzaghi, che era favorito per le quote Scudetto di portare la seconda stella nella parte nerazzurra della città.

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. Prima pubblicazione 26 luglio 2021.

May 24, 2022
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Ruoli pallavolo | Posizioni pallavolo | Ruoli Volley

Uno degli sport più praticati a livello mondiale è senza dubbio la pallavolo, in grado di attrarre tantissimi appassionati sia sul fronte maschile che femminile.

L’alzatore

L’opposto

Lo schiacciatore

Il centrale 

Il libero

Il volley può contare su tantissimi praticanti, che sia a livello dilettantistico che professionistico rendono questo sport estremamente popolare. In Italia è tra gli sport più praticati a livello scolastico, accessibile dunque a tutti i ragazzi anche se in maniera totalmente amatoriale, senza apprendere i ruoli di questo sport.

A pallavolo si gioca in sei contro sei, ma i ruoli con la modifica delle regole volley sono cinque a cominciare dall’alzatore. 

L’alzatore

L’alzatore o palleggiatore di fatto è il regista offensivo della squadra, il giocatore che deve servire gli attaccanti che vanno a caccia del punto.

È il riferimento del coach in campo, l'uomo che spesso chiama lo schema offensivo e che poi decide chi andrà ad attaccare servendolo con un’alzata. Le caratteristiche fondamentali per un alzatore sono la velocità e la tecnica, ma, soprattutto, la conoscenza del gioco e delle peculiarità del muro dall'altra parte della rete!

Giannelli alza per Mengozzi a Rio!

L’alzatore infatti deve avere l’agilità e la rapidità per raggiungere un pallone anche non ricevuto perfettamente, mettendo poi in condizione di attaccare i propri compagni con una giocata precisa. 

L’opposto

L’opposto gioca in diagonale rispetto al palleggiatore ed è il “bomber” di riferimento della squadra. I palloni più pesanti di solito vengono affidati all’opposto, che ha solo il compito di attaccare, viene dunque svincolato da qualsiasi responsabilità in ricezione.

Spesso è un fattore determinante anche a muro con la sua fisicità e il suo atletismo. Un opposto infatti deve essere dotato di buona velocità, ma soprattutto di un gran fisico e di una grandissima esplosività per attaccare anche da seconda linea.

In situazioni di emergenza il coach può chiedere all’opposto di “rinforzare” la ricezione, ma quasi sempre viene lasciato libero di preparare la fase d’attacco fin dalla battuta avversaria. 

Paola Egonu a Tokyo!

Gioiello di questa categoria? La nostra Paola Egonu, naturalmente!

Lo schiacciatore

Lo schiacciatore, detto anche attaccante “laterale” o “di banda”, è il giocatore più duttile ed ha un ruolo estremamente delicato.

Nessuno come lo schiacciatore viene impegnato in entrambe le fasi, sia difensiva che offensiva.

In campo sono  due e devono affiancare il libero in fase di ricezione, essere in grado poi di attaccare sia da prima che da seconda linea, fornire copertura all’altro attaccante in caso di muro subito e difendere un eventuale contrattacco avversario.

Uno schiacciatore dunque deve essere rapido ed agile per difendere, avere una buona tecnica a livello difensivo per ricevere bene il servizio avversario e avere l’esplosività  e la precisione per attaccare sia da prima che da seconda linea.

Leon contro la Francia

È senza dubbio il ruolo più “completo” della pallavolo, vista la loro capacità di essere efficaci anche con il servizio.

Il centrale 

Il centrale, solitamente, è il giocatore più alto e più forte fisicamente della squadra. Il suo ruolo in attacco è ridotto rispetto a quello dello schiacciatore o dell’opposto, vista la difficoltà di attaccare al centro. Difficoltà che arrivano in primis dalla ricezione, che deve essere semplicemente perfetta per permettere all’alzatore di servire il centrale con un pallone chirurgico e semplice da attaccare, anche per le scommesse pallavolo.

L’altra difficoltà arriva dagli avversari, visto che a muro di fronte il centrale si ritroverà sempre il centrale avversario, ovvero il giocatore più alto e fisico della squadra avversaria. Il centrale lavora tantissimo a livello difensivo con il muro, fondamentale che spesso diventa un colpo d’attacco se portato con il tempo giusto. Il centrale deve abbinare grande fisicità a una buona rapidità, specialmente sul primo passo, così da poter coprire tutta la rete e dare supporto agli altri anche in situazione di attacco esterno.

Irina Koroleva, specialista del muro russo!

Il centrale deve essere potente per coprire più campo possibile agli avversari quando va a muro ed avere un gran controllo del corpo, per saltare sempre in verticale anche dopo un movimento laterale. 

Il libero

Il libero è il ruolo più recente della pallavolo, nato alla fine degli anni Novanta e ha come unico compito quello di difendere. Il libero entra in campo quando uno dei due centrali si ritrova a giocare in seconda linea. La sua specialità è naturalmente la ricezione e non può effettuare alcun colpo d’attacco, non può schiacciare, murare o andare al servizio.

Monica De Gennaro

La caratteristica principale è l’agilità e la rapidità e per questo il libero è quasi sempre il giocatore più piccolo e leggero della squadra. 
 

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

November 26, 2021
Ermanno Pansa
Body

Ermanno è un grande appassionato di sport, in particolare del calcio, vissuto a 360°: come professionista e come tifoso. Ha seguito tutte le fasi finali delle manifestazioni internazionali degli ultimi 15 anni, Mondiali ed Europei.

Amante degli incontri ricchi di gol, collabora quotidianamente con il blog di 888sport, per il quale rappresenta una costante fonte di idee.

 

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off

Stemma Lazio | Logo Lazio | Simbolo Lazio

Lo sport è parte fondamentale della vita umana da sempre, ma la civiltà antica in cui si è diffuso più capillarmente è quella greca. Non per niente nascono da quelle parti i Giochi Olimpici antichi e anche la prima edizione di quelli moderni si tiene ad Atene. Non sorprende dunque che quando nel 1900 a Piazza della Libertà viene fondata la Società Podistica Lazio i suoi primi iscritti decidono che i colori dovranno essere proprio quelli della bandiera greca.

Il primo stemma della Lazio

Lo stemma della Società Podistica

Lo stemma della Società Sportiva Lazio

Tutte le aquile biancocelesti

Il simbolo nell'era Cragnotti

Anche quando si tratta di scegliere un simbolo, si guarda all’Olimpo. L’aquila, oltre a essere un emblema di potenza, è sia uno dei simboli anche delle legioni romane che l’animale sacro a Zeus, padre degli Dei. Al momento di creare uno stemma, dunque, la cosa più logica da farsi è quella di fondere le due cose.

Il primo stemma della Lazio

Nei primi anni, la Lazio indossa infatti un semplice scudo con i colori sociali, mentre il primo stemma della Lazio vero e proprio è datato 1912 a vede l’aggiunta dell’aquila, che si posa sullo scudo e regge un nastro che porta il nome della società. La versione successiva, quella del 1914 è ancora più scenografica.

Lo stemma a righe bianche e celesti viene inserito in un cerchio che porta il nome della società, sulla base compare anche il nome di Roma e l’aquila è in posizione di volo, con le ali spiegate a superare anche i bordi del cerchio stesso.

È il momento migliore dei primi anni di fondazione della società, che arriva per ben due volte alla finalissima nazionale, prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Lo stemma della Società Podistica

L’aquila scompare invece nella versione successiva, che arriva nel 1921. Lo scudo diventa molto più semplice, prevedendo delle strisce di un blu molto più scuro rispetto al celeste utilizzato fino a quel momento.

La dicitura della società viene ridotta alle iniziali di “Società Podistica”, lasciando invece per intero il nome Lazio ed è inserita nella parte superiore dello stemma su uno sfondo grigio.

Con questo stemma, i biancocelesti raggiungono la loro terza e ultima finale di Prima Divisione.

Segui la Serie A con le nostre scommesse calcio!

Lo stemma della Società Sportiva Lazio

Quando nel 1926 la squadra cambia nome in Società Sportiva Lazio, quello che porta tuttora, arriva anche un nuovo stemma. Per volontà del regime, viene inserito all’interno dello scudo un fascio littorio in celeste che sostituisce la striscia centrale, mentre al posto delle altre due strisce spuntano due colonne.

Lo stemma viene completato dalla nuova dicitura S.S. Lazio e accompagna i biancocelesti nelle prime stagioni nella Serie A a girone unico, in cui la squadra ben figura fino a piazzarsi seconda nel campionato 1936/37 e a raggiungere la finale della Coppa dell’Europa Centrale.

La Curva Nord Laziale!

L’inizio del secondo conflitto mondiale non porta molti cambiamenti, se non quello allo stemma.

Nel 1940 lo scudo biancoceleste si trasforma in un rettangolo diviso a metà, con sopra un blu più scuro e sotto il bianco, su cui campeggia un’aquila stilizzata in volo che tiene un fascio littorio in orizzontale, senza la dicitura della società. In un’altra versione dello stesso anno, torna lo scudo, con quattro strisce blu e tre bianche, con uno spazio superiore in cui sono inseriti il nome del club e il fascio littorio, che invece scompare nella versione del 1943, un semplice rettangolo con quattro strisce verticali bianche e tre blu, con sopra in oro un riquadro con il nome.

Tutte le aquile biancocelesti

Il ritorno, stavolta definitivo, dell’aquila è datato 1958. La Lazio si riavvicina alla tradizione presentando uno stemma con l’aquila dorata in volo che tiene lo scudo, bordato anch’esso in oro, nella cui parte superiore campeggia il nome della società. Da quel momento in poi, nonostante alcune variazioni sul tema, il simbolo dei biancocelesti non scomparirà più dallo stemma. Negli anni Settanta l’aquila e i bordi dello scudo tornano ad essere di nuovo celesti.

Con i colori che richiamano al logo originario, la Lazio festeggia il suo primo scudetto, prima che la rivoluzione del marketing e dei loghi, come per lo stemma Inter, travolga anche la squadra capitolina.

Chinaglia contro la Juventus!

Il primo logo “moderno” è quello disegnato da Gratton, che i biancocelesti adottano tra il 1979 e il 1982. Si tratta di un’aquila azzurra stilizzata con sotto la scritta “S.S. Lazio”.

Ma è nel 1982 che nasce quella che è ormai un vero e proprio simbolo distintivo, la cosiddetta “aquila di Benincasa”. Il disegno del volatile viene ulteriormente semplificato ed è talmente iconico da essere inserito non solo in uno scudo che la Lazio ripresenterà anche in tempi più moderni, ma come striscia all’altezza del petto che abbraccia l’intera porzione frontale della maglia.

Nel 1987 la nuova presidenza di Gianmarco Calleri prevede però un ritorno al passato, nello specifico allo stemma degli anni Settanta. Rispetto a quello precedente, però, il nuovo stemma ha una diversa gradazione di blu (l’aquila) e celesti (le strisce nello scudo e il nome della società).

Il simbolo nell'era Cragnotti

L’evoluzione finale, quella che tuttora campeggia sulle maglie della Lazio è invece legata all’era Cragnotti. Nel 1993 l’aquila torna a essere dorata e sorregge uno scudo a tre strisce (due celesti e una bianca), con il nome della squadra scritto con una tonalità di blu leggermente più scura.

È con sul petto proprio questo stemma che la Lazio vive il suo periodo più vincente, quello che la porta alla vittoria in Coppa delle Coppe contro il Maiorca e a portare a casa addirittura la Supercoppa Europea, battendo il Manchester United di Sir Alex Ferguson, reduce dal Treble.

L’unica variazione sul tema arriva nel 2000, anno in cui la polisportiva festeggia i 100 anni. Lo stemma viene infatti abbellito con un numero 100 dorato che si fonde con lo scudo e con una striscia dorata inferiore che segnala le date dell’anniversario (1900-2000). Se possibile, questo stemma porta ancora più fortuna, perché compare il 9 gennaio 2000, giorno del “compleanno” della società e accompagna squadra e tifosi alla conquista, come una clamorosa ultima giornata che manderà in tilt tutti i siti scommesse, del secondo titolo di Campione d’Italia, arrivato nel maggio dello stesso anno.

Crespo con la maglia del Centenario!

Insomma, anche se nel corso degli anni la Lazio ha cambiato spesso il suo stemma, l’identità biancoceleste è riassunta perfettamente nei colori della squadra e nel suo simbolo, l’aquila. E non può certo essere un caso che i periodi più vincenti del club siano arrivati proprio quando entrambe le cose erano nello stemma societario!

*Le immagini dell'articolo sono distribuite da AP Photo. 

November 26, 2021
Body

Francesco vive di sport, di storia e di storie di sport. Dai Giochi Olimpici antichi a quelli moderni, dalle corse dei carri a Bisanzio all'Olanda di Cruijff, se c'è competizione o si tiene un punteggio, lui si appassiona sempre e spesso e volentieri ne scrive.

factcheck
Off
hidemainimage
show
Hide sidebar
show
Fullwidth Page
Off